INDICE
Maria Nanni mariananni1@gmail.com
COMUNICATO FINE SCIOPERO 26/27 NOVEMBRE
2015
Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
MORTI SUI LUOGHI DI LAVORO AL 30 NOVEMBRE 2015
Federico Giusti giustifederico@libero.it
DA PISA NASCE UN PERCORSO DI AGGREGAZIONE E DI CONFLITTO NELLA
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
Posta
Resistenze posta@resistenze.org
I DATI, COME I FATTI, HANNO LA TESTA DURA
Posta Resistenze posta@resistenze.org
VOGLIONO LE NOSTRE VITE, AVRANNO LE NOSTRE LOTTE
Posta Resistenze posta@resistenze.org
CLIMA DI GUERRA
COMMISSIONE GRANDI RISCHI: LA CASSAZIONE SENTENZIA
MA I PROBLEMI RIMANGONO
Lavoratori
autoconvocati assemblealavoratori@libero.it
LA “CARTA”
DEGLI STRIKERS
Associazione Medici per l’Ambiente ISDE Italia isde@ats.it
ISDE ITALIA
E MEDICINA DEMOCRATICA SULLA PRESENZA DI FIBRE DI AMIANTO NELL’ACQUA POTABILE
TOSCANA
Felice Di Leo felicedileo@libero.it
VERTENZA
NATUZZI: NO AI LICENZIAMENTI
Muglia la
Furia fmuglia@tin.it
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To:
Sent:
Saturday, November 28, 2015 7:30 PM
Subject: COMUNICATO FINE SCIOPERO 26/27
NOVEMBRE 2015
Alle 18 è terminato lo sciopero dei ferrovieri del Gruppo FSI e di
Trenord, alle 21 quello dei ferrovieri Cargo di Trenitalia.
I ferrovieri hanno dato vita, unica
categoria in Italia, all’ottavo sciopero nazionale in poco più di un anno e
mezzo, per la dignità e la sicurezza del lavoro, per un regime pensionistico
equo, contro la precarietà sistematica e la legittimazione dei licenziamenti
del Jobs Act, contro la repressione dei diritti e del legittimo dissenso.
Il grande
successo dello sciopero,
convocato unitariamente da CUB Trasporti e CAT Coordinamento Autorganizzato
Trasporti (e successivamente proclamato anche da USB, seppur con una diversa
piattaforma di rivendicazione) dimostra come siano falsate le misurazioni della
rappresentanza volute da Governo, Confindustria e sindacati concertativi, che
consegnano con i rinnovi RSU (in conformità con il nuovo vergognoso Testo Unico
sulla Rappresentanza) la rappresentanza ufficiale a organismi ormai inutili e
impotenti a fronteggiare le sfide che i lavoratori hanno davanti.
La nuova accelerazione del governo sulla
privatizzazione e svendita del comparto ferroviario, le proposte di nuove norme
per ridurre ulteriormente il diritto di sciopero, già soggetto in Italia a una
delle normative più restrittive del mondo e i prossimi rinnovi contrattuali che
ancora una volta i falsi alfieri dei lavoratori stanno concordando con le
aziende del comparto sulla testa dei lavoratori, necessitano di continuare la
lotta con sempre maggior determinazione e coraggio.
Di fatto le nuove misure concordate di “regolamentazione”
degli scioperi a tutela del Giubileo, così come già avvenuto per Expo,
dimostrano il disinteresse di Governo e Confederali per le vertenze dei
lavoratori.
Proseguiremo nel percorso di lotta per le
legittime rivendicazioni e le giuste aspettative dei lavoratori.
Complimenti a tutti i lavoratori che,
scioperando, hanno lottato con noi.
27 novembre 2015
CUB Trasporti
CAT Coordinamento Autorganizzato Trasporti
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From: Carlo
Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
To:
Sent: Tuesday,
December 01, 2015 9:40 AM
Subject: MORTI
SUI LUOGHI DI LAVORO AL 30 NOVEMBRE 2015
Valutando i dati
INAIL relativi ai primi 10 mesi del 2015 (i nostri al 30 novembre) risulta che
le morti denunciate per infortuni in occasione di lavoro sono state 729. Sui luoghi
di lavoro, senza itinere, con mezzo di trasporto e senza mezzo di trasporto
sono state 509, noi ne abbiamo monitorate 589.
