sabato 31 ottobre 2015

31 ottobre - SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! NEWSLETTER N. 231 DEL 30/10/15



NEWSLETTER PER LA TUTELA DELLA SALUTE
E DELLA SICUREZZA DEI LAVORATORI
(a cura di Marco Spezia - sp-mail@libero.it)

INDICE

INFORTUNI SUL LAVORO: INDENNIZZABILE IL DANNO DALL’INAIL ANCHE SE DERIVA SOLO DA UNO SFORZO FISICO
1
MORTE SUL LAVORO: I DIRITTI DEGLI EREDI E LE PRESTAZIONI INAIL
2
IL RISCHIO PSICOSOCIALE E LO STRESS
4
JOBS ACT OVVERO DELLA “SEMPLIFICAZIONE MANCATA”
8
D.LGS. 149/2015: COSA CAMBIA IN MATERIA ISPETTIVA?
11
SICUREZZA NEL LAVORO IN SOLITUDINE
14


INFORTUNI SUL LAVORO: INDENNIZZABILE IL DANNO DALL’INAIL ANCHE SE DERIVA SOLO DA UNO SFORZO FISICO

Da Studio Cataldi
6 ottobre 2015
di Valeria Zeppilli

Infortuni sul lavoro: indennizzabile il danno dall’INAIL anche se deriva solo da uno sforzo fisico.
Per il tribunale di Ivrea, lo sforzo è da considerarsi causa violenta se è diretto a vincere una resistenza peculiare della prestazione lavorativa.
La causa violenta, necessaria affinché un infortunio possa essere indennizzato dall’INAIL con l’indennità giornaliera legislativamente prevista, può ravvisarsi anche in uno sforzo fisico.
Questo almeno è quanto stabilito dal Tribunale di Ivrea con la sentenza n. 61/2014.

I giudici della Sezione Lavoro, infatti, hanno precisato che è ben possibile che se da un atto di forza derivi una lesione, esso possa integrare un’ipotesi di sforzo idoneo a legittimare la corresponsione dell’indennità giornaliera da infortunio.

Nel caso di specie la lesione era derivata al lavoratore dalla necessità di appoggiarsi con la schiena sulla parete di un silos e scuoterla con forza al fine di far defluire, come necessario, del pangrattato che era rimasto bloccato sui bordi.
A causa del dolore persistente, il ricorrente, il giorno successivo, si era trovato costretto ad abbandonare il posto di lavoro per raggiungere, peraltro tramite autoambulanza, il Pronto Soccorso, dove gli veniva diagnosticata una lombalgia acuta da sforzo.

Dinanzi a tale circostanza, e in contrasto con quanto richiesto dall’Istituto (per il quale l’evento dal quale al lavoratore era derivata la lesione non sarebbe in realtà dipeso da causa violenta, ma da malattia comune), i giudici hanno riconosciuto al ricorrente cinquanta giorni di inabilità temporanea assoluta indennizzabili da parte dell’INAIL.

Ciò in considerazione del fatto che, nel caso di specie, il lavoratore aveva compiuto, da solo, un’operazione anormale dal punto di vista ergonomico e rifacendosi alla giurisprudenza della Cassazione, in base alla quale lo sforzo che comporta una lesione integra la fattispecie della causa violenta, anche se non straordinario né eccezionale, purché sia diretto a vincere dinamicamente una resistenza peculiare della prestazione o dell’ambiente di lavoro.

Per approfondimenti:



MORTE SUL LAVORO: I DIRITTI DEGLI EREDI E LE PRESTAZIONI INAIL

Da Studio Cataldi
6 ottobre 2015

di Valeria Zeppilli

MORTE SUL LAVORO: I DIRITTI DEGLI EREDI E LE PRESTAZIONI INAIL
LA RENDITA AI SUPERSTITI E LE VOCI DI DANNO INDENNIZZABILI

Tra le numerose tutele apprestate dall’INAIL rientra anche quella posta a favore dei familiari dei lavoratori che siano deceduti in conseguenza di un infortunio sul lavoro o di una malattia professionale.
A favore di tali soggetti, infatti, al ricorrere di determinati requisiti l’istituto riconosce una rendita che decorre dal giorno successivo a quello in cui si è verificato l’evento nefasto e ha durata differente a seconda dei soggetti ai quali sia rivolta.

I BENEFICIARI DELLA RENDITA AI SUPERSTITI
Più nel dettaglio, tra i familiari del lavoratore deceduto sul lavoro ai quali spetta la rendita vanno ricompresi anzitutto il coniuge superstite e i figli.
Per il primo, la rendita cessa di essere erogata al momento della morte o nel caso in cui contragga un nuovo matrimonio.
Con riferimento ai figli, invece, la rendita spetta a quelli legittimi, naturali, riconosciuti o riconoscibili e adottivi, sino al compimento del diciottesimo anno di età.
Se sono studenti di scuola media superiore o professionale, a carico del defunto e senza un lavoro retribuito, la rendita spetta loro sino ai 21 anni.
Il beneficio, infine, può poi estendersi per tutta la durata del corso di studi e sino a massimo i 26 anni di età se i figli siano studenti universitari, a carico e senza un lavoro retribuito.
Si precisa che, nel caso in cui i figli siano inabili al lavoro, la rendita spetta sino alla cessazione dell’inabilità.
Se, invece, il lavoratore non era sposato e non aveva figli, della rendita possono beneficiare i genitori, purché fossero a suo carico e sino alla loro morte, e i fratelli e le sorelle, anche in questo caso purché a carico del lavoratore defunto e, inoltre, purché conviventi.
A questi ultimi il beneficio spetta sino ai medesimi termini visti per i figli.
In ogni caso, la rendita non spetta ai superstiti dei lavoratori non soggetti alla tutela assicurativa obbligatoria prevista dal Testo Unico 1124/65 e dalla Legge 493/99.

