sabato 26 marzo 2016

23 marzo - Di M. Spezia: SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! “LETTERE DAL FRONTE” DEL 23/03/16



INDICE

Gino Carpentiero ginocarpentiero@teletu.it
FIRME PER AFFONDARE LE TRIVELLE...E I TRIVELLATORI IL 17 APRILE

Ancora IN MARCIA! ancorainmarcia@gmail.com
PENSIONI FERROVIERI: DALLA LOCOMOTIVA ALLA CASSA DA MORTO!

PREMIO ATTILA 2015: VINCE IL TRIBUNALE DI ALESSANDRIA

Gino Carpentiero ginocarpentiero@teletu.it
INVITIAMO LA COMUNITA’ SCIENTIFICA A RIFLETTERE SUI POSSIBILI EFFETTI DELL’INTRODRODUZIONE DEL TTIP

Posta Resistenze posta@resistenze.org
DELEGATI FIOM FCA: GLI INCOMPATIBILI NON SIAMO NOI
RIGASSIFICATORE FERMO? PAGA LO STATO!

Clash City Workers cityworkers@gmail.com
ENRICO FORMISANO, UCCISO DAL LAVORO (NERO)

Muglia la Furia fmuglia@tin.it
I NUOVI MOSTRI: ORGANISMI “PARITETICI” O “PER I PATETICI”?

Alessandra Cecchi alexik65@gmail.com
WARNING: IL TTIP PUO’ DANNEGGIARE GRAVEMENTE LA SALUTE PUBBLICA

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From: Gino Carpentiero ginocarpentiero@teletu.it
To:
Sent: Wednesday, March 16, 2016 12:44 PM
Subject: FIRME PER AFFONDARE LE TRIVELLE...E I TRIVELLATORI IL 17 APRILE

Per chi volesse firmare
Saluti
Gino Carpentiero
Da: Firmiamo.it firme@firmiamo.it
Ciao Gino,
il promotore della petizione “No alle trivelle! Votiamo per un mare pulito e sicuro!” ti ringrazia per aver aderito.
Tu hai già fatto molto per questa causa, ma ora di puoi fare ancora più: condividila su Facebook con un semplice click qui:
e inoltra questa mail a tutte le persone che conosci che potrebbero essere interessate ad aderire
http://firmiamo.it/no-alle-trivelle--votiamo-per-un-mare-pulito-e-sicuro.
Inoltre potrai garantire una maggiore visibilità alla petizione acquistando uno speciale banner promozionale, che sarà visualizzato in homepage, nella pagina di categoria e nella pagina di petizioni simili.
Acquistarne uno è semplicissimo, basta cliccare qui.
Se vuoi davvero dare una mano a questa causa e provare a fare la differenza, ora sai come fare ;-)
Grazie,
Anna
Staff di Firmiamo.it

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From: Ancora IN MARCIA! ancorainmarcia@gmail.com
To:
Sent: Wednesday, March 16, 2016 6:46 PM
Subject: PENSIONI FERROVIERI: DALLA LOCOMOTIVA ALLA CASSA DA MORTO!

IL PARADOSSO MORTALE DELLA RIFORMA PENSIONISTICA PER I FERROVIERI.
LAVORARE FINO A 67 ANNI CON LA VITA MEDIA A 65
LA DENUNCIA DEL SENATOR NICOLA MORRA
Roma, 14 marzo 2016
Con una battuta, fulminante ed efficace, “...i macchinisti noi li passiamo direttamente dalla locomotiva alla cassa da morto”, il parlamentare sintetizza l’ingiustizia che noi stiamo denunciando da anni, dimostrando di aver ben compreso la portata della questione.
In una trasmissione di La7, Morra racconta uno degli aspetti (quello riguardante i ferrovieri) della grave ingiustizia subita da tutti i lavoratori italiani a seguito della riforma previdenziale del governo Monti-Fornero. Una scelta politica violenta e reazionaria che sconvolge la vita di milioni di famiglie. L’aumento, in una notte, dell’età pensionabile di ben nove anni!
L’esempio utilizzato, nella sua crudezza, rende perfettamente l’idea di quanto sta già accadendo ai ferrovieri e in particolare ai macchinisti, i quali per la nocività multifattoriale del lavoro, hanno una vita media sensibilmente più bassa della media nazionale.
Siamo consapevoli che non bastano le innumerevoli iniziative e denunce pubbliche già fatte e quelle che continueremo a fare ma occorre creare le condizioni politiche e sociali per “rompere” lo schema di finanza autoritaria che ha ispirato la controriforma pensionistica adottata dal governo Monti-Fornero.
Per farlo probabilmente occorrerà “punire”, sul piano del consenso, le forze politiche e i singoli parlamentari che l’hanno adottata e che successivamente anche di fronte all’evidenza di errori e palesi ingiustizie (per incapacità e cinismo) non hanno avuto la correttezza istituzionale e la capacità di correggerne gli errori ed attenuare gli effetti più macroscopici del provvedimento.

ancora
IN MARCIA!
GIORNALE DI CULTURA, TECNICA E INFORMAZIONE POLITICO SINDACALE, DAL 1908

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To:
Sent: Thursday, March 17, 2016 12:06 AM
Subject: PREMIO ATTILA 2015: VINCE IL TRIBUNALE DI ALESSANDRIA

