venerdì 13 maggio 2016

13 maggio - SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! NEWSLETTER N. 254 DEL 13/05/16



NEWSLETTER PER LA TUTELA DELLA SALUTE
E DELLA SICUREZZA DEI LAVORATORI
(a cura di Marco Spezia - sp-mail@libero.it)

INDICE

LE “FREQUENTLY ASKED QUESTIONS” DI SICUREZZA SUL LAVORO - KNOW YOUR RIGHTS! - N.13
1
INDAGINE DELL’AZIENDA DI TUTELA DELLA SALUTE MILANO SU 7 MARCHI DELLA GRANDE DISTRIBUZIONE ORGANIZZATA
6
LA SORVEGLIANZA SANITARIA DELLE PATOLOGIE MUSCOLO-SCHELETRICHE
8
PROCEDURE DI SICUREZZA PER LE SOSTANZE INFIAMMABILI E PERICOLOSE
11
AGENTI FISICI: COME PREVENIRE I RISCHI DELLE RADIAZIONI OTTICHE
14


LE “FREQUENTLY ASKED QUESTIONS” DI SICUREZZA SUL LAVORO - KNOW YOUR RIGHTS! - N.13

Nella mia attività di diffusione della cultura della salute e sicurezza sul lavoro, spesso sono chiamato, da lavoratori o associazioni sindacali di base, a svolgere delle vere e proprie “consulenze” (ovviamente del tutto gratuite) di ampio respiro, che poi riporto, per condividere l’esperienza con tutti, nella mia newsletter, nella rubrica “Le consulenze di Sicurezza sul Lavoro – Know Your Rights!”.
In qualche caso invece le richieste che mi pervengono non richiedono consulenze di ampio respiro, ma brevi e sintetiche risposte a domande su temi molto specifici e limitati.
Anche in questo caso mi sembra giusto e doveroso diffondere questi brevi consulenze che hanno la forma delle cosiddette “Frequently Asked Questions”, facendo nascere su tale argomento una nuova rubrica della mia newsletter.
Ovviamente, per evidenti motivi di privacy e per non creare motivi di ritorsione verso i lavoratori o le associazioni che le hanno poste, riportando le domande ometto il nominativo del lavoratore e dell’azienda coinvolti.

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Buongiorno Marco,
colgo l’occasione per ringraziarti per il tuo grande lavoro di ricerca e informazione.
Ti scrivo per chiederti se esistono normative rispetto il numero minimo di persone addette al presidio degli impianti in orario notturno.
Lavoro in una azienda che si appresta a una fermata di circa 6 mesi. L’unica attività industriale che rimane in esercizio è l’erogazione di energia termica sulla rete di teleriscaldamento, attraverso caldaie a metano.
Ci è stato proposto di mantenere in turno un solo operatore anche di notte per la conduzione delle caldaie a metano ad acqua surriscaldata (necessita di patentino abilitativo per la conduzione) e il presidio degli impianti.
Mi chiedo se esistono norme specifiche per chiedere almeno due operatori in turno.
Nel caso il datore di lavoro procedesse unilateralmente nell’organizzazione dell’orario di lavoro, anche temporaneamente, prevedendo lavoro solitario, ti chiedo se è possibile far ricadere su di lui e l’RSPP la responsabilità di tali decisioni.
Grazie mille in anticipo per le indicazioni che vorrai darmi.
Un caro saluto.

Ciao,
la risposta alla tua domanda non è semplice, in quanto deve tenere conto di tutta una serie di fattori e in quanto non esistono in generale regole fisse sul numero di operatori presenti all’interno di un turno, ma sono fornite indicazioni di carattere generale che lasciano molto margine di interpretazione ai datori di lavoro.
Tali indicazioni sono comunque contenute nel D.Lgs. 81/08 (Testo Unico sulla sicurezza) e nel D.Lgs. 66/03 (Disciplina dell’orario di lavoro)
A seguire ti riassumo i requisiti minimi richiesti da tali normative in caso di lavoro notturno e/o isolato.
Deve essere verificata l’idoneità del lavoratore a svolgere lavoro notturno, tramite visita medica specifica eseguita dal medico competente, il quale deve esprime un giudizio formale (per iscritto) sulla idoneità psico-fisica del lavoratore al lavoro notturno.
Il datore di lavoro deve specificare all’interno del documento di valutazione del rischio, quali siano i rischi aggiuntivi rispetto alle situazioni di routine, in caso di lavoro notturno e/o isolato e deve indicare quali misure di prevenzione e protezione ha adottato per far fronte a qualsiasi rischio derivante dal lavoro notturno e/o isolato. Quanto sopra deve essere formalizzato in un documento a firma del datore di lavoro, consultabile dai RLS.
Il datore di lavoro deve organizzare un servizio di primo soccorso in caso di malori o infortuni ai lavoratori isolati che garantisca sempre un adeguato livello di efficienza del servizio di primo soccorso, tenendo anche conto della possibilità di lavoro notturno e/o isolato, sia per monitorare costantemente lo stato di salute dei lavoratori, sia per permettere un tempestivo ed efficace intervento degli addetti al primo soccorso e dei soccorritori esterni.
Inoltre il datore di lavoro deve organizzare il lavoro notturno in modo che sia sempre garantito un livello di servizi o di mezzi di prevenzione o di protezione adeguato ed equivalente a quello previsto per il turno diurno. Per servizi “adeguati” si deve intendere che tali servizi devono tener conto di un “rischio aggiuntivo” dovuto al fatto che il lavoratore si trova in una condizione potenzialmente di disagio, di maggiore vulnerabilità, di minor performance. Per servizi “equivalente” si deve intendere che tali servizi garantiscano le stesse prestazioni di protezione e di riduzione del danno che vengono garantite durante il giorno. Per misure di protezione “appropriate” infine si deve intendere che la protezione da adottare, quando rischi particolarmente gravi siano svolti durante il lavoro notturno, debba essere graduata e rivista in base alla diversa entità e specificità del rischio.
In particolare per quanto riguarda il servizio di primo soccorso deve essere garantita l’equivalenza al lavoro diurno del servizio stesso, sia nei suoi aspetti gestionali (procedure di intervento e di allerta), che materiali (numero di addetti al servizio, disponibilità dei presidi sanitari). In particolare in caso di lavoro isolato (notturno o diurno), l’equivalenza del servizio di primo soccorso presuppone che sussista la medesima possibilità di allertare gli addetti al servizio o i soccorritori esterni (118) in caso di malore o infortunio per il lavoratore.
Al di là dell’aspetto emergenziale, inoltre tutti gli altri servizi e aspetti che possono impattare sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori durante il lavoro notturno (servizi tecnici, illuminazione, segnaletica, ritmo di lavoro, ecc.), devono essere del tutto equivalenti a quelli previsti per il lavoro diurno.
Il datore di lavoro deve inoltre prevedere sistemi per monitorare in tempo reale lo stato di salute del lavoratore attraverso il controllo del suo stato di coscienza.
In conclusione, ritengo difficile nel caso da te segnalato, a meno di specifici interventi di tipo tecnologico e/o organizzativo, poter garantire la piena sicurezza con un solo operatore presente in azienda.
In merito alle responsabilità di una decisione unilaterale da parte dell’azienda, gli obblighi sopra richiamati si applicano al solo datore di lavoro o al dirigente da lui delegato. Pertanto il loro mancato adempimento comporta le sanzioni previste dalla normativa citata.
Il RSPP invece non può venire sanzionato (a meno che non sia a sua volta datore di lavoro o dirigente delegato dell’azienda) perché su di lui il D.Lgs. 81/08 non pone obblighi sanzionabili, ma assegna solo un ruolo di consulenza.

