domenica 23 marzo 2014

22 marzo: "L'occasione storica del sindacato di classe" - Intervista a Leonardi (USB)...

In mezzo a tante organizzazioni di sinistra in crisi di identità e militanza, ce ne sono alcune che stanno affrontando una crisi del tutto opposta: di crescita. Le contraddizioni interne alla Cgil, esplose con la firma "clandestina" del "testo unico sulla rappresentanza sindacale", che contiene alcune "regole" chiaramente incostituzionali, ha accelerato la fuoriuscita di numerosi delegati e iscritti, persino di qualche dirigente di lungo corso, in direzione dell'Usb.

Il congresso della Cgil, che si concluderà a maggio a Rimini, va peraltro confermando che la segreteria confederale - Susanna Camusso in testa - non intende riconoscere alcuna "opposizione internea". Anzi, neppure i distinguo rappresentati da alcuni emendamenti formulati da Landini e Rinaldini. Probabile, insomma, che il "dopo congresso" allarghi il flusso delle uscite dal sindacato di Corso Italia.

 Ma dai territori arriva la conferma che il processo è anche più complesso, visto cge i "passaggi di campo" si vanno verificando anche in organizzazioni diverse da quella padroneggiata da Camusso & co.

Nell'insieme, dunque, si può parlare di "occasione storica" perché il sindacalismo di base possa finalmente evolvere a "sindacato generale", di classe, rappresentativo di larghi strati del mondo del lavoro (e non solo); insomma, ad alternativa credibile rispetto alla "triplice".

L'intervista a Paolo Leonardi tocca tutti questi temi e getta un po' di luce sul prossimo futuro.

*****

Quanto è cambiato l'orizzonte sindacale dopo l'accordo del 10 gennaio?
Sappiamo che ci sono sofferenze nella Cgil; ci sono anche forse dentro
qualche altro sindacato. Dal vostro punto di osservazione, come arrivano
queste preoccupazioni, tensioni, divisioni... se ci sono?

Io credo che il 10 gennaio abbia squarciato il velo della effettiva
situazione del sindacalismo italiano. C'è una esigenza di tutto il sindacato
"complice", come lo definì Sacconi, di accreditarsi definitivamente per la
funzione che svolge: contenimento delle lotte. E quindi di ottenere in
cambio dei vantaggi. È quello che emerge, apertamente, anche dall'indagine
dei servizi segreti, che attribuisce al sindacato confederale e agli
ammortizzatori sociali una "funzione fondamentale di contenimento del
conflitto".

L'accordo del 10 gennaio, ha come obbiettivo quello di provare a scrivere la
parola fine sul conflitto affermando che possono esistere solo le
organizzazioni confederali e Confindustria, che sono i due pilastri della
"nuova concertazione", attorno alla quale tutto quanto va dimensionato.
Chiunque non stia dentro quella dimensione, chiunque pensi di poter
continuare ad avere una funzione autonoma, di conflitto, di organizzazione
dei lavoratori, non avrà più quegli spazi di democrazia che fino ad oggi in
Italia - non per gentile concessione, ma perché ce li siamo conquistati -
hanno consentito anche di costruire anche alcuni strumenti antagonisti,
alternativi a quelli di Cgil-Cisl-Uil.

Credo che il passaggio del 10 gennaio sia un passaggio importante, che
liquida o prova a liquidare la conflittualità; ma determina anche un
confronto molto più aspro che in passato persino all'interno delle singole
organizzazioni sindacali "complici". Tutto ciò che è opposizione, non solo
esterna alle organizzazioni Cgil-Cisl-Uil, ma anche all'interno - in
particolar modo della Cgil - diventa un "nemico da espellere". La percezione
che emerge anche dal dibattito apertosi dopo la firma del 10 gennaio è che
non ci sia nessuna intenzione di "fare prigionieri"; che la Camusso, in
particolar modo, per dare credibilità alla firma che ha messo, debba
dimostrare di essere in grado anche di smantellare l'opposizione interna.

C'è un elemento di complicazione nel fatto che Renzi ha sostituito Letta?
Perché la domanda è questa: lui è partito dicendo "non mi interessa parlare
con le parti sociali, mi interessano le famiglie". Salta direttamente i
"corpi intermedi" della rappresentanza, quelli che tenevano insieme società
e mondo politico.