Ricordiamo
che l’INAIL monitora solo i propri assicurati e che molte denunce al termine
dell’iter procedurale non verranno riconosciute come tali da questo Istituto.
La differenze sugli infortuni mortali tra i nostri e quelli dell’INAIL è dovuta
al fatto che l’INAIL monitora solo i propri assicurati.
A nostra
parere, l’aumento consistente da parte dell’INAIL è dovuta al fatto che tante
Partite IVA individuali che prima non assicurava e che datori di lavoro hanno
ritenuto conveniente trasformare col Jobs Act, a parte del lavoro nero emerso
sempre con il Jobs Act (unica nota positiva di questa legge) hanno fatto si che
questo istituto registra un aumento.
Ma se come
facciamo noi separiamo le morti sui luoghi di lavoro dai lavoratori che muoiono
sulle strade e in itinere (compresi camionisti che usano il mezzo di trasporto,
ci accorgiamo che al 30 novembre 2015 la situazione è simile sui luoghi di
lavoro a quella dell’anno scorso.
Ci sono
regioni che hanno avuto aumenti spaventosi come la Toscana, e altre come l’Emilia
Romagna che hanno a loro volta avuto cali di quasi il 50%.
Separiamo le
varie tipologie d’infortuni mortali. I lavoratori schiacciati dal trattore (20%
di tutte le morti sui luoghi di lavoro), fulminati, cadendo da un tetto, ecc.
richiedono interventi diversi. Per le morti sulle strade e in itinere che
sono oltre il 50% tutti gli anni la collaborazione tra la Polizia Stradale,
le Aziende e l’INAIL sarebbe importantissima: gli orari a volte massacranti di
chi lavora sulle strade, i turni in orari dove occorrerebbe dormire provocano
tanti morti.
Alla fine
del 2015 ci sarà probabilmente un piccolo aumento sullo spaventoso 2014, ma non
a due cifre, se consideriamo tutti i lavoratori morti sui luoghi di lavoro per
infortuni.
Ricordiamo
ancora una volta che se si potesse incidere come richiedo da anni sugli
agricoltori schiacciati dal trattore la situazione sarebbe molto meno
drammatica.
Ma occorre
che i responsabili di questo settore, a partire dai vertici cominciassero ad
occuparsene veramente.
Carlo
Soricelli
Curatore
dell’Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro
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To:
Sent: Tuesday,
December 01, 2015 5:10 PM
Subject: DA
PISA NASCE UN PERCORSO DI AGGREGAZIONE E DI CONFLITTO NELLA PUBBLICA
AMMINISTRAZIONE
DA PISA NASCE UN PERCORSO DI AGGREGAZIONE E DI CONFLITTO NELLA
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
DELEGATI/E, LAVORATORI/TRICI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE IN MOVIMENTO
Sabato 28
Novembre si è tenuta a Pisa una prima riunione aperta ai delegati,
alle RSU ed ai lavoratori del sindacalismo di base della Pubblica Amministrazione.
Erano
presenti delegati, RSU e lavoratori di numerose realtà che fanno riferimento ai
sindacati di base e di classe di ADL, CUB PI, SI Cobas, Cobas PI.
La riunione
è l’inizio di un percorso trasversale che si propone di superare la
frammentazione del sindacalismo di base e la paralisi in cui versa da tempo.
Abbiamo dato
vita a un percorso aperto a tutti i lavoratori, delegati e militanti delle
strutture sindacali che si pongono il problema del superamento dei tanti
steccati che hanno reso impossibile un agire condiviso.
A scanso di equivoci
precisiamo che il nostro intento non è quello di costruire un nuovo soggetto
sindacale e neanche un intergruppo di militanti sindacali che si riunisce solo
per redigere documenti. Il percorso è aperto a tutti i lavoratori che sentono l’esigenza
di attivare percorsi comuni all’insegna della radicalità e dell’unità.
Il nostro
obiettivo è lavorare alla costruzione di un percorso unitario consapevoli di
come la frammentazione esistente sia un fattore di debolezza per tutti, la
causa ostativa al radicamento nei luoghi di lavoro da cui deve partire ogni
conflitto. In questi anni il sindacalismo di base ha palesato numerosi limiti e
contraddizioni, incapace anche di costruire percorsi comuni, di indire scioperi
unitari su rivendicazioni elementari comprensibili e sostenibili non solo dai
delegati, ma dagli stessi lavoratori.
