mercoledì 9 dicembre 2015

9 dicembre - SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! “LETTERE DAL FRONTE” DEL 09/12/15



INDICE

COMUNICATO FINE SCIOPERO 26/27 NOVEMBRE 2015

Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
MORTI SUI LUOGHI DI LAVORO AL 30 NOVEMBRE 2015

Federico Giusti giustifederico@libero.it
DA PISA NASCE UN PERCORSO DI AGGREGAZIONE E DI CONFLITTO NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Posta Resistenze posta@resistenze.org
I DATI, COME I FATTI, HANNO LA TESTA DURA

Posta Resistenze posta@resistenze.org
VOGLIONO LE NOSTRE VITE, AVRANNO LE NOSTRE LOTTE

Posta Resistenze posta@resistenze.org
CLIMA DI GUERRA

La Città Futura info@lacittafutura.it
COMMISSIONE GRANDI RISCHI: LA CASSAZIONE SENTENZIA MA I PROBLEMI RIMANGONO

Lavoratori autoconvocati assemblealavoratori@libero.it
LA “CARTA” DEGLI STRIKERS

Associazione Medici per l’Ambiente ISDE Italia isde@ats.it
ISDE ITALIA E MEDICINA DEMOCRATICA SULLA PRESENZA DI FIBRE DI AMIANTO NELL’ACQUA POTABILE TOSCANA

Felice Di Leo felicedileo@libero.it
VERTENZA NATUZZI: NO AI LICENZIAMENTI

Muglia la Furia fmuglia@tin.it

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From: Maria Nanni mariananni1@gmail.com
To:
Sent: Saturday, November 28, 2015 7:30 PM
Subject: COMUNICATO FINE SCIOPERO 26/27 NOVEMBRE 2015

Alle 18 è terminato lo sciopero dei ferrovieri del Gruppo FSI e di Trenord, alle 21 quello dei ferrovieri Cargo di Trenitalia.
I ferrovieri hanno dato vita, unica categoria in Italia, all’ottavo sciopero nazionale in poco più di un anno e mezzo, per la dignità e la sicurezza del lavoro, per un regime pensionistico equo, contro la precarietà sistematica e la legittimazione dei licenziamenti del Jobs Act, contro la repressione dei diritti e del legittimo dissenso.
Il grande successo dello sciopero, convocato unitariamente da CUB Trasporti e CAT Coordinamento Autorganizzato Trasporti (e successivamente proclamato anche da USB, seppur con una diversa piattaforma di rivendicazione) dimostra come siano falsate le misurazioni della rappresentanza volute da Governo, Confindustria e sindacati concertativi, che consegnano con i rinnovi RSU (in conformità con il nuovo vergognoso Testo Unico sulla Rappresentanza) la rappresentanza ufficiale a organismi ormai inutili e impotenti a fronteggiare le sfide che i lavoratori hanno davanti.
La nuova accelerazione del governo sulla privatizzazione e svendita del comparto ferroviario, le proposte di nuove norme per ridurre ulteriormente il diritto di sciopero, già soggetto in Italia a una delle normative più restrittive del mondo e i prossimi rinnovi contrattuali che ancora una volta i falsi alfieri dei lavoratori stanno concordando con le aziende del comparto sulla testa dei lavoratori, necessitano di continuare la lotta con sempre maggior determinazione e coraggio.
Di fatto le nuove misure concordate di “regolamentazione” degli scioperi a tutela del Giubileo, così come già avvenuto per Expo, dimostrano il disinteresse di Governo e Confederali per le vertenze dei lavoratori.
Proseguiremo nel percorso di lotta per le legittime rivendicazioni e le giuste aspettative dei lavoratori.
Complimenti a tutti i lavoratori che, scioperando, hanno lottato con noi.

27 novembre 2015
CUB Trasporti
CAT Coordinamento Autorganizzato Trasporti

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From: Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
To:
Sent: Tuesday, December 01, 2015 9:40 AM
Subject: MORTI SUI LUOGHI DI LAVORO AL 30 NOVEMBRE 2015

Valutando i dati INAIL relativi ai primi 10 mesi del 2015 (i nostri al 30 novembre) risulta che le morti denunciate per infortuni in occasione di lavoro sono state 729. Sui luoghi di lavoro, senza itinere, con mezzo di trasporto e senza mezzo di trasporto sono state 509, noi ne abbiamo monitorate 589.
Ricordiamo che l’INAIL monitora solo i propri assicurati e che molte denunce al termine dell’iter procedurale non verranno riconosciute come tali da questo Istituto. La differenze sugli infortuni mortali tra i nostri e quelli dell’INAIL è dovuta al fatto che l’INAIL monitora solo i propri assicurati.
A nostra parere, l’aumento consistente da parte dell’INAIL è dovuta al fatto che tante Partite IVA individuali che prima non assicurava e che datori di lavoro hanno ritenuto conveniente trasformare col Jobs Act, a parte del lavoro nero emerso sempre con il Jobs Act (unica nota positiva di questa legge) hanno fatto si che questo istituto registra un aumento.
Ma se come facciamo noi separiamo le morti sui luoghi di lavoro dai lavoratori che muoiono sulle strade e in itinere (compresi camionisti che usano il mezzo di trasporto, ci accorgiamo che al 30 novembre 2015 la situazione è simile sui luoghi di lavoro a quella dell’anno scorso.
Ci sono regioni che hanno avuto aumenti spaventosi come la Toscana, e altre come l’Emilia Romagna che hanno a loro volta avuto cali di quasi il 50%.
Separiamo le varie tipologie d’infortuni mortali. I lavoratori schiacciati dal trattore (20% di tutte le morti sui luoghi di lavoro), fulminati, cadendo da un tetto, ecc. richiedono interventi diversi. Per le morti sulle strade e in itinere che sono oltre il 50% tutti gli anni la collaborazione tra la Polizia Stradale, le Aziende e l’INAIL sarebbe importantissima: gli orari a volte massacranti di chi lavora sulle strade, i turni in orari dove occorrerebbe dormire provocano tanti morti.
Alla fine del 2015 ci sarà probabilmente un piccolo aumento sullo spaventoso 2014, ma non a due cifre, se consideriamo tutti i lavoratori morti sui luoghi di lavoro per infortuni.
Ricordiamo ancora una volta che se si potesse incidere come richiedo da anni sugli agricoltori schiacciati dal trattore la situazione sarebbe molto meno drammatica.
Ma occorre che i responsabili di questo settore, a partire dai vertici cominciassero ad occuparsene veramente.

