DIETRO OGNI RISTRUTTURAZIONE, DIETRO LA PACE SOCIALE IN FABBRICA CONDIZIONE NECESSARIA PER LO SFRUTTAMENTO IN FABBRICA, CI SONO LE CENTRALI SINDACALI CONFEDERALI
Sotto l’ombrello di una delle centrali sindacali confederali più importanti del paese con la parte predominante coperta dalla Fiom/Cgil, si consuma a Brescia lo sfruttamento quotidiano di decine di migliaia di metalmeccanici divisi tra le aziende siderurgiche tondino metalmeccaniche armi posate e la storica ex OM, Iveco, oggi parte del gruppo Stellantis. Osservare più da vicino la situazione in un paio di queste fabbriche, Alfa Acciai e Iveco, con le trasformazioni in corso, aiuta a farsi un’idea della condizione della classe operaia, dei compiti necessari nello scontro di classe con i padroni, nella ricostruzione dell’organizzazione di classe degli operai.
All’Iveco,
una fabbrica simbolo per la presenza e ruolo nelle lotte operaie del
secolo scorso, il destino produttivo e occupazionale è legato alla
ristrutturazione del gruppo FCA passato a Stellantis, e alla temuta
vendita dello stabilimento ad una multinazionale cinese.
Ma
prima di questi scenari, in fabbrica sta passando una
ristrutturazione interna con circa 300 esuberi e a seguire piani di
CdS e Cig, attraverso la trattativa sindacale, con la sponda del
MISE, ovvero le condizioni meno favorevoli per la difesa dei posti di
lavoro. Trattativa, non di una vertenza conflittuale si
tratta, dove la parola d’ordine sia difesa dell’occupazione,
difesa delle condizioni di lavoro, difesa dei diritti sindacali e dei
contratti a tempo indeterminato propri degli operai dichiarati in
esubero. Nella guerra quotidiana dei padroni ‘al posto
fisso’, l’esito di questa trattativa, qualunque saranno i numeri
effettivi finali e l’incentivo raggiunto per convincere i volontari
a liberare il campo, verrà capitalizzato dall’avversario di
classe, come un ‘più 300 verso la precarietà a vita’. Ragione che dovrebbe essere di per sè sufficiente
per fare dell’Iveco una vertenza provinciale, pur volendo
considerare questi esuberi solo dallo stretto punto di vista
sindacale. Ma cosi non è, e il peso della grande fabbrica, che può
essere trainante nello scontro di classe, può assumere anche il peso
di grande sconfitta, quando a passare sono accordi negativi, in
questo caso, strategicamente negativi, senza dare battaglia. Nello stabilimento bresciano, l'Iveco ha
contabilizzato 600 operai RCL, ovvero a Ridotte Capacità Lavorative,
tra questi il 70% di livello 3, nella concezione aziendale inadatti
ai ritmi della produzione nello stabilimento. Numeri da guerra del
profitto, che ci avvicinano ai 300 esuberi dichiarati, per una
operazione che in un colpo solo ottiene l’eliminazione degli operai
diventati improduttivi - usati/consumanti -, la riduzione del 25% dei
contratti indeterminati ‘tutelati’, la legittimazione dello
sfruttamento intensivo, scientifico delle catene di montaggio, che
rendono prematuramente gli operai troppo giovani per andare in
pensione, ma ormai troppo vecchi per tenere il loro posto in
fabbrica. Un nuovo salto nella crescita del plusvalore,
vista la tendenza a spalmare il più possibile le mansioni degli
operai eliminati, tra i colleghi rimasti sulle catene di montaggio,
considerando l’assenza di conflittualità verso le
ristrutturazioni. Utile sapere che il 2020, con le pessime condizioni
di lavoro imposte dalla pandemia, l’azienda dichiara, sia stato
l’anno migliore degli ultimi cinque, come risultato nel rapporto
tra la cadenza impostata sulle linee e il prodotto effettivo. Dopo gli esuberi, con
la gestione dell’odl attraverso la flessibilità dei CdS, si
giocherà questa riorganizzazione delle linee, più camion con meno
operai e sempre più veloci. Aumentando i ritmi di lavoro, i carichi
individuali, la saturazione. Prospettiva ben interpretata dai nuovi
operai ‘jolly rambo’, portati in palmo di mano, gratificati a mò
di esempio da capi e capetti, riverenti verso il padrone, meno
conflittuali possibili, e più produttivi perché incentivati a
lavorare di più, ‘un bravo del capo reparto vale più di 100 euro
in busta paga ormai…’ Operai formati ed
inquadrati all’ombra di sindacati tradizionalmente aziendalisti, in
fabbrica non manca nessuno, Fim Uilm Ugl Fismic e il sindacato dei
capi AqcfR, ma non spicca certo la scelta di campo della Fiom ancora
maggioritaria. Le bandiere verdi, blu, e ‘rosse’ sventolano
fianco a fianco alle portinerie, comunicati e trattativa
rigorosamente unitaria. Ma tra gli operai, tra quelli che in fabbrica ci
resteranno ancora, dire che prevale la rassegnazione ai piani di
ristrutturazione, non sarebbe corretto. Piani che non vedono al
momento un’opposizione, è vero. Non quella di delegati e loro
organizzazioni, dato che sono impegnati a far quadrare i conti
dell’azienda e a tenere sotto controllo il malcontento nei reparti. ‘Nessuno verrà
licenziato, solo volontari, tanto sono vicini alla pensione gli
conviene...’ è il ritornello stonato che equivale a ‘non
mettetevi in mezzo o è peggio per voi, per chi protesta non ci sarà
posto nella nuova produzione’. Fatevi gli affari vostri. E
difficilmente alle portinerie, vigilate dal sindacato, si alza la
testa. Non c'è ancora la
ribellione degli operai, ingabbiata nella demoralizzazione di
sentirsi senza strumenti, isolati, in mezzo agli altri che vanno
nella direzione inversa, dove il ‘tanto fanno sempre quello che
vogliono, si sono già messi d’accordo’, via via è diventato
distacco alle ‘cose sindacali’ e condivisione degli obiettivi e
dei principi del padrone ‘, ci mette i soldi, la fabbrica non è
una onlus, anch’io farei lo stesso se fossi al suo posto’. Dove la coscienza di
classe, superata dal miraggio della professionalità e dalla
competitività tra colleghi, per una scalata dove si procede salendo
solo sulle spalle dell’altro, per una fabbrica in cui ognuno deve
dare il massimo, per la produzione per il profitto…, spinge gli
operai ad essere convenienti dal punto di vista produttivo per
concorrere con gli operai della Polonia o della Cina. Dove gli operai fanno
capire che non c’è più posto per la solidarietà di classe, che è
stata seppellita sotto montagne di accordi sindacali, perdenti dal
punto di vista sindacale ed economico, disastrosi dal punto di vista
politico ideologico che hanno spinto gli operai nell’individualismo
padronale. Ma il pericolo sta nel
credere, adattandosi, a chi, pensa, afferma, pratica, che questa
ormai sia la condizione senza prospettive, la dura legge della
fabbrica, dove è normale lo sciovinismo, la concorrenza tra
stabilimenti personificata negli operai aziendalisti, e nei
comunicati sindacali che recitano che ‘il tal modello perde quote
rispetto al tal altro della concorrenza, ma il modello di punta regge
garantendo anche in queste condizioni una forte redditività al
padrone’. Viva lo sfruttamento, e gli operai con le masse popolari
diventano effetti collaterali.
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