Mi sembra evidente che ci sia un combinato disposto: da una parte c'è il
sindacato "complice" e le organizzazioni padronali più importanti, che
determinano insieme una nuova modalità di riconoscimento reciproco ed
esclusivo della "rappresentanza"; dall'altra la fine della concertazione, ma
da destra. L'avevamo compreso e detto, ma ora viene certificata dall'atteggiamento
di Renzi. C'è anche una buona dose di ingratitudine - da parte del governo -
nei confronti del lavoro svolto da quei "corpi sociali intermedi",
fondamentale dagli anni '70 ad oggi, per accompagnare l'affermazione piena
del capitale. Il quale ritiene ora di poter fare a meno dei corpi intermedi,
e di poter quindi affondare il coltello dentro il "blocco sociale" delle
organizzazioni sindacali. Renzi oggi prende atto che si è conclusa con
successo questa operazione. Va avanti, non sembra intenzionato a fare
concessioni. O almeno così mi sembra, a parte le chiacchiere...

Renzi avrebbe tutto questo potere?

Renzi o chi per lui. Non mi sembra che finora abbia fatto cose
particolarmente efferate nei loro confronti, però ha dichiarato la fine del
modello... Di fatto prelude a un attacco fondamentale alla rendita di
posizione delle organizzazioni sindacali "complici".

Dichiara insomma la fine del loro "ruolo politico"?

Anche la ventilata chiusura del Cnel, e quindi la protesta contro la
chiusura della "camera di compensazione fra le parti sociali", è una presa d'atto
della fine di una funzione. Il Cnel era nato in una fase in cui il conflitto
tra il blocco sociale del mondo del lavoro e quello dei padroni era un
conflitto serio, vero, centrale nelle relazioni sociali e politiche. Quel
conflitto non c'è più perché attraverso la concertazione, la complicità,
ecc, ne sono stati superati i presupposti. Il conflitto oggi viene
esercitato da chi sta fuori da quei luoghi; quindi diventa inutile avere una
"camera di compensazione" per attori di un conflitto che non è più agito dai
sindacati tradizionali o che non controllano più. Mi sembra insomma che
Renzi prenda atto di una situazione sul campo. Non è lui che porta in
profondità l'attacco; l'attacco c'è già stato, è stato condiviso, è stato
concertato, e oggi se ne prende atto. Fine.

Questo pone proprio un problema di ruolo anche per quel tipo di sindacato,
no? Perché se gli levi il "ruolo politico" resta ben poco da esercitare, se
non il ruolo di "patronato", la consulenza su pensioni, fiscalità e cose del
genere. Dal punto di vista della massa degli organizzati e anche dei
delegati, quali segnali state ricevendo?

La vicenda del 10 gennaio affonda nel terreno della democrazia, che dentro
le organizzazioni sindacali e fra i lavoratori è un terreno abbastanza
sentito. Forse non tanto fra i lavoratori genericamente intesi, quanto tra i
delegati, fra chi sviluppa una relazione anche contraddittoria con le
controparti; e quindi l'avere o no tutele, l'avere o no possibilità di
agire, il poter essere o no sottoposto a "sanzioni" nel caso in cui si vada
"oltre il consentito", sta diventando un problema. Credo che il 10 gennaio,
da solo, probabilmente non avrebbe prodotto grandi reazioni. Le ha prodotte
soprattutto nell'ambito della fase congressuale della Cgil. Mentre questo è
ancora in corso, l'accordo del 10 gennaio ha riaperto la discussione
interna; soprattutto in quel settore che aveva tranquillamente accettato
l'accordo precedente, quello del 31 maggio, che era praticamente identico,
se si escludono le sanzioni e la parte regolamentare.

Per la Fiom c'è stata anche la perdita dell'autonomia contrattuale come
categoria...

Sì, certo. Ma di fatto c'era già molto, in questo senso, nell'accordo del 31
maggio, che però era stato digerito con abbastanza nonchalance dalla Fiom.
Ora si è riaperta questa ferita e si è aperta una discussione interna al
congresso. Questo sta producendo una politicizzazione dello scontro interno
alla Cgil del tutto imprevista; nella prima fase della discussione
congressuale non c'era stata. E questo sta ora producendo anche una uscita
allo scoperto di un settore più consapevole, soprattutto sul piano
 "politico", che esce dalla Cgil non tanto e non solo perché c'è stata una
"resa dei conti" tra settori diversi (qualcuno che ha perso il posto da
funzionario, ecc), ma perché ha capito che nella nuova condizione non era
più possibile rimanere. E questo nonostante ancora sia ancora in campo l'ipotesi
del secondo documento di Cremaschi ed anche un'opposizione interna alla
maggioranza rappresentata dalla Fiom di Landini.