CARATTERISTICHE E AMMONTARE DELLA RENDITA
La rendita offerta dall’INAIL ai superstiti dei lavoratori deceduti in conseguenza di malattia professionale o infortunio sul lavoro è una prestazione economica che ha il vantaggio di non essere soggetta a tassazione IRPEF.
La base di calcolo per determinarne l’ammontare ha subito una variazione a partire dal 1° gennaio 2014. Mentre, infatti, essa era in precedenza identificata nella retribuzione annua effettiva del lavoratore nel rispetto di determinati limiti stabiliti, nel minimo e nel massimo, dal Testo Unico 1124/65, oggi, a seguito della legge di stabilità 2014, essa va individuata nella retribuzione massima convenzionale del settore industria.
Posta questa base di calcolo, l’ammontare della rendita varia a seconda di quale sia il soggetto che ne beneficia.
Nel dettaglio, essa spetta nella misura del 50% al coniuge e nella misura del 20% a ciascun figlio.
Se però i figli siano orfani di entrambi i genitori o siano figli naturali riconosciuti o riconoscibili, la rendita spetta loro nella misura del 40%.
Laddove, invece, in assenza di coniuge o figli, la rendita vada a vantaggio, alle condizioni sopra viste, dei genitori naturali o adottivi o dei fratelli o delle sorelle, essa sarà erogata nella misura del 20%.
In ogni caso, le quote di rendita non possono mai complessivamente superare la base di calcolo presa come riferimento per determinare il loro ammontare.
Pertanto, laddove ciò potenzialmente accada, le quote di rendita spettanti ai familiari vanno adeguatamente riproporzionate.
Ciò posto in via generale, va da ultimo specificato che l’ammontare effettivo delle rendite è rivalutato annualmente sulla base della variazione effettiva dei prezzi al consumo e mediante decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

COME CHIEDERE LA RENDITA
In caso di morte a seguito di infortunio sul lavoro, la rendita ai superstiti viene erogata dall’INAIL direttamente a seguito di denuncia dell’evento nefasto da parte del datore di lavoro.
Solo laddove quest’ultimo non vi provveda, saranno gli eredi del lavoratore a dover presentare apposita richiesta, corredata di tutta la documentazione sanitaria idonea ad attestare la causa del decesso.
Nel caso invece in cui il decesso riguardi il lavoratore già titolare di una rendita diretta, la richiesta all’INAIL va presentata direttamente dai superstiti, sempre corredata della documentazione sanitaria necessaria a ricondurre la morte al lavoro.
In ogni caso, è l’INAIL che informa i superstiti del lavoratore della possibilità di richiedere la rendita entro novanta giorni dalla data in cui ricevono tale comunicazione.

LE MODALITÀ DI CORRESPONSIONE
Una volta riconosciuto ai superstiti il diritto a beneficiare della rendita, l’INAIL provvede al relativo pagamento sia attraverso assegni, che attraverso accredito su conto corrente, su libretto di deposito o su carta prepagata dotata di codice IBAN.
Se la quota di rendita non supera i mille euro, il pagamento può avvenire anche in contanti presso gli sportelli postali o bancari.
Nel caso, infine, in cui la rendita venga riscossa all’estero, il pagamento avviene presso gli sportelli convenzionati con l’INPS.

LE VOCI DI DANNO INDENNIZZABILI
Da ultimo occorre segnalare che, laddove la morte sul lavoro sia cagionata da colpa del datore di lavoro, agli eredi del lavoratore spetta sia il risarcimento del danno morale da liquidarsi in via equitativa, tenendo conto delle sofferenze patite e della gravità dell’illecito, sia il risarcimento del danno biologico “iure proprio” conseguente alla lesione dell’integrità psico-fisica subita dagli interessati in ragione della morte del familiare.
Nel caso in cui, tra l’infortunio e la morte, il lavoratore sia rimasto in vita per un apprezzabile lasso di tempo, agli eredi compete inoltre il risarcimento del danno biologico “iure ereditario”.



IL RISCHIO PSICOSOCIALE E LO STRESS

Da Orizzonte degli Eventi
23/10/15
Di Franco Simonini e Vincenza Bruno

L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la salute non più come “assenza di malattia” (un concetto lineare connesso alla semplicità di due sole variabili: presenza, assenza) ma come lo “stato” (condizione che prevede l’interazione spontanea tra molteplici variabili dalla cui sintesi emerge una condizione dell’essere (benessere o malessere) indipendente da ogni singola variabile che partecipa alla definizione della totalità) di benessere fisico, psichico e sociale dell’individuo.
Questa definizione risuona con la naturale ontologia dell’essere umano che da macchina (funzionante/non malata, rotta/malata) passa a percezione vitale in cui ogni aspetto dell’essere (fisico, psichico e sociale) influisce sulla descrizione totale dello stato di benessere individuale.
Dal 1948 vi è stata una significativa evoluzione nella ricerca e nella sperimentazione di tutte le materia appartenenti al sistema “benessere individuale”. Nella pratica le scienze e le conoscenze subiscono, e hanno subito, l’influenza di lobby, gruppi di potere, interessi privati, che hanno diretto l’applicazione del diritto alla salute nelle direzioni a loro confacenti spesso anche a discapito delle reali esigenze dei cittadini.
Anche la sicurezza e la salute dei luoghi di lavoro ha subito gli stessi condizionamenti, abbiamo ancora, oggi, chi ritiene naturale che il lavoro debba essere, sacrificio, fatica, disagio, debba contenere un certo grado di rischio e di insalubrità.

Quando nel 1994 grazie all’influenza Europea si iniziò anche in Italia ha discutere del rischio psicosociale molti affermavano che la “gente” moriva ancora sul lavoro per infortuni e malattie professionali e occuparsi dello stress era come curare il raffreddore lasciando a se stesso il malato di polmonite.
Secondo l’OMS, invece, ogni condizione che allontana dal benessere psichico e sociale è una condizione da bonificare perché contraria alla salute. Secondo le più importanti agenzie Europee, e anche la nostra organizzazione, i rischi psicosociali, che producono importanti forme di stress nei lavoratori, rappresentano la massima preoccupazione oltre che per la salute anche per la loro influenza negativa sulla produzione.
I rischi psicosociali producono stress negli individui, modificano la loro capacità creativa e di produzione della coscienza. Incidono sul DNA e stimolano la produzione di proteine difensive nelle cellule cerebrali, condizionano pensieri e comportamenti. Questi rischi possono produrre gravi stati di sofferenza come nei processi di mobbing o burnout. Lo stress per le vessazioni subite aumenta drammaticamente il rischio di suicidio, le vessazioni nel luogo di lavoro non producono disagio solo al singolo operatore ma dimostrano una condizione di malessere dell’intero sistema produttivo.

IL RISCHIO PSICOSOCIALE

Il rischio psicosociale può essere inteso come l’insieme di “quegli aspetti relativi alla progettazione, organizzazione e gestione del lavoro, nonché ai rispettivi contesti ambientali e sociali, che dispongono del potenziale per dar luogo a danni di tipo fisico, sociale o psicologico” (Cox, Griffiths, 1995).
Da questa definizione è possibile dedurre la complessità e la trasversalità di tale rischio, esso non riguarda tipiche aree di lavoro o specifici compiti, ma può essere in potenza presente in ogni organizzazione.

