NEWSLETTER PER LA TUTELA DELLA SALUTE
E DELLA SICUREZZA
DEI LAVORATORI
INDICE
IL PUNTO SUL RISCHIO
AMIANTO IN ITALIA
30
aprile 2016
di
Vito Totire
Medico
del lavoro e presidente nazionale della Associazione Esposti Amianto (http://www.arpnet.it/aea)
Documento
redatto e diffuso in occasione della “Giornata mondiale delle vittime
dell’amianto e del lavoro” Bologna, 28/04/16
PREMESSA
I
ritardi e le omissioni istituzionali sono spaventosi e ci tocca, come sempre,
di “nuotare controcorrente”; siamo abituati.
BONIFICHE
Le
bonifiche sono ferme o, nella migliore delle ipotesi stanno andando avanti con
lentezza esasperante.
Acqua
potabile: è l’argomento maggiormente “rimosso”. Intendiamo rimozione
psicologica al posto della necessaria e improcrastinabile rimozione fisica
delle tubazioni in cemento-amianto. A Bologna (e non è la situazione “peggiore”
d’Italia) nel 2015, i campioni con presenza di amianto sono stati il 36% con un
picco di 20.000; negli anni precedenti la media dei positivi oscillava attorno
al 10-12% e il picco era stato di 2.500 circa; nel 2015 l’ISS (Istituto
Superiore di Sanità) ha emanato una circolare che non ha discusso, né con le
parti sociali, né con la comunità scientifica. Le aziende che gestiscono
l’acqua e molti enti locali hanno messo in atto i peggiori mezzi possibili per “rassicurare”
la popolazione, sino a fare affermazioni assurde che si ritenevano “archiviate”
del tipo: l’amianto se ingerito è innocuo! Oppure: l’amianto se è “poco” non fa
male! I governi nazionali invece “tacciono” ma dopo aver avallato l’uso delle
tubazioni in cemento-amianto fino all’esaurimento delle scorte. Al quotidiano “La Repubblica” di Bologna
abbiamo proposto una tavola rotonda sul tema: nessuna risposta; non hanno
neppure pubblicato la lettera.
Intanto
nel comune di Agliana, in provincia di Pistoia, sono state contate 707.000
fibre di amianto (in microscopia elettronica a scansione); la rete amiantata a
livello nazionale oscilla ancora attorno a 100.000 km. L’amianto ce
lo “berremo tutto”?
A
ogni buon conto: nel marzo del 2016 abbiamo inviato un esposto alla Procura
della Repubblica di Bologna sul tema dell’inquinamento dell’acqua da amianto;
stiamo monitorando l’iter dell’esposto.
Invitiamo
chiunque interessato a comunicarci situazioni critiche.
Edifici:
permane la assurda omissione di misure preventive semplici e a costo zero quali
i censimenti con obbligo di autonotifica. In sostanza, tranne i casi di
cittadini o comitati che insistono (giustamente) su singoli immobili o siti da
bonificare, la “linea” è: bonificate quando e se vi pare. In provincia di
Bologna l’assessore di San Lazzaro di Savena, che aveva portato avanti la
ergonomica e intelligente pratica del censimento previa autonotifica
obbligatoria, è stato sfiduciato dalla sindachessa per questo o quest’altro
motivo (non si sa); aveva peraltro ricevuto una pallottola per posta da
qualcuno irritato dalle sue proposte sulla limitazione della caccia al cinghiale.
In
realtà quella misura, che fu da noi suggerita (censimento a tappeto con obbligo
di autonotifica) ha dato ottimi risultati. Deve essere estesa a tutto il
territorio nazionale e deve prevedere verifiche periodiche fino alla
dichiarazione di “territorio asbestos free”. Siamo molto lontani
dall’obiettivo: basta fare un viaggio in treno, in qualsiasi posto in Italia e
guardare dal finestrino.
Particolarmente
arrogante la posizione del Comune di Bologna che ha ricevuto numerose sollecitazioni
da noi e da Legambiente: nulla, il censimento non lo vogliono disporre e la
città subisce la presenza indisturbata di enormi quantità di eternit che il
proprietario del sito bonifica quando e se lo decide lui; paradossali le
situazioni dei Prati di Caprara, del sito industriale di via Bignardi 14
(verificato ieri), ecc.
Anche
sugli edifici abbiamo presentato un esposto alla Procura; in questo caso quella
di Modena per denunciare la vendita in un processo fallimentare di strutture
edilizie contenenti amianto; al momento nessun riscontro.
Treni:
prendiamo atto che sono ancora circolanti centinaia e centinaia di rotabili con
freni e ralle che necessitano di bonifiche. Un microscopico annuncio pubblicato
da un quotidiano italiano il 23/03/16 parla di almeno 1.931 carri da
bonificare. Non si capisce se siano proprio tutti quelli messi a bando e se
siano gli “ultimi”; siamo nel 2016! Fino a ora hanno circolato sprizzando fibre
negli ambienti circostanti; tanto, forse, nessuno pagherà per i danni e il
distress procurato.
E
pensare che ancora oggi macchinisti e personale viaggiante (spesso purtroppo i
loro familiari, a nome dei congiunti deceduti) devono ancora frequentare i
tribunali per ottenere riconoscimenti e risarcimenti. Se la parte lesa è un
macchinista di solito l’iter per i riconoscimenti è meno tortuoso; se è un
lavoratore del cosiddetto personale viaggiante il riconoscimento (persino del
mesotelioma!) vediamo che dipende dall’orientamento del giudice e, soprattutto,
del CTU cioè dalla consulenza tecnica del tribunale. E pensare che in questi
casi parliamo di esposizioni pregresse ad alte dosi: ma basta leggere i bandi
pubblicati sui giornali per verificare che persino oggi le bonifiche non sono
finite!!!
Dopo
aver trovato questo annuncio pubblicato il 23/03/16, siamo andati sul sito
indicato e abbiamo constatato recentissimi interventi su ulteriori centinaia di
mezzi rotabili...eppure sono passati tanti anni dalla Legge 257/92 Norme per la
“cessazione” (le virgolette sono nostre) dell’uso dell’amianto!