Carlo Soricelli
Curatore dell’Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro

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From: Federico Giusti giustifederico@libero.it
To:
Sent: Tuesday, December 01, 2015 5:10 PM
Subject: DA PISA NASCE UN PERCORSO DI AGGREGAZIONE E DI CONFLITTO NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

DA PISA NASCE UN PERCORSO DI AGGREGAZIONE E DI CONFLITTO NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
DELEGATI/E, LAVORATORI/TRICI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE IN MOVIMENTO

Sabato 28 Novembre si è tenuta a Pisa una prima riunione aperta ai delegati, alle RSU ed ai lavoratori del sindacalismo di base della Pubblica Amministrazione.
Erano presenti delegati, RSU e lavoratori di numerose realtà che fanno riferimento ai sindacati di base e di classe di ADL, CUB PI, SI Cobas, Cobas PI.
La riunione è l’inizio di un percorso trasversale che si propone di superare la frammentazione del sindacalismo di base e la paralisi in cui versa da tempo.
Abbiamo dato vita a un percorso aperto a tutti i lavoratori, delegati e militanti delle strutture sindacali che si pongono il problema del superamento dei tanti steccati che hanno reso impossibile un agire condiviso.
A scanso di equivoci precisiamo che il nostro intento non è quello di costruire un nuovo soggetto sindacale e neanche un intergruppo di militanti sindacali che si riunisce solo per redigere documenti. Il percorso è aperto a tutti i lavoratori che sentono l’esigenza di attivare percorsi comuni all’insegna della radicalità e dell’unità.
Il nostro obiettivo è lavorare alla costruzione di un percorso unitario consapevoli di come la frammentazione esistente sia un fattore di debolezza per tutti, la causa ostativa al radicamento nei luoghi di lavoro da cui deve partire ogni conflitto. In questi anni il sindacalismo di base ha palesato numerosi limiti e contraddizioni, incapace anche di costruire percorsi comuni, di indire scioperi unitari su rivendicazioni elementari comprensibili e sostenibili non solo dai delegati, ma dagli stessi lavoratori.
La proliferazione di scioperi, spesso tra loro contrapposti, non è stata di aiuto a costruire una alternativa concreta e comprensibile ai lavoratori della Pubblica Amministrazione ai sindacati nostalgici della concertazione.
Vogliamo accompagnare a questo dibattito momenti di azione sindacale comune con l’intento di dare vita ad una opposizione sociale di contrasto ai progetti del governo e del padronato. Proponiamo fin da ora una grande assemblea da tenersi a fine Gennaio 2016 che dopo adeguata preparazione dovrà definire i punti di collaborazione tra gli aderenti a questo appello e a quelli che eventualmente si aggiungeranno per costruire assieme indirizzi e iniziative condivise su cui lavorare. E’ opinione comune che nessuna realtà sia di per se adeguata e autosufficiente a fronteggiare un attacco complessivo, manca spesso perfino una lettura condivisa di cosa stia accadendo nella Pubblica Amministrazione (dalla fusione dei comuni allo smantellamento delle province, dal ridimensionamento della sanità pubblica, dal ridimensionamento sul territorio degli uffici ministeriali fino ad arrivare alla sostituzione della contrattazione di secondo livello con una sorta di benefit).
A colpi di Decreti Legislativi, nell’arco di pochi anni, hanno bloccato i salari e presto attaccheranno la stessa contrattazione decentrata. A partire dalla legge Bassanini, fino ad arrivare dalla riforma Madia passando attraverso l’applicazione della Legge Brunetta, con la riduzione a 4 comparti della Pubblica Amministrazione si concluderà quel complessivo disegno che mira a ridimensionare i servizi ai cittadini e il lavoro pubblico.
Il percorso avviato a Pisa intende attraversare le RSU elette nel pubblico impiego e non solo quelle del sindacalismo di base, le realtà sindacali di base e di classe che in esso vi operano, ma soprattutto i lavoratori che nei luoghi di lavoro ridiscutendo le stesse modalità di fare sindacato all’insegna della radicalità e del conflitto, all’insegna di una lettura dei processi reali in atto che sappia tradursi in obiettivi concreti da perseguire a partire da una piattaforma rivendicativa da presentare in tutta la Pubblica Amministrazione.

L’assemblea delle realtà e dei delegati di base riunitisi a Pisa il 28 Novembre

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From: Posta Resistenze posta@resistenze.org
To:
Sent: Thursday, December 03, 2015 1:04 AM
Subject: I DATI, COME I FATTI, HANNO LA TESTA DURA

