INDICE
Gino Carpentiero ginocarpentiero@teletu.it
FIRME PER AFFONDARE LE TRIVELLE...E I TRIVELLATORI IL
17 APRILE
Ancora IN MARCIA! ancorainmarcia@gmail.com
PENSIONI FERROVIERI: DALLA LOCOMOTIVA ALLA CASSA DA
MORTO!
PREMIO ATTILA 2015: VINCE IL TRIBUNALE DI ALESSANDRIA
Gino Carpentiero ginocarpentiero@teletu.it
INVITIAMO LA COMUNITA’ SCIENTIFICA A RIFLETTERE SUI POSSIBILI
EFFETTI DELL’INTRODRODUZIONE DEL TTIP
Posta Resistenze
posta@resistenze.org
DELEGATI FIOM FCA: GLI INCOMPATIBILI NON SIAMO NOI
Maurizio Marchi maurizio.marchi1948@gmail.com
RIGASSIFICATORE FERMO? PAGA LO STATO!
Clash
City Workers cityworkers@gmail.com
ENRICO
FORMISANO, UCCISO DAL LAVORO (NERO)
Muglia la
Furia fmuglia@tin.it
I NUOVI MOSTRI: ORGANISMI “PARITETICI”
O “PER I PATETICI”?
Alessandra Cecchi alexik65@gmail.com
WARNING: IL TTIP PUO’ DANNEGGIARE GRAVEMENTE LA SALUTE PUBBLICA
---------------------
From: Gino Carpentiero
ginocarpentiero@teletu.it
To:
Sent:
Wednesday, March 16, 2016 12:44 PM
Subject: FIRME
PER AFFONDARE LE TRIVELLE...E I TRIVELLATORI IL 17 APRILE
Per chi volesse firmare
Saluti
Gino Carpentiero
Da: Firmiamo.it firme@firmiamo.it
Ciao Gino,
il promotore della petizione “No alle
trivelle! Votiamo per un mare pulito e sicuro!” ti ringrazia per aver aderito.
Tu hai già fatto molto per questa causa,
ma ora di puoi fare ancora più:
condividila su Facebook con un semplice click qui:
e inoltra questa mail a tutte le persone
che conosci che potrebbero essere interessate ad aderire
http://firmiamo.it/no-alle-trivelle--votiamo-per-un-mare-pulito-e-sicuro.
Inoltre potrai garantire una maggiore visibilità alla petizione acquistando uno speciale banner promozionale, che sarà visualizzato in homepage, nella pagina di categoria e nella pagina di petizioni simili.
Inoltre potrai garantire una maggiore visibilità alla petizione acquistando uno speciale banner promozionale, che sarà visualizzato in homepage, nella pagina di categoria e nella pagina di petizioni simili.
Acquistarne uno è semplicissimo, basta cliccare qui.
Se vuoi davvero dare una mano a questa
causa e provare a fare la differenza, ora sai come fare ;-)
Grazie,
Anna
Staff di Firmiamo.it
Anna
Staff di Firmiamo.it
---------------------
From: Ancora
IN MARCIA! ancorainmarcia@gmail.com
To:
Sent:
Wednesday, March 16, 2016 6:46 PM
Subject: PENSIONI
FERROVIERI: DALLA LOCOMOTIVA ALLA CASSA DA MORTO!
IL PARADOSSO
MORTALE DELLA RIFORMA PENSIONISTICA PER I FERROVIERI.
LAVORARE FINO A 67
ANNI CON LA VITA MEDIA
A 65
LA DENUNCIA DEL SENATOR NICOLA
MORRA
Roma, 14 marzo 2016
Con una battuta,
fulminante ed efficace, “...i macchinisti noi li passiamo
direttamente dalla locomotiva alla cassa da morto”, il parlamentare
sintetizza l’ingiustizia che noi stiamo denunciando da anni, dimostrando di
aver ben compreso la portata della questione.
In una trasmissione
di La7, Morra racconta uno degli aspetti (quello riguardante i ferrovieri) della
grave ingiustizia subita da tutti i lavoratori italiani a seguito della riforma
previdenziale del governo Monti-Fornero. Una scelta politica violenta e
reazionaria che sconvolge la vita di milioni di famiglie. L’aumento, in una
notte, dell’età pensionabile di ben nove anni!
L’esempio
utilizzato, nella sua crudezza, rende perfettamente l’idea di quanto sta già
accadendo ai ferrovieri e in particolare ai macchinisti, i quali per la
nocività multifattoriale del lavoro, hanno una vita media sensibilmente più
bassa della media nazionale.
Siamo consapevoli
che non bastano le innumerevoli iniziative e denunce pubbliche già fatte e
quelle che continueremo a fare ma occorre creare le condizioni politiche e
sociali per “rompere” lo schema di finanza autoritaria che ha ispirato la
controriforma pensionistica adottata dal governo Monti-Fornero.
Per farlo
probabilmente occorrerà “punire”, sul piano del consenso, le forze politiche e
i singoli parlamentari che l’hanno adottata e che successivamente anche di
fronte all’evidenza di errori e palesi ingiustizie (per incapacità e cinismo)
non hanno avuto la correttezza istituzionale e la capacità di correggerne gli
errori ed attenuare gli effetti più macroscopici del provvedimento.
ancora
IN
MARCIA!
GIORNALE DI CULTURA, TECNICA
E INFORMAZIONE POLITICO SINDACALE, DAL 1908
---------------------
From: MD
Alessandria movimentodilottaperlasalute@medicinademocraticaalessandria.it
To:
Sent: Thursday,
March 17, 2016 12:06 AM
Subject: PREMIO
ATTILA 2015: VINCE IL TRIBUNALE DI ALESSANDRIA
PREMIO ATTILA 2015. VINCE IL TRIBUNALE DI ALESSANDRIA.
AVEVA RAGIONE UMBERTO ECO. SMENTITO IL PAPA.
Medicina Democratica
Premio Attila Alessandria 2015
Ad imperitura memoria dei nostri
figli peggiori
Si
interrompe la saga della corte dei Gavio trionfante con i Premi Attila
Marcellino Gavio, Fabrizio Palenzona e Bruno Binasco. Non ha potuto per
regolamento concorrere di nuovo il Premio Attila Angelo Riccoboni pur
beneficiando una selva di voti (nulli). Il Premio Attila Carlo Cogliati è
uscito di classifica probabilmente per effetto della sua assoluzione al
processo Solvay. Una delle due: o il nostro Premio era sbagliato oppure la Sentenza della Corte di
Assise è sbagliata. La seconda delle due: ha sentenziato l’opinione pubblica.
La quale nel voto ha tenuto conto anche dei processi Michelin, Amag,
Fabbricazioni Nucleari, Lazzaro, Italsider Ilva, Sindaco, oltre che Solvay. Dunque,
per la prima volta non vince un singolo bensì un soggetto collettivo.
VINCE IL
TRIBUNALE DI ALESSANDRIA.
Che
riceverà solennemente l’ambito trofeo alla prossima inaugurazione dell’anno
giudiziario.
In “Ambiente
Delitto Perfetto”, quale emblematico epicentro
giudiziario del libro avevamo scelto Alessandria perchè non si è fatta mancare
nulla di inquinante: amianto, nucleare, gomma, chimica, TAV, smog, schiavismo e
ne attendevamo appunto nel 2015 le sentenze. Insomma ci eravamo posti l’angoscioso
storico quesito: il Tribunale di Alessandria si rivelerà meno grigio della
città e della popolazione di Alessandria? Ovvero: chi aveva ragione fra Umberto
Eco e il papa Alessandro III? L’autoritario pontefice nove secoli fa aveva
incensato la città col suo nome: “Deprimit elatos levat Alexandria stratos”,
Alessandria umilia i superbi ed esalta gli umili. Il concittadino semiologo
invece aveva un secolo fa irriso il motto papalino, donato sullo stemma del
municipio, tramite una bolla altrettanto papale diventata abusato luogo comune:
“Nulla di nuovo tra il Tanaro e il Bormida”. Niente di clamoroso ed eccellente,
che meno di modesto, di più che incolore puoi aspettarti da Alessandria. Il
grigio. 80 mila sfumature di grigio (80 mila abitanti). D’altronde Eco non si è
neppure fatto seppellire ad Alessandria, di cui apprezzava solo la tradizionale
“bellecalda”, una farinata di ceci.