PREMIO ATTILA 2015. VINCE IL TRIBUNALE DI ALESSANDRIA.
AVEVA RAGIONE UMBERTO ECO. SMENTITO IL PAPA.
Medicina Democratica
Premio Attila Alessandria 2015
Ad imperitura memoria dei nostri figli peggiori
Si interrompe la saga della corte dei Gavio trionfante con i Premi Attila Marcellino Gavio, Fabrizio Palenzona e Bruno Binasco. Non ha potuto per regolamento concorrere di nuovo il Premio Attila Angelo Riccoboni pur beneficiando una selva di voti (nulli). Il Premio Attila Carlo Cogliati è uscito di classifica probabilmente per effetto della sua assoluzione al processo Solvay. Una delle due: o il nostro Premio era sbagliato oppure la Sentenza della Corte di Assise è sbagliata. La seconda delle due: ha sentenziato l’opinione pubblica. La quale nel voto ha tenuto conto anche dei processi Michelin, Amag, Fabbricazioni Nucleari, Lazzaro, Italsider Ilva, Sindaco, oltre che Solvay. Dunque, per la prima volta non vince un singolo bensì un soggetto collettivo.
VINCE IL TRIBUNALE DI ALESSANDRIA.
Che riceverà solennemente l’ambito trofeo alla prossima inaugurazione dell’anno giudiziario.
In “Ambiente Delitto Perfetto”, quale emblematico epicentro giudiziario del libro avevamo scelto Alessandria perchè non si è fatta mancare nulla di inquinante: amianto, nucleare, gomma, chimica, TAV, smog, schiavismo e ne attendevamo appunto nel 2015 le sentenze. Insomma ci eravamo posti l’angoscioso storico quesito: il Tribunale di Alessandria si rivelerà meno grigio della città e della popolazione di Alessandria? Ovvero: chi aveva ragione fra Umberto Eco e il papa Alessandro III? L’autoritario pontefice nove secoli fa aveva incensato la città col suo nome: “Deprimit elatos levat Alexandria stratos”, Alessandria umilia i superbi ed esalta gli umili. Il concittadino semiologo invece aveva un secolo fa irriso il motto papalino, donato sullo stemma del municipio, tramite una bolla altrettanto papale diventata abusato luogo comune: “Nulla di nuovo tra il Tanaro e il Bormida”. Niente di clamoroso ed eccellente, che meno di modesto, di più che incolore puoi aspettarti da Alessandria. Il grigio. 80 mila sfumature di grigio (80 mila abitanti). D’altronde Eco non si è neppure fatto seppellire ad Alessandria, di cui apprezzava solo la tradizionale “bellecalda”, una farinata di ceci.
In “Ambiente Delitto Perfetto” Alessandria è città bistrattata, poco amata dagli autori, non lo nascondiamo. Anche Napoleone preferì conquistare l’Italia poco distante, attorno al villaggio di Marengo con la battaglia del 1800. Cosa resta di Bonaparte? Un’anteriore arco poco trionfale e molto scalcinato, ricette di “pollo alla Marengo” e di “polenta alla Marengo” (un dolce), alcune note nella Tosca di Giacomo Puccini, un platano di 40 metri detto “platano di Napoleone”. Il sobborgo Mandrogne è sempre stato più conosciuto del capoluogo, tant’è che nel mondo (del commercio) gli alessandrini sono sempre stati chiamati “mandrogni”, sinonimo anche di furbi. Perfino assenti le case di terra cruda, le trunere, caratteristica della Fraschetta. Neppure il marchio Borsalino è riuscito a conservarsi, la ciminiera simbolo della città è stata atterrata come già il duomo e le piazze dai doppi nomi, e poi il ponte, anzi i ponti, e poi il teatro, anzi i teatri. La furia demolitrice soccorre ad eliminare tutto ciò che involontariamente emerge dalla nebbia. Eppure Alessandria ebbe un momento di gloria, uno in tutta la sua storia. Proprio alla sua nascita. Nel 1176 Federico Barbarossa fu bloccato e sconfitto nell’assedio dell’acquitrino di Alessandria, borgo galleggiante di paglia, da una banda di straccioni armati delle proprie armi di lavoro, ovvero dalla furbizia del pastore mandrogno Gagliaudo che riempì la pancia della mucca con l’ultimo sacco di grano superstite per farsi catturare e far credere all’imperatore assediante che in città le provviste erano talmente abbondanti da soddisfare perfino gli animali. E’ grazie alla battaglia di Alessandria, e non alla successiva di Legnano, che Federico II fu sconfitto. Tutta una leggenda? Probabilissimo, come quella del patrono, san Baudolino, che in città neppure mise piede e preferì predicare alle oche longobarde nelle campagne, in compagnia probabilmente di Gelindo, maschera teatrale di pastore che i frati tutti gli anni mettono in scena per sfiorare la satira.
Gagliaudo, Baudolino e Gelindo sono più conosciuti e apprezzati -è tutto dire- di alessandrini realmente esistiti. Come Sibilla Aleramo, grande scrittrice e poetessa italiana, femminista ante litteram. O come Virginia Marini, corteggiata dal vate Gabriele D’Annunzio e insegnante all’Accademia di Santa Cecilia, che calcò le scene dei più importanti teatri ottenendo successi e fama pari a Eleonora Duse e Sarah Bernhardt, ma che ha visto demolito il teatro locale a lei intitolato. O, nemo propheta in patria! come gli autori di “Ambiente Delitto Perfetto”, seconda edizione, 518 pagine, sottoscrizioni interamente devolute a No TAV e Ricerca mesotelioma.
Ad ogni modo, le sentenze del Tribunale di Alessandria hanno dato ragione a Umberto Eco.
SENTENZA SOLVAY
La sentenza che ha più scandalizzato è relativa al Processo Solvay: la Corte di Assise ha chiuso l’anno emettendo l’ennesimo ingiusto verdetto. Deludente e preoccupante. Deludente per le parti civili vittime dell’ecocidio che esigeva condanne e risarcimenti severi. Preoccupante per gli abitanti della Fraschetta, consapevoli che soltanto una costosissima bonifica del territorio avrebbe potuto scongiurare un futuro di indagini epidemiologiche con sempre più morti e malattie. Deludente e preoccupante anche per i Movimenti italiani, considerando che il Presidente della corte Sandra Casacci è contemporaneamente anche la nuova presidente del Tribunale. La sentenza infatti è stata opportunamente collocata in “Ambiente Delitto Perfetto” fra le tante a definire che “non esiste giustizia in campo ambientale”, con tanta pace per innumerevoli comunità italiane che proprio dalla Magistratura di Alessandria attendevano una coraggiosa inversione di tendenza ai processi che hanno scandalizzato l’universo ecologista per la loro sostanziale impunità tramite la derubricazione dei reati dal pesante dolo alla lieve colpa e le prescrizioni, per non dire delle assoluzioni. Dopo la melina di 8 anni di udienze, contiamo assolti i 4 imputati principali “perché il fatto non sussiste” e gli altri 4 minori (38 erano gli iniziali) condannati a lievi pene, per colpa. Condanne di 2 anni e 6 mesi invece che di 18 anni, risarcimenti in proporzione ma perfino a chi (Comune, Provincia ecc.) si merita tutt’altro. Bonifica nel libro dei sogni. La bomba ecologica di Spinetta Marengo equiparata… ad incidente per attraversamento con il rosso. Tra le tante prove provate, alla giuria ne bastava una per condannare per dolo: il cartello “acqua non potabile” era apposto solo nei bagni dei dirigenti, nulla sapevano per decenni lavoratori e cittadini. E invece: non dolo cosciente ma involontarietà della colpa. Facile la prescrizione. I potenti vertici assolti: estranei all’avvelenamento doloso delle falde e all’omessa bonifica. I condannati per semplice colpa: non ne erano consapevoli... anche se avevano cercato di nasconderne le prove (con i vertici). Le tonnellate di prove provate del PM: carta staccia. Vittime della sentenza: le parti civili morte e ammalate e gli abitanti inquinati del territorio, nonché il mondo ambientalista disarmato. Vittima la Giustizia insomma.
Solvay ha subito cercato di approfittare della sentenza riproponendo, come solenne truffa mediatica dei giornali compiacenti, sperimentazioni universitarie spacciate per progetto di bonifica. Medicina democratica ha sfidato multinazionale e università alessandrina (lettera aperta al prof. Domenico Osella, ignorata dai giornali) ad un confronto scientifico e pubblico, a cui esse si sottraggono. I termini della nostra opposizione sono ampiamente contenuti nel libro “Ambiente Delitto Perfetto”, che riassumiamo. La nostra obiezione principale: i veleni tossici e cancerogeni che dai terreni colano in falda profonda sono 21, e non il solo cromo esavalente. Per 20 la sperimentazione si affiderebbe a radici di felci… che succhierebbero i veleni. Ridicolo, non vale la pena di commentare. Per il cromo esavalente l’unica soluzione sarebbero, secondo Solvay, “agopunturine” di ditionito di sodio nelle natiche di un milione di metri cubi di veleni, escludendo peraltro la base degli impianti. In otto punti abbiamo dimostrato dal punto di vista scientifico che il metodo “annaffiatoio” è assolutamente inappropriato e inefficace, giammai da premio Nobel per la chimica ad Osella. Inoltre la “sciacquatura” è clamorosamente limitata all’interno di parte dello stabilimento, esclude la Fraschetta. Progetto fasullo, ma serve per prendere tempo, alle calende greche. Fasullo, ma certamente costa 100 volte in meno della nostra complessa proposta che rispetta le prospettazioni a monte e a valle della fabbrica rivendicate dal Ministero dell’Ambiente al processo: costituire una Commissione scientifica internazionale che studi l’asportazione definitiva dei veleni dal territorio. I terreni avvelenati vanno trattati in impianti dentro la fabbrica, dunque in piena sicurezza esterna. E con incremento occupazionale per un complesso chimico che resta pur sempre “una gallina dalle uova d’oro”.
