pubblichiamo questo articolo mainstream che anche se in maniera ambigua e
dietro dati ufficiali (che non tengono conto di tutto il lavoro nero e
neo-schiavistico dai campi alle cooperative con buste paga fittizie) è
costretto a dire quello che si nasconde nella realtà: gli immigrati vanno bene
quando sono manodopera da sfruttare sui posti di lavoro e tenere
sotto ricatto e paura con il razzismo, oltre alla questione centrale di cui i
padroni e governo hanno paura che si materializzi: i lavoratori immigrati
sono parte del proletariato, il proletariato non ha nazione, ma un unico fine
la rivoluzione.
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Il dubbio lo si aveva un po’ tutti, ma la quinta edizione del Rapporto
annuale sull’economia dell’immigrazione della Fondazione
Moressa, presentato giovedì 22 a Roma, lo mette nero su bianco per l’ennesima
volta: gli immigrati che vivono e lavorano in Italia sono una risorsa
economica. L’idea che i milioni di persone che negli anni sono venuti a
lavorare nel Paese siano solo sbarchi e spacciatori – come a qualcuno piace di
raccontare – è sbagliata e fuorviante. Tasse, contributi Inps, ricchezza (per
non parlare di imprenditoria, demografia e persino commercio con l’estero) sono
tutti aspetti che rendono l’immigrazione un fattore fondamentale della nostra
vita economica. Vediamo qualche passaggio del rapporto che fornisce numeri su
ciascun aspetto della partecipazione degli stranieri alla costruzione del Pil
italiano. Senza bisogno di aggiungere altro. Nel 2015 la popolazione
straniera ha superato quota 5 milioni e rappresenta l’8,2% della popolazione
complessiva. Non solo: tra la popolazione italiana 1 su 10 ha
più di 75 anni, mentre tra gli stranieri appena 1 su 100. Una diversa
composizione demografica che ha un impatto significativo sul mercato del lavoro
e sul sistema del welfare e che è destinata ad accentuarsi nei prossimi anni. La
ricchezza prodotta e il contributo fiscale. Nel 2014 i contribuenti
stranieri hanno dichiarato redditi per 45,6 miliardi e versato 6,8 miliardi di
euro di Irpef netta.
Mettendo a confronto i costi e benefici della presenza
straniera (esclusivamente i flussi finanziari diretti), la differenza tra
entrate e uscite mostra segno positivo: +3,9 miliardi di saldo attivo per le
casse dello Stato. Inoltre, considerando la ricchezza prodotta dai 2,3 milioni
di occupati stranieri, nel 2014 il “Pil dell’immigrazione” ha raggiunto i 125
miliardi di euro, ovvero l’8,6% della ricchezza nazionale.
Le
pensioni pagate dagli stranieri. Nel 2013 i contributi previdenziali hanno
raggiunto quota 10,3 miliardi. Ripartendo il volume complessivo
per i redditi da pensioni medi, si può affermare che i lavoratori stranieri
pagano la pensione a 620 mila anziani italiani. Sommando i contributi versati
negli ultimi cinque anni si può calcolare il contributo degli stranieri dal
2009 al 2013, pari a 45,7 miliardi di euro, volume sufficiente per una manovra
finanziaria. Il ruolo nei paesi d’origine. Nell’attuale dibattito
sull’immigrazione, “aiutiamoli a casa loro” è
uno degli slogan più diffusi, inteso come possibilità concreta per limitare
l’immigrazione irregolare e le problematiche ad essa connesse. Tuttavia, i dati
OCSE evidenziano come gli investimenti pubblici non rappresentano una priorità
per i governi della vecchia Europa, nonostante già nel 2000 si fosse fissato
come obiettivo lo 0,70% del PIL. L’Italia, ad esempio, investe
in aiuti allo sviluppo appena lo 0,16% del PIL (meno di 3 miliardi di euro).
Quota ampiamente superata dai flussi di denaro che gli immigrati inviano in
patria, pari allo 0,31% del PIL (4,9 miliardi secondo la stima 2015).
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