In “Ambiente Delitto
Perfetto” Alessandria è città bistrattata, poco amata dagli autori, non lo
nascondiamo. Anche Napoleone preferì conquistare l’Italia poco distante,
attorno al villaggio di Marengo con la battaglia del 1800. Cosa resta di
Bonaparte? Un’anteriore arco poco trionfale e molto scalcinato, ricette di “pollo
alla Marengo” e di “polenta alla Marengo” (un dolce), alcune note nella Tosca
di Giacomo Puccini, un platano di 40 metri detto “platano di Napoleone”. Il
sobborgo Mandrogne è sempre stato più conosciuto del capoluogo, tant’è che nel
mondo (del commercio) gli alessandrini sono sempre stati chiamati “mandrogni”,
sinonimo anche di furbi. Perfino assenti le case di terra cruda, le trunere,
caratteristica della Fraschetta. Neppure il marchio Borsalino è riuscito a
conservarsi, la ciminiera simbolo della città è stata atterrata come già il
duomo e le piazze dai doppi nomi, e poi il ponte, anzi i ponti, e poi il teatro,
anzi i teatri. La furia demolitrice soccorre ad eliminare tutto ciò che
involontariamente emerge dalla nebbia. Eppure Alessandria ebbe un momento di
gloria, uno in tutta la sua storia. Proprio alla sua nascita. Nel 1176 Federico
Barbarossa fu bloccato e sconfitto nell’assedio dell’acquitrino di Alessandria,
borgo galleggiante di paglia, da una banda di straccioni armati delle proprie
armi di lavoro, ovvero dalla furbizia del pastore mandrogno Gagliaudo che
riempì la pancia della mucca con l’ultimo sacco di grano superstite per farsi
catturare e far credere all’imperatore assediante che in città le provviste
erano talmente abbondanti da soddisfare perfino gli animali. E’ grazie alla
battaglia di Alessandria, e non alla successiva di Legnano, che Federico II fu
sconfitto. Tutta una leggenda? Probabilissimo, come quella del patrono, san
Baudolino, che in città neppure mise piede e preferì predicare alle oche
longobarde nelle campagne, in compagnia probabilmente di Gelindo, maschera
teatrale di pastore che i frati tutti gli anni mettono in scena per sfiorare la
satira.
Gagliaudo, Baudolino e
Gelindo sono più conosciuti e apprezzati -è tutto dire- di alessandrini
realmente esistiti. Come Sibilla Aleramo, grande scrittrice e poetessa
italiana, femminista ante litteram. O come Virginia Marini, corteggiata dal
vate Gabriele D’Annunzio e insegnante all’Accademia di Santa Cecilia, che calcò
le scene dei più importanti teatri ottenendo successi e fama pari a Eleonora
Duse e Sarah Bernhardt, ma che ha visto demolito il teatro locale a lei
intitolato. O, nemo propheta in patria! come gli autori di “Ambiente Delitto
Perfetto”, seconda edizione, 518 pagine, sottoscrizioni interamente devolute a
No TAV e Ricerca mesotelioma.
Ad ogni
modo, le sentenze del Tribunale di Alessandria hanno dato ragione a Umberto
Eco.
SENTENZA
SOLVAY
La
sentenza che ha più scandalizzato è relativa al Processo Solvay: la Corte di Assise ha chiuso l’anno emettendo l’ennesimo
ingiusto verdetto. Deludente e preoccupante. Deludente per le parti civili vittime
dell’ecocidio che esigeva condanne e risarcimenti severi. Preoccupante per gli
abitanti della Fraschetta, consapevoli che soltanto una costosissima bonifica
del territorio avrebbe potuto scongiurare un futuro di indagini epidemiologiche
con sempre più morti e malattie. Deludente e preoccupante anche per i Movimenti
italiani, considerando che il Presidente della corte Sandra Casacci è
contemporaneamente anche la nuova presidente del Tribunale. La sentenza infatti
è stata opportunamente collocata in “Ambiente Delitto Perfetto” fra le tante a
definire che “non esiste giustizia in campo ambientale”, con tanta pace per
innumerevoli comunità italiane che proprio dalla Magistratura di Alessandria
attendevano una coraggiosa inversione di tendenza ai processi che hanno
scandalizzato l’universo ecologista per la loro sostanziale impunità tramite la
derubricazione dei reati dal pesante dolo alla lieve colpa e le prescrizioni,
per non dire delle assoluzioni. Dopo la melina di 8 anni di udienze, contiamo
assolti i 4 imputati principali “perché il fatto non sussiste” e gli altri 4
minori (38 erano gli iniziali) condannati a lievi pene, per colpa. Condanne di
2 anni e 6 mesi invece che di 18 anni, risarcimenti in proporzione ma perfino a
chi (Comune, Provincia ecc.) si merita tutt’altro. Bonifica nel libro dei
sogni. La bomba ecologica di Spinetta Marengo equiparata… ad incidente per
attraversamento con il rosso. Tra le tante prove provate, alla giuria ne
bastava una per condannare per dolo: il cartello “acqua non potabile” era
apposto solo nei bagni dei dirigenti, nulla sapevano per decenni lavoratori e
cittadini. E invece: non dolo cosciente ma involontarietà della colpa. Facile
la prescrizione. I potenti vertici assolti: estranei all’avvelenamento doloso
delle falde e all’omessa bonifica. I condannati per semplice colpa: non ne
erano consapevoli... anche se avevano cercato di nasconderne le prove (con i
vertici). Le tonnellate di prove provate del PM: carta staccia. Vittime della
sentenza: le parti civili morte e ammalate e gli abitanti inquinati del
territorio, nonché il mondo ambientalista disarmato. Vittima la Giustizia insomma.
Solvay ha subito cercato di approfittare della sentenza riproponendo,
come solenne truffa mediatica dei giornali compiacenti, sperimentazioni
universitarie spacciate per progetto di bonifica. Medicina democratica ha
sfidato multinazionale e università alessandrina (lettera aperta al prof.
Domenico Osella, ignorata dai giornali) ad un confronto scientifico e pubblico,
a cui esse si sottraggono. I termini della nostra opposizione sono ampiamente
contenuti nel libro “Ambiente Delitto Perfetto”, che riassumiamo. La nostra
obiezione principale: i veleni tossici e cancerogeni che dai terreni colano in
falda profonda sono 21, e non il solo cromo esavalente. Per 20 la
sperimentazione si affiderebbe a radici di felci… che succhierebbero i veleni.
Ridicolo, non vale la pena di commentare. Per il cromo esavalente l’unica
soluzione sarebbero, secondo Solvay, “agopunturine” di ditionito di sodio nelle
natiche di un milione di metri cubi di veleni, escludendo peraltro la base
degli impianti. In otto punti abbiamo dimostrato dal punto di vista scientifico
che il metodo “annaffiatoio” è assolutamente inappropriato e inefficace,
giammai da premio Nobel per la chimica ad Osella. Inoltre la “sciacquatura” è
clamorosamente limitata all’interno di parte dello stabilimento, esclude la Fraschetta. Progetto
fasullo, ma serve per prendere tempo, alle calende greche. Fasullo, ma
certamente costa 100 volte in meno della nostra complessa proposta che rispetta
le prospettazioni a monte e a valle della fabbrica rivendicate dal Ministero
dell’Ambiente al processo: costituire una Commissione scientifica
internazionale che studi l’asportazione definitiva dei veleni dal territorio. I
terreni avvelenati vanno trattati in impianti dentro la fabbrica, dunque in
piena sicurezza esterna. E con incremento occupazionale per un complesso
chimico che resta pur sempre “una gallina dalle uova d’oro”.
SENTENZA AMAG
Se è giusta quella di Solvay, è ingiusta quella per l’ex
presidente Lorenzo Repetto. Ci dovrebbe essere una proporzione nelle pene. Gli
imputati della multinazionale (avvelenamento doloso della falda: 18 anni di
reclusione) con tanto di parti civili morti e ammalati hanno (alcuni, neppure
tutti) preso 2 anni e 6 mesi. Mentre Repetto 2 anni e 10 mesi... per aver fatto
la cresta sui rimborsi chilometrici! Nessun pietismo per il braccio destro del
sindaco Piercarlo Fabbio, anzi, fosse per noi saremmo più pesanti. Però che
dire della sentenza Solvay, anzi meglio non dire altro.