Nel pensiero sistemico le imprese sono osservate come organismi inseriti all’interno di collettività preesistenti, devono affrontare problemi connessi all’impatto ambientale e seguono indicazioni da standard internazionali per la gestione dei comportamenti che producono il minore disagio alla popolazione ospitante. Le ISO 14001 regolano questa materia a livello mondiale. Ultimamente le ISO 26000 prescrivono anche la necessità di valutare l’impatto sociale sulle comunità ospitanti. La cultura manageriale internazionale ritiene che le imprese producano una loro specifica cultura in grado di interagire col contesto ambientale e sociale.
Per i luoghi di lavoro le OHSAS 18001 prescrivono come fondamentale la partecipazione degli Responsabili dei Lavoratori per la Sicurezza e dei lavoratori alla gestione della sicurezza e della salute. Ogni sistema di gestione ha bisogno di un continuo monitoraggio delle variabili che incidono sull’evoluzione o sulla regressione del sistema.

Se utilizziamo il pensiero sistemico, traducendo in metafora la definizione di Cox e Griffiths di rischio psicosociale, si ottiene una interrelazione tra gli aspetti manageriali del lavoro col suo contesto ambientale e sociale.
Gli aspetti di progettazione, organizzazione e gestione del lavoro non possono essere considerati come momenti separati della conduzione aziendale, essi sono comunque in interazione tra loro a formare una “unità complessa”. E’ da questa unità complessa che si origina il contesto ambientale e sociale anche quando non siamo in grado di valutarne gli effetti come nelle analisi lineari (Bruno, 2013).

Nell’osservazione separata delle variabili possiamo solo perdere la consapevolezza che errori di progettazione, ad esempio, ricadono obbligatoriamente sull’organizzazione e da questa condizionano la gestione del lavoro.
Gli aspetti di organizzazione, progettazione, il contesto sociale ecc. anche se distinguibili sono connessi tra loro in maniera circolare e non dissociabile. Nel momento in cui un elemento è in interrelazione con un altro si realizza qualcosa di diverso della somma delle parti, inoltre le parti stesse dopo il processo di interrelazione mutano se stesse e i relativi contesti ambientali e sociali, anche se a volte in maniera non direttamente e immediatamente osservabile (Bruno, 2013).

Il rischio psicosociale (comprese le sue variabili produttrici di vessazioni, mobbing, burnout) si manifesta attraverso i meccanismi dinamici che creano all’interno delle organizzazioni sottogruppi informali in risposta ai limiti o alle costrizioni del management inesperto e approssimativo. In risposta a procedure formali statiche e lontane dai reali bisogni di comunicazione, gli operatori si organizzano in piccoli gruppi condividendo interessi “omogenei” che diminuiscono difficoltà, disagio e fatica operativa.
In questo modo le organizzazioni sono definite da una complessa rete di aspetti formali ed informali continuamente interagenti tra loro e non sempre percepiti o conosciuti dal management.

Le variabili formali ed informali rivestono un ruolo fondamentale per la vita e l’efficacia dei sistemi organizzati, da esse o meglio dalla loro interazione dipendono la cultura aziendale, la politica aziendale, la “mission”, l’organizzazione generale del lavoro fino ad arrivare all’esecuzione di specifiche attività, di conseguenza gli aspetti formali e informali influiscono sulla salubrità dell’azienda a tutti i livelli.

Le organizzazioni del lavoro sono definite da due aspetti:
-         formale o teorico-programmatico;
-         informale o comunicativo-interrelazionale.
I due aspetti, anche se distinguibili, solitamente nei manuali di psicologia del lavoro sono descritti per comodità di esposizione in maniera separata, sono di fatto in stretta interrelazione, la dimensione formale genera anche aspetti di informalità e a sua volta l’aspetto informale può produrre nel tempo nuove o diverse caratteristiche formali; entrambi poi agiscono sull’organizzazione, a sua volta l’organizzazione in quanto totalità agisce sui due aspetti (Bruno, 2013).
L’organizzazione informale senza il supporto di una cultura adeguata (campo interrelazionale) può innescare processi in grado di sviluppare fenomeni pericolosi per la salute dei lavoratori e dell’organizzazione stessa (ad esempio vessazioni, eccessivo conflitto, indifferenza per abbandono mentale del “campo” (Bruno, 2013), allo stesso tempo può produrre fenomeni positivi come la solidarietà e la cooperazione spontanea nei gruppi di lavoro, ma se non gestita e lasciata al caso questi aspetti di positività possono così come generati spontaneamente regredire.

Un altro aspetto fondamentale riguarda l’interazione tra le variabili. Qualsiasi tipo di variabile interagisce con le altre presenti, l’analisi delle singole variabili, senza uno studio delle loro interazioni fornisce dei dati non attinenti con la realtà produttiva e quindi non in grado di fornire indicazioni e suggerimenti utili per affrontare i problemi presenti o attuare procedure di miglioramento.
Gli interventi nelle aziende quindi devono essere effettuati attraverso tecniche e metodologie in grado di osservare le interazioni nel tempo, una misura di serie di variabili estrapolate dal loro contesto generale e dalle loro relazioni (per esempio liste di controllo dove viene indicata la presenza o meno di un singolo aspetto) risulta poco utile e anche non realistica. (Bruno, 2014).
Tutti i giorni durante il suo lavoro l’operatore non svolge una singola operazione per volta e non la svolge in un laboratorio asettico, ma in un contesto dove sono presenti differenti variabili, altri operatori e nel caso di molti lavori clienti, pazienti, studenti ecc.
Ad esempio se consideriamo il lavoro di un infermiere del pronto soccorso possiamo ipotizzare che molto spesso si troverà a dover gestire contemporaneamente almeno tre dei fattori di rischio psicosociale: pressione del tempo, avere a che fare con pazienti difficili, orari di lavoro irregolari o lunghi.

La ricerca europea ESENER, nell’indagare quali aspetti influiscono maggiormente sulla salute e sicurezza sul lavoro, ha messo in evidenza che una delle maggiori preoccupazioni delle imprese europee riguardano lo stress (79%), preceduta soltanto dagli infortuni (80%).
I settori maggiormente interessati (le percentuali tra i diversi settori oscillano dal 90% al 75%) sono la sanità e l’assistenza sociale, l’istruzione, servizi, trasporti e comunicazione; questi settori hanno percentuali più alte per problematiche quali la violenza o la minaccia di violenza, il bullismo e le molestie.

