Intervento della Rete Nazionale per la sicurezza nei luoghi di lavoro sulla tragica morte dei 5 operai
5 operai travolti e dilaniati da un treno. I loro nomi:
Kevin Laganà, 22
anni
Michael Zanera, 34
Giuseppe Sorvillo, 43
Giuseppe Aversa,
49
Saverio Giuseppe Lombardo, 52
Con questa strage sul lavoro siamo già a 559 morti sul lavoro nel 2023.
Un’altra strage di operai che, come tutti gli assassinii nei luoghi di lavoro, si sarebbe potuta evitare. Gli operai non dovevano essere sui binari a lavorare con un treno in transito.
Corpi di operai fatti a pezzi come in un’azione di guerra e le loro famiglie fatte a pezzi anch’esse.
Non si può parlare di questa ennesima strage - che qualcuno ha paragonato a quella della ThyssenKrupp - senza provare tanta rabbia verso un sistema che mette al centro il profitto e, per questo, la vita umana, la vita degli operai non ha nessun valore.
A deporre un mazzo di fiori nel luogo della strage di Brandizzo c’era la madre di uno degli operai della Thyssen, Rosaria Demasi, che ha visto il figlio morire dopo molti giorni di agonia dopo il rogo in fabbrica perché mancavano persino gli estintori. E che ha detto: “Non c’è giustizia. In questo paese che amo e a volte odio nessuno paga perché sono potenti, o perché hanno i soldi o perché si comprano tutto”. La cosiddetta “giustizia” dei Tribunali dei padroni lei e gli altri famigliari, di quella e di altre stragi e di altri infortuni mortali, l’ha provata sulla propria pelle e si chiama impunità per i padroni assassini.
Ci stringiamo ai famigliari delle vittime e diciamo a loro e a tutti i lavoratori che questo sangue operaio merita giustizia e un’altra prassi nelle lotte che non può essere la sola indignazione ma autorganizzare la nostra rabbia. Nel parlare delle lotte in corso ribadiremo le nostre proposte, di cui, la prima fra tutte, è l’autorganizzazione di una Rete Nazionale nei luoghi di lavoro e nei territori per fermare la mattanza di vite operaie uccise dal profitto nei luoghi di lavoro.
Dobbiamo mettere in campo la giustizia di parte proletaria che ha bisogno di lotte e di azioni contro i padroni assassini. Basta con la loro oscena impunità!
Si può lavorare una vita intera per un salario di merda, rischiare la vita nelle fabbriche, nelle ferrovie, nei cantieri, nei magazzini, nelle campagne per portare a casa una miseria che non basta neanche a sopravvivere; essere forza-lavoro indispensabile per mantenere i profitti dei padroni e mantenere in piedi il loro Stato, ma non contare assolutamente nulla per questo Stato, le sue istituzioni, la sua classe dominante.
Ma ora partiamo da quello che è avvenuto.
E’ partita un’inchiesta della Procura e del pm di Ivrea per i reati di “disastro ferroviario colposo e omicidio colposo plurimo”. Ci sono due indagati, Antonio Massa e Andrea Girardin Gibin, rispettivamente il dipendente Rfi che aveva il compito di dare il nulla osta e il caposquadra della Si.gi.fer, ditta incaricata di eseguire i lavori, che saranno interrogati nei prossimi giorni.
I macchinisti del treno hanno dichiarato che non sapevano della presenza degli operai.
Il sindaco di Brandizzo ha fatto circolare il messaggio che è un oggettivo depistaggio, parlando di “errore di comunicazione” tra le Rfi e la squadra di manutenzione della ditta Sigifer di Borgovercelli, titolare dei lavori dell’appalto per quello che si chiama “armamento” che riguarda binari, traverse, massicciata. Il classico “errore umano” per coprire le responsabilità della catena di comando da Rfi alla rete di appalti e di subappalti al massimo ribasso per risparmiare sui costi, le procedure di sicurezza che prevedono il nulla osta che non sarebbe mai arrivato alla squadra che comunque aveva cominciato a lavorare perché, come riporta il quotidiano la Repubblica, ci sarebbe stato comunque il via libera, comunicato in forma orale dal tecnico accompagnatore delle Rfi, mentre ci sarebbe dovuto essere il fermo della circolazione dei treni.
