martedì 24 maggio 2016

25 maggio - Da M. Spezia: SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! “LETTERE DAL FRONTE” DEL 25/05/16



INDICE

Daniele Barbieri pkdick@fastmail.it
RAPPORTO NAZIONALE PESTICIDI NELLE ACQUE

Daniele Barbieri pkdick@fastmail.it
COME IL GLIFOSATO STA UCCIDENDO L’ARGENTINA

Rete Nazionale sicurezza luoghi di lavoro e territorio bastamortesullavoro@gmail.com
ILVA: L’ONDA LUNGA DELLA “TEMPESTA PERFETTA”

Gino Carpentiero ginocarpentiero@teletu.it
ADDIO A LUIGI MARA, CHE PORTO’ IL LAVORO FUORI DALLA FABBRICA

Gino Carpentiero ginocarpentiero@teletu.it
THYSSEN-KRUPP, TUTTI CONDANNATI

Daniele Barbieri pkdick@fastmail.it
IL NEMICO IN CASA

Silvia Cortesi sylvyacort@gmail.com
LA SCOMPARSA DI LUIGI MARA
TECNOLOGIE E ORARIO DI LAVORO: L’ALLEANZA POSSIBILE

Scintilla Onlus scintillaonlus@yandex.com
SCINTILLA ONLUS: AGGIORNATA LA SEZIONE SALUTE E SICUREZZA!

I FERROVIERI SCIOPERANO IL 24 E 25 MAGGIO 2016

Federazione Toscana PCARC federazionetoscana@gmail.com
COMUNICATO DI SOLIDARIETA’ ALL’OPERAIA PIAGGIO LICENZIATA

Muglia La Furia fmuglia@tin.it
A PROPOSITO DI VISIONI...


Proletari Comunisti pcro.red@gmail.com
To:
Sent: Sunday, May 22, 2016 6:15 AM
Subject: VERSO LA NUOVA UDIENZA DEL PROCESSO ILVA A TARANTO IL 14 GIUGNO

Proletari Comunisti pcro.red@gmail.com
RESOCONTO DELLA PRESENTAZIONE DEL LIBRO “ILVA LA TEMPESTA PERFETTA”

ANCORA INFORTUNI SUL LAVORO IN PROVINCIA DI PISA

Clash City Workers cityworkers@gmail.com
PADOVA: OLTRE L’80% DI ADESIONI ALLO SCIOPERO DI BUSITALIA!

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From: Daniele Barbieri pkdick@fastmail.it
To:
Sent: Monday, May 16, 2016 7:55 AM
Subject: RAPPORTO NAZIONALE PESTICIDI NELLE ACQUE

NULLA SI CREA, NULLA SI DISTRUGGE, TUTTO SI DEPOSITA
COME SI MUORE AI NOSTRI TEMPI
15 maggio 2016
di Francesco Masala
Quando il 5 febbraio 2003 Colin Powell faceva la sceneggiata all’Onu con quelle poche gocce di sostanza bianca in una provetta è scoppiata una guerra.
Da noi l’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) ha pubblicato l’edizione 2016 del Rapporto Nazionale Pesticidi nelle Acque su dati del 2013 e 2014, nel quale si legge che “le sostanze più vendute, oltre ai pesticidi inorganici, come lo zolfo e i composti del rame, sono 1,3-dicloropropene, glifosate, mancozeb, metam-sodium, fosetil-aluminium, clorpirifos, con volumi annui superiori alle 1.000 tonnellate”
Il documento completo può essere scaricato al link:
1.000 tonnellate, non una provetta, vere armi di distruzione di massa, praticamente un lento omicidio di tutti noi.
E solo per i profitti dei soliti, per produrre sempre di più, incassare soldi con le eccedenze di produzione, produrre OGM e crescere animali bionici.
Già oggi succede tutto questo, il TTIP prossimo venturo sarà una marcia verso qualche tipo d’inferno, come ricorda Susan George al link:
Abbiamo fatto le guerre peggiori, attaccando paesi e popoli che non ci hanno invaso, fregandocene della Costituzione italiana.
Sappiamo chi e come ci sta uccidendo, per mezzo del cibo e dell’acqua, chi e come sta invadendo, giorno dopo giorno, i nostri corpi, questa sì che sarebbe una guerra giusta contro gli invasori, ma nessuno la dichiara.
Riporto a seguire alcune delle informazioni contenute nel Rapporto Nazionale Pesticidi nelle Acque.
I pesticidi non sono un’invenzione recente, l’uso più antico documentato risale all’incirca al 2500 a.c. quando i Sumeri si cospargevano con composti di zolfo nella convinzione che l’odore avrebbe allontanato gli insetti. Il papiro di Ebers, il più antico documento medico noto (1550 a.c.), descrive oltre 800 ricette degli Egizi, molte contenenti sostanze riconoscibili come veleni e pesticidi. Omero descrive come Ulisse abbia fumigato l’ingresso, la casa e il cortile bruciando zolfo, attestando che l’uso dei pesticidi era noto anche nell’antica Grecia. Per secoli l’uomo ha utilizzato sostanze chimiche per difendersi da agenti patogeni, e successivamente, soprattutto dal 1800, nelle pratiche agricole. Il ricorso massiccio alla chimica di sintesi, dopo la seconda guerra mondiale, ha sostituito quasi del tutto altre pratiche di controllo delle avversità agronomiche. La presa di coscienza delle conseguenze negative dell’uso delle sostanze chimiche: persistenza ambientale, trasporto nel lungo raggio, tossicità anche per gli organismi non bersaglio e per l’uomo, ha portato in tempi recenti allo sviluppo della difesa fitosanitaria integrata, con il ricorso a pratiche più ecosostenibili e l’obiettivo di minimizzare l’uso di sostanze chimiche.
Essendo concepiti per combattere organismi ritenuti dannosi, i pesticidi possono comportare effetti negativi per tutte le forme di vita. In seguito all’uso, in funzione delle caratteristiche molecolari, delle condizioni di utilizzo e di quelle del territorio, possono migrare e lasciare residui nell’ambiente e nei prodotti agricoli, con un rischio immediato e nel lungo termine per l’uomo e per gli ecosistemi.
In Italia in agricoltura si utilizzano ogni anno circa 130.000 tonnellate di prodotti fitosanitari. Ci sono, inoltre, i biocidi impiegati in tanti settori di attività, di cui non si hanno informazioni sulle quantità, manca un’adeguata conoscenza degli scenari d’uso e della distribuzione geografica delle sorgenti di rilascio. Il monitoraggio dei pesticidi nelle acque richiede la predisposizione di una rete che copra gran parte del territorio nazionale, il controllo di un grande numero di sostanze e un continuo aggiornamento reso necessario dall’uso di sostanze nuove.
Il monitoraggio dimostra una diffusione ampia della contaminazione. Pesticidi sono presenti nel 63,9% dei punti di monitoraggio delle acque superficiali e nel 31,7% di quelle sotterranee, più che nel passato. Le frequenze sono più basse nelle acque sotterranee, ma i pesticidi sono presenti anche nelle falde profonde naturalmente protette da strati geologici poco permeabili. Sono state trovate 224 sostanze diverse, un numero sensibilmente più elevato degli anni precedenti. Indice, questo soprattutto, di una maggiore efficacia complessiva delle indagini. La contaminazione è più diffusa nella pianura padanoveneta. Questo dipende largamente dal fatto che lì le indagini sono generalmente più rappresentative. Nelle cinque regioni dell’area, infatti, si concentra poco meno del 60% dei punti di monitoraggio dell’intera rete nazionale.
La presenza di pesticidi nelle acque pone la questione delle possibili ripercussioni negative sull’uomo e sull’ambiente. Il confronto delle concentrazioni misurate con i limiti stabiliti dalle norme ci dà indicazioni sulla possibilità di effetti avversi. Il 21,3% dei punti delle acque superficiali ha concentrazioni superiori al limite. Nelle acque sotterranee la percentuale di superamenti è 6,9%. La rete di monitoraggio da cui provengono i dati è finalizzata alla salvaguardia dell’ambiente e non al controllo delle acque potabili, ma, queste ultime, spesso sono prelevate dagli stessi corpi idrici. In caso di contaminazione, pertanto, si rende necessario operare interventi di depurazione.
Per alcune sostanze, più di altre, la contaminazione per frequenza, diffusione territoriale e superamento dei limiti di legge, costituisce un vero e proprio problema, in alcuni casi di dimensione nazionale. Tali evidenze indicano la necessità di un’analisi critica delle attuali procedure di autorizzazione delle sostanze, e richiedono che una corretta valutazione del rischio dovrebbe considerare in modo retrospettivo anche i dati di monitoraggio ambientale.
I dati evidenziano, ancora più che in passato, la presenza di miscele di sostanze nelle acque. E’ aumentato, infatti, il numero medio di sostanze nei campioni, e sono state trovate fino a un massimo di 48 sostanze diverse contemporaneamente. Dagli studi prodotti finora emerge che la tossicità di una miscela è sempre più alta di quella del componente più tossico. La valutazione del rischio deve, pertanto, tenere conto che l’uomo e gli altri organismi possono essere soggetti all’esposizione simultanea a diverse sostanze chimiche, e che lo schema di valutazione usato nell’autorizzazione dei pesticidi non è sufficientemente cautelativo riguardo ai rischi della poliesposizione.
Il monitoraggio continua a segnalare una presenza diffusa di pesticidi nelle acque, con un notevole aumento delle sostanze rinvenute e delle aree interessate. Le ragioni sono diverse. In primo luogo c’è il fatto che in vaste zone del paese, solo con ritardo, emerge una contaminazione prima non rilevata da un monitoraggio non adeguato. La causa più preoccupante, però, è la persistenza di certe sostanze, che insieme alle dinamiche idrologiche molto lente (specialmente nelle acque sotterranee) rende i fenomeni di contaminazione ambientale difficilmente reversibili.