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Ciao Marco,
all’interno dell’azienda dove lavoro io, non tutti i lavoratori usano il DPI, nella fattispecie, le scarpe antinfortunistiche, a cominciare dal direttore, il quale effettua attività lavorativa a rischio spesso e volentieri.
Ho chiesto al mio RSPP di riferimento e mi ha detto, un po’ scocciato a dire il vero, che il direttore in quanto tale era esonerato da usare le scarpe antinfortunistiche anche se fa attività lavorativa.
Anche altri lavoratori non le usano, soprattutto i part time. L’azienda giustifica tale decisione in base a una loro tabella oraria con la quale poi decide chi deve indossare le scarpe e chi no: più tempo stai a lavorare, allora le usi, se il tempo è relativamente poco, allora puoi non indossarle.
Tranne che per il direttore il quale tutte le mattine, e anche al pomeriggio, esegue attività a rischio.
E’ previsto questo dal D.Lgs. 81/08?
Siccome sospetto una risposta negativa, avrei bisogno di un tuo suggerimento per fare una bella lettera al RSPP.

Ciao,
per quanto riguarda il direttore che non usa le scarpe antinfortunistiche occorre prima di tutto verificare se è assimilabile anche a lavoratore, secondo la definizione di cui all’articolo 2, comma 1, lettera a) del D.Lgs. 81/08 (“Decreto”):
persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione”;
oppure se rientra solo nella definizione di “datore di lavoro”, di cui all’articolo 2, comma 1, lettera b) del Decreto:
il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa”.
Tale cosa la puoi verificare abbastanza facilmente controllando la visura camerale dell’azienda o più semplicemente se è lui che firma il documento di valutazione dei rischi, oppure no.
Se il direttore non è datore di lavoro, ancorché sia dirigente, rientra (anche) nella definizione di lavoratore, per cui è soggetto agli obblighi per i lavoratori sanciti dal Decreto, tra cui quelli di cui all’articolo 20, comma 2, lettera d):
I lavoratori devono in particolare utilizzare in modo appropriato i dispositivi di protezione messi a loro disposizione”.
e di cui all’articolo 78, comma 2:
In ottemperanza a quanto previsto dall’articolo 20, comma 2, lettera d), i lavoratori utilizzano i DPI messi a loro disposizione conformemente all’informazione e alla formazione ricevute e all’addestramento eventualmente organizzato ed espletato”.
Il fatto che il direttore sia un dirigente non lo esime da tali obblighi, in quanto di fatto è anche un lavoratore.
Quindi anche lui è obbligato a usare le scarpe antinfortunistiche nell’attività con rischio di schiacciamento dei piedi e se non lo fa è soggetto alle sanzioni di cui al CCNL o al contratto particolare applicabili.
In merito alla decisione aziendale di non assegnare le scarpe ai lavoratori, che solo saltuariamente effettuano attività a rischio, è una decisione che non ha alcun fondamento giuridico.
Infatti il Decreto impone al datore di lavoro la scelta dei DPI in funzione dei rischi che non possono essere evitati con altri mezzi e di conseguenza la consegna ai lavoratori e la richiesta del loro utilizzo.
Ciò è sancito dall’articolo 77, comma 1 del Decreto:
Il datore di lavoro ai fini della scelta dei DPI:
a) effettua l’analisi e la valutazione dei rischi che non possono essere evitati con altri mezzi;
b) individua le caratteristiche dei DPI necessarie affinché questi siano adeguati ai rischi di cui alla lettera a), tenendo conto delle eventuali ulteriori fonti di rischio rappresentate dagli stessi DPI;
c) valuta, sulla base delle informazioni e delle norme d’uso fornite dal fabbricante a corredo dei DPI, le caratteristiche dei DPI disponibili sul mercato e le raffronta con quelle individuate alla lettera b);
d) aggiorna la scelta ogni qualvolta intervenga una variazione significativa negli elementi di valutazione”.
Presumo che, a seguito di specifica valutazione del rischio, alcune attività lavorative svolte da lavoratori della tua azienda comportino un rischio di caduta di oggetti sui piedi dei lavoratori stessi, con conseguente infortunio.
Tale rischio non può essere evitato con altri mezzi, se non con l’utilizzo di scarpe antinfortunistiche.
Il tempo di esecuzione dell’attività lavorativa a rischio può influenzare la probabilità che avvenga l’infortunio, ma non lo elimina del tutto.
E’ ovvio che chi esegue tutto il giorno attività a rischio è soggetto a infortunio ai piedi con una probabilità maggiore di chi lo fa per poche ore al giorno. Ma è anche ovvio che lavorare per poche ore al giorno non elimina del tutto il rischio di infortunio, ma ne diminuisce solo la probabilità. Per eliminare del tutto tale rischio l’unica soluzione è adottare scarpe antinfortunistiche tutte le volte che si fa attività lavorativa a rischio di schiacciamento dei piedi.
Di conseguenza le scarpe antinfortunistiche devono essere utilizzate da tutti i lavoratori che fanno attività a rischio, indipendentemente dal tempo per cui fanno tale attività.
Ovviamente ciò non vuol dire che tutti i lavoratori debbano sempre indossare le scarpe, ma solo che lo devono fare nelle attività lavorative in cui sussiste il rischio di infortunio ai piedi.
Per il resto delle loro attività in cui non sono a rischio di schiacciamento dei piedi possono anche non usare le scarpe antinfortunistiche. Lo stesso vale ovviamente anche per il direttore.
Marco