PREVENZIONE
SECONDARIA
Tragico
ritardo: in maniera disomogenea e lacunosa è stata avviata qualche iniziativa
di monitoraggio sanitario degli ex-esposti; ma siamo letteralmente in alto
mare. Non è stato attivato un organico progetto nazionale di costituzione della
Anagrafe degli ex-esposti; prevalentemente vi sono prassi locali centrate sulla
fornitura di supporto e consulenza “su richiesta” anche se è fin troppo
evidente che con queste procedure non si raggiungono proprio i soggetti meno informati
e quindi più vulnerabili. Il “poco” che esiste c’è solo grazie alla
determinazione di comitati locali di lavoratori ex-esposti. Da riscontri e
confronti che abbiamo avuto con studiosi e scienziati ci risulta che vengano
usati farmaci di cui non è stata mai provata l’effettiva efficacia mentre non
esiste una autorevole linea guida che possa dare indicazioni magari semplici,
certo non risolutive, ma che potrebbero attenuare l’impatto sanitario.
Particolarmente
colpevole il fatto che, mancando una anagrafe completa, la popolazione degli ex
esposti non sia stata raggiunta, come era ed è doveroso, da una concreta e
personalizzata proposta attiva di corsi e sostegni per smettere di fumare!
Particolarmente
vergognoso che, alla ricerca della difficile, ma non impossibile diagnosi precoce,
in quasi tutta Italia, ognuno debba arrangiarsi: pagare il ticket, scontrarsi
con difficoltà e indicazioni confuse!
RISARCIMENTI
Risarcimenti
in sede civile
I
risarcimenti devono essere ricondotti a una prassi accettabile per un Paese
civile. I processi durano una esagerazione; anche in quelli civili occorre
affrontare ostacoli e ostruzionismi indecorosi.
Chiediamo
che il governo emani una linea-guida quantomeno per le aziende pubbliche. Per
fare un esempio: se un lavoratore è stato esposto ad amianto e ha conseguito un
mesotelioma deve essere risarcito immediatamente con 2 milioni di euro per il
danno alla persona e con mezzo milione di euro per ogni congiunto di primo
grado, ecc.
Se
un lavoratore è stato esposto ad amianto all’Officina Grandi Riparazioni di
Bologna, ha contratto un mesotelioma che lo ha condotto al decesso, ha persino
riscontri anatomopatologici di presenza di fibre nel tessuto polmonare a
livelli abnormi: in queste condizioni i suoi familiari devono fare ricorso al
tribunale civile o del lavoro per un risarcimento da parte delle Ferrovie? E’
assurdo: il governo dia indicazioni per un risarcimento equo alla persona e ai
familiari, smettiamola di intasare i tribunali e di causare ulteriori gravi
sofferenze ai superstiti!
Risarcimenti
in sede penale
Occorre
abrogare la prescrizione in materia di lesioni e omicidio colposi. Occorre
definire le procedure per l’impostazione dei processi penali ammettendo la
partecipazione attiva delle parti civili alla definizione dei capi di
imputazione. Oggi ci troviamo in discussioni penali in cui un capo di
imputazione erroneamente e irrealisticamente limitato può condurre per esempio
a discutere “solo” di placche pleuriche in un soggetto che è deceduto per
leucemia e che è stato esposto ad amianto ma anche a tossici industriali ancor
più palesemente leucemogeni dell’amianto. E’ necessario modificare le procedure
giudiziarie per consentire la presa di pregresse esposizioni multiple.
Ci
siamo chiesti, a esempio, da lunghi anni: per quale motivo non sono
all’attenzione del giudice penale l’eccesso di tumori della vescica emerso
nella coorte Casaralta a Bologna o l’eccesso di linfomi non Hodgkin e di tumori del rene nella coorte OGR,
sempre di Bologna?
Riconoscimenti
in sede assicurativa (INAIL)
Avanziamo
la seguente proposta, da lunghi anni: la valutazione del nesso di causa
professionale venga sottratto all’INAIL. Visto che questa ipotesi è stata
circondata da un enorme muro di gomma e che alcuni dei pilastri di questo muro
sono certi sindacati e certi partiti che una volta (cioè storicamente) facevano
riferimento alla classe operaia, senza (per quel che ci riguarda) ripensamenti
o mediazioni, avanziamo in contemporanea una proposta che potrebbe contribuire
a ridurre le sofferenze dei lavoratori. L’INAIL deve (prima di decidere)
acquisire obbligatoriamente la valutazione/classificazione che del caso in
esame è stata adottata nell’ambito del sistema Malprof, con facoltà di
dissentire, ma motivando il dissenso (se c’è). Contestualmente avanziamo una
ulteriore proposta alla luce della modifica delle tabelle delle malattie
professionali avvenuta nel 2014: con un decreto del Ministero della Salute o
con una circolare venga disposta la riapertura di tutti i casi di patologie che
hanno cambiato classificazione con facoltà, ovviamente, di denunciarle anche in
prima istanza. Per essere chiari, facciamo riferimento, per esempio a: tumori
laringei di esposti ad amianto (Quanti ne ha respinti l’INAIL? Quanti non sono
stati neanche denunciati perché tanto l’INAIL li avrebbe respinti?); tumori del
polmone in persone esposte a fumi diesel (stesso discorso); tumori e del rene
in esposti a trielina (stesso discorso). Tutti questi casi vanno riaperti se
già segnalati e respinti; vanno ricercati a ritroso se mai segnalati.
L’INAIL
invece, agli antipodi di questo ragionamento, fa ancora e persino ostruzionismo
sul criterio della “data della conoscibilità”. Poi qualche volta o spesso
perde, come dimostrato dalla encomiabile attività del Comitato operaio di Sesto
san Giovanni: dobbiamo ancora capire perché un operaio che ha subìto un tumore
laringeo da amianto invece che ricevere le scuse e il risarcimento equo da
parte dello Stato, debba anche subire il distress dei tribunali che (come
abbiamo già detto) vorremmo contribuire a decongestionare con sollievo per
molti (non solo per le vittime dirette).
Proponiamo
in aggiunta che, a partire da questa griglia (vale a dire tutte le patologie
oggi “tabellate”, compresa la
Lista III) si avvii una ricerca attiva dei casi con una
attività congiunta AUSL/INPS/INAIL finalizzata ai giusti risarcimenti
assicurativi.