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From: Daniele Barbieri pkdick@fastmail.it
To:
Sent: Monday, May 16, 2016 7:55 AM
Subject: COME IL GLIFOSATO STA UCCIDENDO L’ARGENTINA

di Tommaso Perrone
Un fotografo argentino emergente ha deciso di realizzare un reportage di quelli davvero tosti. Come Davide contro Golia, i suoi nemici sono il glifosato e la Monsanto.
Il glifosato, uno degli erbicidi più usati al mondo in campo agricolo, ha effetti devastanti e drammatici sulla salute delle persone che sono costrette a vivere in suo contatto. Questa volta a sostenerlo non è un’organizzazione ambientalista o, meglio ancora, qualche agenzia che fa capo all’Organizzazione mondiale della sanità. Lo dimostra, con immagini e testimonianze, un reportage realizzato da Pablo Ernesto Piovano, un fotografo argentino che nel 2014 ha deciso di documentare la condizione della popolazione del suo paese che lavora o vive nei pressi dei campi coltivati a soia ogm dove si usano dosi massicce di diserbanti.
Il costo umano dei pesticidi
Il reportage si chiama El costo humano de los agrotóxicos, il costo umano dei pesticidi, ed è stato esposto all’edizione 2015 del Festival della fotografia etica di Lodi.
Le foto di Piovano sono una denuncia senza appello alla Monsanto, la multinazionale che si è inventata l’accoppiata OGM-Roundup, ovvero la coltivazione di soia geneticamente modificata abbinata all’utilizzo del diserbante Roundup (al quale la soia è resistente) che contiene glifosato.
“Questo lavoro è stato dettato dal mio amore per la natura. Ho lavorato per trovare prove su questa situazione, trascorrendo giorni interminabili da solo con la mia macchina fotografica, viaggiando per oltre seimila chilometri sulla mia auto di vent’anni, per dare il mio contributo affinché tutto questo finisca”, ha dichiarato Piovano a Burn, il magazine dedicato ai fotografi emergenti.
La storia del glifosato inizia negli anni Cinquanta, ma la sua commercializzazione con il nome di Roundup da parte della Monsanto è partita nel 1974 negli Stati Uniti come strumento per liberare i campi agricoli dalle erbacce. Poi la cosa è “sfuggita di mano” quando il glifosato ha iniziato a fare coppia fissa con i cereali modificati geneticamente per resistere al pesticida. Oggi è commercializzato in tutto il mondo e il brevetto è scaduto quasi ovunque, Italia compresa dove è uno dei prodotti fitosanitari più venduti. In Europa sono quattordici le aziende che lo producono.
Il dramma argentino ha avuto inizio nel 1996 quando il governo ha deciso di approvare la coltivazione e la commercializzazione di soia transgenica e l’uso del glifosato senza condurre alcuna indagine interna, ma basando la sua decisione solo sulle ricerche pubblicate dalla Monsanto. Da allora, la terra coltivata a OGM è arrivata a coprire il 60 per cento del totale e solo nel 2012 sono stati spruzzati 370 milioni di litri di pesticidi tossici su 21 milioni di ettari di terreno. In quelle stesse terre, i casi di cancro nei bambini sono triplicati in dieci anni, mentre i casi di malformazioni riscontrate nei neonati sono aumentate del 400 per cento. A dir poco incalcolabili i casi di malattie della pelle e i problemi respiratori riscontrati senza motivo apparente nei giovani come negli adulti.
Un’indagine recente, secondo quanto riportato da Burn, ha calcolato che 13,4 milioni di argentini (un terzo della popolazione totale) ha subìto gli effetti negativi del glifosato. A fronte di tutto ciò, l’Argentina non ha preso alcuna decisione per bloccare questo dramma, né ha commissionato nuovi studi per capire cosa stia accadendo alla popolazione. Anzi, oggi in Argentina si trovano 22 dei 90 milioni di ettari coltivati a soia OGM nel mondo, secondo quanto riportato dal settimanale tedesco Die Zeit.
Il reportage, però, non è passato inosservato vincendo diversi premi come il Festival Internacional de la Imagen, in Messico, e si è piazzato al terzo posto del concorso POY Latam, nella categoria “Carolina Hidalgo Vivar el medio ambiente”.
Ma l’omertà e la forza di una multinazionale del calibro della Monsanto sono nemici duri da sconfiggere, molto più potenti dell’evidenza e del dolore.

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From: Rete Nazionale sicurezza luoghi di lavoro e territorio bastamortesullavoro@gmail.com
To:
Sent: Tuesday, May 17, 2016 7:53 AM
Subject: ILVA: L’ONDA LUNGA DELLA “TEMPESTA PERFETTA”

APPELLO
Fare del maxi processo ILVA (la madre di tutti i processi contro i padroni assassini, lo stato e i governi loro complici) per giustizia e risarcimenti agli operai e le popolazioni.
Fare della questione ILVA una grande questione nazionale del movimento operaio, popolare e antagonista.
Nuova campagna di presentazioni nazionali del libero “ILVA: la tempesta perfetta” e dibattito aperto, dal 25 maggio al 10 giugno.
Invitiamo tutte le realtà sociali e politiche del sindacalismo di base, dei centri sociali, delle organizzazioni proletarie e rivoluzionarie a prendere contatto con Taranto per organizzare le iniziative con la presenza diretta dei compagni di Taranto.