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Ciao Marco,
nel lavoro che faccio (pulizie industriali) devo fare utilizzo di ponteggi per eseguire lavori a quote elevate.
Come deve essere il ponteggio e quali sono gli indumenti e i DPI che devo usare in termini di sicurezza?
Grazie.

Ciao,
in generale nell’utilizzo di attrezzature per eseguire lavori in quota (trabatelli, scale, ponteggi, ecc.) il datore di lavoro deve rispettare gli obblighi di cui all’articolo 111 del D.Lgs. 81/08:
1. Il datore di lavoro, nei casi in cui i lavori temporanei in quota non possono essere eseguiti in condizioni di sicurezza e in condizioni ergonomiche adeguate a partire da un luogo adatto allo scopo, sceglie le attrezzature di lavoro più idonee a garantire e mantenere condizioni di lavoro sicure, in conformità ai seguenti criteri:
a) priorità alle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale;
b) dimensioni delle attrezzature di lavoro confacenti alla natura dei lavori da eseguire, alle sollecitazioni prevedibili e ad una circolazione priva di rischi.
2. Il datore di lavoro sceglie il tipo più idoneo di sistema di accesso ai posti di lavoro temporanei in quota in rapporto alla frequenza di circolazione, al dislivello e alla durata dell’impiego. Il sistema di accesso adottato deve consentire l’evacuazione in caso di pericolo imminente. Il passaggio da un sistema di accesso a piattaforme, impalcati, passerelle e viceversa non deve comportare rischi ulteriori di caduta.
3. Il datore di lavoro dispone affinché sia utilizzata una scala a pioli quale posto di lavoro in quota solo nei casi in cui l’uso di altre attrezzature di lavoro considerate più sicure non è giustificato a causa del limitato livello di rischio e della breve durata di impiego oppure delle caratteristiche esistenti dei siti che non può modificare.
4. Il datore di lavoro dispone affinché siano impiegati sistemi di accesso e di posizionamento mediante funi alle quali il lavoratore è direttamente sostenuto, soltanto in circostanze in cui, a seguito della valutazione dei rischi, risulta che il lavoro può essere effettuato in condizioni di sicurezza e l’impiego di un’altra attrezzatura di lavoro considerata più sicura non è giustificato a causa della breve durata di impiego e delle caratteristiche esistenti dei siti che non può modificare. Lo stesso datore di lavoro prevede l’impiego di un sedile munito di appositi accessori in funzione dell’esito della valutazione dei rischi ed, in particolare, della durata dei lavori e dei vincoli di carattere ergonomico.
5. Il datore di lavoro, in relazione al tipo di attrezzature di lavoro adottate in base ai commi precedenti, individua le misure atte a minimizzare i rischi per i lavoratori, insiti nelle attrezzature in questione, prevedendo, ove necessario, l’installazione di dispositivi di protezione contro le cadute. I predetti dispositivi devono presentare una configurazione ed una resistenza tali da evitare o da arrestare le cadute da luoghi di lavoro in quota e da prevenire, per quanto possibile, eventuali lesioni dei lavoratori. I dispositivi di protezione collettiva contro le cadute possono presentare interruzioni soltanto nei punti in cui sono presenti scale a pioli o a gradini.
6. Il datore di lavoro nel caso in cui l’esecuzione di un lavoro di natura particolare richiede l’eliminazione temporanea di un dispositivo di protezione collettiva contro le cadute, adotta misure di sicurezza equivalenti ed efficaci. Il lavoro è eseguito previa adozione di tali misure. Una volta terminato definitivamente o temporaneamente detto lavoro di natura particolare, i dispositivi di protezione collettiva contro le cadute devono essere ripristinati.
7. Il datore di lavoro effettua i lavori temporanei in quota soltanto se le condizioni meteorologiche non mettono in pericolo la sicurezza e la salute dei lavoratori.
8. Il datore di lavoro dispone affinché sia vietato assumere e somministrare bevande alcoliche e superalcoliche ai lavoratori addetti ai cantieri temporanei e mobili e lavori in quota”.
Tale articolo, di natura del tutto generale, impone già dei punti fermi di cui tenere conto in caso di lavori in quota:
-         priorità di accesso a partire da un adatto luogo già esistente;
-         priorità delle misure collettive (ponteggi, trabatelli) rispetto alle individuali (imbracature di sicurezza);
-         utilizzo del sistema di accesso più adatto con possibilità di evacuare l’area di lavoro anche in condizioni di emergenza;
-         utilizzo di scale a pioli solo in casi particolari;
-         scelta di adeguati sistemi di protezione contro le cadute;
-         esecuzione di lavori in quota solo in condizioni meteorologiche adeguate.
Il dettaglio di come devono essere realizzati i sistemi di accesso in quota (trabatelli, ponteggi, scale) è trattato in numerosi articoli e allegati del Decreto:
-         articoli da 112 a 114;
-         articoli da 122 a 140;
-         allegati da XVIII a XX;
-         allegati XXII e XXIII.
Tale mole di normativa non può essere trattata ovviamente in maniera esaustiva in una risposta sintetica.
Esistono però linee guida e pubblicazioni tecniche che trattano in dettaglio l’argomento, tra cui cito le seguenti:
-         INAIL Quaderno Tecnico su ponteggi fissi
-         INAIL Quaderno Tecnico su trabatelli
-         INAIL Quaderno Tecnico sui parapetti provvisori
-         INAIL Quaderno Tecnico sulle scale portatili
-         INAIL Quaderno Tecnico sui sistemi di protezione individuali dalle cadute
-         ISPESL Linee guida per l’esecuzione di lavori temporanei in quota con l’impiego di sistemi di accesso e posizionamento mediante ponteggi metallici fissi di facciata;
-         Linee guida per la scelta, uso e la manutenzione delle scale portatili
-         Linee guida per la scelta, uso e la manutenzione di dispositivi di protezione individuale contro le cadute dall’alto:
Tenendo conto però della complessità dell’argomento, il mio consiglio è quello di chiedere il parere di un professionista esperto o, meglio ancora, chiedere delucidazioni al Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione o a un responsabile (dirigente o preposto) dell’azienda.
Occorre inoltre tenere conto che i lavoratori che eseguono lavori in quota devono essere preventivamente informati, formati e addestrati in merito ai rischi presenti nelle lavorazioni e alle misure di prevenzione e protezione da adottare di conseguenza, compreso il corretto utilizzo e controllo di ponteggi e trabattelli e dei dispositivi di protezione contro le cadute dall’alto.
Tale obbligo rientra tra quelli generali di formazione dei lavoratori stabiliti dagli articoli 36 e 37 del Decreto.
Marco