Per quanto riguarda i fattori che contribuiscono al rischio psicosociale sul lavoro, le aziende
intervistate hanno indicato:
-         pressione di tempo (52%);
-         avere a che fare con clienti, pazienti, studenti difficili, ecc. (50%);
-         insicurezza del lavoro (27%);
-         scarsa comunicazione tra management e dipendenti (27%);
-         scarsa cooperazione tra colleghi (25%);
-         orari di lavoro irregolari o lunghi (22%);
-         problemi nelle relazioni tra dirigente e dipendente (19%);
-         mancanza di controllo dei dipendenti nell’organizzare il loro lavoro (19%);
-         politica poco chiara delle risorse umane (14%);
-         discriminazione (per esempio a causa di genere, età o etnia) (7%);
La maggior parte delle cause identificate sono indicate più frequentemente con l’aumentare della dimensione dell’impresa, con differenze fino al 20%, ad eccezione della caratteristica “avere a che fare con clienti, pazienti, studenti difficili ecc.” che è indicata con la stessa frequenza in tutte le dimensioni delle aziende intervistate. Di conseguenza la maggiore incidenza espressa nelle alte percentuali dei settori sopra esposti è proprio dovuta al fattore “dover trattare con clienti, studenti, pazienti difficili”.
Anche nei paesi in cui il livello generale di stress risulta inferiore rispetto alla media dell’Unione Europea, come ad esempio il Regno Unito, i settori comunque maggiormente interessati risultano i medesimi.

E` da notare che la maggior parte dei fattori indicati riguarda aspetti considerati informali all’interno delle organizzazioni o comunque aspetti sui quali non esiste una procedura e/o una formazione specifica degli operatori.
In generale gli aspetti che costituiscono un rischio psicosociale possono trasformarsi in opportunità, ossia la gestione di queste variabili non solo riduce il rischio, ma aumenta l’efficacia dell’organizzazione in generale e quindi la sua produttività.

LO STRESS LAVORO CORRELATO

Lo stress è uno “stato” psicologico negativo, con componenti emotive e cognitive, che fa parte e riflette un processo più ampio di interazione dinamica tra la persona e l’ambiente di lavoro, e che produce effetti sia sulla salute dei singoli dipendenti che sulle loro organizzazioni (Cox, Griffith, Rial-Gonzales 2002).

Questo modo di vedere è in linea con la definizione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro e con la definizione di benessere proposta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Secondo Cox lo stress è definibile solo da un termine negativo. Le esperienze emotive negative legate all’esperienza di stress riducono la qualità della vita in generale e il senso di benessere, quindi la convinzione di alcuni secondo la quale un certo livello di stress aumenti la produttività e conseguentemente la salute è errata.
Esiste la convinzione che un certo livello di stress sia connesso a un buon rendimento e, conseguentemente, a buone condizioni di salute. In alcune occasioni, per giustificare procedure di gestione mediocri, si è fatto ricorso alla convinzione che certi livelli di stress possono essere auspicabili (Cox, Griffith, Rial-Gonzales 2002).

Se consideriamo l’azienda come un ‘‘sistema di parti’’ in interazione tra loro ci accorgiamo subito della presenza, tra gli operatori, di potenti dinamiche costruite nel tempo. Le forze di relazione hanno una doppia natura: da una parte collidono, confliggono, creano disordine; dall’altra armonizzano, trovano punti d’incontro, producono momenti solidali, generano ordine.
Proprio nella continua “enantiodromia” tra ordine e disordine l’organizzazione informale si forma, cresce, evolve, per poi divenire turbolenta, critica, instabile; ma ritrovare, a più alti livelli, nuove forme, aggregazioni, armonie (Simonini, Bruno, 2012).
Tuttavia quando le organizzazioni rispondono alle naturali esigenze antagoniste degli elementi operativi del sistema produttivo, diminuendo drasticamente i gradi di libertà dei comportamenti compensativi degli scompensi prodotti dall’organizzazione formale, si produce la condizione di stress.

Lo stress è quindi la “mutilazione” delle risposte cognitive ed emozionali che le parti di un sistema produttivo mettono in campo come difesa. La “mutilazione interattiva” riduce la relazione spontanea, la presa di coscienza dei punti critici, la possibilità di intervenire nella loro soluzione, di scegliere e criticare gli standard organizzativi, di indicare direzioni e scelte alternative.
L’interazione dinamica tra ambiente e persona è l’aspetto fondamentale dell’intero processo, è proprio da tale interazione, dalle elaborazioni e valutazioni che il soggetto riesce o non riesce a realizzare, dalle emozioni che ne emergono più o meno rese coscienti, che insorge la condizione di stress.



JOBS ACT OVVERO DELLA “SEMPLIFICAZIONE MANCATA”

Da: PuntoSicuro
21 ottobre 2015

Pubblichiamo il commento di Attività Professionale del Medico del Lavoro / Medico Competente (AProMeL) la sezione tematica della Società Italiana di Medicina del Lavoro e Igiene Industriale (SIMLII) dedicata specificamente all’attività professionale del medico del lavoro / medico competente, ai decreti del Jobs Act.

Dopo una lunga attesa, in seguito all’approvazione da parte del consiglio dei ministri e al successivo parere del Parlamento, sulla Gazzetta Ufficiale n. 221 del 23/09/15 sono stati pubblicati gli ultimi Decreti relativi alla Legge Delega del cosiddetto Jobs Act.
Si ricorderà che la Legge Delega, tra l’altro, aveva imposto al Governo di emanare uno o più provvedimenti legislativi “allo scopo di conseguire obiettivi di semplificazione e razionalizzazione delle procedure di costituzione e gestione dei rapporti di lavoro nonché in materia di igiene e sicurezza sul lavoro”, per cui uno di questi decreti (il D.Lgs.151/15) reca norme specifiche in materia di sicurezza sul lavoro e modifica anche qualche articolo del D.Lgs.81/08, in particolare con il Capo III intitolato “Razionalizzazione e semplificazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro”.

Purtroppo, occorre premettere subito che i medici del lavoro e tutti i medici competenti hanno accolto l’emanazione e la successiva pubblicazione dei Decreti delegati con grande delusione ed amarezza. Si tratta, infatti, come già detto anche in altre occasioni e da parte di molti esperti del settore, dell’ennesima occasione mancata da parte del nostro sistema politico e istituzionale. A testimonianza della scarsa attenzione politica per quanto riguarda il tema specifico, d’altronde, sono ancora numerosi i decreti attuativi previsti dal D.Lgs.81/08 non ancora approvati, alcuni neanche in fase di elaborazione.

Nonostante il titolo, infatti, il D.Lgs.151/15 non modifica a fondo la normativa vigente né procede a concrete semplificazioni della stessa se non con alcuni interventi di ristrutturazione di alcuni comitati, introduzione di nuove sanzioni, correzione di alcuni (pochi) errori materiali del D.Lgs.81/08, chiarimenti di alcune esclusioni della sua applicazioni (lavoro domiciliare, badanti etc.), obbligo di trasmissione telematica di certificati INAIL, abolizione del registro infortuni ecc.
E’ da ribadire che, nonostante i numerosi e ripetuti interventi della Società Italiana di Medicina del Lavoro e Igiene Industriale presso i competenti organi istituzionali, funzionari ministeriali ed esponenti politici e del Governo (in primis il Ministero del Lavoro), non è stata apportata nessuna modifica nel senso di razionalizzazione, semplificazione o altro inerente l’attività professionale del medico competente.

