INDICE
Mario Murgia murgia.mario50@virgilio.it
MONTEFIBRE: L’AMIANTO C’ERA FINO AL 2010
IL PANE E LE ROSE: FEMMINISMO E LOTTA DI
CLASSE
Silvia Cortesi sylvyacort@gmail.com
NASCE LO “SPORTELLO APERTO” DELLE LAVORATRICI DELLA
SANITA’
Silvia Cortesi sylvyacort@gmail.com
ECOBALLE: 118 MILIONI PER SMALTIRLE
Muglia la
Furia fmuglia@tin.it
13 MARZO 1987: PER IMPARARE
A NON DIMENTICARE
Adesioni Comitato “Vota SI per fermare le trivelle” adesioni@fermaletrivelle.it
17 APRILE: “FERMA LE TRIVELLE”
M.D. Alessandria movimentodilottaperlasalute@medicinademocraticaalessandria.it
NEWSLETTER MEDICINA DEMOCRATICA ALESSANDRIA
Grillo Giuseppe grillo@macchinistiuniti.it
UN DISASTRO FERROVIARIO RIMOSSO...
Maria Nanni mariananni1@gmail.com
REINTEGRARE GIACOMELLI: VOLANTINO DEFINITIVO
Marco Caldiroli marcocaldiroli@alice.it
PARTONO I REFERENDUM SOCIALI: SCUOLA PUBBLICA, BLOCCA
INCENERITORI, TRIVELLE ZERO E BENI COMUNI
Marco Caldiroli marcocaldiroli@alice.it
SCUOLA,
TRIVELLE ZERO, INCENERITORI, BENI COMUNI: SI PARTE!
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To:
Sent:
Saturday, March 12, 2016 6:30 PM
Subject: MONTEFIBRE:
L’AMIANTO C’ERA FINO AL 2010
Da La Nuova Sardegna
11/03/16
MONTEFIBRE: L’AMIANTO C’ERA FINO AL 2010
di Paolo Merlini
Un filmato mostra la demolizione di un
reparto Montefibre e numerosi sacchi contenenti la fibra killer.
Le bonifiche dell’amianto nell’area industriale che fu dell’Enichem e poi
di Montefibre? Completate prima del 2000, dicono in coro tutti gli attori istituzionali
chiamati in causa nel caso delle morti per tumori legati alla fibra killer tra i
lavoratori di Ottana (dagli anni ‘70 alla fine dei ‘90).
L’amianto invece c’era ancora sino a pochissimi anni fa, addirittura sino
al 2010 e al 2011, a
quasi vent’anni dalla normativa nazionale che lo mise definitivamente al bando.
Lo dimostra un video amatoriale girato all’interno dell’area industriale che
viene alla luce solo ora. Un filmato nel quale sono assemblati spezzoni di
riprese effettuate in un periodo che va dall’agosto al dicembre 2010.
Nel documento si vedono numerosi sacchi contenenti amianto (una quarantina,
di circa un metro cubo ciascuno) e la demolizione di un reparto dello
stabilimento, l’AT02 ex Landa (controllata Montefibre) dal quale
presumibilmente erano stati estratti i materiali contenenti la fibra. Le grandi
pareti dell’edificio vengono trascinate con una benna per mezzo di un lungo
cavo e si abbattono al suolo provocando una nuvola di polvere. Nel video si
nota anche come l’operaio che guida la benna non indossi alcuna maschera e
inganni l’attesa tra una manovra e l’altra fumando tranquillamente una sigaretta.
Sostanze pericolose.
Il filmato è stato consegnato alla Nuova Sardegna dai familiari di un
lavoratore di Ottana morto nel 2011 per adenocarcinoma polmonare.
Aveva 64 anni. In pensione dal 2006, l’uomo aveva affrontato negli anni ‘90
un tumore allo stomaco e lo aveva sconfitto. Già nel primo caso, l’istituto
oncologico Veronesi che lo aveva preso in cura aveva ricondotto la patologia all’esposizione
a sostanze pericolose; quando l’uomo si è ripresentato con un altro tumore non
c’è stato neppure bisogno di dirlo: l’adenocarcinoma polmonare è una delle principali
malattie asbesto correlate, cioè legate all’assunzione di amianto anche in
quantità infinitesimali.
Il documentario è stato consegnato inoltre all’AIEA (Associazione Italiana
Esposti Amianto) regionale che sta raccogliendo documenti e testimonianze sul
caso Ottana (per l’INAIL, gli ex lavoratori Enichem e Montefibre non sono da
considerarsi esposti all’amianto e solo a una piccolissima parte dei malati di
patologie asbesto correlate è stato riconosciuta la malattia professionale).
La reazione di Sabina Contu, presidente regionale dell’Associazione, è di
sdegno: “Meno male che l’amianto non c’era più dal 2000. Adesso apprendiamo da
questo filmato che anche nel 2010 erano in corso bonifiche. Mi viene da dire:
quanto amianto c’è in quei sacchi che si vedono nel filmato?”.
Quali autorizzazioni?
La responsabile dell’AIEA solleva una serie di interrogativi: “Soprattutto mi
chiedo: dove è stato conferito e quali sono le autorizzazioni della ASL numero
3 di Nuoro? Qual è la ditta specializzata in bonifiche da amianto che ha
eseguito il lavoro? Sono stati coinvolti lavoratori sardi delle imprese
appaltanti e dunque anche loro sono stati esposti? Voglio sottolineare come tutto
ciò accadesse nel 2010, a
quasi vent’anni dall’entrata in vigore della legge 257 del1992 sull’amianto”.
Domande legittime, che abbiamo girato al Servizio di prevenzione e
sicurezza degli ambienti di lavoro (SPRESAL) della ASL di Nuoro, al quale
spetta approvare le richieste di bonifiche.
Qui risultano due bonifiche attuate nel sito industriale rispettivamente
nel 2010 e nel 2011. Più precisamente, i piani di lavoro presentati dalla
società Demont prima di procedere al risanamento.
Dati misteriosi.
Come spiega il direttore dello SPRESAL, Antonio Nurchi, si fa riferimento all’amianto.
“La bonifica riguardava semplicemente due piccole aree di terreno dove, dalle
analisi dell’ARPAS, era emersa la presenza di poche fibre di amianto per alcuni
centimetri di profondità”. Per quale profondità? “Non lo ricordo. Tutta l’incartamento
ora è in mano ai carabinieri del NOE”, dice Nurchi, riferendosi al sequestro della
documentazione nell’ambito dell’inchiesta sul caso amianto avviata nel gennaio
scorso dalla procura della Repubblica di Nuoro.
Ma si sa quanto amianto fu raccolto? “L’aspetto che ci compete ha
riguardato solo la sicurezza dei lavoratori che eseguivano la bonifica”. Chi ne
è a conoscenza dunque? “Ritengo l’ARPAS”, dice il direttore dello SPRESAL (l’ARPAS
è l’agenzia per la protezione dell’ambiente).
E per quanto riguarda la demolizione del reparto di polimerizzazione acrilica
AT02? “A noi non è pervenuto alcun piano di lavoro”, conclude Nurchi.
Chi lo ha autorizzato allora?
Non si sa.
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To:
Date: 12
marzo 2016 16:32
Subject: IL PANE E LE ROSE: FEMMINISMO E LOTTA DI CLASSE
Nelle prossime settimane arriverà nelle librerie italiane e negli
infoshop di Movimento un importante saggio di Andrea Iris D’Atri, tradotto
dallo spagnolo e curato da Serena Ganzarolli.
Il titolo non lascia dubbi sul contenuto del libro: “Il pane e le rose. Femminismo e lotta di
classe”.
Come scrive Andrea Iris D’Atri in una nota all’edizione italiana, “Il
pane e le rose” intende muoversi in senso opposto rispetto a un certo femminismo, che si liquefa in insipidi programmi
assistenziali di organizzazioni non governative o che si accontenta di
disquisire di “corpi desideranti” e di piccole e limitate emancipazioni
soggettive in un mare di oppressioni.
