«Lo Stato ci dia lo status di schiavi».
Richiesta
choc degli immigrati del Napoletano
Il
Mattino.it, lunedì 3
febbraio 2014 - 15:56
Chiedono lo
status di schiavi per sfuggire al ricatto dei loro "padroni", i
datori di lavoro di Sant'Antimo che, sottraendo loro i passaporti, li
costringono a lavorare fino a 14 ore al giorno senza riposo settimanale con una
paga, quando raramente corrisposta, che non arriva a 250 euro al mese.
È la paradossale ma disperata richiesta di aiuto, raccolta dall'associazione per la difesa dei diritti degli immigrati «3 Febbraio», delle centinaia di cittadini bengalesi, molti dei quali clandestini, da anni utilizzati nelle fabbriche tessili di Sant'Antimo e di altri comuni vicini a nord di Napoli.
«Denunceremo per riduzione in schiavitù - si legge in un comunicato dell'associazione - gli imprenditori italiani e bengalesi chiedendo al prefetto che siano concessi a tutti i firmatari i permessi di soggiorno per motivi umanitari così come previsto dall'ex articolo 18 della legge 40 sull'immigrazione». Ieri, per la prima volta, i bengalesi di Sant'Antimo si sono riuniti in assemblea in una sala della parrocchia del paese. «È stata l'occasione per molti di loro di uscire coraggiosamente dall'anonimato - spiega Gianluca Petruzzo di 3 febbraio - e le storie di sfruttamento e di violenza che hanno raccontato non sono certo degne di un Paese civile. Ribadiremo il nostro no al nuovo schiavismo il prossimo 21 febbraio nella piazza di Sant'Antimo in occasione della festa della lingua del Bangladesh».
È la paradossale ma disperata richiesta di aiuto, raccolta dall'associazione per la difesa dei diritti degli immigrati «3 Febbraio», delle centinaia di cittadini bengalesi, molti dei quali clandestini, da anni utilizzati nelle fabbriche tessili di Sant'Antimo e di altri comuni vicini a nord di Napoli.
«Denunceremo per riduzione in schiavitù - si legge in un comunicato dell'associazione - gli imprenditori italiani e bengalesi chiedendo al prefetto che siano concessi a tutti i firmatari i permessi di soggiorno per motivi umanitari così come previsto dall'ex articolo 18 della legge 40 sull'immigrazione». Ieri, per la prima volta, i bengalesi di Sant'Antimo si sono riuniti in assemblea in una sala della parrocchia del paese. «È stata l'occasione per molti di loro di uscire coraggiosamente dall'anonimato - spiega Gianluca Petruzzo di 3 febbraio - e le storie di sfruttamento e di violenza che hanno raccontato non sono certo degne di un Paese civile. Ribadiremo il nostro no al nuovo schiavismo il prossimo 21 febbraio nella piazza di Sant'Antimo in occasione della festa della lingua del Bangladesh».
S.Antimo: i tessitori
bengalesi alzano la testa contro le sartorie dello sfruttamento
Sono i
subappaltatari di note marche della moda italiana. Fabbriche tessili diffuse
tra la provincia di Napoli e di Caserta. A volte gestite da italiani, altre da
stranieri, i lavoratori invece sono quasi sempre immigrati e la paga da fame.
Capita così che dopo la tragedia di Prato, con sette operai cinesi morti nel
rogo della fabbrica che faceva anche da casa, tanti decidano che è il momento
di cominciare ad alzare la testa. E’ accaduto a S.Antimo, dove da oltre un mese
diversi lavoratori bengalesi delle tante sartorie tessili si stanno incontrando
periodicamente in piazza per denunciare le condizioni di sfruttamento, per
avviare cause di lavoro (sostenuti da Maurizio D’Ago, avvocato
dell’associazione 3 febbraio), per cambiare la qualità della propria vita. E’
cominciata con la mobilitazione di parte dei tessitori bengalesi che lavorano
in quattro sartorie tra S.Antimo, Grumo Nevano e Casandrino, fondate da un
proprio connazionale che è arrivato in Italia con un preciso progetto
imprenditoriale, disponendo di capitali e proprietà già nel paese d’origine. Ma
i lavoratori non se la passano per niente bene: orari massacranti e paghe da
fame, come in molte altre fabbrichette della zona create da napoletani. 14 ore
di lavoro nei giorni feriali e sette nei festivi per salari che raramente
superano i 300 euro al mese….! E’ la versione informale di quella che i
francesi chiamano “délocalisation sur place”… la globalizzazione della
precarietà invece che dei diritti, trasferire una fabbrica per inserirsi in
filiere che promettono buoni guadagni, mantenendo però un bassissimo livello
dei salari. Tre anni fà erano stati gli imprenditori immigrati a mobilitarsi
per pretendere il dovuto da note firme dell’alta moda. Ora sono invece i
lavoratori, stiratori e cucitori stanchi di massacrarsi tutto il giorno per un
tozzo di pane. Domenica alle 16.00 c’è l’assemblea in piazza della
Repubblica a S.Antimo. Potrebbero unirsi anche lavoratori migranti di altre
nazionalità.
Nessun commento:
Posta un commento