Restano invariati gli errori materiali, le incongruenze del testo legislativo, gli adempimenti di difficile (talora quasi impossibile) accoglienza da parte del medico competente che erano stati puntualmente sottoposti all’attenzione di funzionari ministeriali ed esponenti politici del Governo con vari documenti e prese di posizione chiare e precise. Addirittura, con una decisione non del tutto comprensibile, nel testo pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale è scomparso anche quanto presente nello schema di Decreto inviato dal Governo al Parlamento per il parere delle competenti commissioni di Camera e Senato, cioè quella modifica dell’articolo 41 del D.Lgs.81/08 che giustamente aboliva la scorretta ripetizione, nello stesso articolo, della “visita medica preventiva in fase preassuntiva”, che ha dato adito a interpretazioni difformi che possono rendere complesso l’adempimento di tale obbligo di legge.

L’articolo 20 del citato D.Lgs.151/15 prevede una serie di modiche e/o integrazioni di diversi articoli del D.Lgs.81/08, in assenza di una complessiva rivisitazione dell’impianto legislativo (iniziativa auspicabile, ma che in effetti sarebbe andata al di là dei limiti della delega imposta) e di una reale razionalizzazione o semplificazione.

Una presunta semplificazione riguarda la modifica della composizione della Commissione Consultiva, organo pletorico ma che, tutto sommato, finora aveva lavorato con una discreta efficienza. In seguito a tali modifiche, la Commissione comprenderà ancora trenta componenti, per cui si tratta comunque di un organo che non può dirsi particolarmente snello; occorrerà verificare nel prossimo futuro come riuscirà a organizzar la sua attività. La modifica introdotta riduce il numero dei componenti indicati dalle Regioni e dalle parti sociali e aggiunge alcuni nuovi componenti, tra cui tre esperti – rispettivamente - in medicina del lavoro, igiene industriale e impiantistica industriale. Tali soggetti dovranno essere individuati e inseriti nella Commissione in seguito ad apposito decreto del Ministero del Lavoro (ancora da emanare). L’inserimento nella Commissione di esperti in Medicina del Lavoro era una delle richieste SIMLII che non compariva nell’iniziale documento del Governo ed è stata recepita nel testo pubblicato in Gazzetta Ufficiale, anche in seguito alla discussione in sede parlamentare. E’ auspicabile che quanto previsto nel nuovo dettato legislativo comporti la scelta di membri autorevoli e dotati di sufficiente esperienza, provenienti dalle società scientifiche e dalle associazioni del settore più rappresentative a livello nazionale, in grado di proporre soluzioni e indicazioni adeguate alla realtà sociale e professionale del nostro Paese.

Il Comitato per l’indirizzo e la valutazione delle politiche attive per il Coordinamento nazionale delle attività di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro, costituito ai sensi dell’articolo 5 del D.Lgs.81/08, viene parzialmente modificato nella sua composizione e la sua direzione viene affidata al Ministero della Salute; si confida che questa variazione abbia importanti sviluppi per la tutela, la prevenzione e la promozione della salute nei luoghi di lavoro avente come protagonista il medico competente, purtroppo ancora troppo penalizzato dalla rigida normativa e dalle condizioni di mercato.

L’articolo 28 del D.Lgs.81/08 viene integrato con la previsione che l’INAIL possa rendere disponibili al datore di lavoro “strumenti tecnici e specialistici per la riduzione dei livelli di rischio” e il successivo articolo 29 viene modificato con la previsione di ulteriori “strumenti semplificati di supporto per la valutazione dei rischi”, tra cui anche strumenti informatizzati, come ad esempio il sistema europeo OIRA (Online Interactive Risk Assessment).
Non è chiaro, peraltro, come questa indicazione potrà tradursi concretamente nella pratica, soprattutto nelle piccole e medie aziende (la maggioranza del sistema produttivo italiano), in cui la valutazione del rischio è quasi sempre affidata a tecnici esterni all’impresa e spesso considerata come adempimento puramente formale.
Allo stesso tempo spiace notare come non venga adeguatamente precisato e valorizzato il ruolo del medico competente in questa iniziale fase di valutazione, nonostante l’obbligo di collaborazione sancito dall’articolo 25 del D.Lgs.81/08, che ha dato adito a tante discussioni e contenziosi.

Anche l’impianto sanzionatorio del D.Lgs.81/08 è stato parzialmente modificato, senza però prevedere alcuna riduzione o abolizione delle sanzioni a carico del medico competente, modifiche più volte invocate dalla SIMLII e da tutte le associazioni del settore. Si rimanda al testo del D.Lgs.151/15 per i dettagli, ma può essere utile far presente la modifica che riguarda il raddoppio o la triplicazione della sanzione per il datore di lavoro qualora lo stesso (o il dirigente incaricato) ometta di “inviare i lavoratori alla visita medica entro le scadenze previste dal programma di sorveglianza e richiedere al medico competente l’osservanza degli obblighi previsti a suo carico”. In questi casi l’importo della sanzione prevista dall’articolo 55 viene raddoppiato se la violazione si riferisce a più di 5 lavoratori e triplicato se la violazione si riferisce a più di 10 lavoratori.
Inutile sottolineare l’importanza che tale previsione riveste per le ricadute pratiche a carico dei medici competenti, soprattutto nel caso di aziende o enti pubblici con numerosi dipendenti, ove non sempre si riesce, per motivi di forza maggiore, a essere puntuali nell’effettuare le visite entro la scadenza prevista.
Quella che è stata da più parti considerata come una effettiva semplificazione è il nuovo obbligo della trasmissione telematica del primo certificato medico di infortunio o malattia professionale (così l’articolo 21 del D.Lgs.151/15 modifica l’articolo 53 del D.P.R. 1124/65) con efficacia pressoché immediata, a 180 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (entro il 21 marzo 2016).

Nel frattempo l’INAIL dovrebbe mettere a punto un sistema informatizzato atto a consentire l’adempimento di tale nuovo obbligo, che riguarda ovviamente non solo i medici competenti, ma, in generale, tutti i medici italiani. Anche qui è lecito dubitare sul reale impatto di semplificazione di tale atto sanitario, atteso che l’obbligo di trasmissione telematica di tali certificati comporta la necessità di accreditare al sistema informatico INAIL (ancora da realizzare) tutti i medici iscritti all’albo professionale, che quindi dovranno essere dotati di strumenti informatici e di una connessione alla rete adeguata. Non è chiaro, inoltre, come la notizia dell’infortunio o della malattia professionale possa giungere in tempi congrui al datore di lavoro, che a sua volta dovrebbe compilare (sempre per via telematica) la relativa denuncia all’ente assicuratore.