Rete Nazionale per la sicurezza sui posti di lavoro e la salute sul territorio
347 53 01 704
Redazione Taranto Contro Blog

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From: Gino Carpentiero ginocarpentiero@teletu.it
To:
Sent: Tuesday, May 17, 2016 9:23 AM
Subject: ADDIO A LUIGI MARA, CHE PORTO’ IL LAVORO FUORI DALLA FABBRICA

Da Il Manifesto
di Luciana Castellina
14/05/16
Lutto a sinistra.
Una vita in difesa della sicurezza degli operai. Dai Consigli di Zona a Medicina democratica.
Venerdì scorso, solo una settimana fa, al circolo Arci di Varese dove come al solito parlavamo dei guai della sinistra l’abbiamo ricordato, come del resto sempre quando si doveva richiamare non solo una bella esperienza del passato, ma un esempio da poter seguire anche oggi, solo che si abbia l’ottimismo della volontà. Perché Luigi Mara non era mai diventato un “vecchio compagno d’armi”, è sempre rimasto e da quando lo conobbi sono passati più di 40 anni un riferimento essenziale per capire cosa vuol dire fare sinistra senza chiudersi in un imbelle identitarismo.
Mi era dispiaciuto che non fosse lì con noi, tanti ancora qui provenienti dal vecchio PDUP di questa provincia dove mi capitò (quasi per caso) di essere eletta per la prima volta in Parlamento, nel lontano 1976. Mi ripromettevo di vederlo qualche giorno dopo a Busto Arsizio, dove, vicino alla “sua” Montedison, uno dei luoghi sacri delle battaglie degli anni ‘70, a Castellanza, Luigi Mara ancora viveva e operava. Invece mi è arrivata, tristissima e inattesa, una mail dei compagni Colombo, Medici, Rebellato, Cova, Maran, a nome del Gruppo di Prevenzione e Igiene Ambientale della Montedison di Castellanza, che da tre decenni ha dato vita al Centro per la salute Giulio Maccacaro.
“Cara Luciana, ieri sera, a causa di una improvvisa emorragia celebrale, è mancato Luigi Mara. Non abbiamo parole”. Non ne ho neppure io, per il dolore. Luigi è uno dei tanti compagni che mi ha insegnato di più sul lavoro. Scusate il richiamo personale. Ma dovete capire che in quel decennio che seguì il ‘68 noi, che pure eravamo stati già così a lungo nel PCI, scoprimmo una quantità di cose nuove. Perché non era mai capitato che la milizia politica ci portasse così vicino alla fabbrica, dentro i suoi problemi. A chi non era operaio, prima, non capitava se non era sindacalista.
Luigi è stato, ed è rimasto, importantissimo. Perchè non fu solo l’ispiratore principale del Consiglio di fabbrica di questa grande (ormai quasi vuota) fabbrica lombarda, ma perché fu il vero inventore di una dimensione politica più vasta e decisiva dei nuovi organismi che la lotta aveva creato nelle aziende: i Consigli di Zona. Aveva capito che le sorti della condizione operaia non si giocavano più solo nei reparti, ma fuori, nella città dove vivevano, e che dunque bisognava usare della forza operaia e del nuovo ruolo politico dei Consigli per investire anche le politiche della sanità, urbanistiche, scolastiche, tutto. Il suo incontro con un altro straordinario compagno, Giulio Maccacaro, creatore di Medicina Democratica, uno degli organismi più preziosi nella lotta per rendere vivibili le condizioni ambientali mortali allora per lo più ancora ignorate, fuori e dentro la fabbrica, fu per Mara (e reciprocamente per Maccacaro) importantissimo. Fu, si può ben dire, da Castellanza, che partirono le lotte per Scarlino e per tutti gli altri luoghi dove la produzione uccideva.
E da Castellanza partì l’azione che aprì le aziende fino ad allora affidate alle “cure” della proprietà, all’intervento delle USL, l’unità sanitaria locale pubblica. E proprio sull’esperienza pioniera di Castellanza si è modellata in seguito la legge varata in Brasile. Luigi, sul tema della salute, e specificamente della sicurezza sul lavoro, aveva una dolorosa esperienza diretta: aveva perso alle macchine ambedue le braccia. Anziché solo vittima, quella terribile mutilazione lo rese una intelligentissima bandiera.
Quando vi dico che il suo operare politico era tutt’ora così importante è perchè a me capita davvero di citarlo in ogni occasione quando dico che non bastano a salvare la democrazia nel nostro paese e dunque la sinistra che della democrazia ha più bisogno né il diritto a pronunciarsi ogni 5 anni per dire se ci è piaciuto o meno quanto ha fatto il presidente del consiglio di turno; ma neppure limitarsi a costruire un partito decente. Che occorre anche, contemporaneamente, costruire forme di organizzazione della società in cui si possa esprimere direttamente la capacità e volontà dei cittadini di gestire la società, riappropriandosi di funzioni che la burocrazia statale ha espropriato. Che, insomma, una democrazia organizzata, è essenziale e che la sinistra non può essere tanto statalista da demandare il suo fare solo a quando conquisterà palazzo Chigi. Perché anche conquistarlo non basterà a cambiare la società. Luigi Mara questo lo aveva capito bene e anche se oggi la stessa parola Consigli di Zona la ricordano in pochi, quello che lui insieme agli altri compagni di Medicina Democratica hanno continuato a fare, è a quel momento alto della nostra storia politica che ci rimanda. Mi piacerebbe che il nuovo soggetto politico che, fra molti travagli, e però suscitando grandi aspettative, stiamo costruendo, dedicasse all’esperienza di Luigi Mara molta e seria riflessione.
Alla moglie Antonia e alla figlia Laura che, come avvocato del lavoro, l’ha molto coadiuvato nelle sue battaglie, le affettuose condoglianze de Il Manifesto.

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From: Gino Carpentiero ginocarpentiero@teletu.it
To:
Sent: Tuesday, May 17, 2016 9:23 AM
Subject: THYSSEN-KRUPP, TUTTI CONDANNATI

Da Il Manifesto
di Riccardo Chiari
14/05/16
Strage operaia.
A nove anni dal rogo, la Cassazione conferma la seconda sentenza d’appello. Nove anni e otto mesi per l’ex Amministratore Delegato della multinazionale Harald Espenhahn, per altri cinque dirigenti Thyssen-Krupp pene appena più lievi. Familiari sulle barricate dopo la richiesta del Procuratore Generale di un nuovo, ennesimo processo: “Sarebbe stato scandaloso”. L’ex Pubblico Ministero Guariniello: “Processi troppo lunghi”.
Ora la sentenza è definitiva, ma otto lunghi anni di attesa e ben cinque processi hanno rischiato di non bastare, nel caso quanto mai doloroso del rogo che nel dicembre del 2007 provocò la morte di sette operai dello stabilimento torinese della Thyssen-Krupp. Una fine straziante: Giuseppe Demasi, Angelo Laurino, Roberto Scola, Rosario Rodinò, Rocco Marzo, Bruno Santino e Antonio Schiamone furono investiti da un getto di olio lubrificante incandescente uscito da un grande tubo che si era sfondato durante un inizio di incendio. Ustionati in tutto il corpo, morirono fra enormi sofferenze chi dopo poche ore, chi dopo qualche giorno, chi dopo un’agonia durata quasi un mese. Ora la Cassazione ha confermato la Sentenza emessa lo scorso anno dalla Corte d’Appello di Torino.
L’ex Amministratore Delegato della multinazionale Harald Espenhahn è stato condannato a nove anni e otto mesi di reclusione; i dirigenti Marco Pucci e Gerald Priegnitz a sei anni e dieci mesi; il membro del comitato esecutivo dell’azienda Daniele Moroni a sette anni e sei mesi; l’ex direttore dello stabilimento Raffaele Salerno a otto anni e sei mesi; infine il responsabile della sicurezza Cosimo Cafuer a sei anni e otto mesi.
Tutti sono stati condannati per omicidio colposo plurimo aggravato dalla colpa cosciente. Perché in quello stabilimento, che doveva essere chiuso a breve, non solo le misure di sicurezza erano già state ridotte e le manutenzioni erano pressoché inesistenti, ma la fabbrica veniva pulita solo quando arrivava l’ASL, e l’impianto si fermava solo in caso di guasti gravi, altrimenti si interveniva con la linea in movimento. Così come accadde quella notte infernale. Non per caso la Procura di Torino (e almeno i giudici di primo grado avevano accolto la richiesta) aveva delineato l’omicidio volontario dietro al rogo.
I quattro condannati italiani, con i loro avvocati, hanno subito comunicato all’autorità giudiziaria che nelle prossime ore si presenteranno ai cancelli del carcere più vicino. Più complesso il caso dei due dirigenti Thyssen-Krupp tedeschi: entrambi risiedono in Germania e, in base a una convenzione in materia di cooperazione giudiziaria che ha recepito una Direttiva quadro UE, potranno scontare la pena in patria. “In questo caso” - hanno spiegato le difese dei due imputati - “l’esecuzione avviene secondo le norme del paese nel quale deve essere espiata la pena”. E nell’ordinamento tedesco il reato di omicidio colposo aggravato, così come ha puntualizzato in aula l’avvocato Ezio Audisio in difesa di Espenhahn e Priegnitz, è al massimo di cinque anni. In altre parole i due condannati avranno comunque uno sconto di pena.
Al di là della decisione della quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione, la notizia più discussa della giornata è stata la richiesta del Sostituta Procuratore Generale Paola Filippi di disporre un sesto processo (sarebbe stato il terzo d’appello) per la strage nell’acciaieria. Tecnicamente, la richiesta avanzata alla Corte era stata quella di annullare la Sentenza per rideterminare le pene per i reati di omicidio colposo plurimo, e per rivalutare il no alle attenuanti generiche per i quattro imputati italiani. Di fatto una richiesta, all’ennesima Sezione di Corte d’Appello, di alleggerire le condanne. Con l’effetto collaterale di altri due processi da fare.
Quanto mai comprensibile la reazione dei familiari delle vittime. Epiteti come “venduti” e “bastardi” sono stati urlati in aula. “La Procura Generale vuole un altro processo per consentire agli imputati ulteriori sconti di pena” - questo lo sfogo della moglie di una delle vittime - “Non si può più andare avanti così. Nemmeno una parola è stata riservata ai morti. Scandaloso”.
Lucido, e amaro, l’ex Procuratore Aggiunto Raffaele Guariniello, che chiuse le indagini in 80 giorni: “Renzi dice che aspetta le sentenze, ma anche noi le aspettiamo. Sono i processi a essere lunghi, in questo lui coglie un aspetto di verità. Questo è un problema di ordine generale che deve far riflettere tutti. I processi sono molto lenti anche quando le indagini preliminari, come nel nostro caso, si sono esaurite in tempi da record. Gli avvocati difensori non centrano: è giusto che presentino i loro ricorsi, fa parte del gioco. Solo che il gioco dura troppo”.