ESEMPI
DI SITUAZIONI AFFRONTATE DALLA NOSTRA ASSOCIAZIONE NELL’ULTIMO ANNO
Non
pubblichiamo l’intera casistica ovviamente, ma facciamo riferimento a
situazioni che hanno evidenziato particolari e gravi contraddizioni
AMBIENTE
Al
problema della acqua “potabile” abbiamo già accennato
Smaltimenti
abusivi. Per una triste circostanza proprio ieri abbiamo avvistato uno
smaltimento abusivo di fibrocemento in val di Zena. Per chi non la conosce la
val di Zena è uno dei posti più incantevoli della provincia di Bologna dal
punto di vista paesaggistico, naturalistico e faunistico. Uno smaltimento
abusivo è raccapricciante ovunque si verifichi ma qui è anche il “pugno in un
occhio”. Il riscontro è stato già segnalato al comune competente (Pianoro) che
ha già dovuto intervenire, in passato, per bonifiche nello stesso sito.
Dovremmo monitorare: a) se si tratta effettivamente di materiali contenenti
amianto; ma a proposito dei margini di incertezza che vi possono essere: da
tempo abbiamo proposto che il fibrocemento senza amianto venga reso facilmente
identificabile onde evitare sprechi di risorse in relazione alla necessità di
effettuare pure analisi al microscopio sui materiali abbandonati; b) se e come
gli smaltimenti abusivi possano continuare nonostante il pregresso avvio di
censimenti territoriali. Va detto tuttavia che, a nostro avviso, questo Comune
ha adattato un criterio per il censimento non sufficientemente esaustivo che
quindi è più suscettibile di lasciare spazio a comportamenti illeciti. Per
essere chiari: il censimento deve essere esteso a tutti i materiali amiantiferi
e non alle sole tettoie! Su questo registrammo un dissenso anche con il comune
di San Lazzaro in quanto la nostra proposta di censimenti include anche le
tubazioni acquedottistiche, fognarie, ecc.
Edifici
da bonificare. Abbiamo già detto della irresponsabile condotta del Comune di
Bologna; ribadiamo che tutti i siti industriali/produttivi dismessi devono
essere considerati priorità assoluta. Occorre modificare le assurde linee-guida
regionali che inventano tempistiche e priorità irrispettose delle esigenze di
tutela dalla salute pubblica. Cosa significa infatti che il capannone può non
essere bonificato fino a quando la copertura non risulta nelle condizioni di
“degrado massimo”? La differenza tra “condizioni discrete” e “degrado massimo”
è costituita da milioni di fibre che, lasciando il tempo alla copertura di
degradarsi “a sufficienza”, vanno nell’ambiente e nell’organismo degli esseri
che vivono nel territorio. Avete mai osservato volatili appollaiati sui
capannoni di eternit? Spostandosi dopo la sosta portano via con sé fibre? Certo
sono “poche”...
In
Italia occorra adottare un piano serio, sistematico, esaustivo e urgente per la
bonifica del territorio.
SALUTE
Elenchiamo,
senza fare ovviamente un report completo della nostra attività nell’ultimo anno
(lo faremo successivamente) le vicende di alcuni lavoratori che hanno costituto
“eventi sentinella” utili da fare conoscere a tutti al fine di far circolare
informazioni e creare sinergie.
Lavoratore
taxista. Abbiamo contribuito al riconoscimento della natura professionale di un
tumore polmonare. Ci pare un esempio tipico per chiarire la necessità di
“rintracciare” e riconoscere tutti i casi: quelli già segnalati e
disconosciuti, quelli verificatisi ma mai segnalati. Infatti ora che il rapporto
tra fumi diesel e tumore del polmone è collocato in Classe I (nuova tabella
malattie professionali) torna l’interrogativo: quanti lavoratori taxisti o
comunque del settore trasporti, esposti a fumi diesel, si sono ammalati di
tumore polmonare? Quanti sono stati “riconosciuti” dall’INAIL? Per il
lavoratore citato due annotazioni: noi abbiamo sostenuto una esposizione
ambientale anche ad amianto; il riconoscimento contro il parere del’INAIL è
avvenuto solo nel secondo grado di giudizio (non appellato); ci sono voluti
12-13 anni per arrivare al riconoscimento!
Lavoratore
del comparto gas-acqua. Mesotelioma: valutazione penale e civile “in corso”.
Situazione tipica in cui, se esistesse la linea guida governativa che noi
auspichiamo, il lavoratore (in questo caso purtroppo deceduto) e i suoi
familiari non subirebbero il distress, oltre il lutto di questi ultimi,
dell’andare a discutere nel tribunale una questione che pare del tutto evidente
e che non c’è motivo di portare per le lunghe.
Lavoratore
impianti produzione elettrica. Mesotelioma: abbiamo contribuito al
riconoscimento assicurativo contro il parere dell’INAIL che, al momento, non ha
fatto appello e non lo farà perché i termini sono scaduti.
Lavoratore
edile. Mesotelioma disconosciuto dall’INAIL, riconosciuto da tribunale civile;
nessun ricorso dell’INAIL.
Lavoratore
manutenzione elettrica. Tumore polmonare; segnalato da noi a INAIL, AUSL, Procura.
A parere del medico oncologo (struttura pubblica) il caso non è professionale.
La “motivazione”: il tipo istologico sarebbe correlato a fumo di sigaretta.
L’INAIL ha convocato per il 10 maggio il lavoratore (ha lavorato anche presso
la Casaralta di Bologna) che ha un riconoscimento di pregressa esposizione ad
amianto di 18 anni...
Manutentore
petrolchimico. Mesotelioma: l’INAIL non riconosce l’aggravamento, non perché le
condizioni cliniche non siano aggravate ma perché non è passato almeno un anno
dall’ultimo aggravamento riconosciuto! E’ ben evidente che il Governo debba,
con urgenza, modificare le norme. Si devono adottare tabelle nuove che
escludano questa infamia di volere, per esempio, scaglionare la evoluzione del
mesotelioma in tre fasce di danno biologico. Occorre che tutte le patologie che
non hanno una speranza di vita sicura oltre i 5 anni vengano riconosciute
subito col massimo di danno biologico salvo poi essere riviste quando, ad
esami, nel caso di certi tumori polmonari, dopo 5 anni ci sia effettivamente
sopravvivenza e discreto recupero. La situazione attuale si configura come una
forma (non certo per responsabilità dell’INAIL) di “sadismo istituzionale”.
Lavoratore
OGR Bologna. Mesotelioma: i familiari sono costretti a ricorrere al tribunale
civile per il pagamento. Assurdo, vogliamo intasare i tribunali per questioni
che un governo civile sarebbe in grado di gestire indicando risarcimenti equi,
congrui e rapidi. Analogo è il caso di un macchinista delle ferrovie che stiamo
seguendo per un percorso di risarcimento in sede civile: fino a quando saranno
necessarie queste lungaggini burocratiche per ottenere l’equo risarcimento?