In conclusione, rimane ancora rilevante l’obiettivo di una reale semplificazione e di una modifica integrale delle norme vigenti in tema di tutela della salute nei luoghi di lavoro nonché, per quanto ci riguarda, dei requisiti, delle prerogative e delle responsabilità dei medici competenti, che sarebbe il caso di cominciare a definire più correttamente e modernamente “medici della prevenzione occupazionale”, ampliando il ventaglio delle loro competenze e rendendo più utile ed efficace il loro operato, specialmente nel momento attuale in cui la Sanità Pubblica è soggetta a una profonda revisione allo scopo di eliminare sprechi e pratiche inappropriate.

A tale proposito, è necessario oggi più che mai continuare a incalzare tutte le forze politiche e governative, come già fatto in passato, con una azione comune che coinvolga tutte le parti interessate, convergendo su proposte e obiettivi condivisi e concretamente realizzabili in tempi congrui e senza rimandare a un imprecisato e mai definito “futuro”.

Ernesto Ramistella - Coordinatore nazionale AProMeL
Cristiano Mirisola - Segretario nazionale AProMeL



D.LGS. 149/2015: COSA CAMBIA IN MATERIA ISPETTIVA?

Da: PuntoSicuro
22 ottobre 2015
Di Tiziano Menduto

Quali sono le novità di uno dei Decreti attuativi del Jobs Act, il D.Lgs.149/15, per le ispezioni in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro? Il nuovo ispettorato nazionale del lavoro e i tempi necessari alla sua organizzazione.

Gli ultimi quattro Decreti Legislativi in attuazione del “Jobs Act”, la Legge 10 dicembre 2014, n. 183 (recante le “Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell’attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro”) sono entrati in vigore il giorno successivo a quello della loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, cioè il 24 settembre 2015.

Uno di questi decreti riguarda in particolare l’attività ispettiva.
Si tratta del Decreto Legislativo 14 settembre 2015, n. 149 “Disposizioni per la razionalizzazione e la semplificazione dell’attività ispettiva in materia di lavoro e legislazione sociale, in attuazione della Legge 10 dicembre 2014, n. 183”.

La prima cosa che dobbiamo domandarci è se dal 24 settembre sono cambiati i termini e risolte le criticità delle ispezioni in Italia. Cosa è realmente avvenuto e che cosa avverrà?

Innanzitutto, siamo chiari, al di là dei titoli dei Decreti, al di là del più volte utilizzato termine di Agenzia unica delle ispezioni del lavoro, che Massimo Peca indicava nei mesi passati come qualcosa che “si può fare, si deve fare”, non solo per le ispezioni in materia di salute e sicurezza non ci saranno sensibili cambiamenti, ma in realtà di “agenzia unica” (le ASL continueranno a mantenere le proprie competenze) non si può ancora parlare.
Come ricordava ai nostri microfoni il dottor Giuseppe Piegari, del Segretariato Generale del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con l’emanazione di questo Decreto abbiamo la nascita di un’agenzia che assume il nome di Ispettorato nazionale del lavoro.
E le finalità sono relative alla razionalizzazione e semplificazione dell’attività di vigilanza in materia di lavoro e legislazione sociale. Tuttavia per quanto riguarda la materia salute e sicurezza in realtà non avremo modifiche: al momento questo ispettorato nazionale del lavoro eserciterà le attività ispettive già esercitate dal Ministero del Lavoro, dall’INPS e dall’INAIL.
Nell’Ispettorato nazionale del lavoro confluiranno quelle che sono oggi le competenze del Ministero del Lavoro in materia di vigilanza nei luoghi di lavoro su salute e sicurezza oggi definite nell’articolo 13 del D.Lgs.81/08.

Ricordiamo a questo proposito le competenze in materia di salute e sicurezza del personale ispettivo del Ministero del Lavoro come indicate dall’articolo 13, comma 2, del D.Lgs.81/08:
“Ferme restando le competenze in materia di vigilanza attribuite dalla legislazione vigente al personale ispettivo del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, ivi compresa quella in materia di salute e sicurezza dei lavoratori di cui all’articolo 35 della legge 26 aprile 1974, n. 191, lo stesso personale esercita l’attività di vigilanza sull’applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro nelle seguenti attività, nel quadro del coordinamento territoriale di cui all’articolo 7: a) attività nel settore delle costruzioni edili o di genio civile e più in particolare lavori di costruzione, manutenzione, riparazione, demolizione, conservazione e risanamento di opere fisse, permanenti o temporanee, in muratura e in cemento armato, opere stradali, ferroviarie, idrauliche, scavi, montaggio e smontaggio di elementi prefabbricati; lavori in sotterraneo e gallerie, anche comportanti l’impiego di esplosivi; b) lavori mediante cassoni in aria compressa e lavori subacquei; c) ulteriori attività lavorative comportanti rischi particolarmente elevati, individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, e, adottato sentito il comitato di cui all’articolo 5 e previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, in relazione alle quali il personale ispettivo del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali svolge attività di vigilanza sull’applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, informandone preventivamente il servizio di prevenzione e sicurezza dell’Azienda Sanitaria Locale competente per territorio”.

Dunque nessun cambiamento, a oggi, per la vigilanza sull’applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro svolta invece dalle Aziende Sanitarie Locali. Sottolineerei, tuttavia, “ad oggi”, perché come dice Piegari stesso è evidente che la nascita di questo ispettorato nazionale del lavoro è un primo possibile passo verso una modifica più ampia che potrà vedere forse, nel futuro, collocate in un unico soggetto, nell’Ispettorato nazionale, tutte le funzioni di vigilanza anche in materia di salute e sicurezza.
Un primo passo che passa chiaramente attraverso le conseguenze della riforma costituzionale sulle competenze Stato/Regioni in materia di sicurezza sul lavoro, riforma che è stata appena approvata al Senato e che dovrà andare alla Camera per l’ultima lettura definitiva e per il probabile referendum consultivo previsto dal Governo (con tempi che non potranno essere brevi).

Ci soffermiamo ora sul testo definitivo del D.Lgs.149/15, ad esempio per quanto riguarda l’articolo 1 che fa riferimento al nuovo “Ispettorato nazionale del lavoro” che integra i servizi ispettivi del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dell’INPS e dell’INAIL.
L’Ispettorato viene istituto al fine di razionalizzare e semplificare l’attività di vigilanza in materia di lavoro e legislazione sociale, nonché al fine di evitare la sovrapposizione di interventi ispettivi.
E l’Ispettorato svolgerà le attività ispettive “già esercitate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dall’INPS e dall’INAIL”.