Marta Fana
Da Il Manifesto
02/12/015

I dati dell’indagine mensile sulle forze di lavoro, pubblicati ieri dall’ISTAT, sono impietosi: a ottobre rispetto a settembre sono stati distrutti 39.000 posti di lavoro, mentre il calo dei lavoratori in cerca di occupazione (-13.000) viene superato da un aumento del numero di inattivi.
Ragione per cui il tasso di disoccupazione diminuisce all’11,5%. Il tasso di occupazione rimane al 56,3%, con un aumento del 1,3% per la componente maschile e una riduzione dello 0,4% di quella femminile rispetto a fine febbraio, cioè all’entrata in vigore del Jobs Act.
Complessivamente, rimane senza alibi l’azione riformatrice del mercato del lavoro, operata dal governo. Da gennaio ad ottobre di quest’anno, il numero di occupati aumenta di 84.000 unità, di cui solo il 1,3% è riferito a contratti cosiddetti permanenti (+2.000), mentre gli occupati a termine continuano la loro corsa con un +178.000. Al contrario, gli occupati indipendenti diminuiscono i questi primi dieci mesi di 97.000 unità. In particolare, nell’ultimo mese ci sono 44.000 lavoratori indipendenti in meno. E’ così che l’incidenza degli occupati dipendenti a tempo “indeterminato” diminuisce sul totale degli occupati (-1% da gennaio), una corsa in discesa che si fa più ripida da marzo, cioè da quando entra in vigore il Jobs Act, con l’innovativo “contratto a tutele crescenti”.
Indipendentemente dalla tipologia contrattuale, la distribuzione dei nuovi occupati per classi di età specchia nitidamente i rischi strutturali che l’assetto del mercato del lavoro italiano porta con sé: un mercato del lavoro sempre più anziano, che non lascia spazio ai giovani, relegandoli a un futuro di instabilità e precarietà. Una dinamica già in atto che gli ultimi governi non hanno voluto né saputo invertire. L’unica componente anagrafica per cui tra gennaio e ottobre il numero di occupati aumenta sensibilmente è quella degli over 50, mentre si riduce sensibilmente per la classe tra i 35 e 49 anni. I più giovani sono di fatto ignorati (+11.000 occupati). Sicuramente queste dinamiche nel medio periodo possono essere spiegate, come osserva l’ISTAT, dall’invecchiamento della popolazione.
Tuttavia ciò è vero se si considera un arco temporale pluriennale, come il triennio 2013–2015 preso in esame dall’Istituto di Statistica, mentre non è vero (o comunque irrilevante) nell’analisi di brevissimo periodo, cioè all’interno dello stesso anno, in cui le variazioni demografiche non sono tali da poter determinare, in assenza di shock, le dinamiche occupazionali.
Mentre la realtà parla chiaro, esponenti del governo e del PD, come Filippo Taddei, perseverano in un’operazione comunicativa ingannevole che rasenta l’ignoranza dei fatti quando dichiara: “Il Jobs Act funziona. Il dato ISTAT di ottobre è un tipico segnale di ripresa” perché diminuiscono gli autonomi mentre aumentano i dipendenti. A Taddei sfugge guarda caso che il lavoro dipendente che aumenta è quello a termine, che, negli slogan di governo, sarebbe dovuto diminuire grazie ai contratti stabilmente precari.
In piena sintonia il Ministro del Lavoro Giuliano Poletti che addirittura, commentando i dati ISTAT, afferma che la riduzione degli occupati indipendenti è risultato positivo dell’azione di governo che conduce “alla riduzione delle false partite IVA”. Come il Ministro stabilisca questa relazione non è dato sapere, dal momento che i dati ISTAT non hanno questo dettaglio e neppure i dati del Ministero del Lavoro, che ricordiamo dal 25 agosto non vengono più resi pubblici.
Allo stesso tempo, non è il caso di riesumare la cosiddetta staffetta generazionale, dal momento che, in ogni caso allo stato attuale, i giovani sarebbero impiegati in lavori a bassa produttività, da imprese tradizionalmente restie all’innovazione e all’investimento in ricerca e sviluppo. Lo confermano i dati pubblicati ieri dall’Eurostat: le imprese italiane spendono, nel 2014, solo 190 euro per abitante in ricerca e sviluppo, contro una media europea di 356 euro.
Le stesse imprese che pur beneficiando di sgravi contributivi enormi non hanno creato lavoro, perché le condizioni non erano favorevoli ma forse, soprattutto, perché è mancata la volontà per crearle, preferendo i servizi a basso valore aggiunto, l’esplosione dei voucher e la riduzione delle retribuzioni dei neo assunti, soprattutto quelli a tempo indeterminato (-1,4%), come ci ricorda l’INPS. Nel 2015, la situazione non è affatto mutata, infatti, sul totale dei settori istituzionali, il contributo alla crescita del PIL derivante dagli investimenti fissi lordi è nullo negli ultimi quattro trimestri e negativo nel terzo trimestre 2015.
Il calo delle esportazioni (-0,4%) fa da traino nel limitare la crescita del Prodotto Interno Lordo, mentre la domanda interna, per consumi o investimenti, non decolla. Non potrebbe essere diversamente per un’economia che ha scelto di avallare l’idea di una crescita fondata sulle esportazioni, la cui competitività dovrebbe dipendere esclusivamente dalla svalutazione del lavoro.
Non deve allora stupire il deterioramento delle condizioni di vita della maggioranza dei cittadini, lavoratori e non. Quel che desta enorme stupore invece è l’assenza di una reale opposizione politica e sindacale, fondata su un’analisi consapevole, non velleitaria e corporativistica dei processi in atto e delle soluzioni programmatiche da offrire al paese.

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From: Posta Resistenze posta@resistenze.org
To:
Sent: Thursday, December 03, 2015 1:04 AM
Subject: VOGLIONO LE NOSTRE VITE, AVRANNO LE NOSTRE LOTTE

Da USB
30/11/15

Ogni giorno esponenti del Governo Renzi fanno a gara per riuscire simpatici ai padroni. Lo fanno inanellando, giorno dopo giorno, sortite che sembrano boutade, cose dette tanto per dire, ma che invece fanno da apripista a interventi governativi sempre pesanti e sempre contro il mondo del lavoro.
Le ultime due riguardano il Ministro del Lavoro Poletti, esponente di punta del mondo cooperativo cresciuto all’ombra delle due torri dove la sinistra ha inventato il mostruoso laboratorio che ha poi prodotto il PD attualmente incarnato da Renzi.
La prima riguarda l’inutilità di laurearsi a 28 anni perché così facendo si ritarda l’ingresso nel mondo del lavoro che invece attende i giovani a braccia aperte per offrirgli, grazie all’alternanza scuola lavoro, paradisiaci impieghi para schiavistici, sottopagati e ricattabili.
La seconda, forse più grave per la possibile immediatezza di applicazione, è quella riguardo l’orario di lavoro. Il Ministro del lavoro (sic!) ha sostenuto e continua a sostenere, quindi non si tratta di una svista, che bisogna svincolare la prestazione lavorativa dalle pastoie di una regolamentazione per via di legge e contrattuale del tempo di lavoro necessario affinché il prestatore d’opera possa poi percepire il salario dovuto. Ovviamente questa stronzata viene ammantata di modernità. Le innovazioni tecnologiche, la flessibilità intelligente, la possibilità di gestirsi in proprio i tempi di vita e i tempi di lavoro sono le principali amenità su cui si dilettano in questi giorni lor signori. Forse approfittano del fatto che le organizzazioni sindacali complici non hanno mai davvero sostenuto la parola d’ordine della riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario e la giusta rivendicazione per lavorare meno, lavorare tutti.
Forse approfittano della debolezza del movimento dei lavoratori, mai come oggi solo e disarmato di fronte alla aggressività del capitale e della lotta di classe dei padroni.
Forse sarebbe il caso che ci riappropriassimo, facendole vivere ogni giorno nei luoghi di lavoro, nelle trattative, nelle piattaforme per il rinnovo dei contratti, di queste semplici e logiche parole d’ordine che rappresentano da sempre un pezzo della storia del movimento di lavoratori.
Se non ci fosse stata la lotta, dura e lunga, per la giornata di otto di ore di lavoro, il diritto al riposo, alle ferie oggi saremmo ancora più schiavi di quello che siamo. La nostra condizione dipende da noi, l’avversario di classe fa i suoi interessi, a noi spetta difendere i nostri e lottare per nuove conquiste.
Pensare che non sia il tempo delle rivendicazioni, che vista la situazione bisogna badare a tenersi quel che si ha, che non ci sono spazi per nuove conquiste, che non si possono avanzare le richieste economiche necessarie, dà oggettivamente una mano ai padroni e al governo, di cui davvero non hanno bisogno.

