martedì 8 luglio 2014

8 luglio: Eni vorrebbe chiudere lo stabilimento gelese: blocchi permanenti e picchetti degli operai

Da domenica mattina gli operai della raffineria Eni a Gela, bloccano gli ingressi dello stabilimento. Il progetto della multinazionale non lascia dubbio su quella che potrebbe essere una quasi totale dismissione della raffineria a scapito di milletrecento posti di lavoro.

Da tre giorni sia gli operai della raffineria, sia quelli dell'indotto bloccano gli ingressi dello stabilimento Eni garantendo solo un regime lavorativo minimo per ragioni di sicurezza e manutenzione. Da mesi lo stabilimento di lavorazione del petrolio è fermo a seguito di un incidente risalente al quindici marzo. Adesso la notizia che l'investimento di ristrutturazione e rilancio industriale da circa settecento milioni di euro verrà disatteso, fa pensare che l'Eni non aspettasse altro che il pretesto, nel caso, un incidente seguito da una necessaria ristrutturazione degli impianti, per "riqualificarsi" sul mercato energetico in tipico stile capitalistico dei nostri tempi: dismissione dai nostri territori degli stabilimenti di lavorazione (ma non di estrazione!) del petrolio greggio in cerca di habitat a più basso costo di manodopera; il tutto senza nemmeno prendere in considerazione i circa mille operai tra diretto e indotto fermi da mesi (sono attivi solo i lavori estrattivi), e di cui non tutti hanno potuto e/o possono usufruire della copertura cassintegrativa. La promessa dell’ Eni offriva ben altri presupposti agli operai, ovvero un investimento cospicuo in grado di far ripartire l’azienda già da ottobre; al momento invece, quello che vuol fare l’Eni è chiudere l’ intera baracca!
Non vogliamo certo qui porre l’ imprescindibilità economica di un ecomostro come il petrolchimico di Gela, emblema della devastazione e della rapacità con le quali si da il capitalismo dalle nostre parti. Ovviamente no, ma si devono pur fare i conti con i bisogni reali di chi i territori li vive, i bisogni di milletrecento operai e delle loro famiglie, che chi più chi meno da svariati decenni percepiscono un reddito stabile pur nell’assoggettamento cittadino e nella devastazione ambientale e territoriale del petrolchimico. Da tre giorni quindi, presidi permanenti nell’ordine delle centinaia bloccano tutti gli accessi alla raffineria e agli impianti di raccolta, impedendo di fatto anche i lavori di estrazione (gli accessi ai depositi del greggio estratto sono presidiati). Estrazione di gas e petroli a largo del mare gelese che l’Eni non ha affatto intenzione di abbandonare, nuove trivellazioni sarebbero infatti in programma nel piano investimenti della multinazionale. Ciò ci dice quanto fastidio e quanti problemi di profitti creino all’ Eni i blocchi dei lavoratori in questi giorni.
Sulla questione non poteva certo mancare l’intervento del governatore Crocetta, oltretutto ex sindaco della città, che minaccia i dirigenti dell’Eni di non rinnovare i contratti e le concessioni estrattive se la raffineria chiuderà i battenti. Solo una cosa riteniamo veritiera nelle parole di Crocetta, che l’Eni dopo cinquant’ anni di devastazione ambientale e umana (a Gela si riscontrano percentuali di malattie tumorali tra le più alte d’ Europa), non può certo chiudere tutto e pure in pochi mesi, lasciando senza lavoro più di mille famiglie. Almeno questo il senso delle parole. Per il resto non scordiamo certo il voltagabbana del governatore con le promesse di fermare gli americani nella costruzione del Muos, e pochi mesi dopo nelle dichiarazioni che stigmatizzavano (con la solita, nauseante retorica sulla mafia che direziona i movimenti…) la determinazione del movimento. E di certo non abbiamo mai sottovalutato la posizione contrattuale di enorme debolezza delle amministrazioni locali, come la Regione, di fronte a questioni militari, vedi il Muos, o difronte a colossi del petrolio come l’ Eni. A  poter mettere in discussione le scelte della multinazionale, di cui si capirà molto nell’incontro di stasera tra Eni e sindacati a Roma, sono sempre e comunque i lavoratori e la loro lotta, che al momento, con il blocco totale, mettono seriamente in discussione i piani dell’ azienda, intenzionata a trivellare i nostri mari, portando però altrove le fabbriche. Non avevano fatto i conti con quasi milletrecento operai, al momento piuttosto decisi a difendere i loro redditi.
Seguiranno aggiornamenti.



Barricate al petrolchimico di Gela: gli operai diretti e dell’indotto presidiano dall’alba le vie d’accesso alla fabbrica contro “l’annunciato ridimensionamento produttivo dello stabilimento”. Sabato scorso c’era già stato un sit-in di protesta. Gli operai si oppongono al ventilato disimpegno dell’Eni, le cui scelte, con il congelamento degli investimenti pari a 700 milioni di euro, fermano di fatto il processo di riqualificazione e di rilancio e mirano a ridurre la raffineria a un deposito costiero di idrocarburi. Il transito di persone e merci è bloccato. Consentito il passaggio solo al personale turnista addetto agli impianti, fermi dal 15 marzo, dopo l’incendio divampato nell’area dell’isola 7 nord, però mantenuti a caldo per motivi di sicurezza. La direzione aziendale ha comunicato alle organizzazioni sindacali che al momento non intende riavviarli perché il mercato dei carburanti è già saturo da sovrapproduzione. Il petrolio dei giacimenti di Gela viene trasferito in altri stabilimenti e gli operai in lotta hanno deciso di presidiare anche il centro oli di raccolta del greggio in contrada Piana del Signore nonché la vicina stazione di confezionamento del gas. Acanto agli operai in lotta il solito stuolo di vigliacchi. I sindacati alzano la voce per non perdere il controllo della piazza, come è accaduto alla Fiat di termini Imerese: invocano il blocco degli straordinari e chiamano la protesta a oltranza “per spingere i vertici Eni a tornare sui propri passi e confermare l’investimento da 700 milioni di euro e gli impegni assunti con il protocollo del 2013 sul futuro della raffineria di Gela”, come afferma il segretario provinciale dell’Ugl Chimici Caltanissetta, Andrea Alario. “Non è ammissibile – aggiunge il sindacalista – lasciare senza certezze centinaia di lavoratori, diretti e dell’indotto, imponendo un piano drastico di tagli e riconversioni che rappresenta senza ombra di dubbio un colpo mortale per l’economia già dissestata del nostro territorio”. Non è ammissibile? Alario fa finta di cadere dal pero, i padroni non chiedono né a lui né ad altri il permesso di chiudere. Solo la lotta convinta e organizzata degli operai li può costringere a desistere. Il sindaco di Gela, Angelo Fasulo, ha chiesto al prefetto di convocare un tavolo di confronto urgente tra le parti. Il solito tavolo inconcludente che fa perdere tempo e smorza la tensione! Il parroco della chiesa di Santa Lucia, don Luigi Petralia, assistente spirituale del presidente della Regione Sicilia, Rosario Crocetta, ha lanciato un appello allo stesso governatore tramite una lettera aperta in cui chiede di “bloccare questa follia della deindustrializzazione, che sarebbe il colpo di grazia non solo per Gela, ma per tutto il Meridione”. Ahimè, un appello al sinistro servo sciocco dei padroni!
tratto da uno scritto Redazione Canicatti Web Notizie

Nessun commento:

Posta un commento