Lavoratore
macchinista ferroviario. Mesotelioma: grave ritardo temporale nelle procedure
di segnalazione agli enti preposti. Proponiamo che i risarcimenti decorrano
dalla data dei primi sintomi o quantomeno dalla diagnosi: i ritardi burocratici
nelle segnalazioni all’INAIL non devono ripercuotersi sui lavoratori.
Ulteriore
lavoratore macchinista ferroviario. Tumore laringeo, prima disconosciuto, poi
tardivamente riconosciuto “grazie” alla ricollocazione del rapporto amianto/tumore
laringeo in Tabella I. Come abbiamo detto i casi disconosciuti sono tantissimi
e vanno “recuperati”.
Processo
penale Enichem/Ravenna. E’ un processo che stiamo seguendo come parte civile e
il cui andamento ci ha aiutato a focalizzare meglio alcune proposte come quella
relativa alla necessità di rendere meno rigido l’ampliamento dei capi di
imputazione, di superare gli ostacoli attuali della “prescrizione”, di
modificare le norme assistenziali, di sollecitare gli enti locali e le
istituzioni a costituirsi parte civile nei processi. Perché per esempio a
Ravenna la Regione e il governo non si sono costituiti parte civile? Perché
Regione e governo lo fecero invece per il processo di Porto Marghera? Vuol dire
che la costituzione di parte civile è possibile e certamente accettata dai
tribunali ma allora come si spiegano le frequentissime “assenze” se non con la
mancanza di volontà politica di andare a fondo delle responsabilità e di far
pagare i responsabili delle omissioni?
CONCLUSIONI
Riteniamo
che la condotta delle istituzioni pubbliche sul problema dell’amianto sia
lacunosa e inaccettabile. Qualcuno cerca di giustificare i ritardi e le
inadeguatezze con la questione dei costi, ma questo argomento è un bluff. Da
diversi lustri stiamo portando aventi proposte semplici e logiche: alcune di
queste non costano nulla come ad esempio la proposta dei censimenti del
cemento-amianto tramite obbligo di autonotifica. Altre misure (come il
monitoraggio periodico dello stato di salute degli ex-esposti) oltre a essere
doverose per ragioni sociali ed etiche hanno un costo solo immediato e
apparente, in realtà comportano persino risparmi anche per la collettività.
Più
che altro, fino a oggi, le istituzioni si sono orientate alla prassi di
rimuovere i problemi e far finta che non esistano. Gravissima (anche perché
quasi occultata) la questione dell’amianto nelle acque cosiddette potabili;
gravissimo lo stato subtotale di abbandono delle vittime; gravissimi i ritardi
nelle bonifiche.
La
nostra associazione, indipendente dalle istituzioni, dall’industria privata e
pubblica, dai partiti e da quelli che si autodefiniscono “sindacati dei
lavoratori” (ma non lo sono), continuerà a portare avanti la sua azione di
tutela e difesa delle vittime dell’amianto e di tutte le altre forme di
nocività lavorativa e ambientale avendo, come sempre, quale unico fine la
tutela della integrità psicofisica della persona.
Non
intendiamo né estremizzare né fare la politica del “tanto peggio, tanto
meglio”: esemplare la nostra proposta sul problema INAIL; questo ente deve
essere esautorato ma se i tempi non fossero “maturi” (per l’indifferenza e
l’ostruzionismo della classe politica) avanziamo una proposta intermedia cioè
l’obbligo per l’INAIL di acquisire i riscontri del sistema di monitoraggio
Malprof prima di “decidere” sui singoli lavoratori. Esemplare ci sembra pure la
campagna che stiamo facendo sull’acqua potabile: l’acqua per essere definita
potabile deve avere amianto uguale a zero; se non è possibile ottenere subito
questo obiettivo, ci battiamo ovunque per abbassare comunque l’inquinamento.
Il
nostro problema non è “avere ragione”, il nostro obiettivo è ridurre
concretamente il rischio, la sofferenza e i lutti che la popolazione è
costretta a subire oggi e nell’immediato futuro a causa di ritardi, incuria e
interessi consolidati che qualcuno non vuole mettere in discussione.
La
lotta continua.
I VOUCHER UTILIZZATI
PER COPRIRE INFORTUNI DI CHI LAVORA IN NERO
Da:
La Repubblica
23
aprile 2016
di
Roberto Mania
ALLARME
INAIL: INCIDENTI TRIPLICATI PER LE PERSONE RETRIBUITE CON I TICKE
IL
PAGAMENTO RISULTA SEMPRE LO STESSO GIORNO IN CUI CI SI INFORTUNA
Il
voucher per coprire l’infortunio e nascondere il lavoro in nero.
All’INAIL,
l’Istituto per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, è scattato
l’allarme: nel 2012 gli incidenti di lavoratori retribuiti con i ticket erano
stati 436, nel 2014 si sono triplicati, arrivando a circa 1.400, per il 2015
non ci sono ancora i numeri definitivi, ma tutto fa pensare che siano in
crescita marcata.
Anche
le morti bianche dei voucheristi si sono raddoppiate: due nel 2013, sei nel
2014, quindici, ma le procedure di accertamento sono ancora in corso, nel 2015.
E c’è di più: quasi sempre il pagamento del voucher (10 euro lordi di cui 7,5
destinati al lavoratore) coincide con il giorno dell’infortunio, mentre in
precedenza non risulta alcun rapporto tra il datore di lavoro e il lavoratore.
L’indizio,
appunto, che il voucher (acquistato prima) venga utilizzato solo per mascherare
un rapporto di lavoro totalmente in nero che emerge solo quando arrivano gli
ispettori o i carabinieri.
D’altra
parte mentre in generale il numero degli infortuni sul lavoro sta scendendo di
oltre il 10% (complice, va detto, anche la lunga crisi economica che ha
falcidiato l’occupazione), quelli tra i lavoratori retribuiti con i voucher
(nei quali è contenuta una quota destinata all’assicurazione e alla previdenza)
tendono a crescere ben oltre il 200%, dopo che nel 2012 con la riforma del
lavoro del governo Monti, è possibile utilizzarli in tutti i settori e non solo
per i piccoli lavoretti.