SENTENZA AMAG
Se è giusta quella di Solvay, è ingiusta quella per l’ex presidente Lorenzo Repetto. Ci dovrebbe essere una proporzione nelle pene. Gli imputati della multinazionale (avvelenamento doloso della falda: 18 anni di reclusione) con tanto di parti civili morti e ammalati hanno (alcuni, neppure tutti) preso 2 anni e 6 mesi. Mentre Repetto 2 anni e 10 mesi... per aver fatto la cresta sui rimborsi chilometrici! Nessun pietismo per il braccio destro del sindaco Piercarlo Fabbio, anzi, fosse per noi saremmo più pesanti. Però che dire della sentenza Solvay, anzi meglio non dire altro.
SENTENZA MICHELIN
Per la lettura della sentenza la giudice Milena Catalano, ha impiegato una manciata di secondi assolvendo i cinque ex dirigenti accusati di lesioni colpose gravissime per 20 casi di malattia professionale e di omicidio colposo per la morte di 6 operai (cancro vescica, polmone, stomaco e morbo di Hodgkin ecc,) riconducibili alle sostanze del ciclo produttivo degli pneumatici attuato a Spinetta Marengo: anilina, ammine aromatiche, N-Nitrosammina, orto-toluidina, amianto, idrocarburi, presenti sia nell’aria (e quindi inalate) sia disciolte in solventi che gli operai manipolavano Per la difesa il responsabile era la sigaretta, anche per i non fumatori (fumo passivo). Il procedimento odorava da tempo di prescrizione, in qualche caso già scattata, in altri non troppo lontana. Proprio a causa di un iter processuale complesso e macchinoso, lacunoso per balbettanti e generici studi epidemiologici e per inattendibili campioni di analisi prelevati direttamente dall’imputato Michelin, il Pubblico Ministero Marcella Bosco, subentrante al PM onorario Luisa Antonini, era stata comunque costretta a chiedere ulteriormente l’integrazione della lunga istruttoria dibattimentale con nuovi più esaustivi approfondimenti. La sentenza invece ha assolto tutti “perché il fatto non sussiste”. Per la Michelin di Spinetta Marengo la storia di malagiustizia ripete altri procedimenti penali, per fatti analoghi: c’erano stati un «non luogo a procedere», una sentenza di assoluzione, un’archiviazione. I famosi avvocati l’avevano sbandierato ai quattro venti che erano strasicuri di vincere anche questa volta.
La multinazionale francese è abituata ad entrare e uscire sempre indenne dal Tribunale di Alessandria. Colpa delle sigarette: è la stessa tesi che fu sostenuta contro il PM Raffaele Guariniello nel processo di Torino. Ma a Torino ci fu la condanna. Perché ad Alessandria no e in altre aule di giustizia sì? Il perché lo spiega “Ambiente Delitto Perfetto”. L’inchiesta era stata aperta su segnalazione di Inail e Asl. L’indagine epidemiologica aveva evidenziato che dal 1972 al 2007 su 3.000 dipendenti ben 284 erano morti per tumore. Addirittura disaggregando qualche dato, ad esempio esaminando i dati Istat (come fatto dal dossier di Medicina democratica) sulle “cause di morte 1970-90 Michelin di Alessandria”, è clamoroso notare che sul totale di 112 decessi Michelin ben 53 sono dovuti a tumori: 47,4%, mentre la percentuale in Piemonte è 31,5%. Secondo l’ASL 20, relativamente al periodo ‘92-’97, i decessi per tumori sul totale decessi sale per Michelin al 50%. Un lavoratore su due. Eppure Guariniello, sulla base dei casi segnalati per lo stabilimento di Torino-Dora dall’Osservatorio sui tumori professionali da lui istituito, già nel lontano fine secolo scorso aveva rinviato a giudizio e fatto condannare per omicidio colposo plurimo e lesioni personali colpose i dirigenti della Michelin. Ad Alessandria il processo avviato da CGIL invece si insabbia. L’intervento di Lino Balza su Il Piccolo è del 20/02/98 e ha il merito (la colpa, secondo Michelin) di far riesplodere quell’interessamento ormai sopito che aveva infiammato l’opinione pubblica e soprattutto rischia di dare una scossa alla Magistratura che aveva dimenticato i provvedimenti penali nei cassetti. Michelin querela Balza per diffamazione, con risarcimento miliardario. Per Michelin la querela, al responsabile di Medicina democratica noto da trent’anni per le sue battaglie per la salvaguardia dell’ambiente e la tutela della salute dei lavoratori e dei cittadini, si rivela un boomerang. Riaccende i riflettori. Il sindacato riprende le denunce pubbliche. Michelin al centro dell’allarme ambientale e sanitario della Fraschetta. Medicina democratica e Comitati rincarano la dose e presentano in magistratura un altro esposto, 5.000 cittadini a loro volta singolarmente firmano con le proprie generalità 5.000 esposti presentati anch’essi alla Magistratura. Interrogazioni regionale e parlamentare per la costituzione di commissione di indagine. Michelin ritira la querela. Peccato, Medicina democratica aveva preparato un Dossier di mille pagine. (Consultare il blog http://medicinademocraticaalessandria.blogspot.it).
Riprende con lentezza il procedimento penale a seguito della denuncia CGIL in merito ai reati contestati a sei dirigenti Michelin di Spinetta Marengo “per avere per colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia, ed in particolare inosservanza delle norme sull’igiene del lavoro, cagionato la morte di dieci lavoratori nonché lesioni personali gravissime” ad altri sei. Medicina democratica purtroppo non è parte civile e non può presentare il dossier. Nel febbraio 2010 il processo si conclude con un nulla di fatto. Contemporaneamente si avvia nuovo processo, quello appena concluso.
SENTENZA SMOG
Ci sono processi molto meno complessi di quello Solvay, eppure… L’archiviazione-prescrizione-assoluzione del GIP Paolo Bargero impedisce addirittura l’avvio, a carico del sindaco di Alessandria, del procedimento penale promosso ben 9 anni prima da Medicina democratica con denuncia per omissioni di atti di ufficio nella tutela della salute pubblica. Viene così rilasciata licenza di impunità a tutti i sindaci presenti e futuri, che è anche la condanna ai cittadini di ammalarsi e morire per lo smog urbano. L’escamotage del PM Giancarlo Vona, nel chiedere l’archiviazione, è consistito nel sostituire come capo di imputazione l’art. 328 (omissione di atti di ufficio), che prevede la reclusione, con l’art. 674 (getto pericoloso di cose) che prevede la contravvenzione pecuniaria. Il Gip, dopo nove anni, appena subentrato alla collega che aveva invece accolto le richieste di Medicina democratica di supplementi di indagini, non ha neppure letto l’esposto basato sull’art. 328, si è risparmiato la lettura del volume di documenti e perizie, e ha ordinato l’archiviazione per prescrizione. In “Ambiente Delitto Perfetto” è istruttivo mettere a confronto la striminzita paginetta del Gip con le 11 pagine A4 dell’opposizione di Medicina Democratica all’archiviazione chiesta dal PM, in aggiunta alle 90 dell’esposto e successivi supplementi e integrazioni. Dalla lettura, si possono cioè liberamente valutare le competenze giuridiche del querelante (che non è avvocato) e dei giudici (che sono dottori in legge). Mentre è interessante interrogarsi sulle competenze scientifiche, che richiamano l’insistenza di Raffaele Guariniello affinché siano istituite nell’ambito dei tribunali specializzazioni in materia di ambiente e salute, nonché una procura nazionale per i reati ambientali.
SENTENZA FABBRICAZIONI NUCLEARI