SENTENZA MICHELIN
Per la lettura della sentenza la giudice Milena Catalano,
ha impiegato una manciata di secondi assolvendo i cinque ex dirigenti accusati
di lesioni colpose gravissime per 20 casi di malattia professionale e di
omicidio colposo per la morte di 6 operai (cancro vescica, polmone, stomaco e
morbo di Hodgkin ecc,) riconducibili alle sostanze del ciclo produttivo degli
pneumatici attuato a Spinetta Marengo: anilina, ammine aromatiche,
N-Nitrosammina, orto-toluidina, amianto, idrocarburi, presenti sia nell’aria (e
quindi inalate) sia disciolte in solventi che gli operai manipolavano Per la
difesa il responsabile era la sigaretta, anche per i non fumatori (fumo
passivo). Il procedimento odorava da tempo di prescrizione, in qualche caso già
scattata, in altri non troppo lontana. Proprio a causa di un iter processuale
complesso e macchinoso, lacunoso per balbettanti e generici studi
epidemiologici e per inattendibili campioni di analisi prelevati direttamente dall’imputato
Michelin, il Pubblico Ministero Marcella Bosco, subentrante al PM onorario
Luisa Antonini, era stata comunque costretta a chiedere ulteriormente l’integrazione
della lunga istruttoria dibattimentale con nuovi più esaustivi approfondimenti.
La sentenza invece ha assolto tutti “perché il fatto non sussiste”. Per la Michelin di Spinetta
Marengo la storia di malagiustizia ripete altri procedimenti penali, per fatti
analoghi: c’erano stati un «non luogo a procedere», una sentenza di
assoluzione, un’archiviazione. I famosi
avvocati l’avevano sbandierato ai quattro venti che erano strasicuri di vincere
anche questa volta.
La multinazionale francese è abituata ad entrare e uscire
sempre indenne dal Tribunale di Alessandria. Colpa
delle sigarette: è la stessa tesi che fu sostenuta contro il PM Raffaele
Guariniello nel processo di Torino. Ma a Torino ci fu la condanna. Perché ad
Alessandria no e in altre aule di giustizia sì? Il perché lo spiega “Ambiente
Delitto Perfetto”. L’inchiesta era stata aperta su segnalazione di Inail e Asl.
L’indagine epidemiologica aveva evidenziato che dal 1972 al 2007 su 3.000
dipendenti ben 284 erano morti per tumore. Addirittura disaggregando qualche
dato, ad esempio esaminando i dati Istat (come fatto dal dossier di Medicina
democratica) sulle “cause di morte 1970-90 Michelin di Alessandria”, è
clamoroso notare che sul totale di 112 decessi Michelin ben 53 sono dovuti a
tumori: 47,4%, mentre la percentuale in Piemonte è 31,5%. Secondo l’ASL 20,
relativamente al periodo ‘92-’97, i decessi per tumori sul totale decessi sale
per Michelin al 50%. Un lavoratore su due. Eppure Guariniello, sulla base dei
casi segnalati per lo stabilimento di Torino-Dora dall’Osservatorio sui tumori
professionali da lui istituito, già nel lontano fine secolo scorso aveva
rinviato a giudizio e fatto condannare per omicidio colposo plurimo e lesioni
personali colpose i dirigenti della Michelin. Ad Alessandria il processo
avviato da CGIL invece si insabbia. L’intervento di Lino Balza su Il Piccolo è
del 20/02/98 e ha il merito (la colpa, secondo Michelin) di far riesplodere
quell’interessamento ormai sopito che aveva infiammato l’opinione pubblica e
soprattutto rischia di dare una scossa alla Magistratura che aveva dimenticato
i provvedimenti penali nei cassetti. Michelin querela Balza per diffamazione,
con risarcimento miliardario. Per Michelin la querela, al responsabile di
Medicina democratica noto da trent’anni per le sue battaglie per la
salvaguardia dell’ambiente e la tutela della salute dei lavoratori e dei
cittadini, si rivela un boomerang. Riaccende i riflettori. Il sindacato
riprende le denunce pubbliche. Michelin al centro dell’allarme ambientale e
sanitario della Fraschetta. Medicina democratica e Comitati rincarano la dose e
presentano in magistratura un altro esposto, 5.000 cittadini a loro volta
singolarmente firmano con le proprie generalità 5.000 esposti presentati anch’essi
alla Magistratura. Interrogazioni regionale e parlamentare per la costituzione
di commissione di indagine. Michelin ritira la querela. Peccato, Medicina
democratica aveva preparato un Dossier di mille pagine. (Consultare il blog http://medicinademocraticaalessandria.blogspot.it).
Riprende con lentezza il procedimento penale a seguito
della denuncia CGIL in merito ai reati contestati a sei dirigenti Michelin di
Spinetta Marengo “per avere per colpa consistita in negligenza, imprudenza e
imperizia, ed in particolare inosservanza delle norme sull’igiene del lavoro,
cagionato la morte di dieci lavoratori nonché lesioni personali gravissime” ad
altri sei. Medicina democratica purtroppo non è parte civile e non può
presentare il dossier. Nel febbraio 2010 il processo si conclude con un nulla
di fatto. Contemporaneamente si avvia nuovo processo, quello appena concluso.
SENTENZA SMOG
Ci sono processi molto meno complessi di quello Solvay, eppure… L’archiviazione-prescrizione-assoluzione
del GIP Paolo Bargero impedisce addirittura l’avvio, a carico del sindaco di
Alessandria, del procedimento penale promosso ben 9 anni prima da Medicina
democratica con denuncia per omissioni di atti di ufficio nella tutela della
salute pubblica. Viene così rilasciata licenza di impunità a tutti i sindaci
presenti e futuri, che è anche la condanna ai cittadini di ammalarsi e morire
per lo smog urbano. L’escamotage del PM Giancarlo Vona, nel chiedere l’archiviazione,
è consistito nel sostituire come capo di imputazione l’art. 328 (omissione di
atti di ufficio), che prevede la reclusione, con l’art. 674 (getto pericoloso
di cose) che prevede la contravvenzione pecuniaria. Il Gip, dopo nove anni,
appena subentrato alla collega che aveva invece accolto le richieste di
Medicina democratica di supplementi di indagini, non ha neppure letto l’esposto
basato sull’art. 328, si è risparmiato la lettura del volume di documenti e
perizie, e ha ordinato l’archiviazione per prescrizione. In “Ambiente Delitto
Perfetto” è istruttivo mettere a confronto la striminzita paginetta del Gip con
le 11 pagine A4 dell’opposizione di Medicina Democratica all’archiviazione
chiesta dal PM, in aggiunta alle 90 dell’esposto e successivi supplementi e
integrazioni. Dalla lettura, si possono cioè liberamente valutare le competenze
giuridiche del querelante (che non è avvocato) e dei giudici (che sono dottori
in legge). Mentre è interessante interrogarsi sulle competenze scientifiche,
che richiamano l’insistenza di Raffaele Guariniello affinché siano istituite
nell’ambito dei tribunali specializzazioni in materia di ambiente e salute,
nonché una procura nazionale per i reati ambientali.
SENTENZA FABBRICAZIONI NUCLEARI
E’ del Consiglio di Stato al quale ci siamo “affidati” grazie a una
entusiasmante sottoscrizione popolare, in quanto la Procura di Alessandria, di
fronte al nostro esposto denuncia, si nascose dietro il dito del Tribunale
amministrativo. Con la complicità di maggioranze e opposizioni del
Comune di Bosco Marengo, della Provincia di Alessandria e della Regione
Piemonte, il Ministero dello Sviluppo Economico aveva emesso (2008) un decreto
che avrebbe autorizzato la demolizione dell’impianto di fabbricazione di
combustibili nucleari di Fabbricazioni Nucleari di Bosco Marengo e la
conseguente costituzione di un deposito di rifiuti radioattivi: definito “temporaneo”
ma a tempo indeterminato e in luogo assolutamente inidoneo allo scopo, cioè non
sicuro. Perciò, oltre all’annullamento del procedimento di disattivazione, il
ricorso contro Sogin chiedeva, con istanza cautelare, di sospendere
immediatamente l’esecuzione del procedimento impugnato. Richiesta già formulata
d’urgenza alla Procura. Per noi si trattava di impedire con urgenza la
costruzione, già di per sé immediatamente rischiosa per lavoratori e territorio,
di un insicuro deposito di scorie nucleari da stoccarsi pericolosamente
(attentati, terremoto, falde acquifere ecc.) almeno fino al 2020 secondo la Regione e secondo la Sogin per un periodo del
tutto indeterminato. Senza ipocrisie: sarebbe stato un deposito definitivo.
