Morti sul lavoro, la leva del
pm sulle assicurazioni che incentiva i controlli
La procura di Milano ha ottenuto il versamento di
850mila euro alla vedova di un operaio morto per il mancato rispetto delle
norme anti infortunistiche. L'azienda ha così evitato sanzioni accessorie come
il blocco dell'attività per via della contestazione per violazione della legge
sulla responsabilità amministrativa degli enti
Molti,
benedetti e subito. E’ la sintesi per descrivere il finale positivo di una
storia tragica, che dimostra l’utilità della giustizia quando è attenta non
solo a perseguire il reato, ma anche alla persona offesa. La storia è quella di
W., una donna egiziana residente da tempo in Italia con il marito e due figli
piccoli, che si è vista riconoscere un maxi risarcimento da ben 850mila
euro per la perdita del coniuge morto sul lavoro. Il tutto senza dover
affrontare una lunghissima e costosa causa civile, che avrebbe richiesto magari
quattro anni per arrivare a una sentenza solo di primo grado, senza nessuna
certezza sulla somma che avrebbe poi ottenuto. Soprattutto se l’azienda avesse
fatto ricorso allungando ulteriormente i tempi. Il marito della donna, operaio,
lavorava in una vetreria. E’ morto dopo una lunga agonia per la caduta da una
scala in uno dei cantieri nei quali l’azienda lavorava in subappalto. Un
incidente che avrebbe potuto essere evitato rispettando le norme anti
infortunistiche. Ed è proprio su questo che il sostituto procuratore di Milano Nicola
Balice ha fatto leva per arrivare al risultato: ha contestato ai titolari
dell’impresa dove lavorava l’operaio, nonché a quella appaltante e al
committente, non solo il reato di omicidio colposo ma anche la violazione delle
norme contenute nella legge 231 del 2001. Quella sulla responsabilità
amministrativa degli enti, che applicata al diritto del lavoro permette di
chiamare in causa il datore che non abbia predisposto adeguati controlli
e procedure di sicurezza per evitare gli incidenti. L’importanza della
contestazione non sta tanto nelle sanzioni pecuniarie, quanto in quelle
accessorie: il blocco dell’attività, il divieto di contrattare con la pubblica
amministrazione e il divieto di accesso a fondi e agevolazioni pubbliche. Due
delle tre aziende coinvolte hanno accettato di pagare la maxi somma alla vedova
(hanno provveduto le assicurazioni Zurich e Unipol), chiedendo il
patteggiamento della pena per gli imputati e l’esclusione dalle sanzioni
accessorie. La strategia del pm è innovativa, e se fosse utilizzata in tutte le
procure italiane sarebbe un potente incentivo per le assicurazioni
attive in questo settore a pretendere migliori sistemi di protezione dalle
aziende assicurate. E ci sarebbero già altre imprese, sulle quali sono state
chiuse le indagini, pronte a chiedere alla procura di Milano di poter saldare al
massimale pur di evitare le secche della 231. E questo non vale solo per le
morti, ma anche per le lesioni. I dati Inail per il
2013 parlano ancora di 660 i casi di decesso accertati sul lavoro su 1.175
denuncie di infortunio mortale. Ancora troppi, seppur in calo sul 2012 al contrario
delle lesioni che sono in aumento. “La procura di Milano”, spiega a ilfattoquotidiano.it
il procuratore aggiunto Nicola Cerrato, titolare dei reati sui luoghi di
lavoro, “sta da tempo lavorando per diminuire la mortalità. Nell’anno del mio
insediamento (8 anni orsono, ndr) i decessi sono stati 27. Nel 2013
erano scesi a 9 e quest’anno, ultimi dati non ancora rilasciati, siamo a
sette”.
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