lunedì 22 settembre 2014

20 settembre: Contro i padroni assassini - la Cassazione consolida l'orientamento di 'riduzione del danno' per i padroni, con una sentenza tecnico politica che attacca l'inchiesta e la sentenza di Torino

    

I giudici hanno fissato alcuni paletti in vista del processo d'appello.
Nel nuovo processo d'appello per il caso Thyssenkrupp le condanne inflitte agli imputati dovranno essere ridefinite ma non potranno aumentare. Lo ha scritto esplicitamente nelle motivazioni della sentenza la Corte di Cassazione. In appello, a Torino, ai sei imputati per il rogo che nel 2007 uccise sette operai erano state inflitte condanne fra i dieci e i sette anni di reclusione. Lo scorso 25 aprile la Cassazione ha ordinato un nuovo processo di secondo grado per rideterminare le pene processo nel quale "le sanzioni già inflitte - si legge nella sentenza - non potranno essere aumentate".

Leggi: la sentenza di aprile, Cassazione: non fu omicidio volontario


E questa esplicita indicazione dei giudici supremi sembra evidentemente una risposta a quel che aveva dichiarato la procura di Torino proprio il 25 aprile quando da Roma era arrivata la notizia che il processo d'appello era da rifare. Il procuratore Guariniello infatti aveva prefigurato che una nuova sentenza potesse, in realtà, ritorcersi contro i manager della Thyssen: "Chiederemo un aumento delle pene, perché non c'è un solo reato ma due reati", aveva detto. Secondo i giudici romani i manager della fabbrica sono colpevoli, ma si dovranno ristabilire i gradi di responsabilità di ciascuno in quella strage, in un nuovo processo da celebrare davanti a una nuova corte. Parzialmente annullate dunque le condanne stabilite dalla Corte d'assise d'appello di Torino e, soprattutto, esclusa l'ipotesi di omicidio volontario contestata dal procuratore all'ex ad Harald Espenhahn.
Ma Guariniello replicava spiegando che le contestazioni della Cassazione aprivano la strada alla richiesta di pene più severe: una parte della sentenza esclude infatti l'"assorbimento" del reato di disastro colposo in quello di rimozione dolosa di cautele antinfortunistiche. "Era ciò che avevamo sostenuto nel nostro ricorso e i giudici hanno accolto la nostra tesi - aveva detto il procuratore -: i due reati resistono come reati autonomi, dunque è possibile applicare pene più severe". Ora, nelle motivazioni di quel pronunciamento i giudici chiudono definitivamente la possibilità di percorrere questa strada
Thyssen: Cassazione, ecco perché le condanne non aumenteranno
Le motivazioni della sentenza: cooperazione colposa, l’adozione di tutte le cautele avrebbe certamente evitato il drammatico esito, ma il dolo eventuale è inapplicabile
I familiari delle vittime nell’aula del Tribunale di Torino con le foto dei morti

18/09/2014

 Nel rogo della Thyssenkrupp nel quale rimasero uccisi sette operai tra il 5 e il 6 dicembre 2007 c’è stata una «cooperazione colposa» da parte di tutti gli imputati ma «le sanzioni già inflitte non potranno essere aumentate». Lo scrivono i supremi giudici della Corte di Cassazione nel motivare il perchè, lo scorso 24 aprile a sezioni unite, ha disposto un processo d’appello bis per rideterminare, a questo punto al ribasso, le pene dei sei imputati per l’incendio dello stabilimento torinese. 

In particolare, la Suprema Corte (sentenza 38343) nelle 211 pagine di motivazioni depositate oggi scrive che «il giudice di merito dovrà rimodulare le pene tenendo conto da un lato dell’esclusione delle aggravanti e dall’altro del riassetto delle relazioni tra gli illeciti». In questo modo, «le sanzioni già inflitte non potranno essere aumentate». I supremi giudici confermano la responsabilità dei sei manager, Harald Espenhan (ex ad della Thyssen condannato in appello a dieci anni di reclusione), Marco Pucci, Gerald Priegnitz, Daniele Moroni, Raffaele Salerno e Cosimo Cafueri (avevano condanne comprese tra i 7 e i 9 anni) e dà atto che «l’adozione di tutte le cautele doverose, primarie e secondarie, avrebbe certamente evitato il drammatico esito». Detto questo, la Cassazione rileva che l’ex ad Esphenan è in definitiva «il massimo autore delle violazioni antinfortunistiche che hanno causato gli eventi di incendio e morte». «L’amministratore - scrive in proposito il relatore Rocco Marco Blaiotta - è il primo indiscusso protagonista, ma attorno a lui si muovono gli altri imputati»

La prevenzione
Nelle motivazioni della sentenza si parla anche di prevenzione, ottolineando che la holding Thyssenkrupp, dopo un disastroso incendio del 2006 in Germania, «aveva avviato una decisa campagna di lotta senza quartiere al fuoco»: così, riferendosi alla questione dei focolai che si verificavano negli stabilimenti dell’acciaieria durante le lavorazioni, si è pronunciata la Corte di Cassazione. I supremi giudici hanno sviluppato questa considerazione nel passaggio in cui espongono il motivo per il quale l’amministratore delegato Harald Espenhahn non può, a differenza di quanto ha sempre sostenuto la procura di Torino, essere condannato per omicidio volontario con dolo eventuale, ma per omicidio colposo. «Il fatto - scrivono - è che la holding aveva avviato una decisa campagna di lotta senza quartiere al fuoco. Espenhahn era un importante dirigente, al quale era stato affidato un ruolo di grande rilievo: nulla induce a ritenere che egli abbia scientemente disatteso tale forte indicazione di politica aziendale».

Prescrizione e nuovo processo
I giudici, ordinando un nuovo processo d’appello che dovrà essere celebrato a Torino, hanno sancito «la responsabilità di tutti gli imputati» per rimozione volontaria di cautele contro gli incidenti, omicidio colposo e incendio. «Dalla data della presente sentenza il decorso del tempo è irrilevante ai fini della prescrizione».

«I giudici non siano protagonisti»
Arriva anche un ammonimento ai giudici dalla sentenza della Cassazione: «il giudice sia immune dalla tentazione di farsi protagonista di scelte politico-criminali che non gli competono» è l’ammonimento che la Cassazione lancia nella sentenza-Thyssenkrupp. Le Sezioni unite della Suprema Corte, nella sentenza Thyssenkrupp, tracciano il confine fra dolo eventuale e colpa cosciente, individuando i criteri che i giudici dovrebbero seguire quando si trovano ad affrontare casi del genere in cui è necessario addentrarsi nell’atteggiamento mentale, nella «sfera psichica» dell’imputato.

La Corte sottolinea «la fallacia dell’opinione che identifica il dolo eventuale con l’accettazione del rischio», un’espressione «fra le più abusate, ambigue, non chiare dell’armamentario lessicale della materia in esame». Inoltre invita il giudice a maturare la consapevolezza «del proprio ruolo di professionista della decisione», coltivando ed esercitando «i talenti che tale ruolo richiedono», analizzando i fatti con un atteggiamento di «purezza intellettuale che consenta di accogliere e accettare senza pregiudizi il senso delle cose» rifuggendo da «interpretazioni precostituite» e «di maniera»

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