E’ del Consiglio di Stato al quale ci siamo “affidati” grazie a una entusiasmante sottoscrizione popolare, in quanto la Procura di Alessandria, di fronte al nostro esposto denuncia, si nascose dietro il dito del Tribunale amministrativo. Con la complicità di maggioranze e opposizioni del Comune di Bosco Marengo, della Provincia di Alessandria e della Regione Piemonte, il Ministero dello Sviluppo Economico aveva emesso (2008) un decreto che avrebbe autorizzato la demolizione dell’impianto di fabbricazione di combustibili nucleari di Fabbricazioni Nucleari di Bosco Marengo e la conseguente costituzione di un deposito di rifiuti radioattivi: definito “temporaneo” ma a tempo indeterminato e in luogo assolutamente inidoneo allo scopo, cioè non sicuro. Perciò, oltre all’annullamento del procedimento di disattivazione, il ricorso contro Sogin chiedeva, con istanza cautelare, di sospendere immediatamente l’esecuzione del procedimento impugnato. Richiesta già formulata d’urgenza alla Procura. Per noi si trattava di impedire con urgenza la costruzione, già di per sé immediatamente rischiosa per lavoratori e territorio, di un insicuro deposito di scorie nucleari da stoccarsi pericolosamente (attentati, terremoto, falde acquifere ecc.) almeno fino al 2020 secondo la Regione e secondo la Sogin per un periodo del tutto indeterminato. Senza ipocrisie: sarebbe stato un deposito definitivo. Dove tombare in un indifeso capannone centinaia di fusti radioattivi vecchi e nuovi. In un sito assolutamente inidoneo neppure per uno stoccaggio temporaneo: sia per le condizioni antropiche del territorio (densità popolazione) sia per le caratteristiche geomorfologiche del terreno (sismico, con falde), come dimostrerebbero agevolmente le (omesse) indagini geotecniche e il (mancato) assoggettamento alla valutazione di impatto ambientale VIA.
La costruzione del deposito temporaneo ovvero definitivo, cioè del capannone, doveva essere preceduto dallo smantellamento dell’impianto nucleare esistente di Fabbricazioni Nucleari, di trattamento condizionamento-stoccaggio di materiali radioattivi, con sversamento degli stessi nell’ambiente sia sotto forma di effluenti liquidi (l’esondabile rio Lovassina) sia di effluenti aeriformi, con gravissimo pericolo per il territorio circostante e per l’incolumità della salute pubblica delle generazioni presenti e future. In alternativa, noi sostenevamo che l’impianto doveva essere mantenuto in “custodia protettiva passiva”, alla quale per legge era obbligata la Sogin: in sicurezza come era avvenuto fino ad allora, in sollecitata attesa dell’individuazione dell’idoneo deposito nazionale previsto dalla legge dove confluire le scorie di Alessandria e degli alti impianti italiani, cioè con il rilascio del sito esente da vincoli di natura radiologica, prato verde, senza deposito. La pronuncia del tribunale amministrativo per Fabbricazioni Nucleari doveva inoltre diventare, nelle nostre intenzioni, un precedente valido per tutto il territorio nazionale. Se a noi favorevole, ad essa si sarebbero potuti appellare tutti i siti italiani che hanno ereditato i rifiuti nucleari delle centrali dismesse (Trino, Saluggia, Casaccia ecc.). La sentenza avrebbe messo in discussione l’intera strategia nucleare del Governo (come affermato dallo stesso): il che spiega sia il ritardo di 7 anni del pronunciamento del Consiglio di Stato sia l’esito negativo. C’è stato un uso politico della giustizia: dimostra “Ambiente Delitto Perfetto”.
Infine, dal tribunale di Alessandria almeno attendiamo interventi, tra cui indagini epidemiologiche e indagini idrogeologiche, come da noi richiesto, dopo il nostro esposto del 2014 per i bidoni radioattivi sotterrati.
SENTENZA LAZZARO MAURO E BRUNO
Altro episodio che si aggiunge a quelli illustrati sul libro “Ambiente Delitto Perfetto”. Vi ricordate dei braccianti schiavi a due euro all’ora dell’azienda agricola Lazzaro di Castelnuovo Scrivia che per due anni non hanno percepito retribuzioni, né TFR, né ferie, né straordinari, né festivi, né mancato preavviso, dopo essere stati licenziati con un cartello appeso ad un palo della luce? Ebbene, a parte la brutalità e la discriminazione razziale che hanno fatto parlare anche le cronache nazionali, rispetto al contenzioso economico, di cui ai conteggi contrattuali e ai ricorsi fatti dalla CGIL, le domande legittime dei lavoratori sono state finora rigettate dal giudice del Lavoro di Alessandria! Da quattro anni gli schiavi chiedono giustizia Tra l’altro i Lazzaro sono già stati condannati a multe salatissime elevate dall’Ispettorato del Lavoro e passate a sentenza, già trasmesse all’INPS, per evasione contributiva e fiscale a danno dei lavoratori. Conclude il “Presidio permanente di Castelnuovo Scrivia”: “Andremo avanti, ricorreremo in appello, e se non basta anche in Cassazione, raccoglieremo aiuti con la solidarietà e con il contributo di tutti i cittadini onesti a cui sta a cuore il mondo del lavoro salariato. Attendiamo anche di vedere cosa accadrà con le prossime cause civili e, soprattutto, con il procedimento penale pendente sui Lazzaro. Dovete sapere che questa è la battaglia, non dei 40 braccianti marocchini dell’azienda agricola Lazzaro ma è la battaglia di tutti i lavoratori a difesa dei propri diritti e della propria dignità!” Consideriamo che anche in molte altre aziende agricole della zona sono praticate condizioni di lavoro non solo di grave sfruttamento ma anche di vera e propria riduzione in schiavitù.
SENTENZA ITALSIDER ILVA
Sono stati sufficienti cinque minuti alla PM Annamaria Fornari per chiedere l’assoluzione dei cinque dirigenti dell’Ilva ex Italsider di Novi Ligure accusati di omicidio e lesioni colpose dalle vittime dell’amianto blu, crocidolite, con un potenziale cancerogeno di 500 volte più elevato del crisolito.
Dal lontano 2009 si erano succeduti diversi magistrati, così che la subentrante giudice Stefania Nebiolo Vietti ne ha condannato uno a tre mesi con la condizionale, due i prescritti, e due i deceduti. Dei cinque il più “giovane” ha 83 anni. Per dire quanto è veloce, e giusta, la giustizia. Il verdetto è stato emanato sulla base di una sola inaffidabile perizia frutto, secondo gli avvocati di parte civile, dei pregiudizi che il consulente insegue, al punto da ignorare la reale presenza dell’amianto in fabbrica e le testimonianze “non scientifiche” degli operai, addirittura che non esiste una soglia minima di fibra sotto la quale non ci si possa ammalare di mesotelioma.
Su “Ambiente Delitto Perfetto” questa sentenza conclude una lunga sequenza di sentenze amianto, tra cui la più vergognosa quella dell’Eternit di Casale Monferrato.
I CANDIDATI SCONFITTI
Anche quest’anno, al secondo posto del Premio Attila troviamo Maria Rita Rossa, sindaca di Alessandria, PD. Detta l’eterno secondo, come Gaetano Belloni. Belloni era un fuoriclasse ma davanti trovava Costante Girardengo, il campionissimo.
Rossa da anni ci sta tentando di vincere. Eppure nel suo curriculum in continuo arricchimento enumera il Comune in dissesto che taglia i dipendenti, lo spreco di milioni di euro per un ponte inutile e faraonico, la non realizzazione dell’Osservatorio ambientale e dell’Indagine epidemiologica della Fraschetta, il feeling con Solvay e il Premio Attila Carlo Cogliati, la solidarietà e l’aiuto al Premio Attila Angelo Riccoboni e alle sue contestatissime discariche sopra le falde, la nomina al vertice di Slala del Premio Attila Bruno Binasco braccio destro e parafulmine dei Gavio.
Soprattutto ha conseguito l’ultimo posto in classifica nazionale sindaci (Il Sole24Ore) di gradimento dei concittadini. Vi ha aggiunto il viaggio a Genova allo stadio di Marassi, in auto e autista a spese del Comune, per assistere al Tim Cup Genoa Alessandria. Niente di paragonabile con l’Airbus A340-500 di Matteo Renzi. E neppure con le creste di carburate Amag di Lorenzo Repetto e con i riffa raffa di Maurizio Grassano pluricondannato e ovviamente onorevole.
La sindaco meno amata d’Italia (dunque destinata in parlamento) ci riproverà al Premio Attila 2016, e tra gli amministratori locali già si profilano le concorrenze di Massimo Berruti (Tortona, Forza Italia), Paolo Lantero (Ovada, PD) e Davide Sandalo (Casale Monferrato, PD).
Si riproporranno probabilmente anche gli altri sconfitti 2015: Claudio Lombardi assessore ambiente Comune di Alessandria, Gianfranco Gazzaniga sindaco Bosco Marengo, Bruno e Mauro Lazzaro cascina di Castelnuovo Scrivia, Angelo Riccoboni discarica Sezzadio, Alessandro Guarini, direttore Tazzetti Casale Monferrato. In più c’è una folta schiera di giornalisti che stanno scalpitando.