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From: Daniele Barbieri pkdick@fastmail.it
To:
Sent: Tuesday, May 17, 2016 10:21 AM
Subject: IL NEMICO IN CASA

di Michele Monteleone (ex operaio Olivetti)

Ad avermi buttato in mezzo a una strada, a 50 anni, non è stato uno zingaro e nemmeno un africano. E’ stato De Benedetti.
A far di me un peso morto è stata la Fornero.
A fingere di proteggermi intanto che si facevano i cazzi loro, non sono stati gli extracomunitari, ma i sindacati.
A prendermi per il culo dicendo una cosa e facendo l’opposto, è Renzi, non i rumeni.
A stravolgere la nostra Costituzione anziché imporne il rispetto, è il parlamento italiano, non quello tunisino.
A distruggere sanità e istruzione, sono stati i governi italiani eletti da italiani, non i rom.
A vessare con metodi medioevali chiunque provi a campare con il poco che racimola, sono funzionari italiani, non libici.
A vendere o spostare verso altre nazioni tutte le principali aziende italiane, non sono stati i marocchini, ma Marchionne, Tronchetti Provera e quelli come loro.
A spingere al suicidio qualche centinaio di poveri cristi, sono stati i governanti italiani, non i profughi.
A sfruttare ogni disgrazia per guadagnarci milionate e distribuendo briciole, sono le grandi cooperative italiane, non quelle serbe.
Quando mi avanzerà abbastanza odio per persone provenienti da altre parti del mondo, forse sposterò il tiro. 
Per ora mi accontento di riversarlo interamente ai personaggi di cui sopra, miei connazionali e, piuttosto che altri, preferirei fossero loro a trovarsi finalmente nella condizione di dover salire su dei barconi per scappare.
Scappare da qui.

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From: Silvia Cortesi sylvyacort@gmail.com
To:
Sent: Tuesday, May 17, 2016 02:37 AM
Subject: LA SCOMPARSA DI LUIGI MARA

Giovedì scorso, 12 maggio, ci ha lasciato Luigi Mara stroncato da un improvviso malore.
E’ stato fondatore di Medicina Democratica con Giulio Maccacaro nel 1976 (nonché tra i fondatori del PDUP e sostenitore da sempre de “Il Manifesto”).
Ho avuto la fortuna di conoscere e collaborare con Luigi per trent’anni apprezzando sul campo le sue doti di ambientalista scientifico come pure il suo schieramento di classe: la nocività della fabbrica determina la nocività ambientale e le lotte per la salute in fabbrica sono le stesse di quelle per affermare l’ambiente salubre.
Rigore, chiarezza di posizioni e integrale schieramento con le vittime per cambiare lo stato di cose presente (rischio zero) con le lotte fino a portare nei Tribunali una richiesta di giustizia in precedenza mai soddisfatta.
Avrebbe considerato idonea la sentenza della Cassazione sulla Thyssen-Krupp (Medicina Democratica è tra le pochissime parti civili rimaste in tutti i gradi di giudizio) anche se non pienamente corrispondente alla richiesta iniziale del Pubblico Ministero Guariniello.
Idonea non per l’entità delle condanne ma per l’affermazione che la mancanza di prevenzione è un crimine.
Si è battuto contro la scienza (e gli scienziati) al servizio del capitale, per l’autorganizzazione degli sfruttati, per l’affermazione del diritto alla salute e all’ambiente salubre quale obiettivo di classe, per la modifica delle modalità di produzione e del contenuto delle merci, per la non delega (la partecipazione) e la costruzione di una scienza operaia.
Obiettivi che sono all’origine e la ragion d’essere di Medicina Democratica che si trova a raccogliere il testimone di Luigi.
Impossibile sintetizzare la ricchezza intellettuale e la dirittura della sua azione dal Gruppo di Prevenzione e Igiene Ambientale della Montedison di Castellanza alle iniziative processuali (da Porto Marghera all’Eternit) che hanno portato all’attenzione di tutta la società la sporca guerra contro i lavoratori tuttora in atto, per dare giustizia e dignità alle vittime.
Ciao, compagno Luigi.
Marco Caldiroli
Vicepresidente di Medicina Democratica Onlus

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To:
Sent: Thursday, May 19, 2016 11:24 AM
Subject: TECNOLOGIE E ORARIO DI LAVORO: L’ALLEANZA POSSIBILE