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NOTA
Nel testo delle “Frequently Asked Questions” sopra riportate sono state usati i seguenti acronimi e termini:
ASL = Azienda Sanitaria Locale
CCNL = Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro
DPI = Dispositivi di Protezione Individuali
DVR = Documento di Valutazione dei Rischi
RSPP = Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione
RLS = Rappresentate dei Lavoratori per la Sicurezza
D.Lgs.81/08 o Decreto: Decreto Legislativo n.81 del 9 aprile 2008 e successive modifiche e integrazioni (cosiddetto “Testo Unico sulla sicurezza”)

INDAGINE DELL’AZIENDA DI TUTELA DELLA SALUTE MILANO SU 7 MARCHI DELLA GRANDE DISTRIBUZIONE ORGANIZZATA

Da FILCAMS CGIL Lombardia
di Giorgio Ortolani

Cinque malattie professionali segnalate dai Medici Competenti della Grande Distribuzione Organizzata (GDO) su 4.084 visite effettuate in 7 marchi. Qualcosa non quadra!
Martedì 19 aprile si è tenuto un incontro presso l’Azienda di Tutela della Salute (ATS) di Milano città metropolitana (ex ASL) nel quale sono stati, tra l’altro, presentati i dati relativi a un’indagine fatta in 7 aziende della GDO presenti a Milano.

L’indagine segue quella effettuata nel 2010 su 13 marchi della GDO. Quell’indagine evidenzia diverse criticità, sia nei documenti di valutazione del rischio, che nei protocolli di sorveglianza sanitaria e nelle relazioni che i Medici Competenti predisponevano.
Nel convegno si sono trattati i problemi legati alle patologie muscolosheletriche che sono, come ben sappiamo, in costante crescita e riguardano un numero sempre maggiore di lavoratori della grande distribuzione, nonostante Federdistribuzione e le aziende continuino a sottovalutare il problema.

La documentazione del Convegno la potete visionare o scaricare cliccando ai seguenti link:
Documento 1: Le patologie muscoloscheletriche definizioni ed entità del fenomeno
Documento 2: Le patologie muscoloscheletriche nella grande distribuzione organizzata 20 aprile 2016
Documento 3: Il punto di vista del Medico Competente
Documento 4: La valutazione dei rischi da movimentazione manuale dei carichi, traino spinta, movimenti ripetitivi nella GDO
Documento 5: Il punto di vista del RLS

Vogliamo solo ricordare alcuni dei dati emersi.

il D.M.10/01/08 prevede obbligo di denuncia da parte dei Medici Competenti e dei medici di famiglia delle malattie professionali.
Nonostante che diverse delle patologie la cui origine lavorativa è di elevata probabilità lavorativa (vedi tabella nel Documento 1) e che queste siano presenti tra i lavoratori della GDO, solo cinque malattie professionali, su oltre 4.000 visite effettuate, sono state segnalate dai Medici Competenti delle aziende prese in esame.

Dall’indagine della ATS di Milano risulta che dal 2010 a oggi il numero dei lavoratori, tra quelli sottoposti a sorveglianza sanitaria, in cui si riscontrano limitazioni per patologie muscolosheletriche è triplicato (Documento 2).

Ci sono ovviamente come in tutte le indagini aspetti da chiarire legati alla raccolta dei dati, infatti, chi conosce la realtà milanese sa che le 7 catene commerciali oggetto dell’indagine (a Milano, Sesto San Giovanni e comuni limitrofi) hanno ben più dei 4.084 dipendenti che sono stati sottoposti in due anni a sorveglianza sanitaria.
Il fatto è che ogni azienda ha un suo programma di sorveglianza sanitaria che prevede, pur a parità di attività lavorativa, valutazione di rischi diversi e quindi diversi protocolli di sorveglianza sanitaria.
La cassiera per esempio in alcune catene è soggetta a sorveglianza sanitaria obbligatoria in altre invece è visitata solo a richiesta.

In ogni caso invitiamo RLS e RSU della GDO a leggere con attenzione la documentazione del convegno in particolare i Documenti 1 e 2, ma anche il Documento 3, che indica i contenuti della sorveglianza sanitaria e quelli che sono i compiti e doveri del Medico Competente.
Ciò può essere utile ai RLS per fare un raffronto con quello che capita nelle rispettive aziende.



LA SORVEGLIANZA SANITARIA DELLE PATOLOGIE MUSCOLO-SCHELETRICHE

Da: PuntoSicuro
26 aprile 2016

Un Decreto Regionale riporta le linee guida per la prevenzione delle patologie muscolo-scheletriche connesse con movimenti e sforzi ripetuti degli arti superiori.
Focus sulla sorveglianza sanitaria, sull’organizzazione e i criteri di attivazione.

Poiché ogni anno assistiamo ad un aumento delle malattie professionali e in particolare dei disturbi muscolo-scheletrici, è bene che le istituzioni focalizzino l’attenzione sugli aspetti relativi alla prevenzione e alla sorveglianza sanitaria di queste patologie.