Messaggio di pace e salute inviato a 14.963 destinatari da:
Barbara Tartaglione b.tartaglione@tiscali.it
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From: Gino Carpentiero ginocarpentiero@teletu.it
To:
Sent: Thursday, March 17, 2016 9:03 AM
Subject: INVITIAMO LA COMUNITA’ SCIENTIFICA A RIFLETTERE SUI POSSIBILI EFFETTI DELL’INTRODRODUZIONE DEL TTIP

Da Epidemiologia & Prevenzione
Saluti
Gino Carpentiero

INVITIAMO LA COMUNITA SCIENTIFICA A RIFLETTERE SUI POSSIBILI EFFETTI DELL’INTRODUZIONE DEL TTIP

Cari lettori,
in attesa dell’uscita del prossimo numero di E&P, pubblichiamo in advance un articolo scientifico di Roberto De Vogli e Noemi Renzetti che analizza nel dettaglio i possibili effetti negativi sulle politiche di salute pubblica del partenariato transatlantico sul commercio e gli investimenti (TTIP).
L’articolo è accompagnato da un editoriale di Paolo Vineis sull’epidemiologia della globalizzazione.
Già da ora potete leggere e scaricare:
-         P. Vineis “Epidemiologia della globalizzazione;
-         R. De Vogli e N. Renzetti “Il potenziale impatto del partenariato transatlantico sul commercio e gli investimenti (TTIP) sulla salute pubblica”;
-         il comunicato stampa.

Tutti i materiali citati si trovano qui:

www.epiprev.it

Vi invitiamo a leggere e vi ricordiamo che sotto ogni articolo c’è uno spazio per i commenti aperto a tutti.
Buona lettura

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From: Posta Resistenze posta@resistenze.org
To:
Sent: Thursday, March 17, 2016 2:22 PM
Subject: DELEGATI FIOM FCA: GLI INCOMPATIBILI NON SIAMO NOI

Da “Il sindacato è un’altra cosa Opposizione CGIL” http://sindacatounaltracosa.org

E’ veramente difficile convincersi di vivere e rivendicare diritti di un paese democratico…
Siamo un gruppo di iscritti e delegati della FIOM CGIL , tutti lavoratori negli stabilimenti FCA del centro sud, giudicati dalla Commissione Statutaria interna alla nostra Organizzazione incompatibili con la stessa, in quanto facciamo parte di un coordinamento di lavoratori FCA del centro sud che al suo interno ha colleghi appartenenti ad altre sigle sindacali.
Essere incompatibili può significare espulsione, può significare toglierci la delega da RSA, compromettendo le nostre iniziative all’interno delle fabbriche e nei rapporti con i lavoratori da noi rappresentati e per i quali spesso siamo l’unico riferimento sui luoghi di lavoro.
Sentirsi giudicati incompatibili alla CGIL perchè cerchiamo, con determinazione, un confronto con altri colleghi che subiscono le stesse nostre condizioni, rispetto alle quali è nostra intenzione ribellarci e determinare una svolta che ci ridia diritti e dignità, ha dell’incredibile!
La storia della CGIL dimostra che azioni come la nostra sono sempre state valorizzate e mai giudicate tanto negativamente.
Noi portiamo avanti quei valori di aggregazione, è abbastanza evidente che il sindacato di cui facciamo parte cerca di contrastarli.
Perchè usare tanta repressione? Le risposte, a nostro modo di vedere sono molteplici, in capo a tutte c’è la volontà di normalizzare un sindacato che per molti è rimasto l’unico, tra i confederali, che possa ancora rimettere in discussione la difesa della classe operaia.
Normalizzare il conflitto e diventare come FIM e UILM, cioè come quei sindacati che hanno fatto di tutto per metterci fuori dagli stabilimenti FCA, e ai quali sempre più spesso i vertici FIOM tendono la mano in segno di pace, ecco...questo sì che dovrebbe essere considerato incompatibile con il nostro Statuto.
Siamo delegati che continuano a proclamare scioperi in FCA, spesso rivendicando quell’autonomia che è in capo ad ogni sindacalista di fabbrica, è questo uno dei problemi?
Siamo dei lavoratori che, al di là delle appartenenze sindacali, cercano di difendersi, difendersi da un padrone sempre più autoritario, che quando colpisce i propri dipendenti non fa alcuna distinzione, colpisce tutti, ed è da questo presupposto che è partita l’idea di coordinarci, di fare fronte unico. Questo non vuol dire assolutamente creare un parasindacato, assolutamente no!!!
Questo significa cercare altri colleghi, che come noi, voglio unirsi sui posti di lavoro per fare della lotta alla prepotenza l’unica strada perseguibile.
Un’ultima precisazione ci sentiamo di fare, e riprende la frase a titolo della nostra lettera, in quale luogo che si definisce democratico, si giudicano ed eventualmente condannano delle persone senza averle nemmeno ascoltate? In un Paese civile nessuno...ma è quanto accaduto a noi, da quando abbiamo appreso da altri e non dalla CGIL, di essere sotto indagine non ci è mai stata data la possibilità di motivare le nostre scelte in merito all’oggetto della discussione.
Nessuno ci ha convocati per chiederci spiegazioni, pur avendo incontrato spesso i segretari che avevano fatto denuncia alla Commissione Statuto CGIL, nessuno ci ha informati, possiamo affermare senza paura di essere smentiti che è stato fatto tutto alle nostre spalle...
Questo è in assoluto un atteggiamento autoritario, nei Paesi meno democratici al mondo si finge un processo, a volte anche sommario, la nostra organizzazione ha saputo fare di peggio.
In conclusione, di cosa siamo accusati, di fare gruppo con altri colleghi per difenderci a vicenda? Se questa è la preoccupazione del nostro sindacato più che del padrone, forse gli incompatibili all’organizzazione di Di Vittorio non siamo noi...
Martedì, 8 Marzo 2016
Iscritti e delegati della FIOM CGIL in FCA
Maria Labriola Direttivo FIOM Melfi
Stefania Fantauzzi RLS/RSA FIOM Termoli
Giuseppina Imbrenda RSA FIOM Melfi
Michela Canci RSA FIOM Sevel
Francesca Felice Direttivo FIOM Sevel
Massimiliano Fierro RLS/RSA FIOM Termoli
Antonio Langone RSA FIOM Melfi
Fabio D’Ilio RSA FIOM Termoli
Antonio Lamorte RSA FIOM Melfi
Domenico Cappella RSA FIOM Termoli
Domenico De Stradis RSA FIOM Melfi
Ernesto Marcovicchio RSA FIOM Termoli
Silvano Fanelli Direttivo FIOM Melfi
Leonardo Di Maio Direttivo FIOM Termoli
Antonio De Stefano iscritto FIOM Melfi
Antonio Genovese iscritto FIOM Melfi
Marco Pignatelli Direttivo FIOM Melfi
Luciano Chiavaroli Direttivo FIOM Sevel

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From: Maurizio Marchi maurizio.marchi1948@gmail.com
To:
Sent: Sunday, March 20, 2016 1:18 AM
Subject: RIGASSIFICATORE FERMO? PAGA LO STATO!