di Elisa Gambardella e Tommaso Nencioni
Il progresso tecnologico costituisce una via tradizionale usata dal capitale per superare le proprie crisi, attraverso la creazione di nuovi bisogni e nuovi mercati, e l’aumento della produttività del lavoro, a prezzo dell’espulsione di manodopera dal processo produttivo. Il declino del compromesso fordista, che aveva permesso a sindacati e management di “spartirsi il bottino” dello sviluppo tecnologico, ha aperto una transizione nella quale crisi capitalistica e innovazione tecnologica stringono il lavoro in una spirale dalla quale non si intravede via d’uscita.
La sinistra annaspa, e i suoi movimenti scomposti contribuiscono a stringere il nodo della spirale attorno alla gola dei subalterni. Invece bisognerebbe liberarsi con un taglio netto, trasformando la spirale crisi-innovazione tecnologica-aumento della disoccupazione-aumento del tempo del lavoro in un circuito virtuoso innovazione tecnologica-diminuzione dell’orario di lavoro-uscita dalla crisi.
Anche perché la storia delle lotte del movimento operaio e socialista è lotta per il controllo del tempo del lavoro e della vita da parte dei subalterni, costretti a vendere il proprio lavoro assieme al proprio tempo, non solo quello della fabbrica.
Col passaggio dal luddismo al marxismo, l’obiettivo della gestione del tempo come fine della lotta del proletariato rimane inalterato (la riduzione dell’orario di lavoro è il passo in avanti fondamentale per l’uscita dal regno capitalistico della “necessità”), ma lo sviluppo tecnologico dei mezzi di produzione da elemento di assoggettamento dei subalterni si trasforma in oggetto di battaglia politica.
Oggi prevale nel dibattito pubblico la disseminazione del senso di smarrimento: l’idea che la quasi-rivoluzione industriale a cui assistiamo porterà, in estrema sintesi, alla distruzione dei posti di lavoro e quindi all’instabilità sociale. Al disastro. Il processo di innovazione tecnologica corre in effetti a velocità drammaticamente superiore rispetto a quello del mutamento sociale (e ambientale): la domanda a cui si deve rispondere è come tenere insieme i due processi, e impedire che la società venga fatta a brandelli dall’incapacità di affrontare la sfida. Fermare i cambiamenti in atto tuttavia non è neppure auspicabile. La tecnologia è di per sé neutrale, e qui sta la grande scelta: lasciare la padronanza del sapere tecnologico a pochi grandi centri di potere con il loro “neoliberismo in salsa tech” (Chomsky), oppure distribuirlo alle persone.
Se scegliamo la seconda strada, allora diamo vita a una svolta democratica generatrice di eguaglianza contro il “digital divide”, alla luce anche della grande frattura generazionale creata con l’avvento contestuale di cambiamenti repentini nel mercato del lavoro da un lato e della crisi economico-finanziaria dall’altro: se fino a poche generazioni fa istruzione e occupazione facevano rima davvero, sappiamo bene come crisi e rivoluzione tecnologica abbiano distrutto lavori e redditi esistenti e desertificato ambizioni potenziali, disorientando una massa intera di giovani, costretti alla resilienza.
La maggior parte delle realtà investite dal processo di digitalizzazione verrà ridefinita, ma non eliminata. Il ragionamento non va limitato però entro il confine del che fare per quei lavoratori le cui mansioni non sono più richieste dal mercato. Proprio perché inesplorato è un campo che incute timore: quanto tempo libero in più avremo?
Se ribaltiamo la prospettiva, ci troviamo di fronte ad un’eclatante possibilità di liberazione. Il tasso di disoccupazione è ancora tristemente alto e il tasso di inattività non decresce. Questo significa che c’è un gran numero di persone che, se crediamo che il lavoro conferisca dignità all’uomo, è di fatto escluso dall’accesso a una vita dignitosa.
Allo stesso tempo molti di noi conoscono, o sono, persone che lavorano più di otto ore al giorno, perché in molti settori il ritmo di produzione richiesto è alto e incessante.
Ma se mettiamo insieme i pezzi ci accorgiamo che la tecnologia permette di migliorare la produttività, riducendo i tempi di lavoro; automatizza alcune attività, ma allo stesso tempo crea nuove professioni; il numero di persone che non lavora è troppo alto.
Torna un’idea semplice, lavoriamo meno e lavoriamo tutti, godendo così di un welfare a questo punto capace di camminare con le proprie gambe, in parallelo con l’aumento del numero di contribuenti.
Se avremo più tempo libero saremo più capaci di realizzarci ed essere felici. Se la fine della divisione sociale del lavoro appare ancora un’utopia di là da venire, forse l’obiettivo di superarla entro il confine del tempo biologico della vita di una stessa persona è a portata di mano.
Lo Stato e le organizzazioni sopranazionali dovrebbero svolgere il ruolo fondamentale di legislazione che tale svolta, che non è pensabile possa essere adottata in un solo Paese, comporterebbe. Innanzitutto istituendo uno strumento di supporto al reddito che permetta di superare senza traumi sociali la fase di transizione in cui stiamo entrando: il “quantitative easing for the people” lanciato da Jeremy Corbyn.
Cosa ne sarebbe stato della vicenda del movimento operaio senza la battaglia per le otto ore? Una parola d’ordine capace di costruire mobilitazioni, blocchi storici, ritualità, una vera e propria civiltà del lavoro. Una domanda concreta, ma allo stesso tempo aperta a scenari di cambiamento globale. All’epoca in cui fu lanciata, pareva spesso un miraggio la conquista delle dieci ore.
Ma la lotta premiò, e l’utopia delle otto ore divenne realtà. Rilanciare oggi una battaglia per l’ulteriore abbassamento della giornata lavorativa contribuirebbe a rivitalizzare le ragioni di una sinistra in cerca di significato sociale e ridarebbe al contempo fiato all’agonizzante “modello sociale europeo”, sbandierato ormai come un feticcio, ma espropriato dalla crisi di ogni significato e contenuto riconoscibile per i popoli del Continente.

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From: Scintilla Onlus scintillaonlus@yandex.com
To:
Sent: Thursday, May 19, 2016 6:32 PM
Subject: SCINTILLA ONLUS: AGGIORNATA LA SEZIONE SALUTE E SICUREZZA!

Aggiornata la nuova sezione “Salute e sicurezza dei lavoratori”.
Come vi avevamo segnalato, Scintilla Onlus ha pubblicato sul proprio sito web (http://scintillaonlus.weebly.com/) una sezione sulla salute e sicurezza dei lavoratori.
Tale iniziativa ha suscitato notevole interesse e molti compagni e lettori ci hanno manifestato il loro apprezzamento, inviandoci consigli e altro materiale utile.
Abbiamo quindi aggiornato il sito, in particolare per ciò che riguarda la prevenzione dei rischi lavorativi, sia per tipologia che per settore.
Ci auguriamo che ciò possa essere utile per l’attività di contrasto quotidiano ai padroni, che perseguono il loro unico interesse, il profitto, sulla pelle degli operai e degli altri lavoratori sfruttati.
Continuate a farci conoscere le vostre opinioni e inviateci altro materiale per migliorare ed arricchire questo spazio che è a disposizione di tutte le lavoratrici e i lavoratori, gratuitamente.
Soprattutto vi invitiamo a darci una mano donando il 5 per mille a Scintilla Onlus. 
Non costa nulla, ma per noi è essenziale per portare avanti il nostro lavoro, per sostenere la cultura e la solidarietà proletaria, contro ogni forma di sfruttamento!
Dai il 5 per mille a Scintilla Onlus!
Nella dichiarazione dei redditi firma nel riquadro “Sostegno del volontariato e delle altre organizzazioni non lucrative di utilità sociale” e scrivi il codice 976 637 805 89.

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From: Maria Nanni mariananni1@gmail.com
To:
Sent: Friday, May 20, 2016 11:04 AM
Subject: I FERROVIERI SCIOPERANO IL 24 E 25 MAGGIO 2016

I ferrovieri scioperano il 24 e 25 maggio 2016:
-         per rinnovi contrattuali dignitosi;
-         per la qualità e la sicurezza del lavoro;
-         per la riduzione dei carichi lavorativi;
-         per un equo sistema pensionistico;
-         contro i processi di privatizzazione e speculazione.
Le dichiarazioni di sciopero dei Sindacati di Base dei ferrovieri, per il giorno 24 e 25 Maggio 2016, interessano nelle diverse articolazioni i lavoratori del Gruppo FSI, Trenord, NTV, (fatti salvi servizi minimi previsti dalla Legge 146):
Gruppo FSI, Trenord e NTV:
dalle 21 del 24/05/16 alle 18 del 25/05/16 (SGB e USB dalle 9 alle 17 del 25/05/16)
Cargo Trenitalia:
dalle 21 del 24/05/16 alle 21 del 25/05/16 (SGB, USB, CUB, dalle 9 alle 17 del 25/05/16)
SCIOPERA E FAI SCIOPERARE
IL 24 E 25 MAGGIO 2016
CAT, CUB, SGB, USB 

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From: Federazione Toscana PCARC federazionetoscana@gmail.com
To:
Sent: Friday, May 20, 2016 2:33 PM
Subject: COMUNICATO DI SOLIDARIETA’ ALL’OPERAIA PIAGGIO LICENZIATA