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From: Posta Resistenze posta@resistenze.org
To:
Sent: Thursday, December 03, 2015 1:04 AM
Subject: CLIMA DI GUERRA

Silvia Ribeiro
Da Rebelion
30/11/15

Dal 30 novembre all’11 dicembre, a Parigi, si riunisce la 21a Conferenza delle Parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite (COP21) sui cambiamenti climatici (UNFCCC), da cui scaturirà un nuovo accordo globale per contrastare appunto i cambiamenti climatici.
Questo non è ciò che accadrà nella realtà. Al contrario, si consoliderà un sistema volontario e deciso a livello nazionale nel quale gli impegni che i paesi dicono di assumere, garantiranno che il riscaldamento globale raggiungerà livelli drammatici dal 2050 in poi, probabilmente raddoppiando nel 2100 la soglia massima dei 2°C che, già alta, è l’incremento massimo tollerabile accettato dall’ONU.
Gli attentati dinamitardi con centinaia di morti e feriti del 13 novembre a Parigi hanno brutalmente cambiato lo scenario esterno, ma all’interno di COP21 tutto resta immutato. Il governo francese con la scusa del contesto grave e negativo creatosi, ha annullato molte marce e proteste pubbliche inerenti i negoziati sul clima, adducendo motivi di sicurezza per COP21. Ma non ha cancellato eventi sportivi, mercatini di Natale e altri eventi pubblici. Sarebbe assurdo pensare che gli attacchi mirassero a impedire le proteste (alle quali erano attese decine di migliaia di persone, alcune molto ordinate, altre più vivaci) ma sono stati utilizzati per metterle fuori legge.
Con un taglio netto delle libertà civili contro la gente comune in Francia, il Governo di quel paese, insieme con gli Stati Uniti, bombarda selvaggiamente rendendo ancora più grave la guerra in Siria, con molte vittime civili, censite o no, presumibilmente per combattere lo Stato islamico (IS).
E’ interessante notare che non vengono attaccati gli impianti petroliferi controllati dall’IS in Siria, cosa che invece strangolerebbe una fonte importante del loro sostentamento. Allo stesso tempo, la Turchia, tradizionale alleato degli Stati Uniti, ha abbattuto in circostanze confuse un aereo russo al confine con la Siria, nonostante la Russia sia un paese che anch’esso combatte la guerra all’IS.
L’abbattimento è accaduto “accidentalmente”, quando la Russia aveva deciso di collaborare con la Francia contro IS, avvicinamento scomodo per gli Stati Uniti e per il loro conflitto geopolitico ed economico con la Russia. E, per molti osservatori, anche perché gli Usa sono all’origine di quello che ora è chiamato Stato Islamico, avendo sostenuto i gruppi armati della regione e creato le condizioni favorevoli alla sua nascita. Un elemento sfuggente, lo Stato Islamico, che entra ed esce dalla scena internazionale in momenti chiave per gli Stati Uniti, come prima è accaduto con Osama Bin Laden.
Tutto converge nell’esacerbare la guerra, che va oltre la Siria e crea un contesto teso e repressivo per i cittadini, che giustifica l’imposizione di un “Patriot Acts” sul modello statunitense. Possono apparire elementi isolati, ma sono collegati non solo in termini repressivi e geopolitici, ma anche rispetto al cambiamento climatico, alle sue cause e al suo impatto.
Collin Kelley e i ricercatori dell’Istituto di Lamont-Doherty della Columbia University hanno pubblicato, nel marzo 2015, il Proceedings of the National Academy of Sciences degli Stati Uniti, un articolo che mostra che il cambiamento climatico globale è stato la causa della forte siccità in Siria nel periodo 2007-2010, i tre anni più secchi dacché vi sono registrazioni, situazione che ha preceduto le rivolte e i conflitti armati iniziati nel 2011. La regione aveva già conosciuto la siccità, ma non così estrema e prolungata. Nel triennio perirono tutte le colture e l’80 per cento del bestiame, vennero esaurite le scorte di semenza e 1,5 milioni di contadini furono costretti a migrare verso le città. Non diciamo che le rivolte siano un risultato diretto del cambiamento climatico, ma un fattore che lo esacerbò gravemente.
Allo stesso tempo, le forze armate e le guerre sono tra i maggiori generatori di gas serra, provocando così il cambiamento climatico. La sanguinosa guerra per il petrolio e il controllo dei territori che lo producono (come la Siria) sono un mostro che si morde la coda. Guerre per il petrolio che causano il cambiamento climatico, petrolio che sostiene le guerre che si aggravano con il caos climatico e richiedono più petrolio.
Nick Buxton, del Transnational Institute, ha chiamato le forze armate un “elefante bianco a Parigi” nel testo negoziale di COP21, la parola “militare” non viene mai menzionata. Tuttavia, il Dipartimento della Difesa USA è il più grande consumatore di petrolio e produttore di gas a effetto serra degli Stati Uniti, a loro volta il principale produttore storico mondiale consumando il 25% dell’energia mondiale.
La produzione di emissioni da parte delle forze armate USA non è nota. Nel 1997, durante i negoziati del protocollo di Kyoto, gli Stati Uniti hanno ottenuto il riserbo sul consumo e le emissioni delle forze armate per una questione di “sicurezza nazionale”, che come tale non può essere limitata né divulgata. Anche mettendo a confronto il consumo di petrolio del solo Dipartimento della Difesa USA con quello totale per paese, sono solo 35 i paesi a superare quel volume.
Le carte in tavola sono chiarissime come non mai, ma COP21 non ne discuterà. Al contrario, le principali cause dei cambiamenti climatici (imprese petrolifere, agroalimentari e altre) saranno seduti tra le delegazioni ufficiali e in nome della sicurezza (nazionale, militare, climatica e alimentare) approveranno il proseguimento del consumo di petrolio e l’emissione di gas che, dicono, sarà “compensato” con i mercati del carbone e delle tecnologie rischiose (nucleare e geo-ingegneristica). Naturalmente, per farlo hanno bisogno di sedare le proteste, spegnendo il fuoco con la benzina.

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From: La Città Futura info@lacittafutura.it
To:
Sent: Friday, December 04, 2015 5:21 AM

Subject: COMMISSIONE GRANDI RISCHI: LA CASSAZIONE SENTENZIA MA I PROBLEMI RIMANGONO

 

Dopo la sentenza della Cassazione che ha definitivamente assolto i membri della Commissione Grandi Rischi, resta il bilancio delle vittime e dei danni sul terreno. E di come la sospensione dei diritti e il potere di deroga giustificati dall’emergenza abbiano fatto di L’Aquila un laboratorio per il capitale che utilizza la ricostruzione, come le precedenti costruzioni, nell’ottica di riduzione a merce della protezione di cose e persone.