Dove tombare in un indifeso capannone centinaia di fusti radioattivi vecchi e
nuovi. In un sito assolutamente inidoneo neppure per uno stoccaggio temporaneo:
sia per le condizioni antropiche del territorio (densità popolazione) sia per le
caratteristiche geomorfologiche del terreno (sismico, con falde), come
dimostrerebbero agevolmente le (omesse) indagini geotecniche e il (mancato)
assoggettamento alla valutazione di impatto ambientale VIA.
La costruzione
del deposito temporaneo ovvero definitivo, cioè del capannone, doveva essere
preceduto dallo smantellamento dell’impianto nucleare esistente di
Fabbricazioni Nucleari, di trattamento condizionamento-stoccaggio di materiali
radioattivi, con sversamento degli stessi nell’ambiente sia sotto forma di
effluenti liquidi (l’esondabile rio Lovassina) sia di effluenti aeriformi, con
gravissimo pericolo per il territorio circostante e per l’incolumità della
salute pubblica delle generazioni presenti e future. In alternativa, noi
sostenevamo che l’impianto doveva essere mantenuto in “custodia protettiva
passiva”, alla quale per legge era obbligata la Sogin: in sicurezza come era
avvenuto fino ad allora, in sollecitata attesa dell’individuazione dell’idoneo
deposito nazionale previsto dalla legge dove confluire le scorie di Alessandria
e degli alti impianti italiani, cioè con il rilascio del sito esente da vincoli
di natura radiologica, prato verde, senza deposito. La pronuncia del tribunale
amministrativo per Fabbricazioni Nucleari doveva inoltre diventare, nelle
nostre intenzioni, un precedente valido per tutto il territorio nazionale. Se a
noi favorevole, ad essa si sarebbero potuti appellare tutti i siti italiani che
hanno ereditato i rifiuti nucleari delle centrali dismesse (Trino, Saluggia,
Casaccia ecc.). La sentenza avrebbe messo in discussione l’intera strategia
nucleare del Governo (come affermato dallo stesso): il che spiega sia il
ritardo di 7 anni del pronunciamento del Consiglio di Stato sia l’esito
negativo. C’è stato un uso politico della giustizia: dimostra “Ambiente Delitto
Perfetto”.
Infine, dal
tribunale di Alessandria almeno attendiamo interventi, tra cui indagini
epidemiologiche e indagini idrogeologiche, come da noi richiesto, dopo il nostro esposto
del 2014 per i bidoni radioattivi sotterrati.
SENTENZA LAZZARO
MAURO E BRUNO
Altro episodio
che si aggiunge a quelli illustrati sul libro “Ambiente Delitto Perfetto”. Vi
ricordate dei braccianti schiavi a due euro all’ora dell’azienda agricola
Lazzaro di Castelnuovo Scrivia che per due anni non hanno percepito
retribuzioni, né TFR, né ferie, né straordinari, né festivi, né mancato
preavviso, dopo essere stati licenziati con un cartello appeso ad un palo della
luce? Ebbene, a parte la brutalità e la discriminazione razziale che hanno fatto
parlare anche le cronache nazionali, rispetto al contenzioso economico, di cui
ai conteggi contrattuali e ai ricorsi fatti dalla CGIL, le domande legittime
dei lavoratori sono state finora rigettate dal giudice del Lavoro di
Alessandria! Da quattro anni gli schiavi chiedono giustizia Tra l’altro i
Lazzaro sono già stati condannati a multe salatissime elevate dall’Ispettorato
del Lavoro e passate a sentenza, già trasmesse all’INPS, per evasione
contributiva e fiscale a danno dei lavoratori. Conclude il “Presidio permanente
di Castelnuovo Scrivia”: “Andremo avanti, ricorreremo in appello, e se non
basta anche in Cassazione, raccoglieremo aiuti con la solidarietà e con il
contributo di tutti i cittadini onesti a cui sta a cuore il mondo del lavoro
salariato. Attendiamo anche di vedere cosa accadrà con le prossime cause civili
e, soprattutto, con il procedimento penale pendente sui Lazzaro. Dovete sapere
che questa è la battaglia, non dei 40 braccianti marocchini dell’azienda
agricola Lazzaro ma è la battaglia di tutti i lavoratori a difesa dei propri
diritti e della propria dignità!” Consideriamo che anche in molte altre aziende
agricole della zona sono praticate condizioni di lavoro non solo di grave
sfruttamento ma anche di vera e propria riduzione in schiavitù.
SENTENZA
ITALSIDER ILVA
Sono stati
sufficienti cinque minuti alla PM Annamaria Fornari per chiedere l’assoluzione
dei cinque dirigenti dell’Ilva ex Italsider di Novi Ligure accusati di omicidio
e lesioni colpose dalle vittime dell’amianto blu, crocidolite, con un
potenziale cancerogeno di 500 volte più elevato del crisolito.
Dal lontano 2009
si erano succeduti diversi magistrati, così che la subentrante giudice Stefania
Nebiolo Vietti ne ha condannato uno a tre mesi con la condizionale, due i
prescritti, e due i deceduti. Dei cinque il più “giovane” ha 83 anni. Per dire
quanto è veloce, e giusta, la giustizia. Il verdetto è stato emanato sulla base
di una sola inaffidabile perizia frutto, secondo gli avvocati di parte civile,
dei pregiudizi che il consulente insegue, al punto da ignorare la reale
presenza dell’amianto in fabbrica e le testimonianze “non scientifiche” degli
operai, addirittura che non esiste una soglia minima di fibra sotto la quale
non ci si possa ammalare di mesotelioma.
Su “Ambiente
Delitto Perfetto” questa sentenza conclude una lunga sequenza di sentenze
amianto, tra cui la più vergognosa quella dell’Eternit di Casale Monferrato.
I CANDIDATI
SCONFITTI
Anche quest’anno, al secondo posto del Premio Attila
troviamo Maria Rita Rossa, sindaca di Alessandria, PD. Detta l’eterno
secondo, come Gaetano Belloni. Belloni era un fuoriclasse ma davanti trovava
Costante Girardengo, il campionissimo.
Rossa da anni ci sta tentando di
vincere. Eppure nel suo curriculum in continuo arricchimento enumera il Comune
in dissesto che taglia i dipendenti, lo spreco di milioni di euro per un ponte
inutile e faraonico, la non realizzazione dell’Osservatorio ambientale e dell’Indagine
epidemiologica della Fraschetta, il feeling con Solvay e il Premio Attila Carlo
Cogliati, la solidarietà e l’aiuto al Premio Attila Angelo Riccoboni e alle sue
contestatissime discariche sopra le falde, la nomina al vertice di Slala del
Premio Attila Bruno Binasco braccio destro e parafulmine dei Gavio.
Soprattutto ha conseguito l’ultimo
posto in classifica nazionale sindaci (Il Sole24Ore) di gradimento dei
concittadini. Vi ha aggiunto il viaggio a Genova allo stadio di Marassi, in
auto e autista a spese del Comune, per assistere al Tim Cup Genoa Alessandria.
Niente di paragonabile con l’Airbus A340-500 di Matteo Renzi. E neppure con le
creste di carburate Amag di Lorenzo Repetto e con i riffa raffa di Maurizio
Grassano pluricondannato e ovviamente onorevole.
La sindaco meno amata d’Italia (dunque destinata in
parlamento) ci riproverà al Premio Attila 2016, e tra gli amministratori locali
già si profilano le concorrenze di Massimo Berruti (Tortona, Forza Italia),
Paolo Lantero (Ovada, PD) e Davide Sandalo (Casale Monferrato, PD).
Si riproporranno probabilmente anche gli altri
sconfitti 2015: Claudio Lombardi assessore ambiente Comune di Alessandria,
Gianfranco Gazzaniga sindaco Bosco Marengo, Bruno e Mauro Lazzaro cascina di
Castelnuovo Scrivia, Angelo Riccoboni discarica Sezzadio, Alessandro Guarini,
direttore Tazzetti Casale Monferrato. In più c’è una folta schiera di
giornalisti che stanno scalpitando.