COMUNICATO DI SOLIDARIETA’ ALL’OPERAIA PIAGGIO LICENZIATA
RILANCIAMO L’OFFENSIVA CONTRO COLANINNO E RENZI!
La Federazione Toscana del Partito dei CARC esprime la massima solidarietà alla operaia Piaggio prontamente licenziata per aver espresso la propria avversione alla parata di Renzi e della sua combriccola in fabbrica. I toni “forti” che ha usato sono diretta conseguenza e frutto della guerra non dichiarata che la classe operaia e le masse popolari subiscono: dal Jobs Act ai tagli ai servizi essenziali (scuola, Sanità e via dicendo), dal ritmo massacrante della catena di montaggio alla catena interminabile di tasse, balzelli e oboli di ogni tipo che ci soffocano. Ma sempre parole rimangono, mentre gli atti con cui i vertici della Repubblica Pontificia spremono peggio dei limoni i lavoratori sono ben concreti e reali.
E’ evidente come la sentenza nei confronti dei licenziati di Pomigliano abbia fatto scuola. Mimmo Mignano e gli altri compagni del Comitato Cassintegrati e Licenziati Politici esibirono un fantoccio del padrone impiccato, come forte protesta rispetto all’ennesimo suicidio di un’operaia del reparto confino di Nola.
A Pontedera si applica il solito concetto di “fiducia tradita”, che ovviamente non è equivalente per chi da anni non paga il premio di produzione, aumenta progressivamente i carichi di lavoro, scarica sulle tasche della collettività con gli ammortizzatori sociali le cosiddette riduzioni di esigenze produttive, sta conducendo una delle maggiori aziende italiane verso la chiusura attraverso una (neanche tanto) strisciante delocalizzazione nei paesi asiatici.
Ribadiamo il nostro fermo sostegno alle due operaie e invitiamo a raccogliere e rilanciare l’esempio del comitato per il reintegro di Sandro Giacomelli, lavoratore DNA (indotto Piaggio) licenziato a fine 2015; la lotta ha portato alla vittoria mettendo al centro l’importanza della solidarietà di classe e l’unità di azione a prescindere dalla tessera sindacale in tasca, come fatto anche dagli operai degli stabilimenti FCA del Sud contro Marchionne.
Oggi, nella fase di crisi terminale del sistema capitalista, è necessario rilanciare la costruzione di organizzazioni operaie che si occupano dell’azienda, impedendone lo smantellamento e per cominciare a ragionare su come dirigerne il processo produttivo; organismi che sviluppano il coordinamento e l’organizzazione interna e esterna per prevenire le mosse dei padroni e respingere gli attacchi contro i colleghi, come nel caso descritto. E’ il contributo migliore e realistico alla costruzione dell’alternativa politica ai Renzi di turno, sono le basi su cui le masse popolari con alla testa la classe operaia possono e devono costruire il proprio governo di emergenza, un Governo di Blocco Popolare che imponga i primi, urgenti rimedi agli effetti devastanti della crisi.
MANDIAMO A CASA RENZI E COLANINNO!
REINTEGRARE SUBITO L’ OPERAIA LICENZIATA!
COSTRUIRE IN OGNI AZIENDA ORGANIZZAZIONI OPERAIE E POPOLARI, CHE IMPEDISCONO LE DELOCALIZZAZIONI, DIFENDONO I LAVORATORI, PREVENGONO LE MOSSE DEL PADRONE!


Federazione Toscana del Partito dei CARC

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From: Muglia La Furia fmuglia@tin.it
To:
Sent: Saturday, May 21, 2016 4:15 PM
Subject: A PROPOSITO DI VISIONI...

 “Prima vennero i tecnici della sicurezza, poi gli igienisti industriali, i medici competenti, i formatori della sicurezza e, infine, gli psicologi del lavoro.
Ma le qualifiche professionali da sole non bastavano e allora ecco le nuove categorie: gli illuminati, gli evangelisti, gli ispirati... 
Visto però, che il fenomeno degli infortuni sul lavoro è ben lungi dal trovare soluzione e che, finché c’è un problema, c’è un reddito da problema, chissà quali altre sorprese ci riserverà il futuro.”
Ho ripreso una parte del dialogo su Linkedin a commento di un mio post precedente, quello sugli AMBASCIATORI ED EVANGELISTI DELLA SICUREZZA:
eliminando tutti i riferimenti che avrebbero potuto portare al riconoscimento delle persone coinvolte (Mister X e Mister Y).
Mister X: “...hai ragione. Questa deve essere la VISIONE di tutti coloro che fanno questo mestiere, In un mondo ideale non esistono safety officers!! Il nostro lavoro non avrebbe più ragione di esistere. Credo altresì che i colleghi... nel video abbiano condiviso il loro amore per questo mestiere e spero che questo possa essere di ispirazione per sempre più persone a farlo, o iniziare a farlo, bene con passione e coerenza per andare, come ben dice ... oltre la “norma”. Poi ognuno lo farà come meglio gli viene, chi in prima linea e chi nelle retrovie, tutti ugualmente importanti”
Mister Y: “Grande ammirazione e complimenti a ... per l’iniziativa e il coraggio di averla proposta”.
Mister X: “Caro ... grazie!! Qui si sta facendo una rivoluzione e questo è solo l’inizio. L’obiettivo è arrivare a tutti, lavoratori compresi, ingaggiandoli e appassionandoli ai valori dell’HSE. Questo può avvenire sia a livello organizzativo che a livello sociale. Come tutti i cambiamenti e le innovazioni una novità come questa attira a sé professionisti illuminati (come te) e individui ispirati che vogliono essere protagonisti del cambiamento e che stanno facendo parlare i fatti delle iniziative di questi giorni. Mentre naturalmente c’è anche chi è più o meno resistente a un qualcosa che forse ancora non capisce o che non gli conviene. Ci sarà tempo per salire tutti a bordo oppure per qualcuno di ritrovarsi da solo in un mondo che non esiste più. E la cosa più bella e straordinaria è che tutto questo sta avvenendo con una spinta totalmente no-profit grazie a decine e decine di persone che sono guidate dal genuino amore per la vita, la salute e la sicurezza e la voglia di contribuire a rendere il lavoro (e il mondo) più sicuro. Quindi ... welcome on board!”. 
MISTER Y: “E’ interessante osservare da lontano come si sviluppa la discussione fra early adopters e late... e come l’equazione sia ancora sbilanciata dalla parte della conformità contro le persone specialmente fra professionisti... stay in touch... Ho un paio di idee su questo...”. 
E allora se l’intento è quello dichiarato arrivare a tutti i lavoratori, qualcuno dovrebbe spiegarmi se pensano di farlo usando un linguaggio per pochi intimi o, per rimanere in tema, per alcuni “ELETTI” che proveranno a calare il “verbo” al volgo. 
Cosa ne pensate? A me viene in mente solo un breve commento: “Parla come magni!”.
Poi però ci sono anche le persone che ogni giorno rischiano la pelle senza visioni, illuminazioni, intenti missionari, ma con il solo scopo di portare a casa uno stipendio sapendo di aver fatto una cosa utile. 
Uomini e non fenomeni. 
Grazie Giuseppe

Franco Mugliari alias Muglia La Furia

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From: Proletari Comunisti pcro.red@gmail.com
To:
Sent: Sunday, May 22, 2016 6:15 AM
Subject: VERSO LA NUOVA UDIENZA DEL PROCESSO ILVA A TARANTO IL 14 GIUGNO

Noi vogliamo un processo popolare, vogliamo giustizia e risarcimenti, consapevoli che l’unica giustizia è quella proletaria e che non sarà un processo che ci salverà, ma serve una mobilitazione operaia e popolare locale e nazionale.
Occorre capire l’importanza politica e nazionale di questo processo. Un processo che per il tipo di imputati, per il loro numero, per l’attacco concentrico a salute e lavoro, mostra esemplarmente il sistema del capitale ed è oggettivamente la “madre” di tutti i processi di questo tipo. Gli imputati sono tutte le espressioni del sistema economico, politico, istituzionale, dai grandi capitalisti ai loro agenti, dai rappresentanti delle Istituzioni, parlamentali, regionali e locali, ad esponenti della Digos e delle Forze dell’Ordine, dai dirigenti degli Enti che dovevano controllare, fino ad alti prelati della Chiesa. 
Mancano, ed è una grave lacuna del processo, i vertici e i rappresentanti in fabbrica dei sindacati confederali e mancano i giornalisti nazionali e locali prezzolati da Riva. E il quadro del sistema borghese sarebbe completo.
L’ILVA è al centro oggi della contraddizione epocale tra gli interessi del capitale e gli interessi degli operai e delle masse popolari, tra la logica del profitto e la salute, la vita degli operai e delle masse popolari.
Non solo. Il processo ILVA è oggi soprattutto espressione dell’azione dei governi, e oggi in particolare del governo Renzi, che in nome di salvare gli interessi dei padroni e gli interessi dell’economia nazionale dei padroni legati alla produzione dell’ILVA, non hanno esitato e non esitano ad agire contro il processo con Decreti e azioni ad hoc che ne vogliono impedire lo svolgimento, mettere al riparo gli imputati e negare giustizia e risarcimento a operai e masse popolari.
L’ILVA mostra in maniera esemplare come lo Stato sia sempre e solo al servizio del capitale. La gestione attuale di Stato e di governo dell’ILVA mostra che l’intervento dello Stato borghese serve solo per socializzare le perdite e in futuro, nuovamente, privatizzare i profitti.