Alcuni dei quali, in altre categorie, vengono buttati fuori lo stesso .

Appunto... La cosa che emerge è che la Camusso non arretra. L'ha dimostrato
anche sulla vicenda del referendum. Averlo chiesto, secondo noi, è stata una
stronzata clamorosa. Perché su una contraddizione di quel tipo - che investe
la Costituzione e la natura del sindacato - tu non vai al referendum. La
contesti, la neghi, non l'accetti; punto e basta. Ma non ti esponi al fatto.

...che poi te la devi subire.

Al fatto che poi una maggioranza dice "va bene così" e tu la subisci a
prescindere. Quando una cosa ha quelle caratteristiche antidemocratiche e
anticostituzionali, ecc, non c'è referendum che tenga. Tu devi fare
opposizione e opposizione durissima.

.come a Pomigliano col "modello Marchionne"...

Certo. Non è possibile pensare che sia un "problema interno" a una
particolare organizzazione. E' un problema di tutti i lavoratori, tocca
diritti universali indisponibili a qualsiasi accordo tra organizzazioni.
Però è chiaro questa contraddizione violenta ha posto un problema serio a un
pezzo più cosciente della Cgil. Si sta producendo una fuoriuscita di quadri
e di militanti, di pezzi operai che, crediamo, sia destinato non solo a
mantenersi costante, ma anche a crescere via via che la fase congressuale
procede e - come dire - rende evidente la chiusura definitiva degli spazi di
democrazia anche all'interno di quel sindacato. Noi stiamo raccogliendo
molto, in molte parti d'Italia, in molte categorie, in molti settori.
Arrivano anche dirigenti "di spessore", non solo delegati, compagni, rsu,
quadri ecc. ecc, ma anche dirigenti sindacali. E quando questi dirigenti
sindacali arrivano all'Usb, ci costringono, in qualche misura, a indagare
sulla percezione esterna esistente nei nostri confronti.

Quanto pesa la vicenda dell'Ilva in questo esodo?

L'Ilva ha pesato molto, perché lì abbiamo fatto un investimento importante
anche sul piano politico e delle risorse organizzative. Il tutto dentro un
quadro solidaristico di organizzazione, che si è costruito anche sul piano
della struttura organizzativa e della struttura economica in maniera tale
che fosse possibile indirizzare le risorse là dove questo era necessario.
Tant'è che all'Ilva abbiamo sviluppato una forte capacità di intervento, sia
pure con una difficoltà enorme, perché l'azienda ha certe caratteristiche,
il territorio devastato.

20121110 ta ilva corteo frullo 6 01

Si è sempre parlato, all'Ilva, di "sindacalizzazione clientelare".

Appunto. Insomma, una storia sindacale non cristallina, diciamo così; però
abbiamo ottenuto un risultato che è sotto gli occhi di tutti e ha indicato
la possibilità di un'alternativa. Quello che ci ha colpito, e su cui stiamo
lavorando, è che vediamo convergere su di noi un'attesa che sentiamo molto
grande. E noi sappiamo di essere, a tutt'oggi, un'organizzazione ancora
inadeguata rispetto a una sfida talmente grande. D'altro canto non esiste
un'altra organizzazione oggi adeguata a reggere quel piano. Nonostante
questo - o forse proprio per l'onestà con cui riconosciamo sia le grandi
potenzialità che anche i limiti obiettivi - veniamo vissuti oggi come una
alternativa effettiva. Il sindacalismo di base non è mai stato considerato
dalle altre organizzazioni sindacali come una credibile alternativa, anche
per le caratteristiche con cui si è dato vita al sindacalismo di base: una
sorta di franchising, in cui si costruiva l'autorganizzazione posto di
lavoro per posto di lavoro, non venivano forniti strumenti organizzati, una
visione complessiva e strategica dell'organizzazione... Noi, costruendo
l'Usb, abbiamo cercato di fare una operazione diversa. Abbiamo costruito un
embrione di sindacato di massa, un sindacato di classe. Oggi questa cosa si
sta sviluppando moltissimo e l'intuizione è stata evidentemente giusta se
oggi veniamo letti come organizzazione sindacale in grado di fare la
differenza ed essere credibile sia sul piano della vertenzialità, sia sul
piano della politica, sia sul piano della struttura organizzata. Quindi i
compiti che ci aspettano sono compiti gravosi: dare continuità, dare una
risposta adeguata a una crisi in una fase difficilissima. Questo avviene in
presenza di una tendenza - da parte della "gente comune" - a leggere tutto
nello stesso modo, cioè sul piano della "casta", chiunque si occupi di
politica o di sindacato; il che sicuramente non ci aiuta. C'è una nuova
ventata di "antisindacalismo" molto qualunquista che si fa largo senza
troppi problemi, senza ostacoli, visto il modo in cui Cgil-Cisl-Uil
gestiscono l'agire sindacale. E che rischia di coinvolgere tutti. Noi
abbiamo invece il compito di dimostrare che oggi è possibile operare nel
conflitto, costruire una organizzazione sindacale che riparta dal conflitto,
che riparta dagli interessi della classe, per contrapporli direttamente alle
imprese e ai loro governi. E quindi rompere questa idea che "il sindacato è
tutto da buttare come tutta la casta politica", ecc.

