mercoledì 13 maggio 2020

13 maggio - LA LOTTA DELLE DONNE LAVORATRICI IN TEMPI DI CORONAVIRUS



Una corrispondenza dalle Marche 
"...Anche oggi giornata a metà tempo e salario. Ieri abbiamo fatto assemblea, pensate a 20 donne incacchiate da far persino infuriare le sindacaliste imbufalite perché si lavora a tappe alterne a rotazione, gli stipendi dimezzati: se riflettiamo 384€ è una miseria, così come le interne a stipendio pieno, con 780€, comunque non ci fanno assolutamente nulla. Tutte prendono il bonus perché, chi più chi meno, ciò che rimane è talmente poco che non sai come arrivare al prossimo mese; il ritardo dei pagamenti ha incrociato le proteste sulle misure di sicurezza sanitaria che noi espletiamo, i servizi all’impresa, le prestazioni straordinarie sono state pagate senza il riconoscimento del 28 % di maggiorazione, il malumore serpeggia.
Essendo la produzione nostra terzista sarà un casino dopo, perché si sceglierà quale stabilimento sacrificare e le esternalizzazioni dei servizi da tagliare.
La situazione diventerà incandescente perché metterà le une contro le altre: chi verrà buttata giù dalla torre?
Siamo in uno stabilimento in 200, quasi tutte donne, più le ditte esterne, più ciò che lo alimenta.
Quando si è in fabbrica la prima regola che impari è come reggere i contraccolpi e anticipare il padrone altrimenti sei fregata, di quello che ti viene detto devi sempre sapere che una metà è fuffa, il resto è parare i colpi, è così.
Vivi in perenne ansia e sempre guardando in avanti, devi anticipare, ecco perché già da adesso ne stiamo parlando e risulta a chi legge magari fuori luogo in questo periodo di chiusura parziale.
Gli imprenditori stanno calcolando le perdite già da adesso: sanno che dovranno fare dei riassetti produttivi e ristrutturazioni. Si profileranno altre crisi produttive, non solo nel tessuto industriale ma economico in toto, questo è chiaro a tutt*.
Su una cosa non hanno fatto i conti: in questo mese dove, seppure stavamo in ristrettezze, molti si sono rifiutati di riprendere a lavorare, il mio collega che fa carico e scarico merci ha rifiutato per ben una settimana, motivato per la sicurezza e perché a gratis non si lavora: no money, no work!

Noi che siamo servizio essenziale e ci stiamo alternando abbiamo subito il taglio delle ore, oltre che una decurtazione dello stipendio che si reggeva sulle prestazioni straordinarie extra, anche queste tagliate e rimesse in prestazione ordinaria. I riassetti ci sono ed è per questo che non è finita la lotta con il mese scorso, non è più una questione di misure di emergenza: la prossima lotta sarà un emergenza lavorativa, dobbiamo tenerlo presente per il futuro perché, se abbiamo tenuto il punto fino in fondo con le chiusure durante questa pandemia, dovremmo avere la stessa capacità di rimettere al centro una vita degna, salari adeguati, sicurezza, salute e tutele. Quattro punti da cui ripartire che riguardano tutta la classe lavoratrice, qualsiasi settore sia, perché è questo che ci ha fregato ragionare singolarmente e non capire che tutti/e ci siamo dentro.
***

La situazione qua sta precipitando nelle fabbriche e negli appalti come chi lavora negli uffici smistamento logistica. Si lavora a tappe alterne senza una comunicazione chiara, mantenendo tutti un profilo basso.
Un’ora fa a pochi chilometri da qui un operaia si è messa in isolamento volontario, ieri le operaie hanno indossato la mascherina, la paura c’è: siamo in 300 in un capannone industriale e mentre ieri si cercava di placare l’agitazione, l’ordine era non fare uscire le notizie interne. 
10 minuti fa, il settore uno si è rifiutato di lavorare se non provvedevano al ricambio delle mascherine: chi può le ordina on line ma sono arrivate a costare 70 volte il prezzo di mercato.
Noi degli appalti eseguiamo sanificazione a rotta di collo: doppi turni compressati in poche giornate. 
Stiamo pressando per farci dare le mascherine ffp2, stiamo a contatto con detergenti ad alti volumi 75% sono irritanti, e cominciano a cedere i nervi perché le comunicazioni sono frammentate e non chiare, abbiamo paura di essere mandate allo sbaraglio: niente è sotto il nostro controllo, si ha un controllo capillare dall’alto su ogni minima protesta.  

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