Per raccogliere qualche informazione sulla sorveglianza sanitaria delle patologie muscolo-scheletriche facciamo riferimento alla presentazione di un Decreto della Regione Lombardia (il Decreto n. 7661 del 23 settembre 2015) che riporta specifiche Linee Guida regionali per la prevenzione delle patologie muscolo scheletriche connesse con movimenti e sforzi ripetuti degli arti superiori. Le linee guida definiscono un percorso per la prevenzione e l’emersione di queste patologie con particolare attenzione alla valutazione del rischio e alla sorveglianza sanitaria.

Le “Linee Guida Regionali per la prevenzione delle patologie muscolo-scheletriche connesse con movimenti e sforzi ripetuti degli arti superiori” ricordano che l’attivazione di un programma di sorveglianza sanitaria delle patologie da sovraccarico biomeccanico da parte del Medico Competente ha finalità essenzialmente preventive, che riguardano sia i singoli lavoratori, che il gruppo di lavoratori nel suo complesso.

E in particolare gli interventi di prevenzione, a livello individuale, sono relativi all’individuazione di:
-         soggetti portatori di condizioni di ipersuscettibilità ai rischi presenti, al fine dell’adozione delle misure cautelative idonee per evitare l’insorgenza della patologia;
-         soggetti con patologie conclamate, al fine di adottare le misure protettive adeguate e di procedere agli eventuali adempimenti medico legali;
-         eventuali patologie nella fase precoce, preclinica, al fine di evitare l’aggravamento della patologia stessa.

Mentre gli interventi di prevenzione, a livello collettivo, possono essere:
-         un contributo a una più approfondita e accurata valutazione del rischio, anche mediante l’utilizzo di dati di occorrenza delle patologie e dei disturbi nei diversi gruppi di lavoratori esposti;
-         contributo alla conoscenza delle patologie prese in esame, con possibilità di confronti anche con altri gruppi di lavoratori, per effettuare analisi comparative al fine di evidenziare eventuali significativi eccessi nel gruppo dei lavoratori presi in considerazione;
-         redazione di bilanci di salute collettiva, utili al fine di verificare l’efficacia degli interventi di prevenzione adottati e di programmare eventuali ulteriori interventi preventivi.

Quando attivare la sorveglianza sanitaria mirata?

Le linee guida indicano che sono due i criteri che, separatamente o in combinazione tra loro, orientano all’attivazione della sorveglianza sanitaria mirata, in un particolare gruppo di soggetti:
-         l’esistenza di un potenziale rischio lavorativo;
-         la segnalazione di casi di patologie di interesse correlabili al lavoro.

Riguardo al primo criterio si segnala che il modo più adeguato per stabilire l’esistenza di un potenziale rischio lavorativo è quello di condurre un’analisi e una valutazione delle condizioni di lavoro, secondo le procedure descritte nelle Linee Guida.

Nel documento alcuni paragrafi forniscono precise indicazioni per la valutazione del rischio e per la stima dell’esposizione attraverso l’uso di strumenti semplificati di analisi.
Ad esempio si indica che i posti di lavoro e le lavorazioni comportanti compiti ripetitivi, per i quali l’esito della valutazione rapida (quick assessment) abbia evidenziato una condizione né sicuramente accettabile né sicuramente critica, oppure che siano stati eventualmente identificati come “lavori problematici”, vanno, in prima istanza, analizzati attraverso strumenti semplificati di valutazione per operare una stima del livello di esposizione dei lavoratori agli stessi specificatamente addetti.
E possono essere usati vari strumenti di indagine proposti dalla letteratura e dalla norma ISO 11228-3 (Allegato A), nonché dalla norma TR ISO 12295 al relativo Allegato C. Ed è fortemente suggerito l’utilizzo della checklist OCRA nella sua versione più recente, data la sua grande sperimentazione e la sua forte relazione con il metodo dell’indice OCRA assunto come preferito nella norma ISO 11228-3.

Tornando al capitolo delle Linee Guida dedicato alla sorveglianza sanitaria, esso indica che, se applicata la procedura di calcolo della checklist OCRA, si suggerisce:
-         nei casi in cui il punteggio risulti compreso nell’ area “gialla” (7,6 < punteggio < 11) di effettuare uno screening anamnestico da parte del Medico Competente (o, in carenza, di un medico del lavoro consulente) i cui risultati orienteranno, di volta in volta, gli ulteriori provvedimenti (rivalutazione dell’esposizione, attivazione della sorveglianza sanitaria);
-         nei casi in cui la valutazione risulti in area “rossa” (punteggio > 11) va attivata una sorveglianza sanitaria completa, utilizzando gli schemi tradizionali;
-         nei casi in cui l’esito risulti in “area verde” (punteggio < 7,6) non si attiva la sorveglianza sanitaria.

Inoltre nei casi in cui la valutazione analitica non sia stata ancora condotta o conclusa, ci si potrà basare sugli esiti del “quick assessment” per il lavoro manuale ripetitivo o in alternativa si potrà valutare se è necessario attivare la sorveglianza sanitaria sulla base della presenza di almeno uno dei quattro cosiddetti “segnalatori di possibile rischio” riportati nella tabella 5.4 delle Linee Guida.

Con riferimento alle Linee Guida, che si soffermano in dettaglio anche sul secondo criterio di attivazione della sorveglianza sanitaria relativo alla segnalazione di casi di patologie di interesse correlabili al lavoro, focalizziamo la nostra attenzione sull’organizzazione della sorveglianza sanitaria.

Il documento sottolinea che tale sorveglianza per le patologie da sovraccarico biomeccanico degli arti superiori si effettua prima dell’assegnazione a lavori comportanti uno specifico rischio potenziale e periodicamente, in analogia ai principi generali che regolano la materia.
Inoltre la sorveglianza sanitaria preventiva e, più che altro, periodica delle patologie da sovraccarico biomeccanico degli arti superiori può essere organizzata in due livelli:
-         il primo livello è rivolto a tutti i lavoratori esposti e conduce all’individuazione dei “casi anamnestici”; consiste, infatti, nella raccolta di dati anamnestici dai singoli soggetti attraverso interviste condotte dal medico competente;
-         il secondo livello consiste nell’approfondimento clinico rivolto unicamente ai soggetti risultati positivi alla raccolta anamnestica, e conduce all’individuazione dei casi clinicamente definiti.

