Un intervento/indicazione importante sulla battaglia/"guerra civile" da portare oggi tra gli operai nelle fabbriche - Da operai comunisti nella Controinformazione rossoperaia del 6/9
Vogliamo raccontare la risposta che abbiamo messo in campo dopo la strage dei 5 operai alla Tenaris Dalmine, una delle più importanti fabbriche della provincia di Bergamo, una fabbrica siderurgica, una fabbrica storica, che è stata oggetto di un processo di ristrutturazione/privatizzazione ormai da anni; qui stiamo intervenendo perché riteniamo che siano le fabbriche il motore della risposta di classe e quindi abbiamo cercato, di fronte a un fatto gravissimo come quello della strage degli operai di Brandizzo, una strage che si ripete, assieme alle quotidiane morti operaie per il profitto, di intervenire subito.
Il primo intervento è stato all’insegna che davanti alle stragi operaie non possiamo stare in silenzio. Da qui siamo partiti, il “chiodo fisso” che ci ha portato subito a prendere una posizione e portarla con un volantino a tutti gli operai alle portinerie, come già era successo in altre situazioni.
Con questo volantinaggio abbiamo subito capito che il momento era necessario e che ci sarebbe voluto anche un ulteriore intervento, che non bastava solo questo volantinaggio e che di fronte a questa situazione che si è generata in questi anni - che poi descriveremo - era necessario far schierare gli opera. E il modo per farli schierare era quello di costruire una mobilitazione, che non può essere in questi casi che uno sciopero, un'assemblea.
Teniamo conto del contesto in cui ci troviamo ad operare nel 2023 in questa grande fabbrica, dove è pesata - e pesa anche in questa strage operaia - la mancata presa di posizione di fim-fiom-uilm; e questo è un primo dato che diventa importante, perché diventa un problema di mancanza di indicazioni agli operai, vuol dire “io non dico niente”, ed è come dire agli operai “fregatene, questo non è un tuo problema”. Questo chiarisce ancora una volta che significa
quando parliamo di avanzata di moderno fascismo, di sindacati corporativi. Il silenzio diventa l'indicazione agli operai, il disinteresse è ciò che viene trasmesso agli operai: “non è un problema tuo” che, tradotto, significa “fregatene”... e poi arriviamo al “me ne frego”.
Questa è l'essenza dei sindacati confederali che nelle fabbriche, a livello nazionale, sono collusi, passivi e complici e lasciano fare ai governi dei padroni quello che vogliono.
Rispetto a questa situazione, la battaglia che abbiamo portato ai cancelli ha avuto un esito importante non tanto rispetto alla partecipazione – le adesioni sono state poche e gli operai in generale, anche quelli che hanno aderito, non si sono fermati all’assemblea nel piazzale.
Ma questa battaglia ha portato davanti a tutti i turni, davanti a tutte le portinerie, al confronto/scontro con gli operai, contro questa passività operaia alimentata dalla linea confederale.
Abbiamo portato degli striscioni molto chiari dove si diceva “Strage di operai”, “morti e sfruttamento”, mentre un altro diceva: “Per fiom-fim-uilm silenzio di tomba, per noi martedì 5 settembre sciopero con assemblea per unire gli operai che non vogliono stare zitti”. Questo serve. Serve scuotere i lavoratori, serve farli schierare, perché anche nelle fabbriche c'è una guerra civile in corso a cui non si può stare guardare.
“Non possiamo farci niente” dicono tanti operai, e noi abbiamo detto “No, lo sciopero cambia tutto!”. Questo è la molla su cui lavorare.
Questo ha portato a delle reazioni molto pesanti da parte dei lavoratori che in certi casi si sono sentiti in questo clima legittimati ad avere delle reazioni che magari tempo fa non avrebbero neanche pensato del tipo “non me ne frega niente, io voglio lavorare”, “ormai sono già morti e non resuscitano”, “non m’interessa niente, qui la sicurezza c'è”, “il padrone mi paga e io accetto tutto”, “è stato un errore umano”, fino a delle dichiarazioni del tipo “hanno fretta perché volevano andare a casa”.
Sono anche delle forme di giustificazione che però diventano sempre più comuni all'interno dei lavoratori.
L'altra metà dei lavoratori, in particolare quelli che non sono ancora stati inglobati al 100% dalla fabbrica, che sono quelli precari, che sono quelli meno soggetti a questo clima di ammorbamento, sono stati solidali, sono preoccupati per questo sistema di lavoro che mette a rischio la vita, la salute e tutto il resto, la dignità e tutto quello che sappiamo rispetto alle modalità di lavoro, al fiato sul collo dei capi che c'è tutti i giorni.
Nessuno non può non vedere la realtà di questa strage, dove comunque chi spinge sono sempre i capi, l’organizzazione del lavoro per avere il massimo profitto sulla pelle dei lavoratori.