Nati
come uno strumento agile per retribuire, appunto, il lavoro occasionale
(aggettivo non a caso scomparso nell’ultimo testo legislativo) si stanno
estendendo a macchia d’olio (solo nel 2015 anno l’incremento è stato del 66%).
Dalla vendemmia fino alle aule universitarie, al posto (molto probabilmente)
delle vecchie forme di precarietà (collaboratori di varia natura), anche se le
rilevazioni ufficiali non colgono ancora le dimensioni (presunte) di questo
trasbordo.
Il
voucher, quindi, per tutto e per tutti: giovani, donne e anche lavoratori
adulti. Non solo lavoratori cosiddetti deboli (disoccupati di lunga durata,
studenti, casalinghe, disabili), ma pure per chi è scolarizzato, esperto,
professionalizzato. Una precarietà estrema, non un vero rapporto di lavoro, con
i relativi diritti e tutele, e senza nemmeno gli obblighi fiscali, IRPEF, IRAP,
IRES.
Il
governo introdurrà da giugno la tracciabilità dei voucher per cercare di
contenerne l’abuso; la CGIL
di Susanna Camusso sta raccogliendo le firme per un referendum abrogativo della
legge sui voucher (“Il problema” - ha detto ieri la leader di Corso d’Italia -
“si risolve abolendo un istituto che ha dimostrato di essere il canale
attraverso cui si disperde lavoro, o lo si sommerge, e lo si peggiora”); in
Parlamento ci sono diverse proposte di legge per recuperare la versione
originale del voucher (“dobbiamo tornare alla Legge Biagi che saggiamente
individuava i voucher per i lavori occasionali ed accessori” - dice Cesare
Damiano, PD, ex ministro e ora presidente della Commissione Lavoro della
Camera, autore di una delle proposte).
In
questo contesto gli infortuni aumentano anche perché le imprese non formano e
ovviamente non investono sul voucherista.
Nel
triennio 2013-2015 (dati ancora provvisori dell’INAIL) il 33,2% degli infortuni
si è verificato nelle regioni del nord-est, il 25,2% in quelle meridionali, il
19,5% nel nord-ovest, il 17,2% nelle zone centrali, infine, il 4,9% nelle
isole. I principali settori in cui sono accaduti sono la distribuzione, la
ristorazione, l’alberghiero, il turismo in generale. Settori nei quali il
ricorso ai ticket-lavoro dovrebbe effettivamente essere diffuso. Tuttavia se si
va a leggere la tabella dell’INPS contenuta nel recente Report del ministero
del Lavoro sul ricorso al lavoro accessorio emerge che la percentuale maggiore
di voucher (il 44%) è stata venduta in settori non meglio precisati (colpa
soprattutto del ritardo nell’aggiornamento della modulistica dell’INPS) dove
nel 2015 c’è stato un incremento del 252% rispetto al 2014. Si consideri che
nel commercio (settore che si colloca al secondo posto) è stato acquistato
circa il 15% dei voucher con un aumento rispetto all’anno precedente del 22,5%.
Dati
anomali, spie di un chiaro fenomeno di un abuso assai esteso. Nel quale sembra
nascondersi anche il passaggio (perché più conveniente e senza controlli)
dall’utilizzo dei contratti cosiddetti parasubordinati ai voucher. Per quanto
(stando al rapporto del Ministero) il tasso di sostituzione (cioè la
percentuale di lavoratori con un rapporto di lavoro dipendente o parasubordinato,
presso lo stesso datore, nei mesi precedenti la prestazione con voucher) è
calata da circa il 12% del mese di gennaio 2015 a quasi l’8 a dicembre
dello stesso anno.
Ma
non può essere casuale, però, che gli stessi tecnici del Ministero scrivano che
“data la sensibilità del dato ai fini della valutazione dell’effettivo impiego
dei voucher, questo elemento merita un costante monitoraggio”.
SORVEGLIANZA DEL
MERCATO: NON CONFORMITA’ NELL’80% DELLE MACCHINE
Da:
PuntoSicuro
19
aprile 2016
di
Tiziano Menduto
Un
intervento si sofferma sull’8° Rapporto INAIL sulla Sorveglianza del mercato e
ricorda che per più dell’80% delle segnalazioni viene confermata l’ipotesi di
“non conformità” delle macchine. Criticità e proposte per migliorare la
sorveglianza.
In
relazione alla sorveglianza del mercato, l’insieme delle attività e dei
provvedimenti adottati dalle autorità pubbliche per garantire la conformità e
la sicurezza delle macchine, ogni anno l’INAIL elabora un rapporto che
rappresenta un importante momento di sintesi e analisi dell’intero processo
della sorveglianza.
A
novembre 2015 è stato pubblicato l’8° Rapporto sull’attività di Sorveglianza
del Mercato ai sensi del D.Lgs. 17/10 (recepimento della Direttiva Macchine
2006/432/CE) per i prodotti rientranti nel campo di applicazione della
Direttiva, curato dal Dipartimento innovazioni tecnologiche e sicurezza degli
impianti, prodotti e insediamenti antropici dell’INAIL.
Il
documento presenta una panoramica sui principali aspetti che caratterizzano la
sorveglianza del mercato per poter delineare l’iter del processo e sottolineare
l’impatto dell’attività sulla sicurezza delle macchine, in funzione delle
principali criticità rintracciate e del processo di innovazione tecnologica
volto migliorare i livelli di sicurezza.
Proprio
in relazione all’importanza di questo rapporto annuale dell’INAIL, si è tenuto
a Milano (1 e 2 dicembre 2015) un convegno dal titolo “L’8° Rapporto INAIL
sulla Sorveglianza del mercato per la Direttiva macchine” che, organizzato da INAIL e
Assolombarda, ha rappresentato l’occasione per presentare l’8° Rapporto e
illustrare i risultati dell’attività di Sorveglianza del Mercato, con
particolare attenzione al ruolo di supporto di INAIL quale organo preposto
all’accertamento tecnico.
Il
convegno ha previsto diverse sessioni che hanno permesso di approfondire gli
aspetti tecnici di maggior rilievo:
-
macchine
agricole e forestali, con particolare riferimento alla Sorveglianza del mercato
delle macchine afferenti al TC 144;
-
macchine
di sollevamento: con particolare riferimento al ruolo della verifica periodica
a servizio della Sorveglianza;
-
macchine
utensili, con particolare riferimento ai dati relativi alla Sorveglianza del
mercato delle macchine afferenti al TC 143;
-
macchine
per il legno, con particolare riferimento alla Sorveglianza del mercato delle
macchine afferenti al TC 142;
-
macchine
in cantiere, con particolare riferimento alla Sorveglianza del mercato delle macchine
afferenti al TC 151.