Diciamo in
senso opposto perché quel femminismo che in passato aveva denunciato l’armonioso
matrimonio fra capitalismo e patriarcato ha poi smesso di puntare il dito
contro lo sfruttamento che subiscono milioni di esseri umani e su cui
continuano a fondarsi le società attuali, in cui le donne sono coloro che
pagano il prezzo più alto.
Quel
femminismo che aveva saputo raccogliere le rivendicazioni delle lavoratrici (rivendicazioni
che finivano sempre in secondo piano rispetto a quelle dei loro fratelli di
classe) oggi si preoccupa delle difficoltà e degli impedimenti che riguardano
le imprenditrici e le alte dirigenti nell’essere considerate alla pari degli
sfruttatori maschi.
Quel
femminismo che aveva saputo rintracciare l’irreggimentazione della sessualità
nel modello della famiglia patriarcale tradizionale, oggi si limita a
rivendicare il minimo e elementare diritto in cui tutte le forme di famiglia
esistenti ottengano il riconoscimento da parte dello Stato che legittima e
riproduce le discriminazioni.
Quel
femminismo che aveva reinventato il linguaggio per gridare ad alta voce ciò che
per secoli era stato messo a tacere, oggi si accontenta della minuscola
battaglia per un linguaggio inclusivo.
E nel
frattempo ovunque cresce l’antifemminismo sulla base del sentimento diffuso di
nuove generazioni di donne che credono che non ci sia bisogno di nessuna lotta
antipatriarcale perché tutti i diritti sono già stati conquistati. L’integrazione
al sistema è diventata l’unica meta, ma la verità è che si tratta di una
manciata di diritti che possono essere pienamente esercitati solo da alcune
donne, solo in alcuni paesi e solo per un periodo di tempo limitato.
I diritti
democratici conquistati negli ultimi decenni dalle donne a livello mondiale non
sono né eterni né irremovibili. La crisi economica mondiale, le crisi sociali e
politiche spazzano via questi diritti come tanti altri e se non li cancellano,
perlomeno li limitano.
Quando
sappiamo che un gruppo di persone in grado di riunirsi in un lussuoso e non
necessariamente molto ampio salone di Roma, New York o Tokyo possiede quel che
possiede la metà dell’umanità, qualsiasi tentativo di riformare il capitalismo
affinché noi donne continuiamo a ottenere diritti inclusivi risulta utopico per
non dire spudoratamente provocatorio.
* * * * *
A seguire, riportiamo un paragrafo del libro in cui l’autrice tratta
della giornata dell’8 marzo, una giornata in grado, fin dai primordi della sua
istituzione, di coniugare classe e genere in una prospettiva di cambiamento
radicale dell’esistente.
APPARTENENZA DI GENERE E ANTAGONISMO DI CLASSE NELLA GIORNATA
INTERNAZIONALE DELLA DONNA
Ancora oggi
l’8 marzo viene celebrata la
Giornata internazionale della donna, sommersa da réclame di
prodotti e eventi di tutti i tipi; l’origine di questa commemorazione continua
a essere ignorata.
Essa è da
ricercarsi in un’azione rivendicativa organizzata da alcune operaie del XIX
secolo: l’8 marzo 1857 le lavoratrici di una fabbrica tessile di New York si
dichiararono in sciopero contro le estenuanti giornate lavorative di dodici ore
e i salari da fame, motivo per cui furono costrette a fronteggiare gli attacchi
delle forze dell’ordine.
Mezzo secolo
più tardi, nel mese di marzo del 1909, centoquaranta giovani donne morirono
bruciate vive nella fabbrica tessile dove lavoravano in condizioni disumane.
Sempre quello stesso anno altre trentamila operaie tessili newyorkesi si
dichiararono in sciopero subendo una dura repressione da parte della polizia,
ma a dispetto di questo, le lavoratrici ebbero l’appoggio degli studenti, delle
suffragette, dei socialisti e di altri settori della società.
Pochi anni
più tardi all’inizio del 1912, nella città di Lawrence (Massachusetts) scoppiò
quello che è passato alla storia come il famoso “sciopero del pane e delle rose”
animato, tra le altre, anche da operaie tessili che sintetizzavano in queste
parole le loro rivendicazioni di aumento salariale e condizioni di vita
migliori. Per consentire la partecipazione delle lavoratrici allo sciopero, il
comitato di sciopero allestì asili e mense comuni per i figli delle operaie,
mentre il sindacato Industrial Workers of the World promosse incontri con i
bambini e le bambine per discutere dei motivi per cui i loro genitori stavano
scioperando. Dopo vari giorni di scontri i bambini vennero trasferiti presso
altre città, accolti da famiglie solidali con la lotta operaia. Dal primo treno
scesero in centoventi, tra bambini e bambine, ma nel momento in cui si tentò di
ripetere la stessa operazione con un secondo treno, la polizia si scatenò in
una violenta repressione contro i bambini e contro le donne che li
accompagnavano; a causa di questo comportamento ignobile, il clamore della
lotta raggiunse i quotidiani di tutto il paese e il parlamento, facendo
aumentare così la solidarietà nei confronti delle scioperanti.
Già due anni
prima di questa vicenda durante la
II conferenza internazionale delle donne socialiste a
Copenaghen, la tedesca Clara Zetkin aveva proposto di fissare nel mese di marzo
la Giornata
internazionale della donna in omaggio a tutte le lavoratrici che avevano
promosso e portato avanti le prime azioni di lotta contro lo sfruttamento
capitalista.
Nell’agosto
del 1910 cento militanti socialiste di diversi paesi europei dibattevano su
come allargare il diritto di voto per le donne, su come le lavoratrici madri
potessero godere della protezione sociale e su quali fossero i meccanismi da
adottare per stabilire delle relazioni tra le socialiste di tutto il mondo.
Nella Conferenza si approvò una mozione per la giornata lavorativa di otto ore,
le sedici settimane di congedo di maternità e altri provvedimenti. Le delegate
tedesche portarono avanti la mozione, che venne approvata all’unanimità e che
per la sua importanza passò alla storia. La risoluzione che presentarono Clara
Zetkin e Kate Duncker diceva che “Secondo le organizzazioni politiche e
sindacali proletarie, le socialiste di tutte le nazionalità organizzeranno nei
loro rispettivi paesi un giorno speciale dedicato alle donne il cui obiettivo
principale sarà promuovere il loro diritto al voto. Sarà necessario dibattere
questa proposta in relazione alla questione femminile partendo dalla
prospettiva socialista. Questa commemorazione dovrà avere carattere
internazionale e bisognerà prepararla con molto impegno”.
Negli anni
seguenti, la giornata della donna venne celebrata in differenti paesi, ma in
date diverse. Solo nel 1914 le socialiste tedesche, russe e svedesi fecero
coincidere la celebrazione nella data dell’8 marzo e fu questa la data che alla
fine rimase alla storia come la
Giornata internazionale della donna perché mentre la
ricorrenza veniva celebrata in Russia, (a febbraio, secondo il calendario
ortodosso) le operaie tessili di Pietrogrado scesero in strada reclamando “pane,
pace e libertà” segnando così l’inizio della più grande rivoluzione del XX
secolo che sarebbe sfociata nella presa del potere da parte della classe
operaia nell’ottobre dello stesso anno.
La Giornata internazionale della donna coniuga
quindi l’appartenenza di classe e quella di genere che, più di un secolo dopo,
continua a essere dibattuta tanto fra le marxiste quanto tra le femministe.
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From: Silvia
Cortesi sylvyacort@gmail.com
To:
Sent: Sunday,
March 13, 2016 1:46 PM
Subject: NASCE LO
“SPORTELLO APERTO” DELLE LAVORATRICI DELLA SANITA’
In continuità con lo sciopero delle
donne, le lavoratrici del policlinico di Palermo dello Slai Cobas lanciano lo “Sportello
Aperto” per le lavoratrici, di ruolo e precarie, della sanità, a partire dal Policlinico
e dall’Ospedale Cervello, da dove provengono continue denunce e richieste d’aiuto.
Di seguito il comunicato ufficiale.
