FORMAZIONE OPERAIA - 2° PARTE - PIU' SI SVILUPPA LA
RICCHEZZA, LA SOCIETA' E PIU' SI IMPOVERISCE L'OPERAIO
Nella 1° parte abbiamo visto che l'operaio non vende al capitale il lavoro,
ma la sua forza-lavoro che per il capitalista è al pari di una merce, ma
particolare, perchè produce valore, lavoro gratis per il capitale. Il
capitalista non paga all'operaio il prezzo del suo lavoro e del prodotto del
suo lavoro, ma un salario che corrisponde al prezzo della forza-lavoro,
determinato, come qualsiasi merce, dai costi della sua produzione, vale a dire
dal tempo di produzione di quei beni che all'operaio servono per andare il
giorno dopo a lavorare, a rifarsi sfruttare.
Da "Lavoro salariato e capitale" di MARX
2° PARTE
2° PARTE
"Il capitalista e l'operaio sono legati. “L’operaio va in malora se il capitale non lo occupa. Il capitale va in malora se non sfrutta la forza-lavoro”. “La condizione indispensabile per una situazione sopportabile dell’operaio è dunque l’accrescimento più rapido possibile del capitale produttivo... del potere del lavoro accumulato sul lavoro vivente. Accrescimento del dominio della borghesia sulla classe operaia”.
L’operaio, quindi, “produce la
ricchezza estranea che lo domina, il potere che gli è nemico, il capitale...
i mezzi di sussistenza rifluiscono nuovamente verso di lui, a condizione che
esso si trasformi di nuovo in una parte del capitale...”.
“Sino a tanto che l’operaio
salariato è operaio salariato, la sua sorte dipende dal capitale. Questa è
la tanto rinomata comunità di interessi tra operaio e capitalista”.
“Se cresce il capitale, cresce la
massa del lavoro salariato, cresce il numero dei salariati; in una parola, il
dominio del capitale si estende sopra una massa più grande di individui. E
supponiamo pure il caso più favorevole: se cresce il capitale produttivo,
cresce la domanda di lavoro e sale perciò il prezzo del lavoro, il salario”.
Ma “il rapido aumento del capitale
produttivo provoca un aumento ugualmente rapido della ricchezza, del lusso, dei
bisogni sociali e dei godimenti sociali. Benchè dunque i godimenti dell’operaio
siano aumentati, la soddisfazione sociale che essi procurano è diminuita in
confronto con gli accresciuti godimenti del capitalista, che sono inaccessibili
all’operaio, in confronto col grado di sviluppo della società in generale”. Quindi
più si sviluppa la ricchezza, la società e più, relativamente, si impoverisce
la condizione dell’operaio.
Inoltre, il salario non è
determinato solo dalla somma di denaro, dalla massa di merci che può
acquistare, ma da altri rapporti.
Primo, il salario è determinato in
rapporto al valore dei mezzi di sussistenza. Se il prezzo dei mezzi di
sussistenza aumenta, gli operai nominalmente possono continuare a ricevere lo
stesso salario di prima, ma “per lo stesso denaro essi ricevevano in cambio
meno pane, meno carne, ecc. Il loro salario era diminuito non perchè fosse
diminuito il valore dell’argento (del denaro), ma perchè era aumentato il
valore dei mezzi di sussistenza”. “il prezzo in denaro del lavoro, il
salario nominale, non coincide quindi con il salario reale, cioè con la
quantità di merci che vengono realmente date in cambio del salario”.
Secondo, il salario è determinato
anche dal rapporto col profitto del capitalista. “questo è il salario
proporzionale, relativo” che esprime “il prezzo del lavoro immediato, in
confronto con quello del lavoro accumulato, del capitale”, “supponiamo, per
esempio, che il prezzo di tutti i mezzi di sussistenza sia caduto di due terzi
(per es. da 900 a 300 euro), mentre il salario giornaliero è caduto solo di un
terzo (per esempio da 900 a 600 euro)”. Quindi, nonostante che il suo salario
sia diminuito, l’operaio può comprare più merci di prima. Ma ciononostante, “il
suo salario però è diminuito in rapporto al guadagno del capitalista. Il capitalista
pagando all’operaio un salario inferiore di un terzo (prima 900 euro, ora 600
euro), aumenta il suo profitto di 300 euro. “Il che vuol dire che per una
minore quantità di valore di scambio che egli paga all’operaio, l’operaio deve
produrre una quantità di valori di scambio maggiore di prima”. Se prima su 8
ore l’operaio lavorava 4 ore per sè per reintegrare il suo salario, e 4 ore per
il capitalista, ora, con la riduzione di un terzo del suo salario, lavora 3 ore
per sè e 5 ore per il profitto del capitalista.