Dunque il 24 settembre 2015 è nato il nuovo “Ispettorato nazionale del lavoro”?
Beh, anche sui tempi serve un po’ di chiarezza...
Se infatti andiamo a leggere i vari articoli del D.Lgs.149/15 troviamo l’articolo 5 (Organizzazione e funzionamento dell’Ispettorato) che indica che “con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione e il Ministro della difesa, da adottarsi entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, sono disciplinate, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, l’organizzazione delle risorse umane e strumentali per il funzionamento dell’Ispettorato e la contabilità finanziaria ed economico patrimoniale relativa alla sua gestione”.
Inoltre l’articolo 2 indica a sua volta che “entro quarantacinque giorni dall’entrata in vigore del presente decreto è adottato, con decreto del Presidente della Repubblica ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, lo statuto dell’Ispettorato, in conformità ai principi e ai criteri direttivi stabiliti dall’articolo 8, comma 4, del decreto legislativo n. 300 del 1999, ivi compresa la definizione, tramite convenzione da stipularsi tra il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e il direttore dell’Ispettorato, degli obiettivi specificamente attribuiti a quest’ultimo”.
In poche parole saranno questi Decreti attuativi a dare il via effettivo al nuovo “Ispettorato nazionale del lavoro” e con quale tempi è difficile dirlo visto l’italica brutta abitudine di rispettare poco le scadenze che la normativa esprime invece in modo chiaro...

Per concludere questo articolo, che vuole mantenere alta l’attenzione sulle novità presenti e future in materia di attività ispettiva, riportiamo, sempre dall’articolo 2 del Decreto, le funzioni e attribuzioni assegnate all’Ispettorato:
“a) esercita e coordina su tutto il territorio nazionale, sulla base di direttive emanate dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, la vigilanza in materia di lavoro, contribuzione e assicurazione obbligatoria nonché legislazione sociale, ivi compresa la vigilanza in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, nei limiti delle competenze già attribuite al personale ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ai sensi del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, e gli accertamenti in materia di riconoscimento del diritto a prestazioni per infortuni su lavoro e malattie professionali, della esposizione al rischio nelle malattie professionali, delle caratteristiche dei vari cicli produttivi ai fini della applicazione della tariffa dei premi;
b) emana circolari interpretative in materia ispettiva e sanzionatoria, previo parere conforme del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nonchè direttive operative rivolte al personale ispettivo;
c) propone, sulla base di direttive del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, gli obiettivi quantitativi e qualitativi delle verifiche ed effettua il monitoraggio sulla loro realizzazione;
d) cura la formazione e l’aggiornamento del personale ispettivo, ivi compreso quello di INPS e INAIL;
e) svolge le attività di prevenzione e promozione della legalità presso enti, datori di lavoro e associazioni finalizzate al contrasto del lavoro sommerso e irregolare ai sensi dell’articolo 8 del decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124;
f) esercita e coordina le attività di vigilanza sui rapporti di lavoro nel settore dei trasporti su strada, i controlli previsti dalle norme di recepimento delle direttive di prodotto e cura la gestione delle vigilanze speciali effettuate sul territorio nazionale;
g) svolge attività di studio e analisi relative ai fenomeni del lavoro sommerso e irregolare e alla mappatura dei rischi, al fine di orientare l’attività di vigilanza;
h) gestisce le risorse assegnate ai sensi dell’articolo 8, anche al fine di garantire l’uniformità dell’attività di vigilanza, delle competenze professionali e delle dotazioni strumentali in uso al personale ispettivo;
i) svolge ogni ulteriore attività, connessa allo svolgimento delle funzioni ispettive, ad esso demandata dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali;
l) riferisce al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, all’INPS e all’INAIL ogni informazione utile alla programmazione e allo svolgimento delle attività istituzionali delle predette amministrazioni;
m) ferme restando le rispettive competenze, si coordina con i servizi ispettivi delle aziende sanitarie locali e delle agenzie regionali per la protezione ambientale al fine di assicurare l’uniformità di comportamento ed una maggiore efficacia degli accertamenti ispettivi, evitando la sovrapposizione degli interventi”.

Il Decreto Legislativo 14 settembre 2015, n. 149 “Disposizioni per la razionalizzazione e la semplificazione dell’attività ispettiva in materia di lavoro e legislazione sociale, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183” è scaricabile all’indirizzo:

La Legge 10 dicembre 2014, n. 183 “Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell’attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro” è scaricabile all’indirizzo:



SICUREZZA NEL LAVORO IN SOLITUDINE

Da: PuntoSicuro
23 ottobre 2015
Di Antonio Zuliani e Emenuela Bellotto

Il rischio psicosociale e le capacità decisionali dei lavoratori: le caratteristiche rilevanti per la salute e la sicurezza del lavoratore, ma anche per la sicurezza generale nell’azienda.

Ospitiamo un articolo tratto da “Psicologia dell’Emergenza”, rivista di psicologia applicata all’emergenza, alla sicurezza e all’ambiente, che porta l’attenzione ai rischi e problemi del lavoro in solitudine.

Il lavoro in solitudine si sta diffondendo sempre di più, ponendo problemi non solo relativi agli aspetti infortunistici, ma anche a quelli psicosociali e a quelli relativi alle capacità decisionali dei lavoratori. L’articolo si sofferma specificatamente su questi due ultimi aspetti spesso non adeguatamente considerati.

Riteniamo interessante portare l’attenzione sul lavoro in solitudine, sia perché molti segnali indicano un aumento di questa modalità lavorativa, sia perché (a parte alcuni specifici divieti) nella legislazione italiana non sembra esistere una posizione organica su questo argomento, sia infine perché il tema va considerato nella sua complessità, non solamente legato agli aspetti relativi ai possibili infortuni sul lavoro.

Il lavoro in solitudine si riscontra in molteplici comparti, dalle aziende produttive (impianti caratterizzati da elevata automazione, magazzini), all’agricoltura, fino al terziario (tecnici controllo impianti, addetti a servizi di vigilanza, ad attività di pulizie notturne).
Può svolgersi sia di giorno che di notte: e in questo secondo caso le problematiche sono potenziate da molteplici fattori.

Ci occupiamo di questo tema perché il lavoro in solitudine presenta tre caratteristiche rilevanti per la salute e la sicurezza del lavoratore, ma anche per la sicurezza generale nell’azienda:
-         in primo luogo espone alla possibilità di non essere soccorsi in caso di malore o in caso di infortunio;
-         in secondo luogo mette il lavoratore in condizione di affrontare da solo situazioni che richiedono una consapevolezza della situazione e una presa di decisione, a fronte di eventi più o meno anomali legati al processo lavorativo e alla sua sicurezza;
-         la terza criticità è collegata ad aspetti di natura psicologica e sociale che possono avere importanti ripercussioni sullo stato di benessere del lavoratore: ed è il tema dello stress legato alla specifica condizione del sentirsi da solo.