* * * * *
SPORTELLO APERTO PER LE LAVORATRICI
DELLA SANITA’
Organizzato dalle lavoratrici dello
SLAI COBAS s.c. - Policlinico
sede via Del Duca, 4 Palermo
telefono 348 00 14 671
LAVORATRICI, RIBELLIAMOCI INSIEME!
Contro
il supersfruttamento nelle corsie, negli ambulatori, nei CUP, negli uffici;
contro l’attacco alla salute e sicurezza sul lavoro, gli infortuni, il mobbing,
i ricatti, le discriminazioni, le umiliazioni, il demansionamento, lo stress
lavoro-correlato; contro il blocco dei contratti, degli stipendi, delle
carriere, l’allungamento dell’età pensionabile, il precariato ecc.
Per rompere il silenzio e denunciare.
Per sentirci più forti insieme e
lottare.
La scellerata politica dei tagli
anche alla sanità pubblica, operata dal governo antipopolare di Renzi, si
abbatte pure sui dipendenti e soprattutto sulle lavoratrici del comparto
sanità. Infatti sono principalmente loro, a cominciare da quelle addette all’assistenza
(infermiere, OSS., OTA, ausiliarie, portantine, puliziere, ecc.), che vedono
accrescere giorno dopo giorno il proprio sfruttamento, gli infortuni, le
discriminazioni, le vessazioni, lo stress, con gravi conseguenza per il proprio
stato di salute.
Dai dati INAIL e ANMIL del 2015,
emerge che le malattie professionali sono in forte crescita e che solo nel 2013
vi sono stati 43.000 infortuni nella sanità, di cui il 73% riguarda la
componente femminile. La maggior parte degli infortuni sul lavoro, afferma l’ANMIL,
si verifica nelle strutture ospedaliere e nelle Case di cura, dove ogni anno 10
mila infermiere, che sono quelle più colpite, insieme alle OSS, contraggono
malattie muscolo scheletriche e osteoarticolari, dovute agli sforzi fisici,
oltreché la depressione ansiosa.
E’ L’ORA DI DIRE BASTA A TUTTO CIO’!
Lo scopo dello “Sportello Aperto” è
quello di raccogliere le denunce delle lavoratrici della sanità (policlinico, ospedali,
ASL, cliniche private), di ruolo e precarie, e di organizzarle nella lotta
contro il peggioramento delle condizioni di lavoro e di vita. Per i diritti, la
salute e la dignità professionale e umana!
Lo Sportello si avvale anche del
supporto legale e medico.
La sede è aperta ogni giovedì dalle
17.00 alle 18.30
Palermo, 12/03/16
Lavoratrici SLAI COBAS per il
sindacato di classe
Policlinico
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From: Silvia
Cortesi sylvyacort@gmail.com
To:
Sent:
Sunday, March 13, 2016 1:54 PM
Subject: ECOBALLE:
118 MILIONI PER SMALTIRLE
A seguire articolo
sul Fatto Quotidiano on line
Ciao
Silvia Cortesi
ECOBALLE,
FINE DELLA STORIA: 118 MILIONI PER SMALTIRLE
E
INTANTO SONO “MUMMIFICATE”
di Andrea
Tornago
12 marzo
2016
Terminata la
gara per lo smaltimento definitivo (si spera) delle mega-compresse di rifiuti
sequestrate in Campania nel 2007. La frazione umida, nel frattempo, è percolata
o evaporata. Tra le possibili destinazioni finali, gli inceneritori lombardi.
Tra le aziende vincitrici, la
Vibeco di Saronno, che ha un dirigente rinviato a giudizio
per traffico di rifiuti
E’ un
fantasma che ritorna. Le ecoballe
accatastate da anni nei siti di stoccaggio, emblema dell’emergenza rifiuti infinita di Napoli e della Campania, stanno riprendendo vita.
Sigillate
nel 2007 dalla procura di Napoli (“sono discariche abusivamente gestite”
scriveva il GIP Rosanna Saraceno) e dissequestrate nel novembre 2013 dopo l’assoluzione
in primo grado dell’ex governatore Antonio
Bassolino (che ha corso alle contestate primarie del centrosinistra
a Napoli) e dei vertici di Impregilo
dall’accusa di truffa e frode, le piramidi postmoderne di monnezza stanno per
essere smantellate e mandate all’incenerimento o in discarica.
La Regione Campania ha bandito una gara per lo
smaltimento di una prima partita di 789.000
tonnellate di rifiuti ormai “mummificati”,
eredità della gestione commissariale dei governi Berlusconi e Prodi bis.
Alla gara,
che si è chiusa il 18 febbraio, hanno partecipato nove raggruppamenti di
imprese, sei dei quali sono stati poi ammessi all’ultima fase della procedura
per smaltire parte delle ecoballe di Giugliano
a nord di Napoli (siti di Masseria del Pozzo e Masseria del Re), Villa Literno (Lo Spesso) e Marcianise in provincia di Caserta,
Avellino, Casalduni ed Eboli (Coda di Volpe).
L’appalto ha
un valore complessivo di 118 milioni di
euro, anche se per alcuni lotti non sono state presentate offerte. Per
ora è relativamente sicuro (manca solo la fase di verifica dei requisiti) che a
occuparsi delle 95.000 tonnellate di ecoballe di Avellino, Casalduni ed Eboli
(importo 14 milioni di euro) sarà il raggruppamento di imprese Sarim (Salerno) e Bps (Lecco), rimasto unico concorrente
dopo l’esclusione dell’Ati GeSiA, Dhi e Sorgeko di Caserta che proponeva di
spedire i rifiuti via nave in Macedonia, Paese extra UE non ammesso dall’appalto.
Un’altra
offerta già accettata è quella relativa alle 200.000 tonnellate di ecoballe di
Villa Literno. L’appalto, per un importo di 30 milioni, è affidato al
raggruppamento capitanato dalla Vibeco
di Saronno (in ATI con Sirio Ambiente & Consulting e con la società di
bonifica di ordigni bellici BM Service) il cui dirigente, Bernardino Filipponi, è stato rinviato a giudizio a Roma per
traffico di rifiuti in qualità di ex amministratore unico della Daneco Impianti
nella bonifica dell’ex fabbrica chimica Sisas di Pioltello Rodano, ed è
indagato anche dalla Procura di Benevento per falso e truffa nella gestione di una discarica franata a Sant’Arcangelo
Trimonte.
I lotti da
81.000 tonnellate di Masseria del Pozzo e Marcianise sono invece ancora contesi
dalle imprese Ecosistem Econet
di Lamezia Terme (Catanzaro), e DeFiAm Ecobuilding
(Avellino). Anche l’area più grande dello stoccaggio di Giugliano, in cui sono
accumulate 100.000 tonnellate (importo 15 milioni di euro) di ecoballe, è
tuttora in gara tra le aziende PA Service (Bolzano), DeFiAm Ecobuilding
(Avellino), Ecosistem Econet (Lamezia Terme), Sarim-BPS (Salerno-Lecco) e A2A Ambiente-Germani (Brescia).
Nella seduta
di gara che si è tenuta lo scorso 1 marzo sono emersi i primi dettagli sulle
destinazioni finali dei rifiuti campani. Secondo le informazioni raccolte
presso fonti del settore da ilfattoquotidiano.it, Sarim e Bps e i calabresi di
Ecosistem-Econet avrebbero indicato come destinazione finale il Portogallo, dove i rifiuti potrebbero
finire in alcuni impianti di trattamento meccanico-biologico e inviati in
discarica o ai cementifici. Il colosso A2A Ambiente invece, il ramo rifiuti
della multiutility di Milano e Brescia che gestisce anche l’inceneritore
campano di Acerra, sarebbe intenzionata a spedire le ecoballe in tre impianti
di trattamento lombardi non meglio specificati nelle province di Pavia e Milano, o in alternativa all’estero in Olanda (a Rotterdam). Se la bresciana A2A
Ambiente dovesse aggiudicarsi il lotto A di Giugliano, saranno quasi 400mila le
tonnellate di rifiuti che verranno gestite da imprese lombarde.
