Il
congresso Fiom tenutosi a Taranto ha avuto anche nell'intervento di Maurizio
Landini al centro la questione Ilva.
Questo
era chiaramente inevitabile, ma non sono state dette cose nuove. Landini ha
ripetuto la linea che già la Fiom aveva espresso nei mesi scorsi: "il
futuro dell' Ilva è senza la famiglia Riva", "cambio di proprietà con
una fase di controllo pubblico ma sin da ora si deve ragionare sugli assetti
societari", "recuperare soldi che vadano in quella direzione".
fare presto perchè "nel settore della siderurgia sono in atto processi
processi di cambiamento e di investimento che potrebbero mettere a rischio la
tenuta del sistema industriale del nostro paese".
Cose
tutto sommato in sintonia con quanto sta già in corso d'opera: vedi la linea di
(apparente) rigidità di Bondi verso i Riva, vedi l'interesse degli indiani,
Acelor Mittal, per lo stabilimento di Taranto..., vedi la recente politica
governativa che ha portato al 4° decreto che cerca (molto blandamente) di
recuperare soldi dai Riva; come sono in sintonia con la preoccupazioni del
padronato italiano di vedere la produzione dell'acciaio italiana sopraffatta
dalla concorrenza dei capitalisti esteri dell'acciaio.
Si tratta, quindi, di dichiarazioni che
trovano il tempo che trovano; che accompagnano senza "colpo ferire" i
passi del governo e non hanno alcuna possibilità di porre una rottura con la
situazione attuale in Ilva che non vede migliorare in niente la situazione per
i lavoratori in termini di salute, sicurezza, lavoro, salario e prospettive e
per gli effetti mortiferi della popolazione.
Così come sono "parole al
vento" le dichiarazioni dell'"inutile" segretario di Taranto,
Stefanelli, che si è soffermato sul tema della sostenibilità: "... la
città non può più affidarsi alle multinazionali, bisogna far crescere una
consapevolezza, una cultura industriale che le imprese locali non hanno. «La
sostenibilità è una sfida. Vuol dire cambiare cultura. Vuol dire cambiare
modello di investimenti. Per questo serve una politica industriale del
governo... Taranto ha bisogno di riconsiderare un' idea di lavoro industriale
che assuma la sostenibilità e la riconversione come questioni di fondo...
Taranto ha le premesse per una riconversione ecologica e rinnovabile. Far
crescere l' imprenditoria locale sull'ecosostenibile è una delle nostre
priorità".
Sembra che Landini e Stefanelli si siano
divisi i compiti: Landini, anche interpretando i timori del capitalismo italiano,
parla per conto e a nuovi proprietari dell'Ilva che comunque, siano italiani,
siano indiani, siano cinesi considerano da capitalisti la salute e la sicurezza
un accidente secondario e "fastidioso"; Stefanelli parla per conto e
a l'imprenditoria locale a cui chiede la "ecosostenibilità" - che per
le imprese o è "sostenibile" con i loro profitti o anche le
"produzioni ecologiche" diventano distruzione di ambiente e
condizioni di lavoro a livello schiavistico (vedi il settore fotovoltaico
proprio in Puglia e le condizioni degli operai immigrati che vi lavorano)
Quindi, anche se una parte
dell'intervento di Landini è stato dedicato ad una "riflessione
autocritica" rispetto agli esiti della fiom nelle elezioni delle Rsu
all'Ilva, da questa non poteva uscire nessun reale bilancio autocritico, ma
alla fine solo frasi scontate e generiche che nulla dicono e nulla cambiano:
"la Fiom non è stata capace nel rapporto con la città e i lavoratori di
far comprendere le scelte che ha fatto, anche quelle che l'avevano portata a
distinguersi dagli altri, a non vedere nella magistratura una
controparte". Tacendo volutamente su quello che la Fiom in fabbrica per
tanti anni e anche recentemente non ha fatto, e sul fatto che mai la sua
"distinzione dagli altri" si è caratterizzata da una distinzione
sugli accordi infami con l'azienda, sul silenzio sulle condizioni di
insicurezza in cui si lavorava (e si lavora), su una distinzione di pratiche
concrete, di azione degli stessi Rsu, Rls. Solo una flebile voce di due
delegati Francesco Brigati e Claudio Lucaselli ha almeno indicato un fatto:
"una delle sconfitte della Fiom è rappresentata in una data: il 30 marzo
2012, mentre i periti accertavano il nesso di casualità tra inquinamento e
morti, noi non abbiamo avuto la capacità di fermare otto mila lavoratori. Una
manifestazione pagata dall'azienda e caratterizzata dalla mancanza di
coscienza". Ma troppo poco, evidentemente.
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