Messaggio di pace e salute inviato a
14.963 destinatari da:
Barbara Tartaglione b.tartaglione@tiscali.it
MEDICINA DEMOCRATICA - MOVIMENTO DI
LOTTA PER LA SALUTE
onlus
via dei Carracci 2
20100 Milano
5 x mille 97349700159
Sottoscrizione (Socio+Rivista) ordinaria
35€ o sostenitrice 50€
Bollettino bancario IBAN
IT48U0558401708000000018273
bollettino postale CCP1016620211-IBAN
POSTE IT02K0760110800001016620211
entrambi intestati a Medicina
Democratica onlus
Sezione provinciale Alessandria
via Dante 86
15121 Alessandria
telefoni: 347 01 82 679, 338 27 93 381
pagina
Facebook: https://www.facebook.com/MedicinaDemocraticaAlessandria
pagina
Youtube: https://www.youtube.com/channel/UCnZUw47SmylGsO-ufEi5KVg
---------------------
From: Gino Carpentiero ginocarpentiero@teletu.it
To:
Sent: Thursday, March 17, 2016 9:03 AM
Subject: INVITIAMO LA COMUNITA’
SCIENTIFICA A RIFLETTERE SUI POSSIBILI EFFETTI DELL’INTRODRODUZIONE DEL TTIP
Da
Epidemiologia & Prevenzione
Saluti
Gino
Carpentiero
INVITIAMO LA COMUNITA’ SCIENTIFICA A RIFLETTERE SUI POSSIBILI EFFETTI DELL’INTRODUZIONE DEL TTIP
Cari lettori,
in attesa dell’uscita
del prossimo numero di E&P, pubblichiamo in advance un
articolo scientifico di Roberto De Vogli e Noemi
Renzetti che analizza nel dettaglio i possibili effetti negativi
sulle politiche di salute pubblica del partenariato transatlantico sul
commercio e gli investimenti (TTIP).
L’articolo è
accompagnato da un editoriale di Paolo Vineis sull’epidemiologia della
globalizzazione.
Già da ora potete
leggere e scaricare:
-
P.
Vineis “Epidemiologia della globalizzazione“;
-
R.
De Vogli e N. Renzetti “Il potenziale impatto del
partenariato transatlantico sul commercio e gli investimenti (TTIP) sulla
salute pubblica”;
-
il comunicato stampa.
Tutti i materiali citati si trovano qui:
www.epiprev.it
Vi invitiamo a
leggere e vi ricordiamo che sotto ogni articolo c’è uno spazio per i commenti
aperto a tutti.
Buona lettura
---------------------
From: Posta Resistenze
posta@resistenze.org
To:
Sent:
Thursday, March 17, 2016 2:22 PM
Subject: DELEGATI FIOM FCA: GLI INCOMPATIBILI NON
SIAMO NOI
Da “Il sindacato è un’altra cosa Opposizione CGIL” http://sindacatounaltracosa.org
E’ veramente
difficile convincersi di vivere e rivendicare diritti di un paese democratico…
Siamo un
gruppo di iscritti e delegati della FIOM CGIL , tutti lavoratori negli
stabilimenti FCA del centro sud, giudicati dalla Commissione Statutaria interna
alla nostra Organizzazione incompatibili con la stessa, in quanto facciamo
parte di un coordinamento di lavoratori FCA del centro sud che al suo interno
ha colleghi appartenenti ad altre sigle sindacali.
Essere
incompatibili può significare espulsione, può significare toglierci la delega
da RSA, compromettendo le nostre iniziative all’interno delle fabbriche e nei
rapporti con i lavoratori da noi rappresentati e per i quali spesso siamo l’unico
riferimento sui luoghi di lavoro.
Sentirsi
giudicati incompatibili alla CGIL perchè cerchiamo, con determinazione, un
confronto con altri colleghi che subiscono le stesse nostre condizioni,
rispetto alle quali è nostra intenzione ribellarci e determinare una svolta che
ci ridia diritti e dignità, ha dell’incredibile!
La storia
della CGIL dimostra che azioni come la nostra sono sempre state valorizzate e
mai giudicate tanto negativamente.
Noi portiamo
avanti quei valori di aggregazione, è abbastanza evidente che il sindacato di
cui facciamo parte cerca di contrastarli.
Perchè usare
tanta repressione? Le risposte, a nostro modo di vedere sono molteplici, in
capo a tutte c’è la volontà di normalizzare un sindacato che per molti è
rimasto l’unico, tra i confederali, che possa ancora rimettere in discussione
la difesa della classe operaia.
Normalizzare
il conflitto e diventare come FIM e UILM, cioè come quei sindacati che hanno
fatto di tutto per metterci fuori dagli stabilimenti FCA, e ai quali sempre più
spesso i vertici FIOM tendono la mano in segno di pace, ecco...questo sì che
dovrebbe essere considerato incompatibile con il nostro Statuto.
Siamo
delegati che continuano a proclamare scioperi in FCA, spesso rivendicando quell’autonomia
che è in capo ad ogni sindacalista di fabbrica, è questo uno dei problemi?
Siamo dei
lavoratori che, al di là delle appartenenze sindacali, cercano di difendersi,
difendersi da un padrone sempre più autoritario, che quando colpisce i propri
dipendenti non fa alcuna distinzione, colpisce tutti, ed è da questo
presupposto che è partita l’idea di coordinarci, di fare fronte unico. Questo
non vuol dire assolutamente creare un parasindacato, assolutamente no!!!
Questo
significa cercare altri colleghi, che come noi, voglio unirsi sui posti di
lavoro per fare della lotta alla prepotenza l’unica strada perseguibile.
Un’ultima
precisazione ci sentiamo di fare, e riprende la frase a titolo della nostra
lettera, in quale luogo che si definisce democratico, si giudicano ed
eventualmente condannano delle persone senza averle nemmeno ascoltate? In un
Paese civile nessuno...ma è quanto accaduto a noi, da quando abbiamo appreso da
altri e non dalla CGIL, di essere sotto indagine non ci è mai stata data la
possibilità di motivare le nostre scelte in merito all’oggetto della
discussione.
Nessuno ci
ha convocati per chiederci spiegazioni, pur avendo incontrato spesso i
segretari che avevano fatto denuncia alla Commissione Statuto CGIL, nessuno ci
ha informati, possiamo affermare senza paura di essere smentiti che è stato
fatto tutto alle nostre spalle...
Questo è in
assoluto un atteggiamento autoritario, nei Paesi meno democratici al mondo si
finge un processo, a volte anche sommario, la nostra organizzazione ha saputo
fare di peggio.
In
conclusione, di cosa siamo accusati, di fare gruppo con altri colleghi per
difenderci a vicenda? Se questa è la preoccupazione del nostro sindacato più
che del padrone, forse gli incompatibili all’organizzazione di Di Vittorio non
siamo noi...
Martedì, 8
Marzo 2016
Iscritti e
delegati della FIOM CGIL in FCA
Maria
Labriola Direttivo FIOM Melfi
Stefania
Fantauzzi RLS/RSA FIOM Termoli
Giuseppina
Imbrenda RSA FIOM Melfi
Michela
Canci RSA FIOM Sevel
Francesca
Felice Direttivo FIOM Sevel
Massimiliano
Fierro RLS/RSA FIOM Termoli
Antonio
Langone RSA FIOM Melfi
Fabio D’Ilio
RSA FIOM Termoli
Antonio
Lamorte RSA FIOM Melfi
Domenico
Cappella RSA FIOM Termoli
Domenico De
Stradis RSA FIOM Melfi
Ernesto
Marcovicchio RSA FIOM Termoli
Silvano
Fanelli Direttivo FIOM Melfi
Leonardo Di
Maio Direttivo FIOM Termoli
Antonio De
Stefano iscritto FIOM Melfi
Antonio
Genovese iscritto FIOM Melfi
Marco
Pignatelli Direttivo FIOM Melfi
Luciano
Chiavaroli Direttivo FIOM Sevel
---------------------
From: Maurizio
Marchi maurizio.marchi1948@gmail.com
To:
Sent:
Sunday, March 20, 2016 1:18 AM
Subject: RIGASSIFICATORE FERMO?
PAGA LO STATO!