E in fase preventiva, data la possibile difficoltà di una completa raccolta anamnestica, andrà posta ogni attenzione alla diagnosi di preesistenti patologie dell’arto superiore anche attraverso l’eventuale ricorso, basato su un preliminare screening clinico condotto dal medico competente, ad accertamenti strumentali quali ecografia, elettromiografia (EMG), elettroneurografia (ENG).
Si tenga presente che i sintomi riferiti dai lavoratori sono molto importanti per questo gruppo di patologie, in quanto nella maggior parte dei casi compaiono precocemente e quindi, se ben raccolti, possono costituire un indicatore prezioso.

Concludiamo questa disamina sulla sorveglianza sanitaria riprendendo dalle Linee Guida i criteri minimi che conducono alla definizione di “caso anamnestico”:
-         dolore e/o parestesie (formicolio, bruciore, punture di spillo, intorpidimento, ecc.) all’arto superiore riferiti agli ultimi 12 mesi, con durata di almeno una settimana oppure occorsi almeno una volta al mese;
-         insorgenza non correlata a traumi acuti.

La raccolta dei dati anamnestici condurrà all’individuazione dei “casi anamnestici” che dovranno essere sottoposti ad approfondimenti diagnostici clinico-strumentali al fine di individuare i casi clinicamente definiti e gli ulteriori atti che ne derivano.
E se anche si arriva a un esito negativo, il soggetto sarà comunque definito come “caso anamnestico”, e richiederà controlli sanitari più ravvicinati nel tempo rispetto ai soggetti classificati normali. In ogni caso, quindi, il Medico Competente deve adottare, sia per i casi anamnestici, sia per i casi clinicamente definiti, uno specifico programma di controllo nel tempo.

Segnaliamo infine che nelle Linee Guida sono presenti tabelle che sintetizzano il flusso operativo della sorveglianza sanitaria proposta e che mostrano come utilizzare i risultati della valutazione dei rischi e/o dello screening/sorveglianza sanitaria ai fini della periodicità dei successivi controlli. Inoltre si indica che l’Allegato 6 al Decreto della Direzione Generale della Sanità n. 3958 del 2009 fornisce criteri orientativi per l’espressione dei giudizi di idoneità al lavoro specifico da parte del medico competente.

Il documento “Regione Lombardia Decreto n. 7661 del 23 settembre 2015 - Linee Guida Regionali per la prevenzione delle patologie muscolo scheletriche connesse con movimenti e sforzi ripetuti degli arti superiori” è scaricabile all’indirizzo:



PROCEDURE DI SICUREZZA PER LE SOSTANZE INFIAMMABILI E PERICOLOSE

Da: PuntoSicuro
03 maggio 2016

Esempi di procedure di sicurezza dedicate all’utilizzo di sostanze e preparati infiammabili e all’utilizzo di sostanze e preparati pericolosi.
Come evitare o ridurre i rischi prima, durante e dopo l’uso delle sostanze.

Lo stoccaggio e l’utilizzo di sostanze e preparati infiammabili e/o pericolosi può esporre i lavoratori e le strutture aziendali alla possibilità di subire effetti nocivi. E possono essere necessarie nelle aziende specifiche procedure di sicurezza per fornire indicazioni operative per la gestione delle sostanze e dei preparati che espongono a rischi i lavoratori e gli ambienti.

Per poter presentare alcuni esempi di procedure possiamo far riferimento al “Manuale delle procedure di sicurezza” (elaborato dal Servizio di Prevenzione e Protezione dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna Policlinico Sant’Orsola-Malpighi) che contiene anche alcune schede dedicate proprio alla prevenzione degli infortuni correlati all’utilizzo di sostanze e preparati infiammabili o pericolosi; schede che hanno, come specifico luogo di applicazione, l’interno dell’Azienda Ospedaliero Universitaria di Bologna e tutti i luoghi di pertinenza dell’Azienda.

Una procedura di sicurezza (SIC03) è dedicata all’utilizzo di sostanze e preparati infiammabili ed è applicata per le sostanze e i preparati pericolosi classificati come comburenti, estremamente infiammabili, facilmente infiammabili, infiammabili, utilizzati in tutti i luoghi di pertinenza dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria.

Se quando si manipolano sostanze o preparati pericolosi (infiammabili e/o comburenti) è possibile che si generino le condizioni che portino ad incendio o a un principio di incendio, per evitare o ridurre i rischi occorre prima dell’uso:
-         formare adeguatamente il personale addetto alla manipolazione delle sostanze infiammabili sulle modalità operative e sugli aspetti relativi ai rischi connessi al loro impiego;
-         mettere a conoscenza tutto il personale delle procedure di emergenza incendio previste nel piano di emergenza incendio aziendale;
-         rendere disponibili sul posto di lavoro le schede di sicurezza di tutti gli infiammabili utilizzati durante il lavoro;
-         prendere visione delle informazioni di sicurezza riportate sull’etichetta del prodotto (frasi di rischio, consigli di prudenza) e di quelle riportate sulla relativa scheda di sicurezza (DPI da utilizzare, incompatibilità con altre sostanze ecc.);
-         indossare correttamente i DPI previsti nella scheda di sicurezza e indicati nel Catalogo aziendale dei DPI verificandone preventivamente lo stato di efficienza, la scadenza e seguendo le indicazioni della nota informativa;
-         attivare i dispositivi di protezione collettiva disponibili verificando il loro corretto funzionamento (ad esempio cappe aspiranti);
-         verificare, con particolare attenzione, la presenza e l’efficienza di idonei mezzi di estinzione in tutti i locali in cui sono impiegati e stoccati infiammabili e/o comburenti (verifica a cura del personale addetto all’emergenza incendio);
-         conservare nel locale una quantità di prodotti infiammabili strettamente necessaria all’uso settimanale e comunque in quantità non superiore a 10 litri, tali prodotti dovranno essere stoccati in armadi di sicurezza.

