martedì 8 marzo 2016

8 marzo - All'ospedale S. Martino di Genova l'Amministrazione propone un questionario per "denunciare le violenze tra colleghi di lavoro". Una benemerita porcata per far avanzare la "guerra tra poveri" e distrarre i lavoratori dalle violenze e attacchi ai diritti delle Aziende ospedaliere



San Martino, questionario choc contro la violenza ai dipendenti
"Avete ricevuto pugni, calci o sputi dai vostri colleghi?" L’iniziativa dell’azienda per “fotografare gli abusi sul posto di lavoro” scatena l’ironia sui social
di AVA ZUNINO


07 marzo 2016



Nel mirino eventuali violenze tra colleghi in corsia  A San Martino anche la violenza, come i farmaci, ha una scadenza: il colosso della sanità ligure, l'Irccs San Martino-Ist, ha deciso di indagare lo stato dei rapporti tra i dipendenti dell'istituto. E più precisamente di "fotografare la situazione della violenza sul posto di lavoro", per capire se tra colleghi, dai medici ai tecnici, dai barellieri agli infermieri, si verificano abusi, sopraffazioni, violenze fisiche o verbali. L'indagine avviene tramite un questionario che è stato distribuito ai dipendenti e riguarda solo ed esclusivamente ipotetici episodi accaduti nel corso del 2015.
Non un minuto prima e neppure un minuto dopo. Se qualcuno è stato preso a schiaffi o sputi (esempi citati nel questionario per spiegare cosa si intenda con "aggressione fisica", da denunciare al pari di quella verbale o comportamentale) da colleghi, sottoposti o superiori, dal primo gennaio ad oggi, dovrà regolarsi in altro modo: non è questo il periodo di indagine dell'ospedale. Il fine è nobile, l'argomento è serissimo e persino indicato da una norma sulla tutela dei dipendenti, ma ecco che la burocrazia ci ha messo lo zampino e il risultato è che nei corridoi dell'ospedale ma anche sui social si è scatenata l'ironia.
Sulla collina di San Martino, dove ogni giorno medici ed operatori si confrontano con i peggiori problemi di una sanità pubblica ridotta a lesinare su tutto (dagli appalti delle pulizie alle assunzioni, passando per le prescrizioni degli esami, come insegna la recentissima polemica dei medici di famiglia che accusano gli ospedalieri di dimettere i pazienti mandandoli da loro a farsi prescrivere gli esami), l’ultima cosa che si aspettavano l’azienda volesse conoscere delle loro condizioni di lavoro era la violenza tra colleghi. O meglio, si sarebbero aspettati che l’indagine su uno dei cardini della civile convivenza, messa a punto convocando una pletora di organismi e comitati interni, si declinasse in maniera diversa. Per capire il perché è sufficiente prendere in mano il questionario distribuito ai dipendenti, che entro la fine del mese dovranno compilare le schede e consegnarle. A chi? A nessuno in particolare, dovranno imbucarle nelle cassette dell’Ufficio relazioni con il pubblico, che sono nei diversi atri dell’ospedale. Le stesse cassette in cui i pazienti possono inserire osservazioni, lamentele e, perché no, anche segnalazioni di soddisfazione. Innanzitutto il questionario spiega nei dettagli che cosa si vuole conoscere. Specifica, per esempio, che cosa si intende per “aggressione fisica: pugni, calci, morsi, sputi, schiaffi, graffi, strattoni, con o senza “armi””. Dunque, se nel corso del 2015 un medico, un primario o un barelliere piuttosto che un operatore sanitario, sono stati presi a calci e sputi nelle corsie dell’ospedale da un collega, magari armato di un qualche oggetto contundente o, non sia mai, di un’arma, questa è la volta buona per parlare. Valgono anche i morsi, gli schiaffi e i graffi. L’importante è che tutto sia accaduto in ospedale, dunque nelle corsie, nei corridoi, negli spazi comuni, negli ambulatori o negli studi. Oppure, specifica il questionario, nel blocco operatorio. Episodi difficili da scordare per le vittime ma pure per l’incolpevole pubblico occasionale, quei malati che si fossero trovati nelle vicinanze a raccomandarsi l’anima a Dio, non potendo nel caso rivolgersi al sanitario più vicino perchè in altre faccende affaccendato. Ironia a parte, il questionario specifica che per violenza si intendono anche comportamenti minacciosi o abusi verbali e indica: “imprecazioni, insulti, parole-azioni fastidiose-moleste”. E poi, prima di passare alle domande, l’ultima raccomandazione. “Ogni questionario deve descrivere un singolo episodio di violenza, qualora si intenda segnalare più episodi è necessario compilare un numero corrispondente di questionari”. Insomma, l’affermazione della burocrazia: esiste un modulo per ogni risvolto della vita. Ma, tanto per capire l’aria che tira, gli estensori del questionario cominciano con questa domanda: “nel corso del 2015 presso questo istituto ha subito aggressione fisica/comportamento minaccioso o abuso verbale mentre stava lavorando?” Le risposte possibili sono: mai; una volta; tra 3 e 5 volte; più di 6 volte; continuativamente”. Senza sminuire il dramma di chi dovesse aver subito violenze o soprusi in maniera continuata, viene da chiedersi se la compilazione di un modulo per ciascun episodio non possa raffigurare un aggravamento della pena.

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