Dopo 9 anni (fanno
sapere i tecnici) le ecoballe sono ormai “mummificate” e del rifiuto è rimasta
solo la cosiddetta “frazione secca”, mentre la parte organica è percolata col
tempo. Dal punto di vista del potere calorifico sono un ottimo combustibile per
inceneritore, anche se (stando a quanto si legge nella sentenza del Tribunale
di Napoli del 4 novembre 2013) la loro composizione all’entrata degli impianti
di trattamento era di “pessima qualità”. Sulla natura del materiale trattato
per formare le ecoballe ci furono infatti “numerosissimi verbali di
contestazione per rifiuti non conformi”, circa 8.000 negli anni tra il 2000 e
il 2004, che rivelarono la presenza tra l’altro di “motoscafi interi, mezza autovettura, ordigni bellici, carcasse di animali”.
Nonostante
la ricostruzione dei PM di Napoli Giuseppe
Noviello e Paolo Sirleo
(che affidarono una perizia all’ingegner Paolo Rabitti da cui nacque il libro “Ecoballe”)
non vi fu secondo i giudici di primo grado “falsificazione dei risultati delle
analisi” sui rifiuti trattati per formare le ecoballe né (altra tesi dell’accusa)
una separazione dei rifiuti in due flussi distinti, “per consentire un falso
esame del solo CDR1 (combustibile dai rifiuti) migliore e poi miscelare il
tutto”. L’ex governatore Bassolino, i vertici di Impregilo e della struttura
commissariale sono stati assolti con formula piena, ma la Procura ha proposto
appello contro la sentenza nonostante la maggior parte dei reati siano ormai
prescritti. E mentre ad Acerra quei vecchi rifiuti fanno paura, tanto che nel
2014 i cittadini hanno bloccato i camion davanti all’inceneritore, le ecoballe
si preparano al loro ultimo giro per l’Europa.
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To:
Sent:
Sunday, March 13, 2016 4:25 PM
Questo post è rivolto ai giovani tecnici
della prevenzione. Che siano RSPP, coordinatori, formatori o consulenti, poco
importa.
E’ destinato in particolare a tutti
quelli che pensano che la sicurezza sul lavoro sia nata con la “626” e che ignorano la storia
della mancata prevenzione nel nostro Paese; che non sanno dei 4.500 infortuni
mortali del 1965 o che non hanno mai sentito parlare della strage della
Elisabetta Montanari di cui ricorre oggi il 29.mo anniversario.
E’ dedicato a voi che in rete, e in particolare nei gruppi tecnici, vi
confrontate discutendo se un DVR va fatto per cantiere o per impresa, cosa fare
se in azienda l’RLS non c’è ecc... Tutto un fiorire di banali questioni formali.
E ancora è dedicato ai poltroni che ti
chiedono le slide per tenere un corso che loro non hanno tempo di
prepararle oppure “precise” indicazioni su come poter aggirare una norma.
Bene, per una volta abbiate il coraggio
di provare a confrontarvi con quanto la storia della mancata prevenzione ha da
insegnare a tutti noi. Facciamolo oggi, a partire dalla strage di Ravenna, per “imparare
a non dimenticare”.
E’ una lezione che travalica il sapere e
la capacità operativa di ciascuno di noi.
E’ quel saper essere di cui si parla nei
corsi di formazione.
E se l’immagine di quelle 13 bare
allineate nella piazza di Ravenna, vi dovesse lasciare indifferenti, allora
sarà meglio cambiar mestiere.
Di ciarlatani, furfanti, imbonitori,
cialtroni, imbroglioni ne abbiamo fin troppi.
E al ricordo delle vittime della Elisabetta Montanari, voglio accomunare
quello di chi, meglio di tutti, ha raccontato la cronaca dei grandi infortuni
sul lavoro di quegli anni, il giornalista Santo Della Volpe, morto a soli 60
anni nel mese di luglio del 2015.
Franco
Mugliari alias Muglia La Furia
mail: fmuglia@tin.it
Sulla tragedia avvenuta nella nave “Elisabetta
Montanari” a Ravenna il 13/03/87, segnalo il libro “Il costo della vita. Storia
di una tragedia operaia” di Angelo Ferracuti (Einaudi, Torino 2013) e quello di
Rudi Ghedini, “Nel buio di una nave. Ravenna, 13 marzo 1987” (Bradipolibri, 2007).
* * * * *
Ed ecco il racconto di quella giornata
nel racconto di Luciano Pedrelli, “Storia di una morte annunciata” (La Repubblica 15 marzo
1987).
24 ANNI FA LA TRAGEDIA DELLA
ELISABETTA MONTANARI, NAVE GASIERA IN SECCA AI CANTIERI NAVALI MECNAVI DI
RAVENNA PER MANUTENZIONI: 13 MORTI!
La nave “Elisabetta Montanari”, era adibita al trasporto di GPL e, per
normali attività di manutenzione, si trovava nei cantieri Mecnavi srl del porto
di Ravenna. Alcune lamiere del doppiofondo, destinato a ospitare il
combustibile presentavano un avanzato stato di corrosione e dovevano essere
sostituite. I doppifondi dovevano essere bonificati, eliminando il materiale
infiammabile, prima di procedere al taglio delle lamiere usurate e alla loro
sostituzione.
Quattro grandi serbatoi, rivestiti da uno strato di materiale coibentante,
erano ospitati dalla stiva della “Elisabetta Montanari”. All’interno della
stiva numero 2, alle 7:30 del mattino, un giorno di marzo, iniziarono il
proprio turno di lavoro diciotto lavoratori. Dipendevano da sei aziende diverse
e nessun gruppo di lavoratori, era informato della presenza degli altri. Si
trattava di sei carpentieri-saldatori e dodici “picchettini”.
L’ambiente di lavoro era un intreccio di cunicoli nei quali “i picchettini”,
svolgevano operazioni di pulizia nella stiva. Dovevano rimuovere la ruggine e i
residui di combustibile colati dai serbatoi, usando palette, spazzole e
raschietti, stracci. Non è un lavoro qualificato, servono forza di volontà e
spirito di sacrificio: si tratta di eseguire mansioni semplici, ma
particolarmente disagevoli, in condizioni di scarsa visibilità.
Un lavoro sporco e rumoroso, quasi per contorsionisti, “i picchettini”
devono incunearsi in ambienti ristretti e stare stesi sulla schiena o sul
ventre, in spazi non più alti 80-90 centimetri. Un ragazzo che si salvò perché
aveva preferito licenziarsi qualche mese prima, raccontò che si lavorava “in un
buco senza uscita, sdraiati per dieci ore al giorno, con l’aria che mancava e
la testa che girava per le esalazioni dell’anidride carbonica”. Lavoravano “al
limite delle possibilità umane”, scrisse un magistrato. Si eseguivano
contemporaneamente diverse operazioni: mentre nel doppio fondo si facevano le
pulizie, nella stiva soprastante un carpentiere stava praticando un taglio a L
sotto il serbatoio per mezzo di una fiamma ossidrica.
La fiammata, improvvisa, alle 9:05. Il carpentiere si rese conto
immediatamente del principio d’incendio. Tentò di soffocarlo con i propri
guanti da carpentiere e con gli stracci di cui disponeva per pulirsi le mani. A
questo punto un altro carpentiere, scavalcò la sella che lo separava dal
collega per aiutarlo. Ma il calore della fiamma aveva, intanto, provocato lo
scioglimento del catrame che cadendogli sopra l’ha alimentata al punto che non
riescono a spegnere l’incendio. Poco dopo, una fiammata incendia il
rivestimento del serbatoio sviluppando una notevole quantità di fumo e gas
tossici, come ossido di carbonio e acido cianidrico, letale in pochissimo
tempo.
A causa del buio, non tutti gli operai riuscirono a ritrovare le strette
botole che li avrebbero riportati all’aperto. Morirono soffocati.