Ci sono insomma tutte le caratteristiche di un'"occasione storica", una
possibilità di saltare da un ruolo minoritario a una funzione generale... Ma
questo pone anche problemi infiniti; di cultura politico-sindacale,
organizzativi, di formazione dei quadri. Come li affrontate?

Abbiamo lavorato molto intensamente, nel corso degli anni, alla costruzione
di una identità di organizzazione e di una lettura condivisa delle fasi
politiche, degli avvenimenti, di come il capitale si riorganizzava e quali
erano i punti di tenuta di una organizzazione conflittuale. Non saremo mai
un'altra Cgil, non saremo la Cgil "più di sinistra"; noi siamo un'altra
cosa. Siamo il portato di una lettura della trasformazione sociale e
produttiva che non alberga più nel ragionamenti delle altre organizzazioni
sindacali. Ci rendiamo conto spesso che c'è una lettura solo
sovrastrutturale, che produce il giorno per giorno - la riduzione del
danno - come unico piano di intervento. Noi abbiamo invece sempre cercato -
e continuiamo a farlo - di mettere i nostri quadri, i nostri compagni,
dentro una dimensione più "strutturale"; devono essere consapevoli che la
loro funzione si svolge dentro un quadro complessivo che va modificandosi.
Ciò significa assumere i dati "strategici" come base di partenza. L'Usb è
una ipotesi di lavoro sicuramente perfettibile, sicuramente migliorabile,
però che oggi dà una chance al conflitto per organizzarsi e crescere. Una
sfida importante, dunque, perché oggi, forse per la prima volta dopo molti
anni, ci sono delle condizioni politiche perché un pezzo del nostro blocco
sociale smetta di vedersi come completamente sconfitto, grazie anche a
Cgil-Cisl-Uil e alle loro scelte. E' chiaro che si tratta di una scommessa
molto complicata, che necessita di revisioni organizzative, definizione di
un piano della militanza (fondamentale in una organizzazione con risorse
limitate, con la necessità e anche la scelta di lavorare sulla militanza e
non sul funzionariato). Ovviamente un minimo di struttura è sempre
indispensabile, perché non esistono "organizzazioni disorganizzate"... però
il rilancio della militanza, il rilancio della passione politica, è il
nostro segno distintivo. La passione si incarna in un soggetto sindacale con
caratteristiche conflittuali alternative; che individua il capitale, la
contraddizione imperialista, l'Europa, ecc, come piani non secondari
rispetto al nostro agire sindacale. Abbiamo accettato questa scommessa e
vediamo se questa cosa convincerà altri oltre noi. Ce lo auguriamo, e in
parte sta già avvenendo .

Che tipo di problemi si creano con la massa di adesioni che arriva ora? Con
soggetti che escono da una situazione diversa per cultura sindacale,
interpretazione politica per pratiche conflittuali?

La vogliamo mettere in positivo. Non vogliamo immaginare che chi viene da
noi lo faccia perché non c'è altro, anche se in parte è vero. Vogliamo
sperare che chi sceglie l'Usb lo faccia dopo aver ragionato se ne condivide
o meno l'ipotesi politica, il lavoro, gli strumenti organizzativi. Per
esempio, a differenza delle altre organizzazioni sindacali - e non ci sembra
un dettaglio da poco - abbiamo scelto di essere una organizzazione
orizzontale. Non abbiamo il segretario generale, ma strutture orizzontali in
cui i compagni lavorano e si misurano proprio per cercare di evitare, per
quanto possibile, quella inevitabile prassi burocratica caratteristica di un'organizzazione.
Ci troviamo molto spesso a discutere con compagni che vengono da altre
esperienze: "ma chi è il segretario?"