Riccardo Chiari
Il manifesto
Edizione del 18/03/16

Grandi opere inutili. Medicina Democratica denuncia lo scandalo degli 80 milioni pubblici ai due colossi dell’energia E.On e Iren, come rimborso statale per il ridotto utilizzo del contestatissimo rigassificatore off-shore Olt alla Meloria. Ma per il governo è strategico. De Vincenti: “Serve all’approvvigionamento energetico”.
Ottanta milioni di euro pubblici a due colossi dell’energia (la tedesca E.On e la nostrana Iren) come rimborso statale per il ridotto utilizzo nel 2015 di un impianto privato. Già questo potrebbe bastare per gridare allo scandalo. Se poi l’impianto in questione è il contestatissimo rigassificatore off-shore Olt, costruito al largo della costa pisano-livornese nonostante una robusta opposizione popolare, il cerchio si chiude.
Arriva da Medicina Democratica la denuncia di un caso da manuale di come gli interessi privati possono essere molto persuasivi nei confronti dei decisori pubblici. “Niente di nuovo sotto il sole?” – si chiede retoricamente l’associazione – “No, questa è una novità, questo tipo di incentivo era inedito, e non ancora praticato da nessuno”. Tranne che da E.On e Iren, già destinatari di 45 milioni usciti dalla casse statali nel biennio 2013-14.
Per capire il patologico meccanismo che permette alla multinazionale tedesca, e alla SpA italiana delle ex municipalizzate di Torino, Genova, Parma, Piacenza e Reggio Emilia, di incassare senza colpo ferire 125 milioni in un triennio, ci sono due termini chiave: “peak shaving” (“picchi di consumo”), e “fattore di garanzia”. L’allora viceministro allo sviluppo economico Claudio De Vincenti li utilizzò entrambi, per rispondere nel 2014 alle prime polemiche, quando divenne chiaro che c’erano dei costi in bolletta per il riconoscimento a Olt di una tariffa garantita anche in caso di ridotto utilizzo del terminal.
De Vincenti fu chiaro: per il governo Renzi il rigassificatore offshore era una struttura strategica per la sicurezza energetica italiana. “In virtù del servizio di peak shaving, che rende possibile in caso di punte di fabbisogno una immissione immediata di 10 milioni di metri cubi di gas al giorno, l’apporto del rigassificatore Olt permette di non far gravare sul sistema il costo della interrompibilità del gas, pari a 70 milioni l’anno, e quello del mantenimento in stand by di centrali ad olio, pari ad altri 90 milioni. Nel complesso per gli italiani si tratta di un risparmio in bolletta di 160 milioni. Circa il doppio del costo massimo del fattore di garanzia riconosciuto ad Olt”.
Per i tanti critici della grande opera, che la consideravano inutile fin dall’avvio della progettazione (poi la crisi ha fatto il resto), la decisione politica di riconoscere comunque a Olt una tariffa sicura, anche qualora i serbatoi non fossero utilizzati a pieno regime, era la prova provata del fallimento dell’iniziativa commerciale. Un fallimento di mercato, conclamato lo scorso anno, a giudicare dalla richiesta di E.On e Iren di accedere al “costo massimo del fattore di garanzia”, per dirla come De Vincenti. Tradotto vuol dire 80 milioni, incassati dopo il nulla osta a fine febbraio da parte dell’Autorità dell’energia elettrica e il gas.
Medicina Democratica tira le somme: “Dato che Olt ha dichiarato di aver investito circa 900 milioni, questa rendita, ottenuta senza fare niente, ammonta a quasi il 10% dell’investimento. Una rendita che neanche le banche più speculative riescono ad ottenere. Sono i miracoli dell’era Renzi-Merkel, dove si toglie drasticamente ai poveri e ai diritti sociali per dare ai ricchi e alla speculazione”.
Difficile dar torto all’associazione, che con il suo circolo costiero fu in prima linea, con il PRC toscano e le realtà antagoniste e di movimento delle province di Livorno e di Pisa, nell’opposizione al rigassificatore Olt. Una Olt che poi, come “compensazioni” al territorio, elemosina cinque milioni alle amministrazioni locali per i lavori a un canale che consentirà la navigabilità dal porto di Marina di Pisa a quello di Livorno. Mentre l’altro big player dell’energia Edison, visto come vanno le cose, sta provando a fare un suo rigassificatore a Rosignano.

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From: Clash City Workers cityworkers@gmail.com
To:
Sent: Sunday, March 20, 2016 9:06 AM
Subject: ENRICO FORMISANO, UCCISO DAL LAVORO (NERO)
Lavorava a nero, senza copertura assicurativa e senza alcuna tutela, Enrico Formisano, l’operaio campano di 37 anni, morto giovedì pomeriggio travolto dalle scenografie di “Medea”, spettacolo teatrale.
Purtroppo questo decesso non è un “incidente isolato”, prima di lui, ricordiamo, sempre nel circoscritto mondo dello spettacolo, Francesco Pinna (per il palco di Jovanotti), Matteo Armellini (per il palco della Pausini), Khaled Farouk Abdel Hamid (per il palco dei Kiss). A Roma, infatti, è nato il Collettivo Autorganizzato Operai dello Spettacolo proprio per rivendicare migliori condizioni di vita e di lavoro.
I numeri parlano chiaro: “i decessi sul lavoro nel 2015 sono aumentati del 43% in Toscana, rispetto all’anno precedente. Dai 76 casi del 2014 ai 109 dell’anno conclusosi soltanto poco più di due mesi fa. La provincia di Firenze guida la triste classifica di morti bianche con 22 vittime totali [...]. il territorio pisano segue con 16 decessi”, come riportato dall’Osservatorio sulla Sicurezza Vega Enegeneering
I giornali locali, nelle prime ore, avevano liquidato velocemente la tragica morte di Enrico dicendo che i lavoratori “dovevano aspettare dei colleghi da Genova, ma per recuperare tempo lui [Enrico] ha cominciato a scaricare le scenografie”, come se fosse stata “tutta colpa sua”, come se avesse avuto fretta.
Ma non ci tornava. Infatti dopo poco, arrivano i comunicati dei sindacati di base Cobas e Usb che denunciano le condizioni del lavoro dei magazzinieri: dall’inquadramento contrattuale, ai ritmi, alla sicurezza, come ci ricordano i lavoratori del Teatro Goldoni di Livorno. Ed ecco, infatti, che oggi apprendiamo dai giornali che “I Carabinieri di Pontedera, intervenuti insieme al personale del Dipartimento di Prevenzione dell’ASL (Medicina del lavoro) subito dopo la tragedia, hanno avuto molte difficoltà, considerato anche le reticenze di chi si è trovato a dover ammettere una scomoda verità, nel ricostruire il rapporto di lavoro che l’operaio aveva con l’azienda Liberato Massimo srl di San Giorgio a Cremano, una delle più conosciute nel settore dei trasporti per i teatri [...] Che la posizione della vittima, per quanto riguarda contributi e contratti, potesse non essere regolare era stato ipotizzato già nei minuti successivi alla tragedia. Lentamente, poi, la verità è emersa. L’operaio, che abitava ad Ercolano, di fatto aveva una collaborazione con l’impresa Liberato Massimo, anche se dai resoconti del pagamento di stipendi e contributi non risulta la continuità formale del rapporto. Ci sono poi aspetti dell’inchiesta che riguardano la sicurezza nei luoghi di lavoro: anche questi sono al vaglio di carabinieri e ASL”.
Per questo rilanciamo, con tutta la nostra rabbia e determinazione, la campagna contro il lavoro nero, avviata dai compagni della Camera Popolare del Lavoro all’Ex Opg di Napoli.
BASTA MORTI SUL LAVORO

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From: Muglia la Furia fmuglia@tin.it
To:
Sent: Sunday, March 20, 2016 3:05 PM

