sabato 19 dicembre 2015

19 dicembre - Come si lavora, il cuoio, nella Toscana di Renzi: Lavoro Nero; Precarietà; e niente rispetto per Salute e Sicurezza



Distretto toscano del cuoio, il lato oscuro: “Dipendenti in nero, precarietà raddoppiata e rischi per la salute”
Il rapporto realizzato dal Centro nuovo modello di sviluppo e dalla campagna Abiti puliti rivela che "sono violati i diritti dei lavoratori". Nel corso delle ispezioni sono state riscontrate irregolarità per il 21% degli addetti. Il 19% delle malattie professionali sono tumori
di Stefano De Agostini | 16 dicembre 2015 


Un lavoro sempre più precario, spesso in nero, rischioso per la salute. E’ quello che svolgono gli addetti del distretto industriale di Santa Croce sull’Arno, tra le province di Pisa e Firenze, ribattezzato la “Repubblica del cuoio”. A scattare la fotografia è il rapporto “Una dura storia di cuoio“, realizzato dal Centro nuovo modello di sviluppo e dalla campagna Abiti puliti.
La ricerca fa luce sulle condizioni di lavoro in una zona che rappresenta uno dei fiori all’occhiello del nostro Paese: con 240 concerie, oltre 500 laboratori terzisti e 12.700 addetti, il distretto contribuisce al 70% di tutto il cuoio per suole prodotto in Europa e al 98% di quello italiano. E bisogna tener presente che la Penisola genera il 17% del valore della produzione mondiale di pelli finite, pari a 5,25 miliardi di euro. Nel dettaglio, il distretto di Santa Croce comprende i comuni di Bientina, Castelfranco di Sotto, Montopoli Valdarno, Santa Croce sull’Arno, Santa Maria a Monte, San Miniato e Fucecchio. Qui la maggior parte delle aziende è di piccole dimensioni, con una media 11 lavoratori per impresa. Ma il rapporto sottolinea il dato sulla diffusione della precarietà, soprattutto negli ultimi anni. “Nel 2012 – spiega la ricerca – i lavoratori interinali presenti nel distretto di Santa Croce erano 1.733. Nel 2014 li troviamo a 3.451, il doppio esatto. Segno che nel distretto il lavoro è cresciuto, ma in forma sempre più precaria”. Nel 2014, prosegue il documento, tre posti su quattro sono stati trovati tramite agenzia interinale. La ricerca evidenzia anche il dato sulla frammentazione del lavoro. “Nel 2014 – precisa il testo – i lavoratori interinali sono stati 3.451, ma i contratti stipulati sono stati 5.021: uno e mezzo a testa. Il che indica che molti dipendenti lavorano a singhiozzo per periodi che possono essere anche molto brevi”. Tania Benvenuti, sindacalista Cgil, riporta un caso limite: un lavoratore con un contratto di quattro ore, assunto alle otto di mattina e licenziato a mezzogiorno. Al di là della precarietà, il problema è anche l’occupazione irregolare. “Nel distretto – spiegano gli autori del documento – continua a persistere il ricorso al lavoro nero che è la forma più grave di violazione dei diritti dei lavoratori perché li priva dell’assicurazione contro gli infortuni e dei versamenti ai fini pensionistici”. Nel corso delle ispezioni dal 2011 al 2014, nelle aziende esaminate, gli ispettori del lavoro hanno riscontrato irregolarità relative al 21% degli addetti, uno su cinque. Di questi oltre la metà, pari a 116 persone, erano totalmente in nero. E i numeri reali potrebbero essere ancora più alti: “Sulla rispondenza fra irregolarità appurate dalle autorità e quelle realmente esistenti nel distretto, esistono molti dubbi perché la capacità ispettiva dell’autorità competente è assolutamente sottodimensionata rispetto alla vastità del territorio”. Un altro capitolo è dedicato alla questione salute. “Nelle concerie c’è il problema delle malattie professionali – afferma il rapporto – Di quei disturbi, cioè, che si instaurano nel tempo, per contatto con sostanze pericolose, per permanenza in ambienti insalubri, per svolgimento di lavori logoranti”. I casi di malattie professionali riconosciuti nel distretto di Santa Croce dal 1997 al 2014 sono stati 493: si trattava soprattutto di disturbi muscolo-scheletrici, ma nel 19% dei casi si parlava di tumori, in particolare alle vie nasali e alla vescica. A questo proposito, la dottoressa Tonina Enza Iaia, responsabile della medicina del lavoro della Asl di Empoli, scrive in un rapporto: “È assai verosimile che tutti i conciatori inclusi nella nostra casistica abbiano avuto, in ragione delle mansioni svolte, ripetute occasioni di inalare polveri di tannini o polveri e fibre di cuoio trattato con tannini che, come è noto, si sono da tempo rivelati cancerogeni in sistemi sperimentali”.


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