Dopo sei anni, arriva la sentenza della Corte di Cassazione riguardante il processo che ha coinvolto sette dei partecipanti alla riunione della Commissione Grandi Rischi, svoltasi a L’Aquila il 31 marzo del 2009, alla vigilia di quel terribile terremoto che il 6 aprile, alle 3.32, si portò via 309 persone, ferendone circa 1.600. Sentenza che conferma quanto stabilito in appello: assoluzione dall’accusa di omicidio colposo plurimo e lesioni per tutti gli imputati, meno uno.
Il verdetto emanato dalla Suprema Corte mette la parola fine ad un processo che ha visto alla sbarra gli scienziati con l’accusa di aver indotto le vittime a cambiare le proprie abitudini diffondendo un messaggio distorto e tranquillizzante. E’ nota l’intervista al vice-capo della Protezione Civile, De Bernardinis, rilasciata prima della riunione “la situazione è favorevole perché c’è un continuo rilascio di energia” e l’intercettazione in cui Guido Bertolaso, il capo, rivela all’Assessore regionale Daniela Stati lo scopo politico di quella riunione: usare gli scienziati per tranquillizzare la popolazione.
Ma note sono anche le problematiche legate all’edilizia, scadente qualità del cemento, violazione delle norme antisismiche, errori di progetto, così come è noto il ruolo che politici e stampa hanno giocato in quei giorni nel dar spazio a opposte semplificazioni (le presunte previsioni del tecnico Giuliani, la positività del graduale rilascio di energia).
Archiviata la vicenda giudiziaria, rimangono aperte le ferite causate dal disastro e le contraddizioni che lo hanno generato: il malaffare come forma necessaria dell’accumulazione capitalistica; la prevenzione come sfera di investimento residuale; il disorganico rapporto tra gli esperti e la popolazione, in particolare quella lavoratrice.
La mancata soluzione di questi tre nodi (non la pericolosità della natura!) è ciò che realmente fa dell’evento un disastro, e fin quando non si provvederà a scioglierli la tragedia è destinata a ripetersi.
Il malaffare non solo nelle costruzioni (la maggior parte delle scuole in Italia non sono a norma), ma anche nelle ricostruzioni. Di queste tratta brillantemente Roberto Galtieri (Il laboratorio Aquila, La Contraddizione n. 145) che descrive e analizza i poteri speciali e derogatori di cui viene dotata la Protezione Civile subito dopo la scossa che sconvolge l’Aquila al fine di “coprire e permettere di tutto, anche la presenza della criminalità organizzata”. Poteri speciali che sono serviti a permettere accumulazione straordinaria di capitale. Non si tratta, infatti, solo di ruberie dovute a maggiorazioni di prezzo sul costo della realizzazione piuttosto che utilizzazione di materiali di qualità e costo inferiore a quanto pattuito (e tutto ciò è avvenuto) quanto piuttosto di aver creato un sistema libero di agire, senza controlli istituzionali di sorta, al fine di aumentare a dismisura, al di là delle “normali opportunità di mercato”, il capitale inizialmente investito producendo accumulazione.
La sospensione dei diritti costituzionali e il potere di deroga hanno impedito la costituzione di un’opposizione di classe che avrebbe potuto orientare differentemente il disegno edilizio e controllare quanto si veniva formando. Come durante il ventennio fascista, la grande industria ha potuto indisturbata riprodurre continuamente accumulazione. Per questo l’Aquila è da considerarsi “laboratorio delle speranze del capitale”.
Arbitrio di cui occorre liberarsi senza annacquarlo nell’illegalità. Il problema di impedire che eventi naturali si trasformino in tragedie, infatti, non si risolve semplicemente (ammesso che sia possibile) impedendo ai rappresentanti del capitale di violare le loro stesse regole. E’ invece indispensabile una massiccia e miglior prevenzione, quindi l’impiego di lavoro, vivo (umano) e morto (macchine), per conservare l’integrità di persone e cose, soprattutto fabbricati e infrastrutture, minimizzando i danni in caso di eventi naturali estremi. Rendere gli oggetti e le persone meno vulnerabili. Il che ne modifica il valore d’uso (e quindi, in regime capitalistico, incrementa valore e prezzo) e incide sui costi di produzione, il cui incremento però rappresenta una sottrazione di ricchezza sociale, sebbene sia una condizione di esistenza della stessa.
L’avvento del capitalismo non muta la prevenzione in quanto costo necessario a preservare cose e persone, bensì il metro con cui si misura e giudica che cosa merita di essere tutelato e fino a che punto. Né cambia l’autonomizzarsi della produzione dall’applicazione, se non per i risparmi derivanti dalla concentrazione del primo momento in capo a enti e industrie specializzati.
Il privato, infatti, investirà nella ricerca e nello sviluppo di conoscenze e tecniche che migliorano la prevenzione unicamente nella misura in cui la vendita della merce-prevenzione gli consente di accumulare profitto e nulla più, senza che ciò aumenti di per sé la ricchezza sociale prodotta. Al più questa potrà meglio conservarsi se le migliori tecniche fossero adottate, il che avviene, però, sulla base della comparazione tra le risorse da investire e il danno da evitare. Se i beni da preservare sono cari, di difficile o costosa riproducibilità o si valorizzano cospicuamente converrà investire o spendere nella loro protezione e salvaguardia più di quanto non si faccia nel caso opposto, indipendentemente dalla pericolosità degli eventi naturali.
Fatta da pubblici poteri, invece, la prevenzione conserva unicamente la sua utilità, che, per quanto alta, non aumenta le risorse sociali di cui lo stato dispone né, soprattutto, modifica gli scopi comuni della classe dominante che l’azione pubblica mira a tutelare e sviluppare e che non consentono di spendere nell’ottica di salvare vite umane prive di valore perché inutili ai fini dello sfruttamento o facilmente rimpiazzabili.
Dunque, la diffusione della “cultura della prevenzione” e il suo consumo da parte di cittadini e imprese è necessariamente limitato dalla sottomissione del valore d’uso al valore di scambio e dalla grandezza di quest’ultimo.
La coscienza di questo stato di cose, qui solo accennato, è ancora largamente assente tra gli scienziati e gli esperti del settore. Ciò si traduce in campagne di sensibilizzazione che molto spesso hanno come obiettivo i cittadini indipendentemente dalla loro funzione sociale e dalla classe sociale di appartenenza, col risultato di allontanare i lavoratori dalle nozioni indispensabili per maturare la necessaria coscienza. Spiegare il grado di probabilità di un fenomeno e il potenziale impatto; esortare l’esecuzione di verifiche, collaudi, migliorie ed esercitazioni; coadiuvare le autorità a predisporre i migliori piani è utile, ma trova concreta applicazione solo nella misura in cui i destinatari sono padroni delle proprie azioni e delle condizioni in cui esse si sviluppano. Minore è la capacità di scelta e di spesa dei cittadini e in particolare dei lavoratori, il potere e la grandezza di mercato delle aziende, minori e peggiori sono le precauzioni che si possono effettivamente adottare e maggiore il dominio degli eventi.
Dunque aumentare le risorse è necessario ma non basta; c’è bisogno di liberarle dal vincolo del profitto, in modo da ovviare agli attuali limiti della divisione internazionale del lavoro e rispondere finalmente in maniera diversa alla domanda: chi paga?
Alessandro Bartoloni