La proliferazione
di scioperi, spesso tra loro contrapposti, non è stata di aiuto a costruire
una alternativa concreta e comprensibile ai lavoratori della Pubblica
Amministrazione ai sindacati nostalgici della concertazione.
Vogliamo accompagnare
a questo dibattito momenti di azione sindacale comune con l’intento di dare
vita ad una opposizione sociale di contrasto ai progetti del governo e del
padronato. Proponiamo fin da ora una grande assemblea da tenersi a fine Gennaio
2016 che dopo adeguata preparazione dovrà definire i punti di collaborazione
tra gli aderenti a questo appello e a quelli che eventualmente si aggiungeranno
per costruire assieme indirizzi e iniziative condivise su cui lavorare. E’
opinione comune che nessuna realtà sia di per se adeguata e autosufficiente a
fronteggiare un attacco complessivo, manca spesso perfino una lettura condivisa
di cosa stia accadendo nella Pubblica Amministrazione (dalla fusione dei comuni
allo smantellamento delle province, dal ridimensionamento della sanità
pubblica, dal ridimensionamento sul territorio degli uffici ministeriali fino
ad arrivare alla sostituzione della contrattazione di secondo livello con una
sorta di benefit).
A colpi di Decreti
Legislativi, nell’arco di pochi anni, hanno bloccato i salari e presto
attaccheranno la stessa contrattazione decentrata. A partire dalla legge
Bassanini, fino ad arrivare dalla riforma Madia passando attraverso l’applicazione
della Legge Brunetta, con la riduzione a 4 comparti della Pubblica Amministrazione
si concluderà quel complessivo disegno che mira a ridimensionare i servizi ai cittadini
e il lavoro pubblico.
Il percorso
avviato a Pisa intende attraversare le RSU elette nel pubblico impiego e non
solo quelle del sindacalismo di base, le realtà sindacali di base e di classe
che in esso vi operano, ma soprattutto i lavoratori che nei luoghi di lavoro
ridiscutendo le stesse modalità di fare sindacato all’insegna della
radicalità e del conflitto, all’insegna di una lettura dei processi reali in
atto che sappia tradursi in obiettivi concreti da perseguire a partire da una
piattaforma rivendicativa da presentare in tutta la Pubblica Amministrazione.
L’assemblea
delle realtà e dei delegati di base riunitisi a Pisa il 28 Novembre
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From: Posta
Resistenze posta@resistenze.org
To:
Sent:
Thursday, December 03, 2015 1:04 AM
Subject: I DATI, COME I FATTI, HANNO LA TESTA DURA
Marta Fana
Da Il
Manifesto
02/12/015
I dati dell’indagine
mensile sulle forze di lavoro, pubblicati ieri dall’ISTAT, sono impietosi:
a ottobre rispetto a settembre sono stati distrutti 39.000 posti di
lavoro, mentre il calo dei lavoratori in cerca di occupazione (-13.000) viene
superato da un aumento del numero di inattivi.
Ragione per
cui il tasso di disoccupazione diminuisce all’11,5%. Il tasso di occupazione
rimane al 56,3%, con un aumento del 1,3% per la componente maschile e una
riduzione dello 0,4% di quella femminile rispetto a fine febbraio, cioè
all’entrata in vigore del Jobs Act.
Complessivamente,
rimane senza alibi l’azione riformatrice del mercato del lavoro, operata dal
governo. Da gennaio ad ottobre di quest’anno, il numero di occupati aumenta di
84.000 unità, di cui solo il 1,3% è riferito a contratti cosiddetti
permanenti (+2.000), mentre gli occupati a termine continuano la loro
corsa con un +178.000. Al contrario, gli occupati indipendenti diminuiscono
i questi primi dieci mesi di 97.000 unità. In particolare, nell’ultimo
mese ci sono 44.000 lavoratori indipendenti in meno. E’ così che l’incidenza
degli occupati dipendenti a tempo “indeterminato” diminuisce sul totale
degli occupati (-1% da gennaio), una corsa in discesa che si fa più ripida da
marzo, cioè da quando entra in vigore il Jobs Act, con l’innovativo “contratto
a tutele crescenti”.