Il 13 marzo 1987, 13 lavoratori, che non erano votati al suicidio e non
uscivano da casa, salutando i propri cari, immaginando che non avrebbero fatto
più ritorno, sono morti. Ricordiamo i nomi: Filippo Argnani, 39 anni,
cassintegrato di un’industria metalmeccanica di Alfonsine, da un paio di
settimane lavorava, in nero, nel cantiere e non era l’unico; Marcello
Cacciatore, di 23 anni di Cervia; Alessandro Centioni di Bertinoro, sopra
Forlì, un ragazzo di ventuno anni; Gianni Cortini, che aveva 21 anni, di
Ravenna, al suo primo giorno di lavoro; Massimo Foschi, 36 anni di Cervia;
Marco Gaudenzi, il più giovane nemmeno diciottenne, veniva da Bertinoro sulla collina
forlivese, come Domenico Lapolla, 25 anni; Mohammed Mosad, egiziano di 36 anni,
che viveva a Marina di Ravenna; Vincenzo Padua, 59 anni, a pochi mesi dalla
pensione, residente nel ravennate figurava come dipendente Mecnavi; Onofrio
Piegari, 19 anni anch’egli di Bertinoro; Massimo Romeo, 24 anni, al primo
giorno di lavoro; Antonio Sansovini, 29 anni, fratello minore del titolare di
una delle ditte subappaltatrici; Paolo Seconi, 23 anni, al suo primo giorno di
lavoro, di Ravenna.
Monsignor Ersilio Tonini, l’allora arcivescovo di Ravenna, nell’omelia
funebre che si tenne in Duomo tre giorni dopo, usò frasi severe: “Fossero
andati i genitori a visitare quei cunicoli avrebbero detto: no, figlio mio!
Meglio povero, ma con noi! Avrebbero avvertito l’umiliazione spaventosa, la
disumana umiliazione. Un ragazzo di 17-18 anni che è costretto a passare dieci
ore in cunicoli dove (posso dire la parola? non vorrei scandalizzare) dove
possono vivere e camminare solo i topi! Uomini e topi! Parola dura, detta da un
vescovo all’altare: eppure deve essere detta, perché mai gli uomini debbano
essere ridotti a topi!”.
La relazione conclusiva del collegio di esperti (otto tecnici) nominati dal
Giudice Istruttore afferma: “...lo scenario in cui si operava rendeva l’evento
catastrofico non dipendente dalla casualità, ma piuttosto appartenente all’insieme
delle quasi certezze” e ancora: “...al di là dei tempi e delle modalità con cui
si è svolta la lunga agonia delle vittime un fatto rimane assolutamente certo e
inequivocabile: per nessuno degli operai rimasti intrappolati nella stiva dopo
lo sviluppo dell’incendio, vi era alcuna possibilità di fuga perché non erano
state previste vie alternative d’uscita”.
Nel libro “Nel buio di una nave”, edito dalla Bradipolibri, il giornalista
bolognese Rudi Ghedini, scrive a pagina 22: “prima che la tragedia si
consumasse, c’era ancora tempo per salvare, se non tutti, la maggioranza degli
operai: ma la preoccupazione dei responsabili del cantiere, disse un avvocato
di parte civile, non fu quella di collaborare con i Vigili del Fuoco, ma
correre a casa dei dipendenti per recuperare i loro libretti di lavoro e
tentare di metterli in regola”.
Enzo Arienti, uno dei proprietari dei cantieri navali, poco tempo prima
della tragedia, affermava, ostentando arroganza: “Nei miei cantieri il
sindacato non è entrato. Ho sempre fatto trattative personali. La tutela? Sono
convinto che chi vale, chi sa lavorare, sa tutelarsi da solo. Per la mia
attività ho bisogno di gente elastica, disponibile a fare lo straordinario
senza troppe storie. Paghiamo penali enormi per i ritardi delle consegne”.
Per capire la portata delle tracotanti dichiarazioni di Enzo Arienti, che
sarà condannato a una pena ridicola, per la morte di 13 uomini, è sufficiente
leggere un’altra argomentazione dei periti: “Una corretta organizzazione del
lavoro avrebbe richiesto progettazione, pianificazione e programmazione degli
interventi avendo cura di stabilire priorità e compatibilità degli stessi”.
Quel 13 di marzo del 1987,
a bordo della “Elisabetta Montanari”, nave cisterna, in
secca, per riparazioni, si consumò la più grave tragedia sul lavoro del
dopoguerra, in Italia. Le misure di sicurezza erano equivalenti a opinioni e
gli uomini erano considerati alla stregua di schiavi.
Dopo 24 anni, passata la 626, la legge che detta norme per la sicurezza nei
luoghi di lavoro, è la 81/08, già più volte rimaneggiata. I lavoratori
continuano a morire al ritmo di 3 il giorno (escludendo quelli di cui non si
trovano i cadaveri), ma poiché non hanno l’accortezza di morire insieme, a
gruppi, nello stesso luogo e nello stesso giorno, non fanno neanche
notizia.
Dopo 24 anni, con l’INAIL (l’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro
gli Infortuni sul Lavoro), che occulta i dati sugli infortuni sul lavoro, impedendo
il formarsi e il consolidarsi di quella cultura di cui lamenta la mancanza, un
ministro chiave del governo in carica afferma che la sicurezza sul lavoro è un
lusso che non possiamo permetterci. Dopo 24 anni, possiamo affermare che il
pensiero degli imprenditori non sia ancora quello così chiaramente manifestato
dall’imprenditore di Ravenna, colpevole della morte di 13 lavoratori?
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From: Adesioni
Comitato “Vota SI per fermare le trivelle” adesioni@fermaletrivelle.it
To:
Sent:
Sunday, March 13, 2016 5:41 PM
Subject: 17
APRILE: “FERMA LE TRIVELLE”
Ciao,
grazie per la vostra adesione. In poco tempo vedrete la vostra presenza nella lista degli aderenti sul sito www.fermaletrivelle.it.
grazie per la vostra adesione. In poco tempo vedrete la vostra presenza nella lista degli aderenti sul sito www.fermaletrivelle.it.
Intanto vi invitiamo a seguire la pagina Facebook
“Ferma le trivellle, Vota Sì” e l’account twitter @fermaletrivelle.
Su http://www.fermaletrivelle.it/immagini-da-scaricare/ invece, tutti i materiali prodotti fino ad adesso dal Comitato. In
particolare ci sono i banner da mettere su quanti più siti possibili per
diffondere il sito del comitato nazionale e le informazioni sul referendum.
Presto sul sito www.fermaletrivelle.it
sarà possibile scaricare tutto il materiale e ci sarà una sezione apposita per
le iniziative. Per quanto riguarda le notizie vi terremo informati.
A breve proveremo a completare la mailing list con
tutti i comitati territoriali e le associazioni, vi informiamo anche che le
prime iniziative in programma sono per il 18 marzo (giorno ufficiale di inizio
campagna elettorale) vi invitiamo già a riflettere su come riprodurre un’iniziativa
sul livello locale.
L’idea è quella di costruire dei flash-mob che si
caratterizzassero come un mare nero che invade una zona della città per
ricordare le conseguenze nefaste di un modello energetico basato sul petrolio.
Ovviamente ogni territorio può pensare a iniziative diverse, ma sarebbe
preferibile mantenere lo stesso claim comunicativo.
Inoltre è fondamentale contribuire alla
campagna referendaria attraverso un contributo per permetterci di stampare il
materiale e finanziare gli eventi della campagna.
Per sostenere la
campagna referendaria è a disposizione il seguente IBAN:
IT 57 M 050 1803 2000 00000103153
presso la Banca Popolare
Etica
Con causale:
Referendum Trivelle
A presto
Comitato Nazionale “Vota Sì per fermare le trivelle”
Via Po, 25/C
00198 Roma
telefoni: 06 85 59 286, 06 88 41 467, 347 21 84 795
---------------------
From: M.D. Alessandria
movimentodilottaperlasalute@medicinademocraticaalessandria.it
To:
Sent:
Monday, March 14, 2016 2:58 AM
Subject: NEWSLETTER
MEDICINA DEMOCRATICA ALESSANDRIA
Le sottoscrizioni a favore delle spese legali del
Movimento No TAV Terzo Valico si possono effettuare tramite bonifico bancario
su Cassa Centrale Banca Credito Cooperativo del Nord Est Banca Popolare Etica IBAN
IT96Q0359901899050188528148 intestato a “Welcome Associazione di Volontariato”.