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From: Lavoratori autoconvocati assemblealavoratori@libero.it
To:
Sent: Friday, December 04, 2015 11:03 AM
Subject: LA “CARTA” DEGLI STRIKERS

Siamo gli strikers: siamo le precarie, i migranti, gli operai, gli studenti che il 14 novembre 2014 hanno scioperato insieme, sfidando le divisioni che producono la nostra comune precarietà.
Siamo quelli che lavorano a chiamata in cambio di un voucher, siamo lavoratori realmente subordinati anche se ci chiamano “partite IVA” o “soci lavoratori”, siamo i “tirocinanti”, i “volontari”, gli “stagisti”, gli studenti “dell’alternanza scuola/lavoro” che lavorano senza essere pagati nella speranza di avere un salario domani, siamo lavoratori autonomi di nuova generazione, impoveriti, privi di welfare e vessati da un fisco iniquo.
Abbiamo in tasca un permesso di soggiorno da rinnovare al prezzo dello sfruttamento, siamo i lavoratori dipendenti che nonostante il contratto a tempo indeterminato non hanno più diritti ma solo un salario misero, assenza di welfare e precarietà.
Lo sciopero sociale è la sfida che ci ha uniti contro chi fa profitti sulla nostra precarietà: lo
abbiamo fatto una volta e vogliamo farlo ancora.
Siamo gli strikers: non crediamo a chi ci racconta che la crisi è finita e comincia la ripresa.
Le politiche europee di austerità sono la nostra normalità. In Italia le chiamano Jobs Act, Sblocca Italia, Garanzia giovani, Buona scuola e Buona università, ma per noi significano precarietà. Noi non accettiamo che l’Europa e i suoi Stati ci chiudano le porte in faccia quando non siamo “utili”, chiamandoci turisti del welfare o clandestini. Noi non ci accontentiamo delle briciole e pretendiamo molto di più. Noi sappiamo che per unire le nostre lotte e organizzarci sono necessari strumenti nuovi e all’altezza dei tempi. Noi sappiamo quello che vogliamo: reddito minimo e welfare, salario minimo e un permesso di soggiorno senza condizioni. Non solo in Italia ma in tutta Europa, perché se la precarietà attraversa i confini devono farlo anche le nostre lotte.
Siamo gli strikers, ci definisce lo sciopero, non la precarietà: uno sciopero anche per chi
non può scioperare, per chi deve immaginare nuovi strumenti per organizzarsi.



Leggi la carta completa al link:
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From: Associazione Medici per l’Ambiente ISDE Italia isde@ats.it
To:
Sent: Friday, December 04, 2015 5:16 PM
Subject: ISDE ITALIA E MEDICINA DEMOCRATICA SULLA PRESENZA DI FIBRE DI AMIANTO NELL’ACQUA POTABILE TOSCANA

L’Autorità Idrica Toscana ha emesso nei giorni scorsi un comunicato stampa relativo alla presenza di fibre di amianto nell’acqua potabile.
Oggi è stato pubblicato il comunicato congiunto di ISDE Italia e Medicina Democratica sulla questione.
Cordiali saluti
Roberto Romizi

LA PRESENZA DI FIBRE DI AMIANTO NELL’ACQUA POTABILE IN TOSCANA
Comunicato congiunto
Medicina Democratica e Associazione Medici per l’Ambiente ISDE Italia
Nel Comunicato Stampa relativo alla presenza di fibre di amianto nelle acque potabili del 1° Dicembre 2015 da parte dell’Autorità Idrica Toscana, consultabile al link:
abbiamo letto con sconcerto le seguenti frasi.
“Non esiste dunque alcuna prova seria che l’ingestione di amianto sia pericolosa per la salute, non è stato ritenuto utile, pertanto, stabilire un valore guida fondato su delle considerazioni di natura sanitaria, per la presenza di questa sostanza dell’acqua potabile”.
“Anche se l’amianto è un noto agente cancerogeno per inalazione degli esseri umani, gli studi epidemiologici a disposizione non supportano l’ipotesi che vi sia un aumento del rischio di cancro associato con l’ingestione di amianto in acqua potabile. Inoltre negli studi su animali con somministrazione di amianto nell’alimentazione, non vi sono evidenze di un’aumentata incidenza di tumori del tratto gastrointestinale. Non vi sono quindi prove evidenti che l’amianto ingerito sia pericoloso per la salute e si conclude che non vi sia alcuna necessità di stabilire Linee Guida per l’ami anto in acqua potabile”
Segnaliamo che nella Monografia n. 100 del 2012 della IARC (International Agency for Research on Cancer), consultabile al link:
è viceversa chiaramente riportato che:
“Inalazione ed ingestione sono le principali vie di esposizione all’asbesto. La popolazione generale può essere esposta all’amianto attraverso l’acqua potabile. L’amianto può entrare nelle forniture di acqua potabile attraverso l’erosione dei depositi naturali o la lisciviazione da amianto dei rifiuti in discarica, dal deterioramento dei tubi di cemento contenenti amianto utilizzati per il trasporto di acqua potabile o per il filtraggio delle risorse idriche attraverso filtri contenenti amianto. Negli Stati Uniti, la concentrazione di amianto nella maggior parte delle fonti di acqua potabile è inferiore a 1 f/ml (fibra per millilitro), anche nelle zone con depositi di amianto o con cemento-amianto nei tubi di alimentazione acqua. Tuttavia, in alcune località, la concentrazione in acqua può essere estremamente elevata, contenente 10-300 milioni f/L (o superiore). La persona media beve circa 2 litri di acqua al giorno (ATSDR, 2001). I rischi di esposizione ad amianto in acqua potabile possono essere particolarmente elevato per i bambini piccoli che bevono sette volte più acqua al giorno per ogni kg di peso corporeo rispetto alla media degli adulti (National Academy of Sciences, 1993)”.
E si conclude che:
“Esiste una sufficiente evidenza di carcinogenicità nell’uomo per tutte le forme di asbesto. L’asbesto causa mesotelioma e cancro di polmone, laringe ed ovaio. Una associazione positiva è stata anche osservata per tutte le forme di asbesto con il cancro di faringe, stomaco e colon-retto. Per il cancro del colon retto il gruppo di lavoro era equamente ripartito sul fatto che le prove erano abbastanza forti da giustificare la classificazione come sufficiente”.
L’affermazione secondo cui non “non esiste dunque alcuna prova seria che l’ingestione di amianto sia pericolosa per la salute” ci risulta del tutto inadeguata e ci chiediamo con quale “serietà” si possano fornire rassicurazioni di questo tipo circa l’assenza di rischi per la salute umana da ingestione di fibre di amianto, quando, all’interno dello stesso gruppo di lavoro della IARC, la metà dei pareri era per considerare l’asbesto come cancerogeno certo anche per il cancro del colon-retto.
Si invita pertanto a voler rettificare quanto riportato nel comunicato in oggetto poiché non riteniamo ammissibile che informazioni così delicate e che riguardano un bene essenziale per la salute pubblica quale l’acqua siano fornite in modo tanto superficiale, basandosi su documenti obsoleti e superati (vedi viceversa IARC 2012), rischiando di minare ulteriormente la già scarsa fiducia che i cittadini hanno nelle Istituzioni.
Le evidenze sopra indicate sono sufficienti per far programmare agli enti pubblici e ai gestori del servizio idrico la sostituzione di tutta quella parte di tubazioni acquedottistiche realizzate in
cemento-amianto che, anche per le caratteristiche dell’acqua, permettono che ci sia un inquinamento da fibre di amianto.