Invece durante l’uso occorre:
-         attenersi alle istruzioni di sicurezza e ai consigli di prudenza riportate sull’etichetta del prodotto e/o sulla relativa scheda di sicurezza;
-         effettuare il travaso degli infiammabili sotto cappa o in locali adeguatamente ventilati;
-         maneggiare con particolare attenzione i contenitori non infrangibili di infiammabili;
-         non usare fiamme libere per il riscaldamento delle sostanze infiammabili, utilizzando sistemi alternativi come: riscaldatori elettrici, bagni d’olio, termomanti ecc.;
-         in caso di principio di incendio seguire le indicazioni del piano emergenza incendio aziendale, si rammenta che il tentativo di spegnimento del focolaio d’incendio mediante estintore può essere effettuato solamente da personale adeguatamente formato e addestrato (personale addetto all’emergenza incendio).

E dopo l’uso:
-         procedere alla richiusura di tutti i recipienti che contengono le sostanze e preparati infiammabili;
-         ricollocare i recipienti utilizzati negli appositi armadi di sicurezza evitando di riporli in scaffalature che contengano prodotti che, in base alle informazioni riportate sulle schede di sicurezza, siano incompatibili;
-         procedere alla pulizia dei DPI riutilizzabili e alla loro conservazione secondo le modalità previste dalle note informative e comunque al riparo da prodotti pericolosi procedendo inoltre allo smaltimento dei DPI monouso seguendo le indicazioni delle procedure aziendali in materia di rifiuti.

Una seconda scheda (SIC16) si sofferma sulle procedure di sicurezza per l’utilizzo di sostanze e preparati pericolosi. Le sostanze e i preparati presi in esame in questo documento sono quelli classificati come molto tossici, tossici, nocivi, corrosivi, irritanti, sensibilizzanti. Le altre sostanze e preparati sono presi in esame in documenti specifici.

Riportiamo anche in questo caso le procedure per evitare o ridurre i rischi.

Prima dell’uso:
-         formare e informare adeguatamente il personale addetto alla manipolazione delle sostanze pericolose sulle modalità operative e sugli aspetti relativi ai rischi connessi al loro impiego;
-         rendere disponibili sul posto di lavoro tutti i DPI previsti per la manipolazione delle sostanze e dei preparati pericolosi;
-         rendere disponibili sul posto di lavoro le schede di sicurezza di tutti i prodotti pericolosi utilizzati durante il lavoro;
-         prendere visione delle informazioni di sicurezza riportate sull’etichetta del prodotto (frasi di rischio, consigli di prudenza) e di quelle riportate sulla relativa scheda di sicurezza (DPI da utilizzare, incompatibilità con altre sostanze ecc.);
-         indossare correttamente i DPI previsti nella scheda di sicurezza e indicati nel Catalogo aziendale dei DPI verificandone preventivamente lo stato di efficienza, la scadenza e seguendo le indicazioni della nota informativa;
-         attivare i dispositivi di protezione collettiva disponibili verificando il loro corretto funzionamento (ad esempio cappe aspiranti);
-         accertarsi dell’efficienza dei i necessari dispositivi di emergenza (doccia di emergenza lava occhi).

Durante l’uso:
-         attenersi alle istruzioni di sicurezza e ai consigli di prudenza riportate sull’etichetta del prodotto e/o sulla relativa scheda di sicurezza;
-         evitare l’imbrattamento di superfici o oggetti estranei alla lavorazione che potrebbero costituire un pericolo se accidentalmente toccati da altri lavoratori o senza dispositivi di protezione individuale al termine dell’attività.

E infine, dopo l’uso:
-         procedere alla richiusura di tutti i recipienti che contengono le sostanze e preparati pericolosi utilizzati;
-         ricollocare i recipienti utilizzati negli appositi spazi di deposito evitando di riporli in scaffalature che contengano prodotti che siano incompatibili in base alle informazioni riportate sulle schede di sicurezza;
-         effettuare la bonifica delle attrezzature utilizzate o alla loro collocazione in un punto di raccolta del materiale da bonificare procedere inoltre alla bonifica delle superfici eventualmente contaminate e allo smaltimento dei rifiuti secondo le procedure di raccolta dei rifiuti esistenti in azienda;
-         procedere alla pulizia dei DPI riutilizzabili e alla loro conservazione secondo le modalità previste dalle note informative e comunque al riparo da prodotti pericolosi procedendo inoltre allo smaltimento dei DPI monouso seguendo le indicazioni delle procedure aziendali in materia di rifiuti.

Il documento dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna Policlinico Sant’Orsola-Malpighi, “Manuale delle procedure di sicurezza”, a cura del Servizio di Prevenzione e Protezione, documento aggiornato e approvato il 15 giugno 2011 è scaricabile all’indirizzo:



AGENTI FISICI: COME PREVENIRE I RISCHI DELLE RADIAZIONI OTTICHE

Da: PuntoSicuro
06 maggio 2016
di Tiziano Menduto

Indicazioni e suggerimenti per la prevenzione nei luoghi di lavoro del rischio di radiazioni ottiche. Focus sulle radiazioni ottiche artificiali, sulla valutazione del rischio, sulle sorgenti giustificabili e sulle informazioni fornite dai fabbricanti.

Il Portale Agenti Fisici (PAF), realizzato dal Laboratorio di Sanità Pubblica dell’Azienda Sanitaria USL 7 Siena (ora Azienda USL Toscana Sudest) con la collaborazione dell’INAIL e dell’Azienda USL di Modena, non solo mette a disposizione un importante strumento informativo per favorire nei luoghi di lavoro una corretta prevenzione e protezione dall’esposizione ad agenti fisici, ma organizza anche specifici corsi di formazione.
Corsi di formazione che hanno l’obiettivo di far conoscere le principali funzionalità del Portale e di migliorare la conoscenza e la capacità di valutazione dei rischi da agenti fisici, rumore e vibrazioni, campi elettromagnetici, radiazioni ottiche.

Con questi obiettivi si è tenuto a Empoli, il 12 e 13 aprile 2016, il corso di formazione “Il Portale Agenti Fisici e la valutazione dei rischi da agenti fisici: stato attuale e ipotesi di sviluppi futuri” di cui sono stati pubblicati sullo spazio web del portale gli atti/interventi con specifico riferimento ai campi elettromagnetici (CEM), al rumore, alle vibrazioni e alle radiazioni ottiche artificiali (ROA).