Medicina democratica di Alessandria devolve interamente a No TAV il ricavato
del libro “Ambiente Delitto Perfetto”: effettuati bonifici di 862 euro a
Valsusa e di 305 euro a Terzo Valico. L’invio postale del libro può essere
chiesto a:
Egregio direttore de La Stampa, le pare onesto il
suo giornale? Che inganna i lettori sul fasullo progetto di bonifica Solvay e
censura Medicina democratica che lo definisce una clamorosa truffa
propagandistica?
Assemblea No TAV Terzo Valico a Novi Ligure. Grande
partecipazione della cittadinanza preoccupata.
Renzi e Hollande tornano a firmare la Torino-Lione, per l’ennesima
volta dopo 25 anni. Ma la strada è ancora lunga perchè i No TAV non mollano.
Sarà dura.
Confermate in Appello le condanne alla Cementir di
Arquata Scrivia. Strazianti, secondo i cittadini, gli odori e le polveri: “zaffate
di paura, lacrime per aver respirato troppo forte, auto e case imbiancate,
alberi grigi”.
Rifiuti lombardi e piemontesi sotterrati dall’ndrangheta
nelle cave del tortonese. Un laboratorio a Novi Ligure falsificava i documenti
per classificare come “puliti” i rifiuti pericolosi.
La Tazzetti ricatta
il trasferimento fuori da Casale Monferrato. Vuole 20 milioni di finanziamenti
europei. Sono state tante le denunce, che abbiamo ospitato, contro l’azienda
chimica: ancora pochi mesi per la fuoriuscita di acido cloridrico le persone
intossicate erano state portate in ospedale.
Rossa e Riccoboni all’assalto del territorio. Angelo
Riccoboni, già Premio Attila 2013 non può per regolamento essere quest’anno
rivotato. La Rossa
sta scalando il primo posto nelle preferenze. La presidente della Provincia
Rita Rossa ha autorizzato la discarica Riccoboni a Sezzadio addirittura con
decreto invece che con deliberazione del Consiglio provinciale e malgrado il
Consiglio di Stato non abbia ancora emesso sentenza. Il Comune intraprenderà
azioni legali e propone alla Regione la zona protetta con vincolo
paesaggistico. I Comitati pronti ai picchetti. Si paventa anche l’amianto del
Tav Terzo Valico. Sempre la
Provincia ha escluso i Comuni Conferenza dei servizi sulla
autorizzazione chiesta dalla Grassano Riccoboni di Predosa per ampliare lo
stabilimento con un nuovo lotto per il lavaggio di fanghi industriali,
percolato di discarica e terreni con pesticidi: altro pericolo per la zona
sovrastante i pozzi Amag di Predosa connessi con Acqui Terme. Oltre che nelle
frazioni di Predosa, Castelferro e Mantovana, dai rubinetti delle case acquesi
esce cromo esavalente per 7,5 microgrammi/litro.
Enrico Bertero, il cristianissimo sindaco di Acqui
Terme si segnala per il Premio Attila. Sarebbe meglio se si candidasse al
Darwin Awards, premio alla stupidità e alla idiozia umana.
17 aprile referendum: vittoria sicura dei SI’ solo se
si supera il quorum dei votanti del 50%. Indispensabile la partecipazione
per fermare le trivelle che si accaniscono in giacimenti di combustibili
fossili con tecniche sempre più impattanti per la salute e l’ambiente e sempre
più costose per l’economia nazionale, proprio quando il petrolio perde sempre
più valore (negli ultimi 18 mesi il prezzo del greggio è calato circa del 70%).
ISDE NEWS a cura dell’Associazione Medici per l’Ambiente.
Il numero di marzo dell’organo ufficiale dell’associazione.
Della disabilità in sé non si ride. Mentre le persone
con disabilità possono essere ilari loro stesse e persino essere prese in giro,
come tutti.
L’ISEE dopo le Sentenze del Consiglio di Stato.
Approfondimento elaborato dal Servizio HandyLex.org sul nuovo Indicatore della
Situazione Economica Equivalente richiesto per l’accesso a varie prestazioni
sociali agevolate.
In Alessandria, tovagliette e menu in braille al
ristorante. Sulle tovagliette sono stampati simboli che i disabili con
difficoltà di espressione possono indicare: ho bisogno di un piatto, di una
forchetta, devo andare in bagno, devo andare a casa, mi piace, non mi piace
ecc. I menu saranno realizzati in braille per i non vedenti. L’assessore Mauro
Cattaneo auspica una vasta diffusione di questi ausili negli esercizi
commerciali.
Giornata Nazionale Lotta alla Distrofia Muscolare.
Dedicata al diritto alla mobilità per le persone con disabilità, con una
raccolta fondi utile ad acquistare automezzi adattati.
Il governo deve garantire ai disabili di poter
beneficiare della rivoluzione digitale. Non c’è motivo di creare nuove barriere
nel mondo digitale quando molte persone con disabilità le affrontano già nella
realtà fisica.
http://medicinademocraticaalessandria.blogspot.it/2016/03/il-governo-deve-garantire-ai-disabili.html
Gli aspetti sanitari e sociali della lesione al
midollo spinale. Visti nei diversi contesti sociali, culturali ed economici.
OK alla firma digitale per non vedenti e ipovedenti.
Grazie al dispositivo che l’UICI (Unione Italiana dei Ciechi e degli
Ipovedenti) ha ottenuto da Poste Italiane e che permette di firmare in piena
autonomia documenti digitali.
Messaggio di pace e salute inviato a
14.963 destinatari da:
Barbara Tartaglione b.tartaglione@tiscali.it
MEDICINA DEMOCRATICA - MOVIMENTO DI
LOTTA PER LA SALUTE
onlus
via dei Carracci 2
20100 Milano
5 x mille 97349700159
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35€ o sostenitrice 50€
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entrambi intestati a Medicina
Democratica onlus
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via Dante 86
15121 Alessandria
telefoni: 347 01 82 679, 338 27 93 381
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Facebook: https://www.facebook.com/MedicinaDemocraticaAlessandria
pagina Youtube: https://www.youtube.com/channel/UCnZUw47SmylGsO-ufEi5KVg
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From: Grillo
Giuseppe grillo@macchinistiuniti.it
To:
Sent:
Monday, March 14, 2016 9:49 AM
Subject: UN
DISASTRO FERROVIARIO RIMOSSO...
Cari colleghi,
sabato sera,
io e il collega macchinista Sabino Chiapperini (più di 117 anni in 2...),
abbiamo partecipato alla proiezione del film “Volevo
solo Vivere” di Giuseppe
Esposito e alla presentazione del libro, vincitore Premio Basilicata, “Balvano 1944 – Indagine di un disastro rimosso” di Gianluca Barneschi, sul disastro ferroviario di Balvano del 1944.
Purtroppo, nonostante Sabino avesse informato tanti colleghi, la
partecipazione dei ferrovieri torinesi è stata quasi zero. Di ciò mi rammarico.
Naturalmente io, Sabino e tanti altri presenti, abbiamo avuto l’opportunità
di comprare il libro “Balvano 1944 - Indagine su un disastro rimosso”, scritto
da Gianluca Barneschi che non è ferroviere, né parente di ferrovieri se non
erro.
Il libro si può ordinare al link:
Penso che tutti i Ferrovieri Italiani (Dirigenti, quadri, ecc.) abbiano
il Dovere/Diritto di sapere e di ricordare agli altri Cittadini Italiani che
più di 70 anni fa sono morti più di 600 passeggeri sul treno 8017 (3 marzo 1944 a Balvano - Potenza).
Quella di Balvano, come si legge nel suddetto libro, è stata e continua
ad essere, una strage con molti responsabili e nessun colpevole, come molte
altre del dopoguerra italiano, con l’aggravante di essere totalmente ignorata
ai più.
Anche i Sindacati dei Ferrovieri, a mio modesto parere, potrebbero
svolgere un’opera di divulgazione sul disastro ferroviario di Balvano...