Tornando al tema “Quando la legge genera mostri”, oggi voglio parlare degli organismi paritetici/enti bilaterali con riferimento a quanto previsto dal D.Lgs. 81/08, dal D.Lgs. 276/03 di attuazione della L. 30/03 (legge Biagi) e da accordi sindacali o dalla contrattazione nazionale.
Ma partiamo dalle definizioni.
Secondo il D.Lgs. 81/08, articolo 2, comma 1, lettera ee) gli “organismi paritetici” sono organismi costituiti a iniziativa di una o più associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, quali sedi privilegiate per:
-         la programmazione di attività formative e l’elaborazione e la raccolta di buone prassi a fini prevenzionistici;
-         lo sviluppo di azioni inerenti alla salute e alla sicurezza sul lavoro; l’assistenza alle imprese finalizzata all’attuazione degli adempimenti in materia;
-         ogni altra attività o funzione assegnata loro dalla Legge o dai Contratti collettivi di riferimento.
Li troviamo citati ancora ogni qualvolta si parli di formazione (vedi articolo 37, commi 7-bis e 11) fino al famigerato (e in gran parte inattuato) articolo 52 “Sostegno alla piccola e media impresa, ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza territoriali e alla pariteticità” che recita “Presso l’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro (INAIL) è costituito il fondo di sostegno alla piccola e media impresa, ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza territoriali e alla pariteticità...”.
Ancora ne parlano, cercando di chiarire caratteristiche e ruolo, accordi di Conferenza Stato-Regioni sulla formazione, interpelli e circolari. Al contrario, tacciono proprio quelle organizzazioni che più dovrebbero interessarsene: le associazioni dei datori di lavoro e i sindacati dei lavoratori.
Un “bailamme” spaventoso creato non certo per migliorare il sistema italico delle relazioni industriali, ci mancherebbe altro, ma solo perché lor signori degli organismi paritetici/enti bilaterali possano effettuare la formazione obbligatoria per la sicurezza sul lavoro prescindendo da qualsiasi accreditamento.
A proposito gli organismi bilaterali mica ci sono nel Testo Unico salvo che per una clausola di salvaguardia di organismi bilaterali o partecipativi già esistenti e previsti da accordi sindacali, ma non serve sottilizzare troppo.
Per chi volesse saperne di più sull’argomento, l’analisi puntuale di Pietro Ferrari, anche per capire le differenze si trova al link:
E allora avanti. Ecco il nuovo mercato, come ci hanno insegnato le recenti fiere specializzate di Modena e Bologna dove gli organismi paritetici (e gli enti bilaterali) hanno fatto la parte del padrone. Tutti con i loro banchetti e le brochure in carta patinata bene in vista: “Ope legis” di diritto forse no, ma di fatto sicuramente.
E allora come condannare la giovane che l’altro giorno in un forum denunciava che nell’azienda in cui lei è RSPP, si è presentato (testuali parole) “il venditore” di un ente bilaterale che ha proposto per soli 5 euro/cad. di timbrare tutti gli attestati rilasciati a seguito dei corsi di formazione effettuati da un ente formatore accreditato, con la seguente motivazione: “così avranno maggior valore”.
E che dire del baldo giovane tecnico della prevenzione, laureato, che sempre su FB chiedeva gli estremi di una legge per poter organizzare un corso di formazione senza dover passare attraverso i “famosi” organismi paritetici. In pratica come erogare formazione illegittima, ma a norma di legge. Spaventoso.
Per non parlare del dibattito, sempre nei gruppi tecnici di Facebook, che ha fatto seguito alla risposta data dal Ministero del Lavoro a un interpello e che confermava che non è sanzionabile la mancata richiesta di collaborazione agli organismi paritetici per l’organizzazione della formazione per i lavoratori. Gli epiteti usati nei confronti degli organismi paritetici, costituiti dalle organizzazioni sindacali di datori di lavoro e lavoratori, erano le più variegate: da ladri a maledetti! Ce l’avevano forse con CGIL, CISL, UIL o l’UGL (che in questo ambito spopola)? Ma figurarsi, ormai la miriade di sigle di organizzazioni vere o farlocche ti porta a fare di tutta l’erba un fascio.
Ma dietro la costituzione degli organismi paritetici e gli enti bilaterali chi c’è, e chi si muove? Associazioni professionali o imprenditoriali, spesso di nuovissima costituzione e, altrettanto nuovi, sindacati dei lavoratori. “Quattro amici al bar” che individuano un contratto di lavoro da condividere (ce ne sono 700 a disposizione e se non bastassero se ne importa uno dall’estero). Prima si fa nascere l’organizzazione di categoria (tanto non ci sono regole, manco il bilancio devono esporre) e poi si costituisce l’organismo paritetico o l’ente bilaterale. Ed ecco che il mercato della formazione è a portata di mano potendo questi operare ovunque per formare chiunque e comunque.
Come? Dite che non rispecchiano le caratteristiche previste da norme, accordi e circolari? Poco male, intanto avanti che di certo gli ispettori del lavoro mica interverranno ad annullare i corsi effettuati e gli attestati rilasciati. E nemmeno lo faranno i giudici quando si dovesse verificare un infortunio con una causale strettamente collegata alla formazione.
E allora via con gli acronimi e le sigle più fantasiose. Organizzazioni di categoria, associazioni sindacali e i loro (di diretta emanazione) organismi paritetici ed enti bilaterali: EBAFOS, EBASIL, ENBIC, EBINART, ENBIMS, EBINTER, EBILGEN, EBTER, EBNT, EBINTERC, EBFORM, EBINFOP, EBLIG, EBLIT, ENBIC, EFEI, EBPMI, EBSIL, EBTU, EBITEN, EBNAC e, per quanto riguarda la serie delle organizzazioni imprenditoriali e quelle sindacali di lavoratori, eccovi accontentati: CISAS, SLI, FAST, CONFSAL, PMI Italia, AICAP, CIU, USAE, FISMIC, CUB...
Non se ne abbiano a male gli esclusi dalla lista che avrei voluto redigere con l’unico scopo di elencarle al fine di censirle e semmai censurarle.
E infine un breve, ma significativo stralcio di quanto scritto qualche tempo fa da Maurizio Di Cunzolo dal titolo significativo “Io sono più paritetico di te”:
...si parla del comma 12 dell’articolo 37 “La formazione dei lavoratori e quella dei loro rappresentanti deve avvenire in collaborazione con gli organismi paritetici, ove presenti nel settore e nel territorio in cui si svolge l’attività del datore di lavoro, durante l’orario di lavoro...omissis...”.
Ebbene, questo comma ha dato naturalmente spazio a chiunque di costituire il suo Organismo Paritetico settoriale, provinciale, regionale, verticale, orizzontale e perchè no, trasversale. Ci sono quelli storici dell’edilizia, quello dell’artigianato e quello del turismo, quello degli impiantisti e quello delle piccole imprese alimentari, ma poi ci sono anche le grandi imprese alimentari e quelle agricole, non dimentichiamoci poi di quello/i generico/i della formazione sulla sicurezza (ad oggi sono 3).
Le sigle sono le più svariate e le più fantasiose e tutto sta nel riuscire a crearsi l’acronimo più accattivante. C’è poi quello che dice di essere l’unico legittimato dalla Direzione Provinciale del Lavoro di questa o quella provincia, c’è il terrorista di turno che si permette il lusso, evidentemente approfittando della buona fede e della fiducia riposta, di dire che “senza la nostra collaborazione vi invalideremo la formazione”, quello che sottolinea che la formazione deve essere effettuata esclusivamente presso la sua sede o con la presenza di suoi docenti...
Perchè soltanto ora stiano nascendo in gruppo tutti questi Organismi Paritetici/Enti Bilaterali è evidente: la fetta di mercato è vasta e notevolmente appetibile. Chi con un contributo una tantum, chi con un contributo addirittura per attestato rilasciato o chi con la messa in campo di vere e proprie squadre di formatori pronti a diffondere la loro onniscienza, tutti si sono ben organizzati sul piano delle convenzioni e degli accordi economici con le aziende e i professionisti. Tutto questo a scapito di chi o cosa? Ma naturalmente delle aziende che, soprattutto in questo difficile periodo, con queste premesse sono sempre meno invogliate a investire sulla sicurezza.
Di chi è la colpa di tutto questo pasticcio? Non di chi ha colto la palla al balzo, figuriamoci, ma dell’estensore della norma che, anche in questo caso, ha lasciato libero spazio alle interpretazioni. Nel caso specifico il grande errore commesso è stato il non chiarire cosa si dovesse intendere per “collaborazione”, dando la possibilità a tutti coloro i quali hanno “salpato le loro corazzate” di interpretarla a proprio uso e consumo...