Proletari Comunisti - PCm italia
Taranto 24 maggio 2016

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From: Proletari Comunisti pcro.red@gmail.com
To:
Sent: Sunday, May 22, 2016 6:15 AM
Subject: RESOCONTO DELLA PRESENTAZIONE DEL LIBRO “ILVA LA TEMPESTA PERFETTA”

Partecipata, rappresentativa e interessante è stata l’assemblea organizzata nel quadro della presentazione del libro “ILVA la tempesta perfetta” alla libreria Mondadori di Taranto il 16 maggio.
Essa è stata aperta, per la libreria, dalla giovane giornalista Carucci che ha sottolineato l’importanza di questa presentazione alla vigilia della ripresa del maxi processo ILVA.
Subito dopo, Gianmario Leone, giornalista free-lance prima di TarantoOggi, ora del Manifesto e dei giornali web Corriere di Taranto e Siderweb, ha introdotto la presentazione del libro.
E’ partito dicendo che questo è un libro fatto dal basso, accessibile a tutti, di cui ho apprezzato molto il taglio perché è fatto per gli operai. Spesso e volentieri gli operai sono stati messi come in un tritacarne e fatti passare come complici e assassini. Si tratta di una visione superficiale della classe operaia dell’ILVA che ha vissuto varie stagioni. Pensiamo anche che questa è una fabbrica che è passata attraverso varie vicende emblematiche, per esempio la vicenda del mobbing della “Palazzina LAF”.
L’ILVA è una problematica di livello nazionale e internazionale, e interessante il taglio che dà il libro all’inchiesta giudiziaria.
Subito dopo ha denunciato, per spiegare il clima, in cui tutta la vicenda ILVA si è svolta, in quei due anni e negli altri a seguire, che lui e la sua testata TarantoOggi sono stati esclusi dalle conferenze stampa dell’ILVA, quando, invece, numerosi giornalisti, citati anche nella stessa inchiesta giudiziaria, per intercettazioni, ecc., sono ancora lì, a fare la morale e a pontificare. Così come restano al loro posto i sindacalisti che hanno avuto un ruolo davvero grave. Così come nell’inchiesta non sono entrati tutta una serie di politici, dalla Di Bello a Fitto, ecc., da sempre legati alla gestione Riva. Indecente, poi, è che questo processo sia diventato ora essenzialmente un processo politico, in cui si parla di Vendola, ecc., mentre non si parla più dei Riva e di chi ha gestito questa fabbrica per 20 anni. Siamo di fronte ad una città che di fatto non ha voglia di cambiare.
Il libro segnala come tutti dovremmo fare un esame di coscienza e indica la strada giusta del “processo popolare”.
Subito dopo uno degli autori del libro “ILVA la tempesta perfetta” ha innanzitutto apprezzato le cose dette nella introduzione perché evidenziano il problema di fondo che il libro pone: equilibrare il punto di vista e rappresentare la classe operaia, i fatti e le opinioni che si sono sviluppati nelle sue fila, nei due anni più caldi della vicenda. Nello stesso tempo il libro mette in luce come lo shock provocato dall’inchiesta abbia avuto una reazione estesa e diffusa in fabbrica e in città, ma che le posizioni prevalenti in fabbrica e in città hanno impedito che questa reazione operaia e popolare approdasse a qualcosa, tanto che giustamente si può affermare che non è cambiato nulla di sostanziale.
Gli operai sono stati presenti e attivi, ma non hanno fatto pesare la loro dialettica e la loro posizione. Il 27 novembre 2012 la fabbrica è stata occupata e quella giornata, che resta importante, poteva aprire il cambio di passo e della situazione, ma questo non è avvenuto anche per le posizioni che hanno agito.
Il libro afferma e cerca di dimostrare che nocivo è il capitale e non la fabbrica e che le posizioni del “ritorno all’indietro” hanno pesato negativamente nella mobilitazione operaia e popolare, senza mettere in discussione il sistema del capitale. Il libro, in questo senso, fa discutere di nodi che vanno al di là della vicenda locale.
Rispetto all’inchiesta giudiziaria, l’assenza dei sindacalisti tra gli imputati è stata una scelta della Procura che, lo abbiamo anche direttamente detto al Procuratore, non ci convince. Il processo, quindi, non può essere lasciato ai giudici.
Giancarlo Girardi, ex operaio ILVA, è intervenuto, prima di tutto raccontando come per tanti anni, prima dell’esplosione del dominio Riva, la classe operaia dell’ILVA si è battuta per cambiare l’organizzazione del lavoro in fabbrica che ha tanta influenza sulla sicurezza, sulla salute e sul rapporto fabbrica/ambiente.
La classe operaia ha cercato di svolgere il ruolo che nel libro è indicato, cercando di attuare quella concezione “che liberando sé stessa libera l’umanità”. Gli operai negli anni ‘70 hanno lottato per mettere insieme ambiente e sicurezza, hanno imposto un cambio dell’organizzazione del lavoro, a cui però i gestori, pubblici, dell’azienda non hanno fatto seguire fatti. In questa fabbrica la lotta non è mai dipesa tanto dai numeri, ma dalla coscienza operaia.
Quindi, anche per rispondere alla sollecitazione venuta dall’introduzione sul perché ancora oggi il movimento ambientalista non è unito, anzi, è andato sempre più dividendosi e frammentandosi, ha tracciato la sua traiettoria una volta uscito dalla fabbrica con il suo impegno nel movimento ambientalista, prima col Comitato per Taranto e poi in Alta marea. Questo movimento non è riuscito a rivolgersi agli operai (e dobbiamo tener conto che gli operai assunti nella fase di Riva sono figli di una selezione preventiva che risponde a logiche clientelari e padronali) ed è il mancato rapporto con la classe operaia e i giovani la causa dell’indebolimento del movimento ambientalista.
Il 2 agosto è stato una sconfitta dei sindacati e ha posto l’esigenza del sindacato di classe e del partito della classe operaia, necessari ora più che mai di fronte all’avvicinarsi di una nuova multinazionale che potrebbe acquisire l’ILVA. Questa si deve trovare di fronte ad una classe operaia che vuole salute e sicurezza.
L’avvocato Bonetto, alla vigilia del processo ILVA che lo vede attivo nel pool di avvocati delle parti civili presentate dallo Slai cobas sc, ha parlato subito del recente processo Thyssen-Krupp e del fatto, simbolico forse ma importante, che vede i condannati in Cassazione italiani materialmente in carcere, cosa che non era mai successa. Mentre la Ministra Guidi, oggi dimessasi, aveva ritenuto normale nominare uno dei condannati che oggi sono in prigione alla dirigenza dell’ILVA commissariata.
Ma i processi si fanno quando non si riescono a rimuovere problemi in altro modo. Il processo ILVA è importante. Si tratta di un processo per reati di particolare gravità: per disastro doloso, per aver messo in pericolo la vita di un numero indefinito di persone. In occasione del processo Thyssen-Krupp madri e familiari degli operai morti sono andati dovunque e hanno indirizzato con la loro presenza il dibattito processuale. Basti pensare a quest’ultima fase. In Cassazione, dopo la requisitoria del procuratore generale che aveva chiesto l’azzeramento del processo e il suo ritorno all’inizio, è esplosa in aula la rabbia e la protesta dei familiari presenti che hanno gridato: “venduti, bastardi”. E, sarà come sarà, la Corte ha preso poi una decisione diversa, mantenendo condanne e prigione.
Se non riusciremo a produrre una pressione simile in questo processo ILVA non avremo nulla da esso e solo la non salute e il non lavoro.
Vi sono stati in seguito altri interventi a testimoniare l’interesse della discussione, fatta in un’assemblea in cui erano presenti operai dell’ILVA, lavoratori precari, disoccupati, donne, giovani, ambientalisti conosciuti, a testimonianza della funzione che questo libro sta assumendo e già verificata nelle diverse presentazioni succedutesi a Taranto e su scala nazionale.
In particolare un operaio dell’ILVA attualmente in fabbrica e parte civile al processo ha informato come in fabbrica si vanno discutendo queste cose e diversi operai vogliono far sentire la loro voce e prendere la loro iniziativa. Come non è stato vero che durante i due anni caldi siamo stati fermi – ha ricordato come il giorno della marcia del 30 marzo organizzata da azienda e capi, vari operai sono rimasti in fabbrica, pur rischiando - non lo è neanche oggi né lo sarà in futuro.
E con forza ha fatto un appello agli ambientalisti di venire a parlare con gli operai, di dare un contributo di conoscenza, informazione che serva alla chiarezza e all’azione. Un intervento importante che ha colpito tutta l’assemblea e che segna un’indicazione che va tradotta in fatti e organizzazione.
Questa discussione è interesse di tutti che non rimanga tale ma che si traduca in fatti e proposte per l’avanzamento della lotta e della partecipazione popolare al processo, per imporre una soluzione reale alla tutela della salute, del lavoro e al cambiamento radicale della fabbrica e della città.
Esiste su You Tube una video registrazione dell’assemblea per tutti coloro che vogliono approfondire:

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From: Cobas Pisa confcobaspisa@alice.it
To:
Sent: Sunday, May 22, 2016 8:16 AM
Subject: ANCORA INFORTUNI SUL LAVORO IN PROVINCIA DI PISA

COMUNICATO STAMPA
La Corte di Cassazione Penale, con sentenza n. 34289 del 6 agosto 2015, ha ritenuto responsabili le figure preposte all’osservanza delle norme antinfortunistiche di un’impresa, che si stava occupando di erigere n muro in un capannone per un’altezza pari a 3,5 metri e dal quale era derivato l’infortunio di un lavoratore.
La responsabilità è stata ravvisata nella mancata previsione di protezioni tali da prevenire il rischio di caduta dall’alto dei lavoratori.
Probabilmente un caso analogo è accaduto nella zona industriale di Piana di Noce sabato scorso con un operaio caduto e ora ricoverato in gravi condizione all’ospedale di Pisa
Eppure la normativa per la sicurezza non ammette errori, basta solo applicarla e predisporre un cantiere con le protezioni adeguate che ovviamente ha un costo economico che numerose aziende vanno aggirando trovando operai disposti per pochi euro a mettere a rischio la loro vita.
Una condizione sempre più diffusa con i lavoratori di edilizia sottoposti ad un ribasso senza precedenti, una guerra tra poveri che ha abbassato non solo il costo della manodopera ma ridotta la soglia di attenzione verso la sicurezza e reso più debole il potere di acquisto e di contrattazione degli operai edili.
il D.Lgs. 81/08, prevede all’articolo 122 che per i lavori in quota bisogna avvalersi di adeguate impalcature, ponteggi, opere previsionali o precauzioni che eliminino i pericoli di caduta delle persone o cose.
Inoltre, con la riforma del Testo Unico di Sicurezza ad opera del D.Lgs. 106/09, il legislatore ha previsto una maggiore cautela per i lavori da eseguire a un’altezza superiore ai 2 metri, con la finalità di prevenire il rischio di cadute.
Per quanto ne possano dire, la caduta dell’operaio, a cui auguriamo una pronta guarigione, di accidentale non ha nulla.

Cobas Pisa
Sportello salute e sicurezza nei luoghi di lavoro
Per lo Sportello Davide Banti

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From: Clash City Workers cityworkers@gmail.com
To:
Sent: Sunday, May 22, 2016 10:16 PM
Subject: PADOVA: OLTRE L’80% DI ADESIONI ALLO SCIOPERO DI BUSITALIA!

75 autobus su 90, 6 tram su 11: questi i numeri dei mezzi bloccati la mattina di martedì 17 per 4 ore dai lavoratori di BusItalia. La riuscita di questo primo sciopero è un segnale forte e chiaro alla dirigenza di BusItalia e all’amministrazione comunale: così non si può più andare avanti!
Da mesi, infatti, la situazione dei lavoratori si è fatta insostenibile.
Dopo che APS, l’azienda del trasporto pubblico padovano, è stata privatizzata tramite una fusione con BusItalia (azienda che proviene da Firenze, dove ha già avuto modo di farsi conoscere dopo aver rilevato la comunale ATAF) le cose non hanno fatto che peggiorare: il vecchio sistema di turnazione è stato sostituito da un nuovo metodo, che ha spezzato la continuità del lavoro inserendo ore “buche” all’interno della giornata. Per fare un esempio: ci sono nastri che durano 10 ore e al cui interno le ore effettivamente lavorate sono 7! E le altre 3 ore? Un’indennità di 5 € all’ora e via.
L’effetto sulla vita dei lavoratori è devastante: devono sacrificare tutta la loro giornata, in cui non possono fare niente, non possono vedere la famiglia, i figli, e tutto in nome di una presunta maggiore efficienza del servizio!
In più, dal 7 gennaio, giorno in cui sono stati introdotti i nuovi turni (senza che la dirigenza si preoccupasse di spiegare qualcosa agli autisti, e gli effetti si sono visti), la turnazione è cambiata 45 volte! Anche qui, ciò che è colpito è la possibilità per i lavoratori di poter disporre della loro vita, di poter organizzare la loro giornata per fare altro a parte lavorare.
Ma i turni sono spezzati anche perché a ogni autista vengono assegnati più linee e mezzi diversi all’interno dello stesso turno: e questo ha effetti disastrosi anche per l’utenza, perché si crea un incastro tale tra le linee e i mezzi che un semplice ritardo, un qualsiasi incidente hanno ripercussioni a catena (e che ci siano incidenti è molto probabile: gli autisti sono spesso obbligati a uscire con mezzi che non funzionano bene o che addirittura non sono a norma).
E oltre al danno, c’è pure la beffa: a detta degli stessi lavoratori, cioè di quelli che conoscono meglio l’azienda in cui lavorano, prima della fusione il servizio era molto più efficiente. Questo nuovo tipo di turnazione pare quindi essere finalizzato solo a un maggior profitto, anche se le modalità con cui questo obiettivo viene perseguito sono completamente irrazionali: i turni complessivi, infatti, sono addirittura aumentati, con una spesa maggiore per l’azienda!
Questo sciopero di 4 ore, proclamato da ADL, SLS e SGB (i sindacati più rappresentativi tra i lavoratori BusItalia, anche se al tavolo di trattative si siedono solo i confederali, che si rifiutano di indire le elezioni interne consapevoli che le perderebbero), va quindi in una duplice direzione: gli autisti lottano per le loro condizioni di lavoro e per garantire alla città un servizio adeguato.
Di contro, la dirigenza di BusItalia (che sta evidentemente lavorando per smantellare le conquiste sindacali delle lotte intraprese in passato dai lavoratori e per distruggere la qualità del servizio) si è rifiutata di interloquire con i lavoratori in sciopero e non sembra intenzionata a cedere su nessun punto.
Si parla già di un prossimo sciopero di 8 ore.

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