Buona Vita a tutti.
Giuseppe Grillo
---------------------
From:
Maria Nanni mariananni1@gmail.com
To:
Sent:
Tuesday, March 15, 2016 10:28 AM
Subject: REINTEGRARE
GIACOMELLI: VOLANTINO DEFINITIVO
A proposito
di organizzarsi, mobilitarsi e contrastare la repressione.
Buona
giornata.
Maria
SE
COLPISCONO UNO, COLPISCONO TUTTI
Alla
rassegnazione rispondiamo con la lotta!
Chi
lotta non deve essere mai abbandonato!
Da
alcuni mesi assistiamo ad un incremento di licenziamenti di lavoratori, lavoratrici
e delegati sindacali.
Licenziamenti
che colpiscono rappresentanti di sindacati di base e CGIL e che hanno un dato
in comune: l’incompatibilità con i soprusi sempre più diffusi dopo la “restituzione”
al padronato da parte di governi e sindacati concertativi di diritti
conquistati: pensioni, articolo 18, Jobs Act, Testo unico sulla rappresentanza,
CCNL ne sono esempi...
Delegati
e delegate RSU/RLS/RSA che sviluppano lotte e iniziative per opporsi ai
licenziamenti, alla riduzione dei salari, a turni massacranti, a condizioni di
vita e di lavoro sempre più pesanti; che rivendicano, con scioperi e
mobilitazioni, diritti e tutele per restituire dignità, potere d’acquisto e di
contrattazione, per far sì che lavoratori e lavoratrici siano protagonisti del
presente e del loro futuro, sono oggetto di repressioni e licenziamenti.
Per
analizzare la situazione e sostenere quanti vengono “sanzionati” per la loro
attività in difesa di diritti e conquiste, venerdì 4 marzo al circolo Alhambra
a Pisa oltre 70 lavoratori e compagni/e hanno partecipato all’assemblea
organizzata dai Cobas di Pisa e dall’area congressuale “Il sindacato è un’altra
cosa - Opposizione CGIL” della Toscana, alla presenza di Sandro Giacomelli e
Francesco Doro, delegati licenziati in queste settimane.
Sandro
è delegato Cobas di un’azienda in subappalto dell’indotto Piaggio di Pontedera
(Pi), Francesco è delegato FIOM CGIL di un’azienda metalmeccanica di Padova.
Questa
iniziativa unitaria e la feconda discussione testimoniano come, da posizioni
chiare e coerenti all’insegna della solidarietà e del conflitto per affermare
principi e tutele collettive, si possano costruire pratiche di unità, al di là
e al di sopra delle differenti appartenenze sindacali.
Durante
l’apericena che ha preceduto l’assemblea sono stati raccolti dei fondi che,
tolte spese e rimborsi, sono stati consegnati a Sandro Giacomelli come
contributo per la vertenza legale e per il suo sostegno.
L’assemblea
ha condiviso che, in questa fase di attacco padronale, sia necessario
organizzarsi e costruire pratiche concrete a sostegno di chi resiste e si
oppone, come avviene in ferrovia con la Cassa di solidarietà e resistenza.
L’assemblea
ha, quindi, proposto la costituzione del Comitato per la reintegrazione di
Sandro Giacomelli, aperto a chi intende sviluppare l’attività di sostegno al
delegato ed essere al suo fianco nella vertenza.
Nella
riunione di mercoledì 9 marzo, i numerosi presenti hanno dato vita al Comitato.
Comitato per la
reintegrazione di Sandro Giacomelli
Per
informazioni e contatti:
e-mail:
reintegrareSandroG@gmail.com
telefono:
050 83 12 172 (ore 10-12)
cellulare:
349 84 94 727
---------------------
From: Marco Caldiroli marcocaldiroli@alice.it
To:
Sent: Tuesday,
March 15, 2016 11:10 AM
Subject: PARTONO
I REFERENDUM SOCIALI: SCUOLA PUBBLICA, BLOCCA INCENERITORI, TRIVELLE ZERO E
BENI COMUNI
Inoltro per
opportuna conoscenza.
Saluti
Marco
Caldiroli
COMUNICATO STAMPA
PARTONO I REFERENDUM SOCIALI: SCUOLA PUBBLICA, BLOCCA INCENERITORI,
TRIVELLE ZERO E BENI COMUNI.
IERI PARTECIPATISSIMA ASSEMBLEA NAZIONALE A ROMA, GIOVEDI’ 17 IL
DEPOSITO DEI PRIMI QUESITI IN CASSAZIONE, PER UNA PRIMAVERA DI DIRITTI E
DI DEMOCRAZIA.
Partono i
Referendum sociali per la scuola pubblica, per bloccare il Piano nazionale
inceneritori, per l’opzione “Trivelle zero” in Italia e per la difesa dei beni
comuni.
Ieri a Roma
al Cinema Palazzo si è svolta una partecipatissima assemblea nazionale con
centinaia di persone provenienti da tutta Italia che ha dato avvio alla nuova
stagione referendaria.
Da giovedì
prossimo 17 marzo si avvierà il deposito dei primi quesiti alla Cassazione per
far partire la raccolta delle firme con un evento unitario e diffuso il 9 e 10
aprile che darà vita alla campagna nazionale di mobilitazione che si chiuderà
entro il 9 luglio prossimo.
L’obiettivo
è superare le 500.000 firme necessarie per tutti i sei quesiti referendari già
in campo, oltre quelli contro la privatizzazione dei beni comuni in via di
definizione, per andare al voto nella primavera del 2017.
L’approvazione
dei principali provvedimenti governativi, dalla Buona Scuola allo Sblocca
Italia, con cui si è attaccato il ruolo della scuola pubblica, privatizzati i
beni comuni e i servizi pubblici, aggredito l’ambiente, a partire dalle
trivellazioni e da un autoritario aumento di nuovi inceneritori e abbattuti i
diritti del lavoro, ha innescato un crescente percorso di lotta che sostiene un
opposto modello di sviluppo fatto di tanti comitati, movimenti, sindacati,
associazioni che hanno iniziato a incontrarsi in numerose assemblee sul
territorio, da Bologna a Pescara, da Ancona a Napoli e a Roma.
Si è pertanto formalizzata ieri l’alleanza sociale tra i movimenti per la
scuola pubblica, per l’acqua bene comune, contro la devastazione ambientale che
si oppone alle trivellazioni e contro il piano nazionale per vecchi e nuovi
inceneritori che insieme chiedono di puntare ad una società “democratica” che
investa sul valore della scuola pubblica, sulla sostenibilità ambientale e la
difesa della salute pubblica, sulla gestione pubblica dei servizi locali, sul
lavoro stabile e sul diritto al reddito che veda la piena attuazione del
dettato costituzionale, e non il suo smantellamento.
L’iniziativa
incrocia infatti il tema della democrazia e della sua espansione, che altro non
è se non il rovescio della medaglia dell’affermazione dei diritti fondamentali.
La nostra stagione dei referendum sociali, pur nella sua dimensione autonoma,
vuole contribuire anche alla campagna per il NO alla controriforma
istituzionale, con la convinzione che parlare di democrazia non significa
ragionare puramente di architettura istituzionale, ma del potere che hanno le
persone di decidere sulle scelte di fondo che riguardano gli assetti della
società.
Proprio
perché non pensiamo che la nostra iniziativa sia autosufficiente e esaustiva
delle battaglie in corso ci sentiamo fortemente impegnati per l’affermazione
del Sì al referendum contro la prosecuzione indefinita delle concessioni in
mare entro le 12 miglia
del prossimo 17 aprile, così come nella preparazione e nella buona riuscita
della manifestazione nazionale contro il TTIP prevista per il 7 maggio.
Per quanto
riguarda il Jobs Act, provvedimento che ha la stessa matrice di quelli oggetto
del nostro intervento, non rinunciamo né all’idea che, progressivamente, si
possa costruire un intreccio sempre più stretto tra le questioni che oggi sono
al centro dell’iniziativa e il tema del lavoro, né alla nostra autonomia di
giudizio e di iniziativa anche su questo tema, una volta conosciuti gli
eventuali quesiti referendari promossi dalla CGIL.