Noi, su questo, non torniamo indietro di un millimetro. Pensiamo che sia
possibile, anche se molto faticoso, mantenere la democrazia delle relazioni
dentro l'organizzazione. Episodi come quello di Napoli, nella Filt Cgil, o
altri, in cui un singolo "capo" può avere potere di veto o di scelta
politica, a prescindere dalla collegialità degli strumenti di discussione,
da noi non si possono - e comunque non si debbono - verificare. E' chiaro
che chi arriva da noi - e non solo dalla Cgil, ma interi settori, gruppi di
lavoratori, delegati, ecc, anche da altre organizzazioni sindacali quindi -
ha un approccio costruito in un'altra storia, in altre organizzazioni;
quindi per noi è molto importante fare un confronto politico molto serrato
sull'identità dell'organizzazione Usb, sulla sua storia, su come ha formato
e definito il suo quadro dirigente, la modalità di stare sul territorio. Per
esempio: spesso un elemento difficile da comprendere è "il sindacalismo
della confederlìalità sociale". Noi abbiamo scelto ormai da tempo - e stiamo
ancora sperimentando, non è che abbiamo trovato la soluzione definitiva - di
delineare un sindacato capace anche di uscire fuori dalle aziende; che non
abbandona insomma il terreno classico del lavoro sindacale (la vertenzialità
e la presenza nei luoghi di lavoro), ma che apre e definisce un proprio
terreno di intervento su tutta la scomposizione sociale prodotta dalla
globalizzazione; e quindi precarietà, disoccupazione, i senza casa, i senza
reddito, i migranti. Abbiamo scelto di aprire il sindacato a soggetti che
normalmente non possono incontrarlo; e quindi di fare delle nostre strutture
territoriali dei luoghi della riaggregazione politica e sociale. Questo
spesso trova impreparati i compagni, i delegati e le delegate, i lavoratori
che arrivano da altre esperienze; dove molto spesso ci si limitava ad una
visione legata alla propria condizione materiale diretta .

Una visione aziendalistica.

Sì. Aziendalistica, contrattualistica, tra l'altro in una situazione in cui
la contrattazione non c'è quasi più. Noi pratichiamo anche la
contrattazione, ovviamente; ma non la "concertazione".

19 OTT.2013 ASIA-USB 011

Lavorate sul terreno della precarietà, della disoccupazione, dei problemi
sociali, sulla "confederalità sociale"... Ma che risultati - perlomeno sul
piano della cultura politica - si possono illustrare in questo momento?
Cioè, aver fatto quelle esperienze, cosa ha insegnato?

Siamo ancora, come dire, all'abc... Stiamo sperimentando; con diverse forme
e diversi risultati. Per esempio: nel meridione la nostra confederalità
sociale si articola soprattutto sulla disoccupazione; in Sicilia, in
Calabria e in Campania il nostro lavoro da "confederazione sociale" ha
quelle caratteristiche. A Roma, e in parte del centro e nord Italia, ha
invece avuto come punto di riferimento principale la questione del diritto
all'abitare, ecc. A Torino, Genova, Napoli, in Puglia, è molto legata alle
vicende dei migranti e dei richiedenti asilo. L'idea generale è dar forma e
organizzazione al tessuto sociale disgregato. Questo avviene poi con diverse
forme e con diversi soggetti, a seconda del contesto perché - ovviamente -
la priorità è quella che ti si presenta davanti sul territorio. Stiamo
stringendo rapporti e dotandoci di strumenti organizzativi; si sono aperte
anche collaborazioni con pezzi di movimento che già agiscono sul terreno
sociale, cui proponiamo anche una strumentazione di tipo sindacale che aiuti
ad andare oltre la singola questione. Per esempio tutta una serie di servizi
di cui il sindacato si è dotato e che sono fondamentali nella relazione
sociale. Cioè: non basta la battaglia politica, lo scontro sulla singola
questione. Il lavoratore, il migrante, il senza casa, ha bisogno anche di un'organizzazione
sindacale che gli fornisca strumenti per la propria tutela: dall'ufficio
legale alla struttura di lotta per la casa o per i migranti, per il permesso
di soggiorno, il patronato... Cioè tutte quelle strutture di cui
un'organizzazione sindacale non può fare a meno, e che spesso, soprattutto
negli ambiti - diciamo così - dell'"antagonismo" sono state lette come
"pratiche burocratiche" che scimmiottavano in qualche misura l'agire delle
organizzazioni sindacali "normali". Strutture che oggi sono ricercate da
tutti; anche da pezzi di movimento che ci chiedono di metterle a
disposizione per fare della tutela di lavoratori, di chi non ha lavoro, di
precari, disoccupati, ecc, uno strumento completo che - su questo piano -
non lasci nessuno in difficoltà. Quindi mi sembra che sia, in prospettiva,
un dato molto importante, perché mette l'organizzazione sindacale dentro la
realtà complessivamente intesa, quella prodotta dalla crisi, dalla chiusura
dei siti produttivi, che lascia la gente da sola; e a cui proviamo a dare
qualche risposta. Un impianto abbastanza diverso dall'impianto "lavoristico"
classico delle organizzazioni sindacali storiche.

