Michele Rauseo è stato licenziato dalla fabbrica in
cui lavora perché è accusato di: “Avere danneggiato dolosamente il tubo di
aspirazione di una saldatrice”, spiega l’avvocato Ameriga Petrucci, che si sta
occupando del caso. Nel reparto di Rauseo è la lastratura della PMC, parte
dell’indotto automobilistico della Fiat di Melfi è c’era stata una ispezione
perché lui e il collega Michele Corbosiero, che soffrono di gravi patologie,
contestano all’azienda di non potere lavorare in mezzo ai fumi della saldatura.
“Il fatto di cui si accusa Rauseo non è mai avvenuto”,
spiega l’avv. Petrucci. “I tubi erano precedentemente lacerati e riparati alla
meglio, e questo è stato rivelato dagli ispettori e dai colleghi”. Si procederà
dunque al ricorso per il reintegro dell’operaio per stabilire chi ha ragione,
mentre Corbosiero attende ancora che l’ispezione certifichi all’azienda che le
sue condizioni di salute non gli permettono di lavorare in lastratura.
Sembrerebbero due cause del lavoro come ce ne sono
tante in Italia. Eppure, questa storia non è così semplice. Perché Rauseo e
Corbosiero hanno già un’ordinanza che stabilisce che loro, alla lastratura, non
devono starci. I due operai, infatti, fino a due anni fa erano dipendenti Fiat.
Erano iscritti alla Fiom. Entrambi, assieme ai colleghi Marco Forgione e Sergio
Gallo, vennero spostati dalla catena di montaggio, dove lavoravano, alla
lastratura del reparto noto come ex-itca.
Un reparto che è stato ceduto nel gennaio 2014 da Fiat
come “ramo d’azienda”, a una ditta dell’indotto, la PMC. E gli operai sono
stati ceduti assieme all’azienda. Da allora, sono passati oltre due anni e
questi operai, ancora una volta, si vedono riportati in quel reparto che
secondo un’ordinanza non è adatto alle loro condizioni di salute. “C’è stato
già un giudicato cautelare e una transazione con l’azienda”, spiega l’avvocato.
“Ora abbiamo chiesto un’ispezione perché quelle postazioni rimangono
incompatibili”.
Viene da chiedersi perché questi operai vengano messi
in un reparto se esistono già delle ordinanze che lo vietano, e se c’è di mezzo
la loro salute. Ma la vicenda di questi operai parte da più lontano: da quei
tre operai “Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte, Marco Pignatelli” licenziati
nel 2010 da Fiat per un presunto sabotaggio durante uno sciopero, e che l’azienda
dovette reintegrare dopo tre gradi di giudizio e il riconoscimento della
condotta antisindacale.
Nelle cause degli anni passati si indicava come ci
fosse un legame tra i licenziamenti dei sindacalisti e i trasferiti alla ex-Itca:
Una percentuale considerevole “dei lavoratori trasferiti alla ex-Itca sono
tesserati Fiom”, si legge nel vecchio reclamo di Sergio Gallo, “componenti del
direttivo Fiom di fabbrica, come Michele Rauseo e Rosa Santoro, simpatizzanti
Fiom, testimoni/informatori, come Marco Forgione, nella nota azione giudiziaria
(?) riguardante il licenziamento di Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco
Pignatelli”.
Torniamo indietro di quattro anni. Nel 2012 vengono
presentati i ricorsi d’emergenza per quattro operai della Fiom spostati dalla
catena di montaggio alla saldatura, la ex-itca. Quattro operai che soffrono di
gravi patologie: Michele Rauseo, che soffre di ipertensione, Sergio Gallo,
cardiopatico, Michele Corbosiero, cardiopatico, e infine Marco Forgione, operato
per un tumore.
Nei ricorsi dell’avvocato Petrucci c’è anche la “discriminante
sindacale” perché gli operai sono tesserai Fiom, ma i giudici si concentrano
sullo stato di salute dei lavoratori. Che lamentano malori e condizioni
difficili, per via delle loro patolgie incompatibli con i fumi della lastratura
presenti della ex-itca. Ecco cosa raccontava Corbosiero in un’intervista nel
2014: “Nell’agosto del 2011 ho avuto un malore, e ho aspettato l’ambulanza per
mezz’ora perché la ex-Itca è più lontana dal presidio medico dello stabilimento
Fiat”.
Di quei quattro ricorsi solo Marco Forgione venne
ritrasferito alla catena di montaggio, in Fiat, dove tutt’ora lavora. La sua
causa, infatti, è stata condotta due anni prima degli altri tre operai, perché
assegnata a un giudice diverso. Rauseo, Corbosiero e Gallo, invece, pur avendo
vinto il ricorso nel 2014 si sono trovati in mano un pugno di mosche, perché
nel frattempo Fiat ha ceduto la ex-itca come ramo d’azienda. E così facendo, ha
ceduto anche i lavoratori.
Da allora Rauseo, Gallo e Corbosiero pur trovandosi a
non essere più dipendenti Fiat e non potendo più tornare in quella catena di
montaggio da cui erano stati trasferiti anni prima è non sono tornati a
lavorare in saldatura. Hanno svolto altre mansioni alla PMC. Due mesi fa però,
è ricominciato tutto da capo: lo spostamento in lastratura, le diffide dell’avvocato,
le ispezioni. Non basta. Il 1 aprile, a seguito dell’ispezione del reparto per
accertare la compatibilità delle postazioni con le condizioni di salute degli
operai, Rauseo riceve una lettera una licenziamento. Secondo l’azienda, avrebbe
danneggiato il tubo di aspirazione di una saldatrice prima che ci fosse l’ispezione.
Ora spetterà a un giudice stabilire chi ha ragione.
Ma dei dubbi, su tutta questa vicenda che inizia in
Fiat, rimangono. Ad esempio, perché mettere questi operai con gravi patologie
in un reparto per cui c’è già un giudicato che stabilisce il contrario? E poi,
se il ricorso contro lo spostamento in lastratura fosse stato giudicato prima
della cessione del ramo d’azienda, questi operai lavorerebbero ancora in Fiat?
continua su: http://www.fanpage.it/licenziato-per-aver-danneggiato-un-tubo-non-c-e-pace-per-gli-operai-fiom-ceduti-da-fiat/
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