Riccardo
Chiari
Il manifesto
Edizione del
18/03/16
Grandi opere
inutili. Medicina Democratica denuncia lo scandalo degli 80 milioni pubblici ai
due colossi dell’energia E.On e Iren, come rimborso statale per il ridotto
utilizzo del contestatissimo rigassificatore off-shore Olt alla Meloria. Ma per
il governo è strategico. De Vincenti: “Serve all’approvvigionamento energetico”.
Ottanta milioni
di euro pubblici a due colossi dell’energia (la tedesca E.On e la nostrana Iren)
come rimborso statale per il ridotto utilizzo nel 2015 di un impianto privato.
Già questo potrebbe bastare per gridare allo scandalo. Se poi l’impianto in
questione è il contestatissimo rigassificatore off-shore Olt, costruito al
largo della costa pisano-livornese nonostante una robusta opposizione popolare,
il cerchio si chiude.
Arriva da
Medicina Democratica la denuncia di un caso da manuale di come gli interessi
privati possono essere molto persuasivi nei confronti dei decisori pubblici. “Niente
di nuovo sotto il sole?” – si chiede retoricamente l’associazione – “No, questa
è una novità, questo tipo di incentivo era inedito, e non ancora praticato da
nessuno”. Tranne che da E.On e Iren, già destinatari di 45 milioni usciti dalla
casse statali nel biennio 2013-14.
Per capire
il patologico meccanismo che permette alla multinazionale tedesca, e alla SpA
italiana delle ex municipalizzate di Torino, Genova, Parma, Piacenza e Reggio
Emilia, di incassare senza colpo ferire 125 milioni in un triennio, ci sono due
termini chiave: “peak shaving” (“picchi di consumo”), e “fattore di garanzia”.
L’allora viceministro allo sviluppo economico Claudio De Vincenti li utilizzò
entrambi, per rispondere nel 2014 alle prime polemiche, quando divenne chiaro
che c’erano dei costi in bolletta per il riconoscimento a Olt di una tariffa
garantita anche in caso di ridotto utilizzo del terminal.
De Vincenti
fu chiaro: per il governo Renzi il rigassificatore offshore era una struttura
strategica per la sicurezza energetica italiana. “In virtù del servizio di peak
shaving, che rende possibile in caso di punte di fabbisogno una immissione
immediata di 10 milioni di metri cubi di gas al giorno, l’apporto del
rigassificatore Olt permette di non far gravare sul sistema il costo della
interrompibilità del gas, pari a 70 milioni l’anno, e quello del mantenimento
in stand by di centrali ad olio, pari ad altri 90 milioni. Nel complesso per
gli italiani si tratta di un risparmio in bolletta di 160 milioni. Circa il
doppio del costo massimo del fattore di garanzia riconosciuto ad Olt”.
Per i tanti
critici della grande opera, che la consideravano inutile fin dall’avvio della
progettazione (poi la crisi ha fatto il resto), la decisione politica di
riconoscere comunque a Olt una tariffa sicura, anche qualora i serbatoi non
fossero utilizzati a pieno regime, era la prova provata del fallimento dell’iniziativa
commerciale. Un fallimento di mercato, conclamato lo scorso anno, a giudicare
dalla richiesta di E.On e Iren di accedere al “costo massimo del fattore di
garanzia”, per dirla come De Vincenti. Tradotto vuol dire 80 milioni, incassati
dopo il nulla osta a fine febbraio da parte dell’Autorità dell’energia
elettrica e il gas.
Medicina
Democratica tira le somme: “Dato che Olt ha dichiarato di aver investito circa
900 milioni, questa rendita, ottenuta senza fare niente, ammonta a quasi il 10%
dell’investimento. Una rendita che neanche le banche più speculative riescono
ad ottenere. Sono i miracoli dell’era Renzi-Merkel, dove si toglie
drasticamente ai poveri e ai diritti sociali per dare ai ricchi e alla
speculazione”.
Difficile
dar torto all’associazione, che con il suo circolo costiero fu in prima linea,
con il PRC toscano e le realtà antagoniste e di movimento delle province di
Livorno e di Pisa, nell’opposizione al rigassificatore Olt. Una Olt che poi,
come “compensazioni” al territorio, elemosina cinque milioni alle
amministrazioni locali per i lavori a un canale che consentirà la navigabilità
dal porto di Marina di Pisa a quello di Livorno. Mentre l’altro big player dell’energia
Edison, visto come vanno le cose, sta provando a fare un suo rigassificatore a
Rosignano.
---------------------
From: Clash City
Workers cityworkers@gmail.com
To:
Sent: Sunday,
March 20, 2016 9:06 AM
Subject: ENRICO FORMISANO,
UCCISO DAL LAVORO (NERO)
Lavorava a nero,
senza copertura assicurativa e senza alcuna tutela, Enrico Formisano, l’operaio
campano di 37 anni, morto giovedì pomeriggio travolto dalle scenografie di “Medea”,
spettacolo teatrale.
Purtroppo questo
decesso non è un “incidente isolato”, prima di lui, ricordiamo, sempre nel
circoscritto mondo dello spettacolo, Francesco Pinna (per il palco di
Jovanotti), Matteo Armellini (per il palco della Pausini), Khaled Farouk Abdel
Hamid (per il palco dei Kiss). A Roma, infatti, è nato il Collettivo
Autorganizzato Operai dello Spettacolo proprio per rivendicare migliori
condizioni di vita e di lavoro.
I numeri parlano chiaro: “i decessi sul
lavoro nel 2015 sono aumentati del 43% in Toscana, rispetto all’anno
precedente. Dai 76 casi del 2014 ai 109 dell’anno conclusosi soltanto poco più
di due mesi fa. La provincia di Firenze guida la triste classifica di morti
bianche con 22 vittime totali [...]. il territorio pisano segue con 16 decessi”,
come riportato dall’Osservatorio sulla Sicurezza Vega Enegeneering
I giornali locali,
nelle prime ore, avevano liquidato velocemente la tragica morte di Enrico
dicendo che i lavoratori “dovevano aspettare dei colleghi da Genova, ma per
recuperare tempo lui [Enrico] ha cominciato a scaricare le scenografie”, come se
fosse stata “tutta colpa sua”, come se avesse avuto fretta.
Ma non ci tornava.
Infatti dopo poco, arrivano i comunicati dei sindacati di base Cobas e Usb che
denunciano le condizioni del lavoro dei magazzinieri: dall’inquadramento
contrattuale, ai ritmi, alla sicurezza, come ci ricordano i lavoratori del
Teatro Goldoni di Livorno. Ed ecco, infatti, che oggi apprendiamo dai giornali
che “I Carabinieri di Pontedera, intervenuti insieme al personale del Dipartimento
di Prevenzione dell’ASL (Medicina del lavoro) subito dopo la tragedia, hanno
avuto molte difficoltà, considerato anche le reticenze di chi si è trovato a
dover ammettere una scomoda verità, nel ricostruire il rapporto di lavoro che l’operaio
aveva con l’azienda Liberato Massimo srl di San
Giorgio a Cremano, una delle più conosciute nel settore dei
trasporti per i teatri [...] Che la posizione della vittima, per quanto
riguarda contributi e contratti, potesse non essere regolare era stato
ipotizzato già nei minuti successivi alla tragedia. Lentamente, poi, la verità
è emersa. L’operaio, che abitava ad Ercolano, di fatto aveva una collaborazione
con l’impresa Liberato Massimo, anche se dai resoconti del
pagamento di stipendi e contributi non risulta la continuità formale del
rapporto. Ci sono poi aspetti dell’inchiesta che riguardano la
sicurezza nei luoghi di lavoro: anche questi sono al vaglio di carabinieri e ASL”.
Per questo
rilanciamo, con tutta la nostra rabbia e determinazione, la campagna contro il
lavoro nero, avviata dai compagni della Camera Popolare del Lavoro all’Ex Opg
di Napoli.
BASTA MORTI SUL
LAVORO
---------------------
To:
Sent: Sunday,
March 20, 2016 3:05 PM
Tornando al tema “Quando la legge
genera mostri”, oggi voglio parlare degli organismi paritetici/enti
bilaterali con riferimento a quanto previsto dal D.Lgs. 81/08, dal D.Lgs.
276/03 di attuazione della L. 30/03 (legge Biagi) e da accordi sindacali o
dalla contrattazione nazionale.
Ma partiamo dalle definizioni.