Quanto pesa l'ingresso nella Federazione sindacale mondiale? Ossia il non
essere più soltanto il sindacato di base, nato in una nicchia particolare
del lavoro, ma il confrontarsi, a livello internazionale, con problemi
assolutamente simili, se non uguali?

Abbiamo fatto la scelta di aderire alla Federazione Sindacale Mondiale dopo
averla "annusata" per molti anni. È da molto tempo che stiamo dentro un
circuito di riflessione sul "che fare?" sul piano internazionale. Abbiamo
intessuto relazioni internazionali ormai da molto tempo, ci siamo convinti
della possibilità di avere non solo una relazione con l'Fsm , ma di giocare
anche un ruolo al suo interno, dopo il XVI congresso di Atene; quello in cui
quella storia - che è una storia importante, di grande presenza del
sindacato internazionalista e di classe, a livello mondiale - si è proposto
una "rifondazione" del proprio essere, dello stare tra i lavoratori,
dell'essere un punto di riferimento che, con modalità nuove, che consentono
di intravedere un percorso solidale, un percorso internazionalista, anche
nell'Europa sviluppata e non più solo nel "terzo mondo"; insomma, non solo
in Africa, America Latina, Asia, dove pure è già fortissimo. Credo che
questo abbia avuto un effetto anche nella scelta di molti delegati della
Cgil; una spinta ad entrare in relazione tra noi. Quella della Federazione
Sindacale Mondiale è una storia di classe, che coinvolge oggi 86 milioni di
lavoratori organizzati in 135 paesi, senza alcun riconoscimento da parte
delle organizzazioni internazionali, anche se formalmente esistono dei
rappresentanti all' ILO, all'Unesco, alla Fao (qui la rappresentante dell'FSM
è una nostra dirigente); ma nelle relazioni internazionali istituzionali la
fanno da padrone ancora i sindacati concertativi, che fanno di tutto per
escludere la Federazione Sindacale Mondiale da ogni consesso. Eppure c'è una
crescita molto importante, uno scambio continuo di relazioni, su quanto
accade a livello internazionale. C'è un forte movimento solidaristico che
interviene laddove il movimento dei lavoratori viene messo sotto attacco o
comunque gli viene impedito di lavorare. A noi sembra un fatto
importantissimo che un sindacato non guardi solo alla propria struttura, al
proprio paese, la propria condizione, ma abbia un orizzonte - non solo
continentale - addirittura di livello mondiale. È decisivo per capire alcune
delle dinamiche che il capitale mette in campo e quale sia la necessità vera
della risposta da dare, e come si articola a livello internazionale. Siamo
molto soddisfatti di questa scelta. Sappiamo che anche in Europa, in
particolar modo nell'Europa occidentale, ci attende un compito importante,
di ricostruzione della partecipazione all'Fsm anche di altri organismi
sindacali conflittuali. Sappiamo che non esistono organizzazioni simili alle
nostre, nel resto d'Europa; altrove il sindacato "ufficiale" assorbe anche
le correnti antagoniste o di minoranza. Però pensiamo che un lavoro su
questo fronte sia indispensabile anche in Europa occidentale, per costruire
strumenti di attacco alla Ces e all'Unione Europea.

20110406 wftu atene congresso panorama





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