La Sigifer ha 250 dipendenti e 13 milioni di fatturato. Agli operai che fanno manutenzioni sui binari delle ferrovie applica il contratto dell’edilizia. Il committente è Rfi che dovrebbe controllare su orari, turni, rispetto del contratto ma i padroni di quelle ditte sanno bene che non avverrà mai perché è proprio Rfi ad aver creato il sistema di sfruttamento che ha tagliato posti di lavoro e avviato la catena di appalti e subappalti al massimo ribasso.
Riportiamo quasi
integralmente l’intervento di Dante De Angelis - macchinista e Rls,
licenziato due volte (e due volte reintegrato dai giudici) per le
denunce sulla sicurezza, per cui come Rete Nazionale ci siamo
mobilitati per il suo reintegro:
“Le regole sulla carta
sono chiare, prima di accedere al binario la squadra di lavoro deve
ricevere una comunicazione formale per il nulla osta, che può
arrivare solo dopo una complessa procedura che inizia dal gestore
della circolazione, il capostazione locale o dirigente operativo che
governa il traffico. Questo la trasmette a un dipendente di Rfi sul
posto che assume il ruolo di titolare dell’interruzione del
traffico che a sua volta la gira ad un’altra figura che funge da
scorta alla squadra di lavori; una sorta di “accompagnatore” che
funge da anello di congiunzione tra Rfi e la ditta appaltatrice. Alla
fine dei lavori, attestata formalmente sul posto, il flusso di
comunicazioni viaggia al contrario attraverso la scorta, i titolare
dell’interruzione per arrivare al capostazione che solo allora
potrà riaprire la linea al traffico e lasciar passare di nuovo i
treni. Ma la realtà del lavoro è ben diversa da quanto scritto sui
documenti aziendali.
NON SAPPIAMO con esattezza dove e come questo schema non abbia funzionato. Servirà l’inchiesta della procura e dei servizi ispettivi della Asl che si occupano di infortuni sul lavoro. Sappiamo però con certezza che vi è una frequenza inaccettabile di questa tipologia di infortuni gravi e mortali che accadono sui nostri binari, sempre uguali a se stessi e sappiamo anche che né Rfi, datrice di lavoro, né sindacati, né le altre istituzioni preposte hanno affrontato efficacemente la grave questione.
Certo è che lavorare col traffico aperto è una modalità ad altissimo rischio. Sul punto è in atto da anni un braccio di ferro, tra lavoratori, Rls, sindacati, ora sostenuti anche dall’Agenzia per la sicurezza ferroviaria Asfisa, contro Rfi, proprio per sospendere obbligatoriamente la circolazione durante le manutenzioni.
Resta infatti pericoloso non solo lavorare sul binario sui cui passa il treno, per poi spostarsi «su avvistamento» al suo passaggio, metodo ormai quasi in disuso, ma è pericoloso anche lavorare sul binario attiguo, tenendo conto che il treno passa a pochi centimetri da chi lavora, della complessità delle attività, della presenza di mezzi e macchinari rumorosi e del fatto che le lavorazioni oramai si svolgono prevalentemente di notte.
VISTI I PRECEDENTI procedimenti giudiziari in casi analoghi di investimenti sui binari, temo che sarà ricercato soltanto l’errore umano dell’ultimo anello della catena di comando, senza che la giustizia si interroghi sulla frequenze e prevedibilità di queste morti, senza nessuna riflessione sulle dinamiche e le conseguenze del sistema degli appalti, sul peso abnorme che svolge la ricerca del profitto, sul peso della precarietà contrattuale nelle prassi lavorative irregolari, ignorate o anche solo tollerate.
A spingere la magistratura a cercare verso i piani più bassi della scala gerarchica delle ferrovie c’è oltretutto una normativa sulla sicurezza del lavoro obsoleta e autoreferenziale che avvantaggia le imprese del settore ferroviario ed Rfi in particolare rispetto al resto del mondo produttivo e industriale. Caso forse unico di impresa che emana da se stessa la normativa di sicurezza mediante le sue «Istruzioni». Infatti, il settore ferroviario gode di una vecchia normativa dal sapore borbonico risalente al 1974, oggi assolutamente inadeguata e di difficile interpretazione e applicazione. L’armonizzazione necessaria con il resto dell’ordinamento, per garantire a chi lavora con le ferrovie le medesime tutele degli altri lavoratori, prevista dal Testo Unico 81/08, dopo innumerevoli rinvii viaggia con oltre 15 anni di ritardo.