Ricordiamo
che i TC fanno riferimento ai Comitati Tecnici (TC) in cui è diviso il CEN
(Comitato Europeo di Normazione).
Ci
soffermiamo oggi brevemente su uno degli atti del convegno, pubblicati sul sito
dell’ATS Milano, relativo all’intervento “La partecipazione delle ASL
all’attività di Sorveglianza del Mercato”, a cura del dottor Nicola Delussu
(Coordinatore del Gruppo interregionale “Macchine e impianti” del Coordinamento
Tecnico delle Regioni).
Il
relatore ricorda che l’attività di sorveglianza del mercato è tuttora attivata
essenzialmente dalle segnalazioni degli Organi di Vigilanza delle ASL (circa
nell’86% dei casi).
Con
riferimento ai risultati dell’8° Rapporto si indica che:
-
le
segnalazioni avvengono nella maggior parte dei casi in seguito a infortunio sul
lavoro (119 per infortunio mortale e 1.643 per infortunio non mortale);
-
un
terzo circa delle segnalazioni avviene in seguito alla normale attività di
vigilanza nei luoghi di lavoro.
E
viene ricordato come, con riferimento ad alcuni dati presentati a un convegno
nazionale sugli infortuni mortali organizzato da INAIL e Coordinamento delle
Regioni (Roma, novembre 2013), nel 21% del totale degli infortuni mortali
registrati nel data base di Infor.mo. il determinante è stato individuato
nell’uso di utensili, macchine, impianti, attrezzature e si ha a che fare con
una prevalenza di carenze delle misure di protezione rispetto all’azione del
lavoratore (nel 48% dei casi si ha una mancanza o inadeguatezza protezioni,
nell’8% dei casi una rimozione delle protezioni).
Dopo
aver fatto riferimento anche al Sistema Informativo Regionale della Prevenzione
(Regione Lombardia), il relatore riporta altre indicazioni tratte dalla lettura
dei Rapporti:
-
la
distribuzione delle non conformità per paese d’origine del fabbricante non è
cambiata tra il 7° e l’8° rapporto: più dell’80 % delle segnalazioni riguarda
macchine costruite in Italia; la presenza modesta di macchine provenienti da
paesi non facenti parte della Unione europea è ulteriormente in calo;
-
per
più dell’80% delle segnalazioni viene confermata l’ipotesi di “non conformità”:
un quarto circa evidenzia non conformità già rese conformi per ottemperanza
alla prescrizione (riconoscimento della non conformità da parte del
costruttore).
Questo
il dato (riferito a 2.180 segnalazioni, non figurano infatti quelle risultate
preliminarmente non pertinenti e quelle per cui non si poteva esprimere parere)
degli esiti riportati nell’8° rapporto:
-
non
conforme 46,9%;
-
resa
conforme 35,0%;
-
conforme
18,1%.
Dunque
per circa un terzo delle situazioni di “non conformità” rilevate, si ha la
conferma di un intervento risolutivo in fase di prescrizione. E per il 46,9% di
“non conformità” accertate, quali provvedimenti vengono adottati dal Ministero
dello Sviluppo Economico?
Sono
riportate alcune criticità relative alla procedura di sorveglianza del mercato:
-
ai
costruttori di macchine “non conformi” viene chiesto quali provvedimenti
intendano adottare per renderle conformi;
-
una
parte dei costruttori si adegua correttamente ma, in altri casi, i costruttori
non procedono o, addirittura, non rispondono al Ministero;
-
gli
interventi conseguenti non sono ben definiti e non è tuttora chiara la
procedura sanzionatoria: quante sanzioni amministrative sono state comminate ai
costruttori che hanno immesso sul mercato macchine “non conformi” e quanti
provvedimenti di ritiro dal mercato sono stati adottati?
E
il Coordinamento Tecnico delle Regioni vuole arrivare ad una definizione con i
Ministeri competenti di più efficaci modalità di funzionamento del Gruppo di
Lavoro Consultivo Permanente che esamina le segnalazioni presso il Ministero
dello Sviluppo Economico in relazione:
-
ai
flussi informativi fra i diversi soggetti istituzionali che partecipano al
Gruppo di Lavoro;
-
ai
ruoli e alle competenze dei diversi organismi di controllo;
-
ai
tempi di esame delle segnalazioni (si ricorda che in molti casi il ritardo
negli accertamenti determina la prescrizione dei reati. Inoltre molti di queste
segnalazioni sono collegate ad infortuni);
-
alle
procedure sanzionatorie.
E
in questo senso si ritiene indispensabile nell’ottica di definire flussi
informativi e tempi di intervento:
-
costituzione
di un data base delle segnalazioni e delle “non conformità”;
-
possibilità
di accesso al data base per i diversi organi di controllo;
-
registrazione
nel data base di tutte le fasi dell’accertamento, della chiusura del procedimento
e dei provvedimenti adottati.
Questo
permetterebbe ad esempio di evitare che vengano ripetute segnalazioni per
modelli di macchine già esaminate e che l’esito della segnalazione possa essere
gestito direttamente dall’Organo di Vigilanza territoriale che aveva segnalato.
Riportiamo
in definitiva le conclusioni della relazione:
-
l’esperienza
di questi anni di partecipazione al Gruppo di Lavoro Consultivo Permanente
presso il Ministero dello sviluppo economico è stata sicuramente positiva;
-
per
rendere più efficace l’azione di sorveglianza del mercato è fondamentale il
coinvolgimento degli organi di vigilanza territoriali con una maggiore
informazione diretta e con risposte chiare in tempi certi.
L’intervento
“La partecipazione delle ASL all’attività di Sorveglianza del Mercato”, a cura
del dottor Nicola Delussu, Coordinatore del Gruppo interregionale “Macchine e
impianti” del Coordinamento Tecnico delle Regioni è scaricabile all’indirizzo:
L’8°
Rapporto sull’attività di Sorveglianza del Mercato Direttiva macchine è scaricabile
all’indirizzo:
IL RAPPRESENTANTE DEI
LAVORATORI PER LA
SICUREZZA NELLA GIURISPRUDENZA
Da:
PuntoSicuro
21
aprile 2016
di
Anna Guardavilla
La
conoscenza dei rischi specifici in relazione all’attività ordinaria e non, la
consegna materiale del Documento di Valutazione dei Rischi, la scelta tra la
forma cartacea o informatica, il tempo per consultare documenti complessi,
l’accesso alle informazioni.