Per fornire anche ai nostri lettori utili informazioni sulla valutazione dei rischi da agenti fisici, ci soffermiamo oggi su un intervento al corso, a cura della dottoressa Iole Pinto (AUSL Toscana SE), dal titolo “Prevenzione del rischio da radiazioni ottiche”.

L’intervento, che affronta il tema delle radiazioni ottiche da diversi punti di vista, presenta la normativa con particolare riferimento al Titolo VIII del D.Lgs. 81/08 e in particolare al Capo V (Protezione dei lavoratori dai rischi di esposizione a radiazioni ottiche artificiali) del Titolo VIII che stabilisce prescrizioni minime di protezione dei lavoratori contro i rischi per la salute e la sicurezza che possono derivare, dall’esposizione alle radiazioni ottiche artificiali durante il lavoro con particolare riguardo ai rischi dovuti agli effetti nocivi sugli occhi e sulla cute.

L’intervento si sofferma anche sulle linee guida e in particolare sulle indicazioni operative dal titolo “Decreto Legislativo 81/2008 Titolo VIII, Capo I, II, III, IV e V sulla prevenzione e protezione dai rischi dovuti all’esposizione ad agenti fisici nei luoghi di lavoro” a cura del Coordinamento Tecnico per la sicurezza nei luoghi di lavoro delle Regioni e delle Province autonome.

Nell’intervento sono riportate in breve alcune indicazioni operative sullo schema di flusso per effettuare la valutazione del rischio di esposizione alle ROA:
-         conoscenza delle sorgenti: è necessario preliminarmente censire le sorgenti ROA (incluse informazioni fornite da produttore);
-         conoscenza delle modalità espositive: tutte le attività che comportano o possono comportare l’impiego di sorgenti ROA devono essere censite e conosciute a fondo;
-         esecuzione di misure: nel caso non siano disponibili i dati del fabbricante o non vi siano riferimenti bibliografici o a standard tecnici specifici, è necessario effettuare delle misure strumentali secondo le indicazioni fornite da norme tecniche specifiche. O per valutazione rischio residuo;
-         esecuzione di calcoli: partendo dai dati forniti dal fabbricante, dai dati di letteratura o dai valori misurati, mediante appositi calcoli si ottengono le grandezze necessarie al confronto con i valori limite;
-         confronto con i valori limite dell’allegato XXXVII del D.Lgs. 81/08.

L’intervento si sofferma, inoltre, sulle condizioni nelle quali la valutazione del rischio può concludersi con la “giustificazione” secondo cui la natura e l’entità dei rischi non rendono necessaria una valutazione più dettagliata.

Le sorgenti “giustificabili” (“sorgenti innocue” o “trivial sources”) non necessitano di valutazione del rischio più dettagliata perché sono sorgenti intrinsecamente sicure:
-         sorgenti di radiazioni ottiche che, nelle usuali condizioni d’impiego, non danno luogo ad esposizioni tali da presentare rischi per la salute e la sicurezza;
-         sorgenti che danno luogo a emissioni accessibili insignificanti.

Esempio di sorgenti “innocue” sono l’illuminazione standard per uso domestico e di ufficio, i monitor dei computer, i display, le fotocopiatrici, le lampade e i cartelli di segnalazione luminosa. Sorgenti analoghe nelle corrette condizioni di impiego si possono “giustificare”.
Inoltre riguardo alle sorgenti innocue nel visibile, in generale non è necessario procedere alla valutazione del rischio da luce visibile per qualsiasi sorgente di luminanza inferiore a 104 cd/m2 (richiesta solo eventuale verifica con luxmetro calibrato).

Inoltre per alcune sorgenti vanno verificate le appropriate condizioni di uso per poter essere “innocue”:
-         lampade fluorescenti da illuminazione di ambienti: innocue per le normali condizioni di illuminamento negli ambienti di lavoro (circa 600 lux);
-         proiettori da tavolo: innocui se non si fissa il fascio;
-         riflettori (alogenuri metallici o a mercurio): se schermo in vetro intatto e non fissati direttamente (fascio non in linea con asse visivo).

Inoltre tutte le apparecchiature che emettono radiazione ottica non coerente classificate nella categoria 0 secondo lo standard UNI EN 12198:2009 sono giustificabili così come le lampade e i sistemi di lampade, anche a LED, classificate nel gruppo “Esente” dalla norma CEI EN 62471:2009.

Si segnala che le lampade e i sistemi di lampade sono classificati in 4 gruppi secondo lo standard CEI EN 62471:2009. Questa norma, che prevede metodi di misura e classificazione e anche se non definisce vincoli specifici per la marcatura, rappresenta attualmente lo stato dell’arte in termini di informazioni sulla sicurezza fotobiologica delle lampade e dei sistemi di lampade (compresi i LED).

L’intervento, che vi invitiamo a visionare integralmente e che si sofferma anche sulle radiazioni ottiche naturali e i lavoratori outdoor, riporta alcuni esempi di classificazione e pericoli (moduli led, lampade a scarica MH chiare, ecc.).

Si sottolinea l’importanza delle informazioni sui livelli di emissione di radiazioni fornite dai fabbricanti.

Infatti le attrezzature che emettono radiazioni non ionizzanti, devono essere corredate dalle informazioni sulle emissioni in conformità a:
-         Direttiva 98/37/CE (Direttiva macchine) recepita con D.P.R. 459/96, sostituita dalla Direttiva 2006/42/CE recepita con D.Lgs. 17/10;
-         Direttiva 2007/47/CE (Direttiva dispositivi medici) recepita con D.Lgs. 37/10 e Direttiva 98/79/CE (Direttiva dispositivi medici diagnostici in vitro) recepita con D.Lgs. 332/00.

Concludiamo questa breve presentazione segnalando che nella parte conclusiva delle slide, relative all’intervento della dottoressa Pinto, sono riportate precise indicazioni anche sui dispositivi di protezione individuali utilizzabili.

Il link del Portale Agenti Fisici (PAF) è:

Il documento “Prevenzione del rischio da radiazioni ottiche”, a cura della dottoressa Iole Pinto (AUSL Toscana SE), intervento al corso di formazione “Il Portale Agenti Fisici e la valutazione dei rischi da agenti fisici: stato attuale e ipotesi di sviluppi futuri” è scaricabile all’indirizzo:

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