Un'altra contraddizione che comunque emerge forte è quella tra le sparate di Landini della CGIL - che sui media, con dichiarazioni ad effetto che servono solo a ottenere il riconoscimento del sindacato dalle istituzioni per tentare di mettere i piedi ancora intorno ad un tavolo – e la realtà della fabbrica dove c'è un apparato sindacale che non reagisce di fronte a 5 morti, non emette neanche un comunicato e quindi avalla poi tutti i peggiori istinti e situazioni dei lavoratori che in questi anni sono degenerati fino ad arrivare a quelle dichiarazioni che abbiamo riportato, come, ancora di più, ci sono stati dei lavoratori che si sono sentiti toccati e hanno dovuto reagire con fastidio, alzando la voce con gruppi di altri operai che li seguivano mentre entravano.
Ma questo vuol dire che questa azione è la strada giusta, perché non ci sono altre strade. Contro il degrado, contro questa involuzione degli operai, vuol dire "guerra civile", non ci puoi discutere ma serve lo scontro, che fa leva sugli altri per conquistarli.
L'assemblea ai cancelli e lo sciopero hanno avuto questa funzione: far schierare chi non ci sta; anche se oggi questa attività è ancora debole ma comunque è una strada difficile. Ma non ci sono altre scorciatoie.
In questo contesto lo sciopero è l'elemento decisivo per fare una battaglia che porti gli operai allo scontro. In fabbrica oggi non si può dire “andiamo a conquistare tutti gli operai”, ma dobbiamo organizzare una parte per fare uno scontro con il resto, per arrivare al padrone.
Sui sindacati confederali dobbiamo metterci una pietra sopra. Il sindacato alla Tenaris Dalmine non c'è; non è un problema che vuol fare i contratti a ribasso, no, non c'è, è un'altra cosa. C'è un'organizzazione che gestisce alcuni interessi, si è ritagliata il suo spazio all'interno delle fabbriche dei padroni, del sistema del Capitale e ha una responsabilità nel gestire l'organizzazione del lavoro per il padrone, per far arrivare gli operai tutti i giorni sulle linee "ordinati e ubbidienti" - e poi non ci possiamo stupire di una CISL che parla di “cogestione”, questa è la punta avanzata del moderno fascismo che recepisce un dato di fatto che si è costruito in tutti questi anni.
Questo lavoro si trova in una fase ancora debole, di difensiva strategica, ma è questo il lavoro che bisogna fare in fabbrica per poter passare all'attacco.
E’ in questo contesto che non ci siamo limitati alla sola Tenaris Dalmine ma siamo stati anche alla Same, la seconda fabbrica più importante di Bergamo, una fabbrica che giustamente ha fatto uno sciopero immediato ed è stata l'unica fabbrica in tutta la provincia.
Siamo intervenuti lunedì mattina per portare la necessità che le fabbriche che hanno una forza devono usarla nello scontro più generale, per mettere in campo i lavoratori. Abbiamo portato uno striscione: “serve la rivolta degli operai” e abbiamo fatto un invito a sostenere, a partecipare alla mobilitazione degli operai Tenaris. “Se vogliamo dire veramente “basta morti sul lavoro” significa che dobbiamo lavorare per alimentare la guerra e l'odio di classe che sono la forza motrice della lotta sociale e politica in questo paese”.
Abbiamo portato questo volantino, l'abbiamo fatto come compagni, come comunisti, come proletari comunisti, perché vediamo la parte buona che c'è ancora in queste fabbriche dove c'è una resistenza, una capacità di risposta degli operai ma che non è usata - secondo il nostro punto di vista - ancora in maniera adeguata, e quindi noi lavoriamo per costruire la forza degli operai, perché solamente attraverso la forza degli operai si può mettere fine a un sistema fondato sul profitto e sulle morti operaie.
Un altro striscione che è stato presente in tutta la mobilitazione, in tutto lo sciopero, è stato quello di proletari comunisti che dice chiaro che “le stragi operaie si fermano abbattendo il sistema che le produce”. Su questo non ci può essere nessun tipo di attività sindacale che non sia collegata alla prospettiva più generale di abbattere questo sistema.
Nel nostro paese altre realtà sindacali e politiche non vanno in questa strada, non vanno verso la costruzione della rivolta operaia, di “fare come in Francia” e della costruzione del sindacato di classe in funzione del potere operaio.
Senza questa di strada continueranno a esserci ricchezza per i padroni e sangue per i lavoratori nel sistema del Capitale e quindi noi dobbiamo, come operai, come avanguardie, come comunisti, impegnarci tutti i giorni nello scontro anche in fabbrica, lavorare per questo.
Siamo sicuri che la strada sarà tortuosa ma è luminosa, una scintilla poi accenderà la prateria.
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