La
figura del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) è stata
oggetto negli anni di numerose sentenze di merito e di legittimità che hanno
contribuito a tratteggiarne il ruolo e a specificarne nel dettaglio il
contenuto dei diritti e delle attribuzioni.
Senza
pretese di esaustività, esaminiamone alcune.
CONOSCENZA
DEI RISCHI LAVORATIVI DA PARTE DELL’RLS E COMPORTAMENTO ABNORME
La Sentenza della Cassazione
Civile n. 16474 del 27 settembre 2012 conferma la condanna dell’azienda V, a
versare all’INAIL le somme da quest’ultimo erogate a seguito dell’infortunio mortale
occorso al lavoratore C.V. che ricopriva anche il ruolo di RLS.
L’aspetto
interessante della sentenza è quello legato al collegamento tra:
-
il
ruolo di RLS che la vittima ricopriva;
-
il
tema della conoscenza o meno da parte di un lavoratore-RLS dei rischi legati
all’attività ordinaria e dei rischi “esterni” rispetto al contesto ordinario;
-
il
concetto di imprevedibilità del comportamento.
La
questione su cui si pronuncia questa sentenza, in particolare, è la seguente:
fino anche punto il datore di lavoro può presumere la conoscenza dei rischi
lavorativi da parte dell’RLS (quale soggetto consultato sulla valutazione dei
rischi) allorché questi operi in contesti esterni/estranei, anche in relazione
all’obbligo del datore di lavoro stesso di informare i lavoratori sui rischi
specifici?
Analizziamo
anzitutto l’accaduto.
La Cassazione precisa che il
datore di lavoro stesso “si era rivolto alla vittima chiedendo di organizzare
il lavoro di pulitura delle canaline ed il fatto che, in un primo momento, si fosse
incaricato di salire sul tetto altro dipendente (che già in passato aveva
svolto analoga operazione), non escludeva che il C.V. potesse ed anzi dovesse
recarsi sul luogo ove presumibilmente si era verificata la causa
dell’infiltrazione”.
Motivo
per il quale la Corte
ha ritenuto che “era da escludersi la sussistenza di una condotta
imprevedibile, abnorme e addirittura insensata” da parte del lavoratore
infortunato.
E’
interessante a questo punto esaminare cosa la Cassazione replica alla
società ricorrente, la quale ultima sosteneva “l’avvenuta violazione da parte
di C.V. dei doveri di cui all’articolo 5 del D.Lgs. 626/94 del [ora articolo 20
del D.Lgs.81/08: obblighi dei lavoratori]” a partire da varie circostanze tra
cui anche “l’essere il C.V. (il quale sin dal 1995 era RLS e aveva collaborato
alla stesura del Documento di Valutazione dei Rischi) ben a conoscenza dei
luoghi e delle loro caratteristiche e in particolare a conoscenza dei
camminamenti in cemento che consentivano di evitare il plexiglass”.
Secondo
la Corte, oltre
a non esservi stato da parte della vittima “alcun atto volontario e arbitrario”,
allo stesso modo è “irrilevante, rispetto all’affidamento dei suddetti compiti
esorbitanti, la circostanza, ampiamente valorizzata dall’odierna ricorrente,
che il C.V. fosse sin dal 1995 RLS e per aver collaborato alla stesura del
Documento di Valutazione dei Rischi”.
Questo
perché “tale circostanza, infatti, evidentemente riferita alla ordinaria
attività svolta dal C.V. (addetto al magazzino) e più in generale dall’azienda
(esercente attività di commercializzazione di vernici), non è significativa
della specifica conoscenza di rischi presenti in contesti esterni ed estranei a
quello di espletamento dei compiti ordinari.
Il
che vale a dire che il ruolo del C.V. nell’ambito dell’attività propria della
azienda V. non esonerava l’amministratore di quest’ultima dall’informare
puntualmente detto lavoratore dei rischi specifici ricollegabili alla disposta
e assolutamente contingente attività di pulizia delle canaline e così dei
rischi di caduta dal tetto, della fragilità dei lucernari nonché dell’obbligo
di utilizzo di strumenti di sicurezza”.
LA CONSEGNA
MATERIALE DEL DOCUMENTO DI VALUTAZIONE DEI RISCHI ALL’RLS E LA POSSIBILITÀ DI
SCEGLIERE TRA LA
RICEZIONE DELLO STESSO IN FORMA CARTACEA O INFORMATICA
IL
DIRITTO DELL’RLS DI CONSULTARE IL DVR “PER TUTTO IL TEMPO NECESSARIO” IN RELAZIONE
ALLA COMPLESSITÀ DEL DOCUMENTO.
Nella
Sentenza del Tribunale di Milano, Sezione Lavoro, del 29 gennaio 2010, la
società datrice di lavoro si oppone al decreto ingiuntivo con cui le era stato
ordinato “di consegnare immediatamente a D., nella sua qualità di RLS il
Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) relativo al punto vendita di Milano
din via ...”.
Secondo
la società, “per effetto della intervenuta modifica dell’articolo 18, comma 1,
lettera o) del D.Lgs. 81/08 ad opera del D.Lgs. 106/09, nella parte in cui
dispone che il RLS può consultare il DVR solo in azienda, non sarebbe tenuta a
consegnare in copia cartacea il DVR al RLS”.
Tale
società “consentiva pertanto, al D. di consultare liberamente il DVR consegnato
su supporto informatico, ma unicamente utilizzando, in azienda, il computer
messo a disposizione a questo scopo”.
L’RLS,
nel chiedere la conferma del decreto ingiuntivo, lamentava l’impossibilità di
esercitare adeguatamente i suoi compiti “in assenza della disponibilità
materiale del documento, stante l’ingente mole (oltre 500 pagine) dello stesso,
compiti certamente non soddisfabili attraverso una messa a disposizione del
documento limitata alla messa in visione dello stesso”.
Sosteneva
inoltre “che l’apportata modifica legislativa costituisce una illegittima
limitazione delle prerogative del RLS il quale sarebbe tenuto a validare un
atto aziendale senza un controllo effettivo sul rispetto delle regole della
sicurezza”.