Franco Mugliari alias Muglia La Furia

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From: Alessandra Cecchi alexik65@gmail.com
To:
Sent: Sunday, March 20, 2016 5:22 PM
Subject: WARNING: IL TTIP PUO’ DANNEGGIARE GRAVEMENTE LA SALUTE PUBBLICA

da Epidemiologia & Prevenzione

15 marzo 2016

COMUNICATO STAMPA

WARNING: IL TTIP PUO’ DANNEGGIARE GRAVEMENTE LA SALUTE PUBBLICA 

Il trattato USA-UE sul commercio e gli investimenti, dal 2013 oggetto a Bruxelles di negoziati per lungo tempo tenuti segreti, getta molte ombre su temi rilevanti per la salute dei cittadini.
Un articolo pubblicato su Epidemiologia & Prevenzione analizza da una prospettiva di sanità pubblica gli aspetti che possono mettere a rischio non solo la qualità dei cibi, ma anche l’accesso alle cure sanitarie dei cittadini, le politiche di contrasto ai cambiamenti climatici, fino a intaccare la sovranità dei singoli Stati europei nella scelta del proprio sistema sanitario.
Una minaccia non solo per la salute degli individui, dunque, ma anche per la stessa democrazia in Europa.
Il potenziale impatto del partenariato transatlantico sul commercio e gli investimenti (TTIP) sulla salute pubblica è il titolo dall’articolo pubblicato da Epidemiologia & Prevenzione, rivista dell’Associazione italiana di epidemiologia, a firma di Roberto De Vogli e Noemi Renzetti (University of California Davis, US) in cui vengono passati in rassegna i diversi capitoli del TTIP che potrebbero interagire con la tutela della salute dei cittadini europei.
Il TTIP, versione europea dei trattati di libero commercio (NAFTA e TPP) già in vigore dall’altra parte del mondo, è un testo complesso. Gli autori analizzano i possibili effetti sulla salute dell’introduzione del Trattato, scandagliandone meticolosamente il testo, mettendo a confronto le opinioni di sostenitori e detrattori, e sostanziando la loro analisi con esempi concreti.
ACCESSO AI FARMACI E ALL’ASSISTENZA SANITARIA
In teoria, favorendo gli scambi tra le due sponde dell’Oceano e promuovendo una maggiore cooperazione tra le istituzioni governative che sovrintendono alle politiche dei farmaci, il TTIP potrebbe migliorare la cooperazione scientifica nella ricerca farmacologica e ridurre la duplicazione di processi. Ma il capitolo sulla proprietà intellettuale e sugli aspetti commerciali a essa connessi, che estendono il monopolio dei brevetti, porterebbe a un aumento dei prezzi dei medicinali e, in ultima istanza, a diminuire l’accesso alle cure, soprattutto dei soggetti più svantaggiati.
Non solo. Una possibile minaccia viene dal capitolo relativo all’accordo sui servizi che, oltre a prevedere l’apertura dei servizi sanitari pubblici alla concorrenza, anche privata, comprende una clausola cosiddetta “antiarretramento”, che impedisce a servizi pubblici che siano stati privatizzati di ritornare in mano pubblica, configurando “una grave violazione contro la libertà delle nazioni di scegliere il proprio sistema sanitario di preferenza”.
CONSUMO DI ALCOL E TABACCO
Episodi già verificatisi in diverse parti del mondo dimostrano come politiche attuate per limitare il consumo di alcol e tabacco siano state attaccate in quanto considerate ostacoli al libero commercio.
Una situazione aggravata dal capitolo del TTIP riguardante le controversie tra investitori e singoli Stati, che consente agli investitori stranieri di citare in giudizio, di fronte a tribunali internazionali privati, gli stati che abbiano approvato una legge in grado di ridurre il valore del loro investimento. “Un meccanismo che le multinazionali del tabacco hanno già mostrato di essere ben predisposte a sfruttare” sottolineano De Vogli e Renzetti ricordando il caso dell’Uruguay, citato in giudizio da Philip Morris nel 2010 per aver apposto immagini shock sui pacchetti di sigarette a fini dissuasivi.
PATOLOGIE CORRELATE ALLA DIETA E L’AGRICOLTURA
Spingere verso regimi normativi meno restrittivi nel commercio è uno degli obiettivi del TTIP che potrebbe avere riflessi negativi sia sui consumi alimentari sia sulla sicurezza degli alimenti.
L’esempio del Messico è illuminante: dalla introduzione del NAFTA, nel 1994, e il conseguente aumento della presenza nel Paese di multinazionali del fast food e dei soft drink, il Messico è al secondo posto nel mondo per consumo di bevande zuccherate e ha una delle più alte prevalenze di diabete nel Pianeta.
Ma c’è un altro rischio, questa volta collegato al capitolo “misure sanitarie e fitosanitarie” che riguarda le norme sulla presenza negli alimenti di additivi alimentari, contaminanti, tossine. Il pericolo è che le norme europee vengano annacquate per avvicinarsi a quelle, notoriamente meno restrittive, d’Oltreoceano. Potrebbero così aumentare le importazioni non solo di cibi geneticamente modificati, ma anche di carni bovine trattate con ormoni e di polli trattati con il cloro (pratiche permesse negli Stati uniti).
SALUTE AMBIENTALE
“Il più grave effetto sulla salute del TTIP presumibilmente riguarda la sua capacità di influenzare le politiche ambientali» sostengono gli autori. Per esempio, le disposizioni in merito alle controversie tra investitori e Stati «potrebbero molto probabilmente essere sfruttate da grandi aziende di combustibili fossili per citare in giudizio quei governi che cercano di limitare l’estrazione e l’esportazione dei combustibili stessi”, in contraddizione con gli impegni appena presi dalla conferenza sul clima di Parigi.
PROFITTO VS SALUTE 
Gli autori concludono con una valutazione delle possibili ricadute del TTIP sulle politiche interne degli Stati, portando come esempio anche quanto già verificatosi in altri Paesi dove da anni sono in vigore simili trattati di libero scambio (come il NAFTA in Nordamerica).
“La nostra analisi” - affermano - “dimostra come, nonostante i promotori del TTIP sostengano che il trattato produrrà effetti vantaggiosi su fattori in grado di migliorare la salute, come la crescita economica e l’occupazione, l’evidenza storica documenti invece che le politiche di liberalizzazione commerciale tendono a incrementare le disuguaglianze economiche e, con esse, la possibilità di accedere alle cure”.
E chiosano: “la politica commerciale non dovrebbe considerare le regole dirette a tutelare la salute pubblica come ostacoli tecnici al commercio, e il diritto a trarre profitto non dovrebbe avere la priorità sul diritto alla salute”.
Nell’editoriale che accompagna l’articolo di De Vogli e Renzetti sullo stesso fascicolo di Epidemiologia & Prevenzione, consultabile al link:
Paolo Vineis, noto epidemiologo italiano che lavora all’Imperial College di Londra, mostra con esempi ben documentati che tutte le strategie razionali per far fronte ai cambiamenti climatici e alla diffusione delle malattie non trasmissibili (co-benefit) vanno in una direzione opposta a quella neoliberista implicita nei trattati internazionali come il TTIP.
CONTATTI
Roberto De Vogli (Department of Public Health Sciences, School of Medicine, University of California, Davis, US / Department of Psychology, University of Padua, Padua, Italy / Department of Epidemiology and Public Health, Division of Population Health, University College London, Londra); e-mail: rdevogli@ucdavis.edu;
Paolo Vineis (Centre for Environment and Health, School of Public Health, Imperial College London, Londra); e-mail: p.vineis@imperial.ac.uk;

Redazione Epidemiologia & Prevenzione
telefono: 0331 48 21 87
cellulare: 329 23 26 686

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