Indipendentemente
dalla tipologia contrattuale, la distribuzione dei nuovi occupati per classi di
età specchia nitidamente i rischi strutturali che l’assetto del mercato
del lavoro italiano porta con sé: un mercato del lavoro sempre più anziano, che
non lascia spazio ai giovani, relegandoli a un futuro di instabilità
e precarietà. Una dinamica già in atto che gli ultimi governi non hanno
voluto né saputo invertire. L’unica componente anagrafica per cui tra gennaio
e ottobre il numero di occupati aumenta sensibilmente è quella degli
over 50, mentre si riduce sensibilmente per la classe tra i 35 e 49
anni. I più giovani sono di fatto ignorati (+11.000 occupati). Sicuramente
queste dinamiche nel medio periodo possono essere spiegate, come osserva l’ISTAT,
dall’invecchiamento della popolazione.
Tuttavia ciò
è vero se si considera un arco temporale pluriennale, come il triennio
2013–2015 preso in esame dall’Istituto di Statistica, mentre non è vero (o
comunque irrilevante) nell’analisi di brevissimo periodo, cioè all’interno
dello stesso anno, in cui le variazioni demografiche non sono tali da poter
determinare, in assenza di shock, le dinamiche occupazionali.
Mentre la
realtà parla chiaro, esponenti del governo e del PD, come Filippo Taddei,
perseverano in un’operazione comunicativa ingannevole che rasenta l’ignoranza
dei fatti quando dichiara: “Il Jobs Act funziona. Il dato ISTAT di ottobre
è un tipico segnale di ripresa” perché diminuiscono gli autonomi mentre
aumentano i dipendenti. A Taddei sfugge guarda caso che il lavoro
dipendente che aumenta è quello a termine, che, negli slogan di
governo, sarebbe dovuto diminuire grazie ai contratti stabilmente precari.
In piena
sintonia il Ministro del Lavoro Giuliano Poletti che addirittura, commentando
i dati ISTAT, afferma che la riduzione degli occupati indipendenti
è risultato positivo dell’azione di governo che conduce “alla riduzione
delle false partite IVA”. Come il Ministro stabilisca questa relazione non
è dato sapere, dal momento che i dati ISTAT non hanno questo
dettaglio e neppure i dati del Ministero del Lavoro, che ricordiamo
dal 25 agosto non vengono più resi pubblici.
Allo stesso
tempo, non è il caso di riesumare la cosiddetta staffetta generazionale,
dal momento che, in ogni caso allo stato attuale, i giovani sarebbero
impiegati in lavori a bassa produttività, da imprese tradizionalmente
restie all’innovazione e all’investimento in ricerca e sviluppo. Lo
confermano i dati pubblicati ieri dall’Eurostat: le imprese italiane
spendono, nel 2014, solo 190 euro per abitante in ricerca e sviluppo,
contro una media europea di 356 euro.
Le stesse
imprese che pur beneficiando di sgravi contributivi enormi non hanno creato
lavoro, perché le condizioni non erano favorevoli ma forse, soprattutto, perché
è mancata la volontà per crearle, preferendo i servizi a basso
valore aggiunto, l’esplosione dei voucher e la riduzione delle
retribuzioni dei neo assunti, soprattutto quelli a tempo indeterminato (-1,4%),
come ci ricorda l’INPS. Nel 2015, la situazione non è affatto mutata,
infatti, sul totale dei settori istituzionali, il contributo alla crescita del
PIL derivante dagli investimenti fissi lordi è nullo negli ultimi quattro
trimestri e negativo nel terzo trimestre 2015.
Il calo
delle esportazioni (-0,4%) fa da traino nel limitare la crescita del Prodotto
Interno Lordo, mentre la domanda interna, per consumi o investimenti, non
decolla. Non potrebbe essere diversamente per un’economia che ha scelto di
avallare l’idea di una crescita fondata sulle esportazioni, la cui
competitività dovrebbe dipendere esclusivamente dalla svalutazione del lavoro.
Non deve
allora stupire il deterioramento delle condizioni di vita della maggioranza dei
cittadini, lavoratori e non. Quel che desta enorme stupore invece è l’assenza
di una reale opposizione politica e sindacale, fondata su un’analisi
consapevole, non velleitaria e corporativistica dei processi in atto
e delle soluzioni programmatiche da offrire al paese.