“La parte del capitale in rapporto
alla parte del lavoro è cresciuta. La distribuzione della ricchezza sociale fra
capitale e lavoro è diventata ancora più diseguale. Il capitalista, con lo
stesso capitale, comanda una maggiore quantità di lavoro. Il potere del
capitalista sulla classe operaia è aumentato; la posizione sociale del
lavoratore è peggiorata, è stata sospinta un gradino più in basso al di sotto
di quella del capitalista”.
Quindi, salario e profitto stanno in
rapporto inverso. “Il profitto sale nella misura in cui il salario diminuisce e
diminuisce nella misura in cui il salario sale”.
“Il salario relativo può diminuire
anche se il salario reale sale assieme al salario nominale, al valore monetario
del lavoro, a condizione che esso non salga nella stessa proporzione che il
profitto. Se, per esempio, in epoche di buoni affari il salario aumenta del 5
per cento mentre il profitto aumenta del 30 per cento, il salario
proporzionale, relativo, non è aumentato, ma diminuito”. Quindi, “per quanto
il salario possa aumentare, il profitto del capitale aumenta in modo
sproporzionatamente più rapido”.
“Dire che l’operaio ha interesse al
rapido aumento del capitale significa soltanto che quanto più rapidamente
l’operaio accresce la ricchezza altrui, tanto più grosse sono le briciole che
gli sono riservate”, tanto più la classe operaia forgia “essa stessa le
catene dorate con le quali la borghesia la trascina dietro di sè”.
L’accrescimento del capitale è
frutto soprattutto dell’aumento della forza produttiva; questa aumenta
innanzitutto “con una maggiore divisione del lavoro, con una introduzione
generale e un perfezionamento costante del macchinario”. Ma la concorrenza su
scala sempre più mondiale dei capitalisti porta a ricominciare sempre questa
strada: ancora “maggiore divisione del lavoro, più macchinario, una scala più
grande su cui vengono sfruttate la divisione del lavoro e il macchinario”.
“La legge non gli concede tregua (al
capitalista) e gli mormora senza interruzione:Avanti! Avanti!”.
“Ma come agiscono queste
circostanze, le quali sono inseparabili dall’aumento del capitale produttivo,
sulla determinazione del salario?”.
La più grande divisione del lavoro
rende capace un operaio di fare il lavoro di cinque, di dieci, di venti; essa
aumenta quindi di cinque, di dieci, di venti volte la concorrenza fra gli
operai, sia perchè si vendono più a buon mercato, sia perchè “uno fa il lavoro
di cinque, di dieci, di venti...”.
“Inoltre nella stessa misura in cui
la divisione del lavoro aumenta, il lavoro si semplifica. L’abilità
dell’operaio perde il suo valore. Egli viene trasformato in una forza
produttiva semplice, monotona, che non deve far più ricorso a nessuno sforzo
fisico e mentale. Il suo lavoro diventa lavoro accessibile a tutti”, e “quanto
più il lavoro è semplice, quanto più facilmente lo si impara, quanto minori
costi di produzione occorrono per rendersene padroni, tanto più in basso cade
il salario, perchè come il prezzo di qualsiasi altra merce, esso è determinato
dai costi di produzione... l’operaio cerca di conservare la massa del suo
salario lavorando di più, sia lavorando più ore (lavoro straordinario), sia
producendo di più nella stessa ora”.
“L’umanità del capitalista consiste
in più lavoro possibile al prezzo più basso... i padroni tentano di ridurre il
salario, senza portare nessuna modifica nominale, ma, per esempio, accorciando
la pausa per i pasti fanno lavorare un quarto d’ora in più, ecc.” (da Appunti
sul salario).
Ma “più egli (l’operaio) lavora,
meno salario riceve, e ciò per
la semplice ragione che nella stessa misura in cui egli fa concorrenza ai suoi
compagni di lavoro, egli si fa di questi compagni di lavoro altrettanti
concorrenti, che si offrono alle stesse cattive condizioni alle quali egli si
offre, perchè, in ultima analisi, egli fa concorrenza a se stesso, a se stesso
in quanto membro della classe operaia”.