Il
Tribunale premette che “non è più certamente controvertibile l’obbligo del
datore di lavoro di consegnare al RLS il DVR”.
E
che “è evidente che il riconosciuto diritto da parte della legge al RLS di
avere una copia del DVR con correlativo obbligo di consegna in capo al datore
di lavoro implica la materiale disponibilità del documento stesso da parte del
RLS, con conseguente ricezione dello stesso; ricezione che può avvenire sia in
forma cartacea che informatica [secondo quanto previsto dall’articolo 18, comma
1, lettera o) (anche su supporto informatico) nonché dall’articolo 53, comma 5)
(su unico supporto cartaceo o informatico)]”.
Ma,
precisa il Giudice, “a tale proposito, proprio in quanto si tratta di una
possibilità alternativa, questa non può che essere rimessa alla scelta del RLS
il quale certamente ha diritto di richiedere in quale forma preferisca
consultare il documento stesso”.
Tutto
ciò, prosegue il Tribunale, “in quanto l’obbligo di consegna si attua mediante
la ricezione di una res [cosa] e non può essere obliterato attraverso la
semplice messa a disposizione o consultazione di un documento solo su supporto
informatico e su computer aziendale, alla luce delle importanti, ma soprattutto
delle fattive prerogative riconosciute dalla legge al RLS (articolo 50 del
D.Lgs. 81/08), che presuppongono una analitica e approfondita conoscenza del documento
in parola. Non si dimentichi infatti, che spesso i DVR come è quello di specie,
constano di centinaia di pagine e che certamente non possono essere
adeguatamente esaminati senza averne la materiale disponibilità”.
Nel
confermare dunque il diritto dell’RLS e quindi il decreto ingiuntivo, il
Giudice conclude: “tutto ciò ricordato, preme evidenziare che l’intervenuta
modifica normativa ad opera dell’articolo 13, comma 1 del D.Lgs. 106/09
dell’articolo 18, comma 1, lettera o) del D.Lgs. 81/08 non ha affatto limitato
le prerogative del RLS non avendo inciso sul diritto di consultazione bensì solo
sulle modalità della consultazione, escludendola al di fuori degli spazi aziendali;
nella sostanza se in qualche modo ha reso più incomoda la fruibilità del
diritto non si può affatto affermare che quella prerogativa sia stata in
qualche modo incisa”.
E
“a ogni modo, poiché il ruolo del RLS all’interno dell’azienda è posto a
presidio e controllo della salvaguardia di intessi di primaria importanza,
quali sono quelli relativi alla salute dei lavoratori ne deriva che il datore
di lavoro dovrà consentire al RLS la consultazione del DVR per tutto il tempo
che sarà necessario, tenuto conto della eventuale complessità del documento
stesso”.
IL
DIRITTO ALL’ACCESSO DA PARTE DEI LAVORATORI ALLA VALUTAZIONE DEL RISCHIO AMIANTO
E IL RUOLO ISTITUZIONALE DELL’RLS
Con
la Sentenza
del TAR dell’Abruzzo n. 467 del 12 luglio 2012, il Tribunale amministrativo accoglie
il ricorso di un lavoratore di un Istituto pubblico, il quale aveva impugnato
il diniego da parte dell’Istituto rispetto alla “richiesta di accesso su tutta
la documentazione inerente il procedimento di verifica della valutazione del
rischio amianto nel luogo di lavoro”.
La
sentenza precisa che “il diniego risulta motivato [...] dalla nota in data
29/02/12 del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, con cui
quest’ultimo rammenta che ai sensi dell’articolo 50, comma 1, lettera e) e
comma 4 del D.Lgs. 81/08, solo il RLS, nell’espletamento della sua specifica
funzione, sarebbe abilitato a ricevere le informazioni e la documentazione
aziendale inerente la valutazione dei rischi”.
Il
Tribunale riconosce il diritto di accesso del lavoratore a tale informazione,
in quanto “la normativa sull’accesso ai documenti amministrativi riveste una
portata generalizzata che non tollera inibizioni applicative in virtù di
disposizioni speciali”.
Infatti “in seguito alla nuova accezione di trasparenza introdotta dall’articolo 11 del D.Lgs. 150/09 ["Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni”], quest’ultima è ormai da intendere come accessibilità totale di ogni informazione concernente l’organizzazione amministrativa (ivi comprese dunque le notizie sulla salubrità e l’adeguatezza dei luoghi di lavoro, anche in vista dell’ottimale rendimento del lavoratore, in diretta relazione al buon andamento dell’amministrazione)”.
E
prosegue: “tra l’altro è opportuno puntualizzare che la funzione del RLS va ben
oltre la cognizione (più o meno riservata) delle misure organizzatorie in
concreto deliberate per il rispetto dell’articolo 2087 del Codice Civile nel
luogo di lavoro, poiché, ai sensi del D.Lgs. 626/94 [ora D.Lgs. 81/08], tale
organo rappresentativo deve essere sempre previamente informato e consultato
sulla valutazione dei rischi, con autonomi poteri propositivi mirati, più in
generale, a sovrintendere e controllare in tempo reale ogni processo
decisionale del datore inerente alla sicurezza del posto di lavoro”.
In
conclusione sul punto “vuole dirsi pertanto che la Legge 241/90 ["Nuove norme in materia di procedimento
amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi"] incide
sulla diretta cognizione degli atti datoriali già formati, ma non deroga al
ruolo istituzionale del RLS quale organo di rappresentanza dei lavoratori,
chiamato comunque alla esclusiva e qualificata interlocuzione con il datore di
lavoro, anche sulla scelta delle modalità mirate a garantire la sicurezza”.
Per
quanto riguarda poi l’ambito privato, il Tribunale amministrativo osserva che
“per ciò che concerne il dato relativo alla eventuale contaminazione e/o
concentrazione nell’aria della polvere di amianto, [...] una lettura
costituzionalmente orientata delle normative poste a base del diniego impugnato
non avrebbe affatto imposto, per i lavoratori alle dipendenze di enti privati,
un accesso canalizzato in capo al solo RLS; un conto è infatti il DVR,
complessivamente inteso, altro conto sono eventuali dati e notizie in esso
contenuti che danno obiettiva contezza di insalubrità ambientali o di rischi di
contaminazione; questi ultimi possono e devono essere, ove del caso, estrapolati
dal documento e resi noti ai lavoratori (anche alle dipendenze di enti privati)
che ne facciano richiesta”.
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