QUELLA DI IERI è stata una immane tragedia, balzata giustamente all’attenzione dell’opinione pubblica per il numero delle persone coinvolte contemporaneamente, e per l’inspiegabile arretratezza dei sistemi di protezione. Tra i ferrovieri viene già chiamata la «nostra Thyssen». Siamo nel 2023, circondati da tecnologie avanzatissime che vediamo in azione dappertutto, anche nelle stesse ferrovie. Basta guardare ai sistemi informatici che fanno viaggiare i treni a grande velocità, le stazioni connesse col mondo, le biglietterie online: ma per la sicurezza degli operai che lavorano per consentire tutto questo, siamo ancora ai dispacci telefonici e alle regole del secolo scorso.
Ci dobbiamo interrogare tutti sul da farsi tralasciando l’ipocrisia dei comunicai di solidarietà, per primi impresa e sindacati, ma anche governo, magistratura, Ispettorato del lavoro e Regioni, titolari del potere e dovere di vigilanza sulla salute e sicurezza dei lavoratori. Ma l’unico rimedio veramente efficace non può che trovarsi in una rinnovata consapevolezza dei lavoratori e una loro mobilitazione. Per mettere in discussione tutte le fasi critiche e pericolose delle lavorazioni, iniziando dalle manutenzioni".
La Cgil ha indetto uno sciopero immediato di solo 4 ore a livello regionale per il 1 settembre e di 8 ore per oggi, 4 settembre. Uno sciopero però che non riguarda le ferrovie ma l’edilizia, le costruzioni.
La Commissione di garanzia di sciopero ha agito per colpire, come ultimamente sta facendo in maniera sistematica in sintonia con il nuovo governo Meloni/Salvini, per attaccare questo diritto contro lo sciopero di 24 ore indetto dall’Usb per il 1 settembre per ridurlo a 4 ore e limitarlo al solo personale Rfi.
Il Si Cobas ha indetto 2 ore di sciopero a fine turno per oggi (ieri)
Lo Slai cobas per il sindacato di classe ha indetto lo sciopero per il 5 settembre alla Tenaris Dalmine: presidi, volantinaggi, assemblee di lavoratori/lavoratrici vengono tenuti in altre fabbriche e città
Ci sarà un corteo, una manifestazione silenziosa per stamattina a Vercelli.
Il governo nella persona indegna che è il ministro dei trasporti Salvini, che a luglio si dichiarava “orgoglioso” di aver limitato il diritto di sciopero nelle ferrovie, uno sciopero anche per la sicurezza, con la precettazione, spalleggiato dalla Commissione di garanzia sciopero, sulla strage di Brandizzo si mette alla testa del depistaggio, fa quadrato intorno a Rfi, parlando di “errore umano”, di “errore di comunicazione”. Lo stesso governo che ha tagliato, nella persona della consulente dei padroni voluta da Meloni ora al ministero del Lavoro, Calderone, il risarcimento ai famigliari delle vittime degli infortuni sul lavoro (il minimo da 6 mila a 4 mila euro e quello massimo da 22.400 a 14.500 euro).
Dal ministro Nordio non avremo certo nessun provvedimento di corsie preferenziali e innalzamento pene per i processi che riguardano morti o infortuni di lavoratori nei luoghi di lavoro.
Dai sindacati confederali non possiamo aspettarci nulla vista la loro collaborazione con padroni e governi. Debole è la risposta dei sindacati di base. Dobbiamo comunque generalizzare alcuni segnali che vengono dalle fabbriche, come alla Tenaris Dalmine dove domani ci sarà uno sciopero e un’assemblea indetto dallo Slai Cobas psc di Bergamo dopo le iniziative alle portinerie del 1 settembre.
In parlamento nessuno si batterà per nuove leggi a difesa della vita degli operai nei luoghi di lavoro ma c’è bisogno di nuove leggi risultato delle lotte e delle iniziative dal basso.
Il sangue degli operai morti è stato coperto dalla calce: non dobbiamo permettere che cali il silenzio dopo che avvengono morti o infortuni nei luoghi di lavoro.
Agire nazionalmente e autorganizzarsi in una Rete nazionale è la risposta necessaria a fronteggiare questa guerra di classe non dichiarata che è nella stessa natura di questo sistema basato sul profitto dei padroni assassini, non abbiamo nessun’altra strada. Partire dai luoghi di lavoro con fermate, scioperi improvvisi, per riprendere nelle proprie mani la battaglia per la sicurezza nei luoghi di lavoro, unirsi alle associazioni dei famigliari, unire le Reti esistenti che si battono su questo, delegati, il movimento degli studenti, medici, intellettuali che ci vogliono mettere la faccia e il loro impegno su questo.
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