4 dicembre 2015
Piergiorgio Duca
Medicina Democratica Onlus
Roberto Romizi
Associazione Medici per l’Ambiente ISDE Italia

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From: Felice Di Leo felicedileo@libero.it
To:
Sent: Saturday, December 05, 2015 9:10 PM
Subject: VERTENZA NATUZZI: NO AI LICENZIAMENTI

Nell’assemblea dello scorso 30 novembre ad Altamura siamo stati delle buone Cassandre anticipando che gli accordi stipulati tra FILLEA-CGIL, FILCA-CISL, FENEAL-UIL, Natuzzi e Istituzioni pubbliche sono l’anticamera dei licenziamenti collettivi, in quanto prevedono, per un cospicuo numero di lavoratori, la collocazione in Cassa Integrazione Salari a zero per cessazione attività produttiva, che rappresenta, per l’appunto, l’ultimo step prima della risoluzione dei rapporti di lavoro.
Detto, fatto, l’azienda il 2 dicembre 2015, presso la sede della Confindustria di Bari, ha confermato che persistono gli esuberi e, pertanto, dopo la fine del previsto periodo di Cassa Integrazione, 365 lavoratori daranno l’addio alla Natuzzi. Oltre, poi, ad aggiungere le solite manfrine in merito al “parsimonioso” incentivo all’esodo e alla richiesta verso le istituzioni locali di collaborare per un’eventuale ricollocazione dei licenziati in altre aziende.
Noi come Unione Sindacale di Base, manifestando la nostra assoluta contrarietà a questi diktat aziendali, avvallati dai sopra citati sindacati confederali, ribadiamo che non lesineremo nessuna lotta e nessuno sforzo per opporci a qualsiasi ipotesi di licenziamento. Per questo proponiamo, a tutti i lavoratori e le lavoratrici della Natuzzi, l’apertura dello stato di agitazione e la mobilitazione per la salvaguardia dei posti di lavoro, che mai nel tessuto murgiano sono stati di primaria importanza come in questo momento.
Inoltre, sollecitiamo i soggetti interessati ad aprire, concretamente, una riflessione sullo sviluppo e futuro del territorio in questione, che verta sugli opportuni investimenti per la difesa dei livelli occupazionali ed escluda i già visti e ed abusati finanziamenti a pioggia verso famelici imprenditori di passaggio.

Unione Sindacale di Base
Lavoro Privato
Puglia

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From: Muglia la Furia fmuglia@tin.it
To:
Sent: Saturday, December 05, 2015 4:26 PM
Subject: CATTIVI MAESTRI!