Quando si tratta di lavoro dipendente, queste tre problematiche devono essere prese in considerazione dal datore di lavoro, che sulla base dell’articolo 17 del D.Lgs.81/08 ha il dovere di valutare i rischi, individuare in quali attività sia permesso o meno il lavoro in solitudine (alcuni divieti compaiono anche nella legislazione italiana, ma altri riferimenti sono interessanti, come quelli reperibili nel codice SUVA) ed infine adottare le soluzioni più idonee a far fronte ad un lavoro così organizzato.

Per quanto riguarda l’aspetto legato all’allarme a fronte di malori, infortuni, incidenti, oggi le soluzioni tecnologiche (sistemi di trasmissione, GPS, applicazioni ai cellulari, segnalatori automatici di malessere, eccetera) sono in grado di offrire una risposta, soprattutto se combinate tra loro.

Il tema del rapporto tra la solitudine e i processi decisionali è invece scarsamente affrontato da chi si occupa di questi argomenti.
Vi sono molte situazioni nei quali il lavoratore è chiamato a prendere delle decisioni. Può trattarsi di eventi improvvisi, anche se non inattesi, di eventi che possono compromettere la sicurezza per lui stesso, per il processo produttivo e anche per le strutture aziendali.
Per la maggior parte di queste situazioni è verosimile (e obbligatorio) che l’azienda abbia condotto delle previsioni, sviluppato piani di intervento se non addirittura dei veri piani di emergenza. E che abbia impegnato il lavoratore in opportuni corsi di formazione, ripetuti nel tempo.
Pur tuttavia vi è sempre un margine decisionale da parte del lavoratore sia nel dare risposta agli eventi (accorgersi di un’anomalia, di un malfunzionamento), sia nel decidere quale soluzione adottare per risolverli.

Molte mansioni lavorative richiedono una piena efficienza del lavoratore, la cui consapevolezza è importante per la sicurezza. Pensiamo alla situazione di un affaticamento legato a condizioni personali di vita (insonnia, attività fisiche pregresse, malessere generalizzato, ecc.) che il singolo, in assenza di un confronto con i colleghi può non riconoscere.
Questo aspetto è simile alla condizione di altri lavoratori, che pur non essendo definibili come lavoratori in solitudine si possono trovare ugualmente soli nel prendere decisioni vitali: pensiamo agli infermieri soli di notte nei reparti ospedalieri, o agli operatori di notte nelle case di riposo: appunto non soli, ma con responsabilità di persone a loro affidate, le cui condizioni di salute possono aggravarsi in breve tempo. Anche il loro processo decisionale si svolge, almeno per un certo tempo, in solitudine e sotto la tensione di una forte responsabilità, condizione in cui è più facile sbagliare, pur tuttavia non è una piena solitudine, perché vi è un contatto possibile con esseri umani.

Il terzo aspetto riguarda le componenti psicologiche e sociali del lavoro in solitudine.
Il vivere una situazione di solitudine e di isolamento può comportare delle sofferenze importanti per la persona, basti pensare che la risonanza magnetica funzionale (FMR) mostra che la regione emotiva del cervello attivata quando una persona si sente emarginata è la stessa che registra le risposte emotive al dolore fisico: il cingolo anteriore dorsale. Ciò mostra che il dolore determinato dalla solitudine è una ferita in grado di sconvolgere profondamente la persona anche dal punto di vista fisico.

D’altra parte il nostro bisogno di vivere connessi ad altre persone deriva dal fatto che i primi esseri umani avevano più probabilità di sopravvivere rimanendo in gruppo e si può pensare che l’evoluzione abbia selezionato i geni che generano piacere quando si è assieme ad altri e sensazioni di disagio quando si è da soli, perché si tratta di una situazione di insicurezza e di pericolo.
Il lavoro in solitudine può arrivare a farci sentire insicuri come se fossimo minacciati anche fisicamente.

E’ il caso di ricordare che le reazioni delle persone non sono uguali tra loro né matematicamente prevedibili: si può arrivare a un vissuto critico per fattori oggettivi particolarmente pesanti (la complessità della situazione da affrontare, l’orario notturno che è certamente più sfavorevole, ossia i fattori di stress legati alla situazione), oppure per fattori soggettivi (la persona non se la sente, non ce la fa), oppure per un intreccio dei due fattori, che peraltro può anche variare nel tempo.
Ecco allora la possibilità, specialmente di notte, di vedere attorno mille pericoli, di diminuire la capacità di valutazione di quello che accade, fino ad un aumento dell’aggressività verso gli sconosciuti che si incontrano.

In queste situazioni può crescere la tendenza all’abuso di bevande alcoliche, del fumo, di farmaci, di droghe e anche di cibo, come strategia, peraltro inefficace, di controllo dello stress e della sofferenza. L’abuso di tutto ciò può a sua volta divenire un fattore di difficoltà nell’assunzione di decisioni in situazioni critiche, e quindi rappresentare un fattore di rischio per la persona e un pericolo per il processo produttivo. Formazione e piani di emergenza possono essere vanificati da questi comportamenti.
Anche il semplice abuso di cibo è contrario al benessere e alla salute del lavoratore.
E’ ben vero che si tratta di comportamenti spesso vietati nell’ambiente di lavoro, ma è altrettanto vero che esistono, e che non prendere in considerazioni il fatto che possano essere stimolati o accentuati da determinate condizioni di lavoro non appare produttivo per chi si voglia veramente occupare del benessere dei lavoratori.
Anche il medico competente, che si è espresso sulla idoneità del lavoratore alla attività in solitudine, deve tenere sotto controllo nel tempo questi comportamenti, e considerarli indicatori importanti di malessere.

Se il lavoro in solitudine non rappresenta di per sé un rischio, bensì una condizione di lavoro che può esporre il lavoratore alle tre situazioni di rischio accennate, è allora il caso di ridurlo al minimo, soprattutto di notte. Tra le misure da adottare, la valutazione dei rischi, la formazione ripetuta, la sorveglianza sanitaria, la valutazione dello stress lavoro correlato. Tra le scelte organizzative, è il caso di prevedere, ad esempio, che non siano sempre gli stessi soggetti ad essere adibiti al lavoro in solitudine, indipendentemente dalle loro opzioni. Riteniamo infatti sia compito dell’organizzazione favorire la rotazione e non caricare di turni di solitudine coloro che si offrono. Occorre, in altri termini, abbandonare la logica della disponibilità per abbracciare quella dell’idoneità.
Altra misura di attenuazione può consistere in un periodico e frequente contatto audio/video con il lavoratore che opera in queste condizioni.

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