Secondo il D.Lgs. 81/08, articolo 2, comma 1, lettera ee) gli “organismi paritetici” sono organismi
costituiti a iniziativa di una o più associazioni dei datori e dei prestatori
di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, quali sedi
privilegiate per:
-
la programmazione di attività formative e l’elaborazione e la raccolta di
buone prassi a fini prevenzionistici;
-
lo sviluppo di azioni inerenti alla salute e alla sicurezza sul lavoro; l’assistenza
alle imprese finalizzata all’attuazione degli adempimenti in materia;
-
ogni altra attività o funzione assegnata loro dalla Legge o dai Contratti
collettivi di riferimento.
Li troviamo citati ancora ogni qualvolta si parli di formazione (vedi articolo
37, commi 7-bis e 11) fino al famigerato (e in gran parte inattuato) articolo
52 “Sostegno alla piccola e media
impresa, ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza territoriali e alla
pariteticità” che recita “Presso
l’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro
(INAIL) è costituito il fondo di sostegno alla piccola e media impresa, ai
rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza territoriali e alla pariteticità...”.
Ancora ne parlano, cercando di chiarire caratteristiche e ruolo, accordi di
Conferenza Stato-Regioni sulla formazione, interpelli e circolari. Al
contrario, tacciono proprio quelle organizzazioni che più dovrebbero
interessarsene: le associazioni dei datori di lavoro e i sindacati dei
lavoratori.
Un “bailamme” spaventoso creato non certo per migliorare il sistema italico
delle relazioni industriali, ci mancherebbe altro, ma solo perché lor signori
degli organismi paritetici/enti bilaterali possano effettuare la formazione
obbligatoria per la sicurezza sul lavoro prescindendo da qualsiasi
accreditamento.
A proposito gli organismi bilaterali mica ci sono nel Testo Unico salvo che
per una clausola di salvaguardia di organismi bilaterali o partecipativi già
esistenti e previsti da accordi sindacali, ma non serve sottilizzare troppo.
Per chi volesse saperne di più sull’argomento, l’analisi puntuale di Pietro
Ferrari, anche per capire le differenze si trova al link:
E allora avanti. Ecco il nuovo mercato, come ci hanno insegnato le recenti
fiere specializzate di Modena e Bologna dove gli organismi paritetici (e gli
enti bilaterali) hanno fatto la parte del padrone. Tutti con i loro banchetti e
le brochure in carta patinata bene in vista: “Ope legis” di diritto forse no, ma di fatto sicuramente.
E allora come condannare la giovane che l’altro giorno in un forum
denunciava che nell’azienda in cui lei è RSPP, si è presentato (testuali
parole) “il venditore” di un
ente bilaterale che ha proposto per soli 5 euro/cad. di timbrare tutti gli
attestati rilasciati a seguito dei corsi di formazione effettuati da un ente
formatore accreditato, con la seguente motivazione: “così avranno maggior valore”.
E che dire del baldo giovane tecnico della prevenzione, laureato, che
sempre su FB chiedeva gli estremi di una legge per poter organizzare un corso
di formazione senza dover passare attraverso i “famosi” organismi paritetici.
In pratica come erogare formazione illegittima, ma a norma di legge.
Spaventoso.
Per non parlare del dibattito, sempre nei gruppi tecnici di Facebook, che
ha fatto seguito alla risposta data dal Ministero del Lavoro a un interpello
e che confermava che non è sanzionabile la mancata richiesta di collaborazione
agli organismi paritetici per l’organizzazione della formazione per i
lavoratori. Gli epiteti usati nei confronti degli organismi paritetici,
costituiti dalle organizzazioni sindacali di datori di lavoro e lavoratori,
erano le più variegate: da ladri a maledetti! Ce l’avevano forse con CGIL, CISL,
UIL o l’UGL (che in questo ambito spopola)? Ma figurarsi, ormai la miriade di
sigle di organizzazioni vere o farlocche ti porta a fare di tutta l’erba un
fascio.
Ma dietro la costituzione degli organismi paritetici e gli enti bilaterali
chi c’è, e chi si muove? Associazioni professionali o imprenditoriali, spesso
di nuovissima costituzione e, altrettanto nuovi, sindacati dei lavoratori. “Quattro amici al bar” che individuano
un contratto di lavoro da condividere (ce ne sono 700 a disposizione e se non
bastassero se ne importa uno dall’estero). Prima si fa nascere l’organizzazione
di categoria (tanto non ci sono regole, manco il bilancio devono esporre) e poi
si costituisce l’organismo paritetico o l’ente bilaterale. Ed ecco che il
mercato della formazione è a portata di mano potendo questi operare ovunque per
formare chiunque e comunque.
Come? Dite che non rispecchiano le caratteristiche previste da norme,
accordi e circolari? Poco male, intanto avanti che di certo gli ispettori del
lavoro mica interverranno ad annullare i corsi effettuati e gli attestati
rilasciati. E nemmeno lo faranno i giudici quando si dovesse verificare un infortunio
con una causale strettamente collegata alla formazione.
E
allora via con gli acronimi e le sigle più fantasiose. Organizzazioni di
categoria, associazioni sindacali e i loro (di diretta emanazione)
organismi paritetici ed enti bilaterali: EBAFOS, EBASIL, ENBIC, EBINART, ENBIMS, EBINTER, EBILGEN, EBTER, EBNT,
EBINTERC, EBFORM, EBINFOP, EBLIG, EBLIT, ENBIC, EFEI, EBPMI, EBSIL, EBTU,
EBITEN, EBNAC e, per quanto riguarda la serie delle organizzazioni
imprenditoriali e quelle sindacali di lavoratori, eccovi accontentati: CISAS, SLI, FAST, CONFSAL, PMI Italia, AICAP,
CIU, USAE, FISMIC, CUB...
Non se ne abbiano a male gli esclusi dalla lista che avrei voluto redigere
con l’unico scopo di elencarle al fine di censirle e semmai censurarle.
E infine un breve, ma significativo stralcio di quanto scritto qualche
tempo fa da Maurizio Di Cunzolo dal titolo significativo “Io sono più paritetico di te”:
...si parla del comma 12 dell’articolo 37 “La formazione dei lavoratori e
quella dei loro rappresentanti deve avvenire in collaborazione con gli
organismi paritetici, ove presenti nel settore e nel territorio in cui si
svolge l’attività del datore di lavoro, durante l’orario di lavoro...omissis...”.
Ebbene, questo comma ha dato naturalmente spazio a chiunque di costituire
il suo Organismo Paritetico settoriale, provinciale, regionale, verticale,
orizzontale e perchè no, trasversale. Ci sono quelli storici dell’edilizia,
quello dell’artigianato e quello del turismo, quello degli impiantisti e quello
delle piccole imprese alimentari, ma poi ci sono anche le grandi imprese
alimentari e quelle agricole, non dimentichiamoci poi di quello/i generico/i
della formazione sulla sicurezza (ad oggi sono 3).
Le sigle sono le più svariate e le più fantasiose e tutto sta nel riuscire
a crearsi l’acronimo più accattivante. C’è poi quello che dice di essere l’unico
legittimato dalla Direzione Provinciale del Lavoro di questa o quella
provincia, c’è il terrorista di turno che si permette il lusso, evidentemente
approfittando della buona fede e della fiducia riposta, di dire che “senza la nostra collaborazione vi
invalideremo la formazione”, quello che sottolinea che la formazione
deve essere effettuata esclusivamente presso la sua sede o con la presenza di
suoi docenti...
Perchè soltanto ora stiano nascendo in gruppo tutti questi Organismi Paritetici/Enti
Bilaterali è evidente: la fetta di mercato è vasta e notevolmente appetibile.
Chi con un contributo una tantum, chi con un contributo addirittura per
attestato rilasciato o chi con la messa in campo di vere e proprie squadre di
formatori pronti a diffondere la loro onniscienza, tutti si sono ben organizzati
sul piano delle convenzioni e degli accordi economici con le aziende e i
professionisti. Tutto questo a scapito di chi o cosa? Ma naturalmente delle
aziende che, soprattutto in questo difficile periodo, con queste premesse sono
sempre meno invogliate a investire sulla sicurezza.