La legge generale del mercato fa sì
che “non possono esserci due prezzi di mercato e domina sempre quello più basso
(a quantità eguale). Supponiamo 1.000 operai di uguale qualifica di cui 50
senza pane; il prezzo non verrà determinato dai 950 che lavorano, bensì dai
50 disoccupati. Ma questa legge del prezzo di mercato grava più
pesantemente sulla merce-forza lavoro, che su altre merci, perchè l’operaio non
può conservare la propria merce in magazzino, ma deve vendere la sua attività
vitale, oppure morire per mancanza di mezzi di sussistenza” (da Appunti sul
salario).
“Anche l’introduzione di macchine
sempre più perfezionate portano agli stessi risultati perchè sostituiscono
operai qualificati con operai non qualificati, provocano il licenziamento di
gruppi di operai”.
Ma gli economisti ci raccontano che
per gli operai licenziati, soprattutto per i giovani operai, “si apriranno
nuovi campi di impiego”. “Ciò costituisce evidentemente una grande
soddisfazione per gli operai colpiti. Ai signori capitalisti non mancheranno
carne e sangue freschi da sfruttare; si lascerà ai morti la cura di sotterrare
i loro morti”. Perchè, comunque, loro, i capitalisti, non vorrebbero mai
licenziare cacciare via tutti gli operai, perchè ”se tutta la classe dei
salariati fosse distrutta dalle macchine, che cosa terribile per il capitale,
il quale senza lavoro salariato (la fonte del suo profitto) cessa di essere
capitale”.
Ma pur se gli operai licenziati
trovano nuova occupazione “credete voi che tale occupazione sarà retribuita
come quella che è andata perduta? Ciò sarebbe in contraddizione con tutte le
leggi dell’economia”.
“...Al posto dell’uomo che la
macchina ha eliminato, la fabbrica occupa forse ora tre ragazzi e una donna. Ma
il salario dell’uomo non avrebbe dovuto bastare per tre bambini e una donna...
per conservare e accrescere la razza? (come dicono gli economisti) - No, questa
affermazione ”non prova altro, se non che ora vengono consumate quattro volte
più vite operaie di prima, per guadagnare il sostentamento di una sola famiglia
operaia”.
Per di più le fila della classe
operaia vengono ingrossate anche da settori sociali non proletari che si
impoveriscono, da strati più alti della società che vengono buttati sul
lastrico dalla concorrenza, che “non hanno nulla di più urgente da fare che di
levare le braccia accanto alle braccia degli operai. Così la foresta delle
braccia tese in alto e imploranti lavoro si fa sempre più folta, e le braccia
stesse si fanno sempre più scarne”.
“In ogni crisi, l’operaio è
rinchiuso nel seguente circolo vizioso: il datore di lavoro non può impiegare gli operai,
perchè non riesce a vendere il suo prodotto. Non può vendere il suo prodotto
perchè non trova acquirenti. Non trova acquirenti, perchè gli operai non hanno
altro da offrire in cambio che il loro lavoro e proprio per questo non riescono
a cambiarlo” (da Appunti sul salario).
“Infine, nella misura in cui i
capitalisti sono costretti, dal movimento che abbiamo descritto, a sfruttare su
una scala più grande i mezzi di produzione giganteschi già esistenti, e a
mettere in moto per questo scopo tutte le leve del credito, nella stessa misura
aumentano i terremoti industriali... in una parola nella stessa misura
aumentano le crisi. Esse diventano più frequenti e più forti per il solo fatto
che, e nella misura in cui, la massa della produzione, cioè il bisogno di
estesi mercati, diventa più grande, il mercato mondiale sempre più si contrae,
i nuovi mercati da sfruttare si fanno sempre più rari, poichè ogni crisi
precedente ha già conquistato al commercio mondiale un mercato fino ad allora
non conquistato o sfruttato dal commercio soltanto in modo superficiale. Ma
il capitale non vive soltanto del lavoro. Signore ad un tempo barbaro e
grandioso, egli trascina con sè nell’abisso i cadaveri dei suoi schiavi, intere
ecatombe di operai che periscono nelle crisi”.
Di conseguenza “sempre più
diminuiscono proporzionalmente i mezzi di occupazione, i mezzi di sussistenza
per la classe operaia, e ad onta di ciò il rapido aumento del capitale è la
condizione più favorevole per il lavoro salariato”.
La sorte del lavoro salariato è
legata al capitale, come la corda sostiene l’impiccato."...
(CONTINUA AL PROSSIMO GIOVEDI')
(CONTINUA AL PROSSIMO GIOVEDI')
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