Il 5 dicembre arriva San Nicolò.
Arrivano però anche i “Krampus” per castigare i bambini cattivi, ma anche i cattivi maestri. 
Più volte mi è toccato di intervenire sullo scandalo dei corsi di formazione alla sicurezza sul lavoro a partire dalle modalità di erogazione, la loro organizzazione e gestione, il rilascio di crediti formativi.
Nel mirino sempre, o quasi, associazioni che vantano requisiti che spesso non hanno, millantando credito nei confronti di soggetti privi di competenza specifica. Per non parlare di soggetti formatori di dubbia professionalità, che vantano il fatto di essere “centri di formazione”. Insomma tutti quelli che approfittando del mercato della formazione, ci si sono buttati a pesce sperando di far cassa. Per non parlare di quegli organismi paritetici “di comodo” che vantano una rappresentatività sulla base di accordi e contratti di lavoro che nessuno riconosce ed applica. 
L’esposizione Ambiente-Lavoro negli ultimi anni è diventata purtroppo la vetrina privilegiata per questo tipo di organizzazioni, senza che nessuno riesca a contrastare questo indecente mercato. Servirebbe un sussulto e uno scatto d’orgoglio, ma è cosa troppo grande per chi da questo modo di fare è abituato a trarre profitto anche a fronte di un apparato legislativo, regolamentare e amministrativo, incapace di farvi fronte. 
Oggi però non voglio riprendere i miei interventi sul blog, ma segnalare quanto hanno scritto a tal proposito Riccardo Borghetto e Sebastiano Calleri. 
No crediti? ahi ahi ahi!
Scrive Riccardo:
“Quello che sto vedendo in questi anni è veramente incredibile, e quello che è più incredibile è che non se ne parla, probabilmente perché moltissimi, associazioni di categoria e dei professionisti tra questi, hanno grossi problemi di conflitto di interessi. Organi di vigilanza e procure mi sembra non stiano facendo un efficace lavoro di prevenzione.
Cerco di elencare i casi che ho personalmente riscontrato e che mi sono stati raccontati da colleghi.
1. Corsi di formazione erogati da soggetti che non hanno i requisiti per poterlo fare;
2. Corsi di formazione con attestazione sbagliata;
3. Corsi in modalità e-learning non consentita;
4. Corsi in spregio all’Accordo Stato-Regioni del 22/02/12;
5. Corsi mai effettuati con attestati perfetti; 
6. Docenti e istruttori senza requisiti di legge.
Mi riferisco soprattutto a situazioni per le quali è necessario l’accreditamento regionale. Vi sono migliaia di centri di formazione, spesso costituiti da una singola persona docente, che essendo esclusi dalle norme di legge o Accordi Stato-Regioni, acquistano attestati da soggetti che possiedono tali requisiti (spesso però in una sola Regione e non in tutte visto che l’accreditamento è regionale). Contrattualmente si fregiano del concetto di diretta emanazione del centro con cui operano, che nella pratica sta a significare vendita di attestati. A mio avviso la collaborazione dovrebbe avvenire vendendo docenza come normalmente si fa tra un professionista e un ente di formazione. Qui accade il contrario. E’ l’ente di formazione che vende gli attestati al docente (che si fregia del titolo di direttore del centro di formazione quando non c’è nessun centro e nessuno da dirigere).
Sempre al punto 1. ci sono altre varianti, come quello di docenti/centri di formazione senza requisiti che comperano attestati non da associazioni ma da enti accreditati, senza che questi abbiano svolto le relative procedure deliberate dalla Regione. Per svolgere corsi sotto accreditamento infatti è necessario rispettare precise procedure definite dalla Regione.
C’è un’ulteriore variante al punto 1, ancora più incredibile, ove la vendita degli attestati viene effettuata da presunti enti datoriali o enti bilaterali non rappresentativi, costituiti da pochissimo, talvolta nascondendo interessi commerciali di aziende, anche questi sprovvisti dei requisiti di legge
Lo scrivente ha ricevuto più volte la proposta di acquisto di pacchetti di attestati a costo decrescente in funzione del numero...”
Per quanto all’intervento di Riccardo mi fermo qui, limitandomi ad indicare gli altri punti toccati nella sua denuncia: 
“Nella recente Fiera Ambiente e Lavoro di Bologna, alcuni degli stand più costosi erano proprio quelli di enti o associazioni che hanno fatto della vendita di attestati il loro business, vanificando del tutto lo spirito delle recenti norme di legge che volevano formazione di qualità erogata da pochi soggetti qualificati.
Auspico una seria riflessione e un passo indietro per le associazioni, almeno quelle che pretendono di essere serie, e un atto di denuncia nei confronti di tutte le situazioni di palese violazione delle norme”.
Sullo stesso tema, con una altrettanto efficace denuncia, è intervenuto Sebastiano Calleri. 
Anche il suo intervento prende le mosse dalla recente edizione bolognese di Ambiente-Lavoro. Ve ne propongo una parte. Scrive Calleri: 
“Si è appena chiusa a Bologna l’annuale fiera Ambiente e lavoro, e il tema della formazione in salute e sicurezza anche stavolta è stato al centro di molte (troppe) iniziative e discussioni. Bene ha fatto la Consulta Interassociativa Italiana per la Prevenzione (CIIP), con una lettera documentata e circostanziata, a denunciare gli abusi o le vere e proprie illegalità che si perpetrano in questo campo a opera di operatori scorretti e fin troppo tollerati”. 
Bene, finalmente due denunce circostanziate che segnalano situazioni “border line” quando non illegittime. 
Ecco allora uno stralcio della lettera aperta/denuncia della CIIP dal titolo: “Le criticità della formazione in materia di Salute e sicurezza sul Lavoro – Sorveglianza pubblica del mercato”:
“In questi anni si è potuto constatare che si sono sviluppate ampie zone di elusione e/o evasione degli obblighi nomativi relativi alla formazione, con il frequente ricorso a soluzioni di mera apparenza, il rilascio di attestati formativi di comodo e/o al seguito di procedure meramente burocratiche e prive di contenuti reali, con docenze affidate a formatori non qualificati e la vendita di corsi in formazione a distanza privi dei requisiti di legge, spesso anche di contenuti pertinenti, tali da configurare vere fattispecie di truffa ai danni degli utenti.
Tali anomalie hanno potuto svilupparsi proprio a causa della mancanza o della inadeguatezza dei controlli che hanno consentito il dilagare di situazioni illegali.
Il frequente e sistematico ricorso a tali metodi illeciti e inefficaci da parte di Aziende talvolta prive di scrupoli, ma più spesso in buona fede, ma raggirate da operatori scorretti, comporta l’ulteriore conseguenza di rendere difficoltoso lo svolgimento delle attività di formazione di qualità da parte degli operatori qualificati, non competitivi in termini di tempi, criteri e modalità di erogazione della formazione stessa”.
Bene, direte voi. L’ho pensato anch’io ma, per curiosità sono andato a vedere da chi è composta la CIIP e chi rappresenta. Ecco qua.
“La Consulta Interassociativa Italiana per la Prevenzione (CIIP) è una associazione nata nel 1990 per volontà di alcune tra le più rappresentative Associazioni professionali e scientifiche che operano nei settori della medicina del lavoro, dell’igiene industriale, della prevenzione ambientale, della sicurezza del prodotto e dell’ergonomia. Si pone oggi come uno strumento per l’integrazione delle conoscenze e l’armonizzazione delle risposte alle problematiche della prevenzione e della sicurezza dei lavoratori. CIIP rappresenta circa 15.000 operatori ed esperti del settore; possiede tutte le migliori competenze ed esperienze da mettere a disposizione dei professionisti associati, di tutti i lavoratori, nonché dei consumatori, del mondo delle imprese e delle istituzioni”. 
Sono andato anche a vedere quali sono le associazioni che aderiscono e la domanda sorge spontanea: “Sono certi, quelli della CIIP, che tra i firmatari della dura reprimenda contro i corsi taroccati, i falsi enti formatori, le scuole di formazione (1 uomo = 1 scuola), il mercato dei corsi e degli attestati...non via siano anche associazioni aderenti alla stessa CIIP?”.
“Chi è senza peccato scagli la prima pietra”, si potrebbe dire. Ma non temete, non verrà scagliato nessun sasso e tutto proseguirà anche per il futuro nella totale e assoluta indifferenza. 
Per leggere per intero il pezzo di Riccardo Borghetto: 
Per la lettera della CIIP: 
Per leggere i miei post precedenti sul tema: 
A BOLOGNA, A BOLOGNA: Cacciatori di crediti o cacciatori di competenze? 
E’ la sicurezza sul lavoro che non conosce crisi:

Franco Mugliari alias Muglia La Furia


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