Di chi è la colpa di tutto questo pasticcio? Non di chi ha colto la palla
al balzo, figuriamoci, ma dell’estensore della norma che, anche in questo caso,
ha lasciato libero spazio alle interpretazioni. Nel caso specifico il grande
errore commesso è stato il non chiarire cosa si dovesse intendere per “collaborazione”,
dando la possibilità a tutti coloro i quali hanno “salpato le loro corazzate”
di interpretarla a proprio uso e consumo...
Franco Mugliari alias Muglia La Furia
mail: fmuglia@tin.it
---------------------
From: Alessandra
Cecchi alexik65@gmail.com
To:
Sent:
Sunday, March 20, 2016 5:22 PM
Subject: WARNING:
IL TTIP PUO’ DANNEGGIARE GRAVEMENTE LA SALUTE PUBBLICA
da
Epidemiologia & Prevenzione
15 marzo 2016
COMUNICATO STAMPA
WARNING: IL TTIP PUO’ DANNEGGIARE GRAVEMENTE LA SALUTE PUBBLICA
Il trattato USA-UE sul commercio e gli investimenti,
dal 2013 oggetto a Bruxelles di negoziati per lungo tempo tenuti segreti, getta
molte ombre su temi rilevanti per la salute dei cittadini.
Un articolo pubblicato su Epidemiologia & Prevenzione analizza da una prospettiva di sanità pubblica gli
aspetti che possono mettere a rischio non solo la qualità dei cibi, ma anche l’accesso
alle cure sanitarie dei cittadini, le politiche di contrasto ai cambiamenti
climatici, fino a intaccare la sovranità dei singoli Stati europei nella scelta
del proprio sistema sanitario.
Una minaccia non solo per la salute degli individui,
dunque, ma anche per la stessa democrazia in Europa.
Il
potenziale impatto del partenariato transatlantico sul commercio e gli
investimenti (TTIP) sulla salute pubblica è il titolo dall’articolo
pubblicato da Epidemiologia & Prevenzione, rivista dell’Associazione italiana di epidemiologia, a firma di Roberto De Vogli e Noemi Renzetti (University
of California Davis, US) in cui vengono passati in rassegna i diversi capitoli
del TTIP che potrebbero interagire con la tutela della salute dei cittadini
europei.
Il TTIP, versione
europea dei trattati di libero commercio (NAFTA e TPP) già in vigore dall’altra
parte del mondo, è un testo complesso. Gli autori analizzano i possibili
effetti sulla salute dell’introduzione del Trattato, scandagliandone
meticolosamente il testo, mettendo a confronto le opinioni di sostenitori e
detrattori, e sostanziando la loro analisi con esempi
concreti.
ACCESSO AI FARMACI E ALL’ASSISTENZA SANITARIA
In teoria,
favorendo gli scambi tra le due sponde dell’Oceano e promuovendo una maggiore
cooperazione tra le istituzioni governative che sovrintendono alle politiche
dei farmaci, il TTIP potrebbe migliorare la cooperazione scientifica nella
ricerca farmacologica e ridurre la duplicazione di processi. Ma il capitolo
sulla proprietà intellettuale e sugli aspetti commerciali a essa connessi, che
estendono il monopolio dei brevetti, porterebbe a un aumento dei prezzi dei medicinali e, in ultima istanza, a
diminuire l’accesso alle cure, soprattutto dei soggetti più svantaggiati.
Non solo. Una
possibile minaccia viene dal capitolo relativo all’accordo sui servizi che,
oltre a prevedere l’apertura dei servizi sanitari pubblici alla concorrenza,
anche privata, comprende una clausola cosiddetta “antiarretramento”, che
impedisce a servizi pubblici che siano stati privatizzati di ritornare in mano
pubblica, configurando “una grave violazione contro la
libertà delle nazioni di scegliere il proprio sistema sanitario di preferenza”.
CONSUMO DI ALCOL E TABACCO
Episodi già
verificatisi in diverse parti del mondo dimostrano come politiche attuate per
limitare il consumo di alcol e tabacco siano state attaccate in quanto
considerate ostacoli al libero commercio.
Una situazione
aggravata dal capitolo del TTIP riguardante le controversie tra investitori e
singoli Stati, che consente agli investitori
stranieri di citare in giudizio, di fronte a tribunali internazionali privati,
gli stati che abbiano approvato una legge in grado di ridurre il
valore del loro investimento. “Un meccanismo che le multinazionali del tabacco
hanno già mostrato di essere ben predisposte a sfruttare” sottolineano De Vogli
e Renzetti ricordando il caso dell’Uruguay, citato in giudizio da Philip Morris
nel 2010 per aver apposto immagini shock sui pacchetti di sigarette a fini
dissuasivi.
PATOLOGIE CORRELATE ALLA DIETA E L’AGRICOLTURA
Spingere verso
regimi normativi meno restrittivi nel commercio è uno degli obiettivi del TTIP
che potrebbe avere riflessi negativi sia sui consumi alimentari sia sulla
sicurezza degli alimenti.
L’esempio del
Messico è illuminante: dalla introduzione del NAFTA, nel 1994, e il conseguente
aumento della presenza nel Paese di multinazionali del fast food e dei soft
drink, il Messico è al secondo posto nel mondo per consumo di bevande
zuccherate e ha una delle più alte prevalenze di diabete nel Pianeta.
Ma c’è un altro
rischio, questa volta collegato al capitolo “misure sanitarie e fitosanitarie”
che riguarda le norme sulla presenza negli alimenti di additivi alimentari,
contaminanti, tossine. Il pericolo è che le norme europee vengano annacquate
per avvicinarsi a quelle, notoriamente meno restrittive, d’Oltreoceano.
Potrebbero così aumentare le importazioni non solo di cibi
geneticamente modificati, ma anche di carni bovine trattate con ormoni e di polli trattati con il cloro (pratiche permesse negli
Stati uniti).
SALUTE AMBIENTALE
“Il più grave
effetto sulla salute del TTIP presumibilmente riguarda la sua capacità di
influenzare le politiche ambientali» sostengono gli autori. Per esempio, le
disposizioni in merito alle controversie tra investitori e Stati «potrebbero
molto probabilmente essere sfruttate da grandi aziende di combustibili fossili
per citare in giudizio quei governi che cercano di limitare
l’estrazione e l’esportazione dei combustibili stessi”, in
contraddizione con gli impegni appena presi dalla conferenza sul clima di
Parigi.
PROFITTO VS SALUTE
Gli autori
concludono con una valutazione delle possibili ricadute del TTIP sulle politiche
interne degli Stati, portando come esempio anche quanto già verificatosi in
altri Paesi dove da anni sono in vigore simili trattati di libero scambio (come
il NAFTA in Nordamerica).
“La nostra analisi”
- affermano - “dimostra come, nonostante i promotori del TTIP sostengano che il
trattato produrrà effetti vantaggiosi su fattori in grado di migliorare la
salute, come la crescita economica e l’occupazione, l’evidenza storica
documenti invece che le politiche di liberalizzazione
commerciale tendono a incrementare le disuguaglianze economiche e,
con esse, la possibilità di accedere alle cure”.
E chiosano: “la
politica commerciale non dovrebbe considerare le regole dirette a tutelare la
salute pubblica come ostacoli tecnici al commercio, e il diritto a trarre
profitto non dovrebbe avere la priorità sul diritto alla salute”.
Nell’editoriale che accompagna l’articolo di De Vogli e
Renzetti sullo stesso fascicolo di Epidemiologia & Prevenzione,
consultabile al link:
Paolo Vineis, noto epidemiologo italiano che
lavora all’Imperial College di Londra, mostra con esempi ben documentati che
tutte le strategie razionali per far fronte ai cambiamenti climatici e alla
diffusione delle malattie non trasmissibili (co-benefit) vanno in una direzione
opposta a quella neoliberista implicita nei trattati internazionali come il
TTIP.
CONTATTI
Roberto De Vogli
(Department of Public Health Sciences, School of Medicine, University of
California, Davis, US / Department of Psychology, University of Padua, Padua,
Italy / Department of Epidemiology and Public Health, Division of Population
Health, University College London, Londra); e-mail: rdevogli@ucdavis.edu;
Paolo Vineis
(Centre for Environment and Health, School
of Public Health,
Imperial College London, Londra); e-mail: p.vineis@imperial.ac.uk;
Redazione
Epidemiologia & Prevenzione
e-mail: clementi@inferenze.it
telefono: 0331 48 21 87
cellulare: 329 23 26 686
Nessun commento:
Posta un commento