Si apre
quindi una stagione di grande impegno sociale, che mobiliterà sui grandi temi
della Costituzione materiale tante persone nei territori affermando un’altra
idea di modello sociale e di democrazia.
L’intervento
introduttivo completo all’Assemblea di Roma può essere letto al link:
Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua
Movimento per la scuola pubblica
Campagna “Stop devastazioni”, per i diritti sociali ed ambientali
Comitato Sì Blocca Inceneritori
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From: Marco Caldiroli marcocaldiroli@alice.it
To:
Sent: Tuesday,
March 15, 2016 12:31 PM
Subject: SCUOLA, TRIVELLE ZERO, INCENERITORI, BENI COMUNI: SI PARTE!
Invio anche
il testo dell’intervento di apertura della assemblea del 13/03/16 sui
referendum.
Saluti
Marco
Caldiroli
ROMA
ALL’ASSEMBLEA NAZIONALE. SCUOLA, TRIVELLE ZERO, INCENERITORI, BENI COMUNI:
SI PARTE!
Ieri a Roma al Cinema Palazzo c’è stata la partecipatissima Assemblea Nazionale per
i referendum sociali. Centinaia di partecipanti da tutta Italia e decine di
interventi. parte la stagione dei referendum sociali!
A seguire l’intervento introduttivo all’assemblea del 13
marzo.
PER UNA STAGIONE DI REFERENDUM SOCIALI
In due anni
di governo Renzi, abbiamo visto applicare nei fatti la famosa lettera del
luglio 2011 alla BCE, ispirata da una ferrea logica neoliberista. Su questa
base, si è attaccato il ruolo della scuola pubblica, privatizzati i beni comuni
e i servizi pubblici, aggredito l’ambiente, a partire dalle trivellazioni e dal
moltiplicarsi degli inceneritori, abbattuti i diritti del lavoro. Con la
controriforma costituzionale, poi, si progetta di rendere permanente quest’impostazione,
passando attraverso la riduzione degli spazi di democrazia e il primato del
potere esecutivo e del “uomo solo al comando”.
Queste
scelte sono passate anche perchè si è fatto pesare il ricatto della crisi e si
è costruita una narrazione populista sul nuovismo; e tutto ciò in un quadro di
debolezza della politica e di frammentazione, anche volutamente costruita,
delle mobilitazioni e dei soggetti che hanno provato a contrastarle.
Vogliamo
provare a invertire questa tendenza, in primo luogo rilanciando il conflitto e
la mobilitazione diffusa contro quelle scelte. E anche avanzando
controproposte. Soprattutto iniziando a dare gambe ad un processo di
connessione e costruzione di legami tra i soggetti che hanno animato l’opposizione
a quelle politiche. Da qui, pur con la consapevolezza della nostra parzialità,
nasce la nostra idea di fondo di
lanciare un’alleanza sociale dei movimenti per la scuola pubblica, di quello
per l’acqua, della campagna contro la devastazione ambientale che si oppone
alle trivellazioni e dal movimento che si batte contro il piano nazionale
inceneritori. Vogliamo contrastare lo stravolgimento del ruolo della
scuola pubblica, la privatizzazione dell’acqua e dei beni comuni, il ricorso
alle trivellazioni e la costruzione di nuovi inceneritori facendo emergere una
discussione di merito su ciascuno di questi temi e anche parlando del modello
sociale e dell’idea di democrazia, che costituiscono la base di fondo da cui
dipartono quelle intenzioni o, al contrario, la messa in campo di impostazioni
alternative.
In questo
quadro, collochiamo anche l’opzione di
ricorrere allo strumento referendario e alla raccolta di firme per contrastare
la legge 107 sulla scuola, i processi di privatizzazione dell’acqua e dei beni
comuni, la legislazione che consente le trivellazioni in mare e in terraferma,
quanto prevede lo Sblocca Italia rispetto ad un piano strategico per nuovi
inceneritori (questa parte andrà rimodulata sia rimandando alle singole
comunicazione sui temi specifici, sia in relazione a quanto emergerà dalla
riunione del Movimento rifiuti e del Forum acqua di sabato). E’ questa
un’iniziativa e un percorso che muove dall’autonomia dei movimenti e dei
soggetti sociali e, dunque, prevede, come fatto a suo tempo nel 2010-2011 con
il referendum sull’acqua, che si costituiscano comitati promotori referendari
composti da movimenti e soggetti sociali e comitati di sostegno in cui trovano
posto anche i soggetti politici che concordano con tale iniziativa. Così come,
per sottolineare il carattere unitario di questa campagna, si formerà un
coordinamento dei comitati promotori (al di là del loro numero), che sarà il
luogo politico di discussione e gestione di tutta la campagna dei referendum e
della raccolta firme.
Avremmo
voluto che in questa campagna unitaria di referendum sociali fosse a pieno
titolo inserita anche la questione del lavoro e dei diritti dei lavoratori. La CGIL ha scelto di costruire
un proprio percorso, sganciato dagli altri soggetti che intendono promuovere
iniziative referendarie, e ha in corso una consultazione degli iscritti che
terminerà il 19 marzo e nella quale si valuta anche la possibilità di costruire
quesiti referendari contro il Jobs Act e l’attuale legislazione del lavoro. Per
quanto ci riguarda, non rinunciamo né all’idea che, progressivamente, si possa
costruire un intreccio sempre più stretto tra le questioni che oggi sono al
centro dell’iniziativa e il tema del lavoro, né alla nostra autonomia di
giudizio e di iniziativa anche su questo tema, una volta conosciuti gli
eventuali quesiti referendari promossi dalla CGIL.
Con la
nostra iniziativa, incrociamo anche il tema della democrazia e della sua
espansione, che altro non è se non il rovescio della medaglia dell’affermazione
dei diritti fondamentali. La nostra stagione dei referendum (e della raccolta
firme) sociali, pur nella sua dimensione autonoma, vuole contribuire anche alla
campagna per il NO alla controriforma istituzionale nel referendum confermativo
che si dovrebbe tenere in autunno, con la convinzione che parlare di democrazia
non significa ragionare puramente di architettura istituzionale ma del potere
che hanno le persone di decidere sulle scelte di fondo che riguardano gli
assetti della società. Mentre, in presenza di opinioni diverse tra noi in tema
di ricorso referendario contro l’attuale legge elettorale, riteniamo utile che
siano i singoli territori a scegliere se impegnarsi o meno fattivamente su ciò.
Proprio
perchè non pensiamo che la nostra iniziativa sia autosufficiente e esaustiva
delle battaglie in corso, ma anzi serva a dare spinta a processi di connessione
con movimenti e soggetti sociali più ampi di quelli oggi presenti, pensiamo e
ci sentiamo fortemente impegnati per l’affermazione del Sì al referendum contro
la prosecuzione indefinita delle trivellazioni in mare entro le 12 miglia del prossimo 17
aprile, così come nella preparazione e nella buona riuscita della
manifestazione nazionale contro il TTIP prevista per il 7 maggio.
Si apre una
stagione di grande impegno, che necessita della mobilitazione e dell’intelligenza
diffusa di tante persone nei territori. Intendiamo
iniziare la raccolta delle firme contro la legge sulla scuola, contro le
privatizzazioni dei beni comuni e dei servizi pubblici, contro tutte le
trivellazioni in mare e in terra e contro gli inceneritori il prossimo 9 e 10
aprile, dopo aver depositato i quesiti referendari giovedì 17 marzo, e a
seguito dello svolgimento di assemblee in tutti i territori e le Regioni che
costituiscano i comitati unitari territoriali per i referendum (e la raccolta
firme). Il 9 e il 10 aprile può e deve diventare il primo fine settimana
di questa forte stagione di iniziativa, con l’idea che in 200 piazze italiane
si raccolgano le firme, si costruiscano momenti di discussione e mobilitazione,
si riprenda un rapporto largo con tante persone e soggetti interessati ad
uscire dalla crisi affermando un’altra idea di modello sociale e di democrazia.
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