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From: Posta
Resistenze posta@resistenze.org
To:
Sent: Thursday, December 03,
2015 1:04 AM
Subject: VOGLIONO LE NOSTRE VITE, AVRANNO LE NOSTRE LOTTE
Da USB
30/11/15
Ogni giorno esponenti del Governo Renzi fanno a gara per riuscire simpatici ai padroni. Lo fanno inanellando, giorno dopo giorno, sortite che sembrano boutade, cose dette tanto per dire, ma che invece fanno da apripista a interventi governativi sempre pesanti e sempre contro il mondo del lavoro.
Ogni giorno esponenti del Governo Renzi fanno a gara per riuscire simpatici ai padroni. Lo fanno inanellando, giorno dopo giorno, sortite che sembrano boutade, cose dette tanto per dire, ma che invece fanno da apripista a interventi governativi sempre pesanti e sempre contro il mondo del lavoro.
Le ultime
due riguardano il Ministro del Lavoro Poletti, esponente di punta del mondo
cooperativo cresciuto all’ombra delle due torri dove la sinistra ha inventato
il mostruoso laboratorio che ha poi prodotto il PD attualmente incarnato da
Renzi.
La prima
riguarda l’inutilità di laurearsi a 28 anni perché così facendo si ritarda l’ingresso
nel mondo del lavoro che invece attende i giovani a braccia aperte per
offrirgli, grazie all’alternanza scuola lavoro, paradisiaci impieghi para
schiavistici, sottopagati e ricattabili.
La seconda,
forse più grave per la possibile immediatezza di applicazione, è quella
riguardo l’orario di lavoro. Il Ministro del lavoro (sic!) ha sostenuto e
continua a sostenere, quindi non si tratta di una svista, che bisogna
svincolare la prestazione lavorativa dalle pastoie di una regolamentazione per
via di legge e contrattuale del tempo di lavoro necessario affinché il prestatore
d’opera possa poi percepire il salario dovuto. Ovviamente questa stronzata
viene ammantata di modernità. Le innovazioni tecnologiche, la flessibilità
intelligente, la possibilità di gestirsi in proprio i tempi di vita e i tempi
di lavoro sono le principali amenità su cui si dilettano in questi giorni lor
signori. Forse approfittano del fatto che le organizzazioni sindacali complici
non hanno mai davvero sostenuto la parola d’ordine della riduzione dell’orario
di lavoro a parità di salario e la giusta rivendicazione per lavorare meno,
lavorare tutti.
Forse
approfittano della debolezza del movimento dei lavoratori, mai come oggi solo e
disarmato di fronte alla aggressività del capitale e della lotta di classe dei
padroni.
Forse
sarebbe il caso che ci riappropriassimo, facendole vivere ogni giorno nei
luoghi di lavoro, nelle trattative, nelle piattaforme per il rinnovo dei
contratti, di queste semplici e logiche parole d’ordine che rappresentano da
sempre un pezzo della storia del movimento di lavoratori.
Se non ci
fosse stata la lotta, dura e lunga, per la giornata di otto di ore di lavoro,
il diritto al riposo, alle ferie oggi saremmo ancora più schiavi di quello che
siamo. La nostra condizione dipende da noi, l’avversario di classe fa i suoi
interessi, a noi spetta difendere i nostri e lottare per nuove conquiste.
Pensare che
non sia il tempo delle rivendicazioni, che vista la situazione bisogna badare a
tenersi quel che si ha, che non ci sono spazi per nuove conquiste, che non si
possono avanzare le richieste economiche necessarie, dà oggettivamente una mano
ai padroni e al governo, di cui davvero non hanno bisogno.
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From: Posta
Resistenze posta@resistenze.org
To:
Sent: Thursday, December 03,
2015 1:04 AM
Subject: CLIMA DI GUERRA
Silvia Ribeiro
Da Rebelion
30/11/15
Dal 30
novembre all’11 dicembre, a Parigi, si riunisce la 21a Conferenza delle Parti della Convenzione quadro delle Nazioni
Unite (COP21) sui cambiamenti climatici (UNFCCC), da cui scaturirà un nuovo
accordo globale per contrastare appunto i cambiamenti climatici.
Questo non è
ciò che accadrà nella realtà. Al contrario, si consoliderà un sistema
volontario e deciso a livello nazionale nel quale gli impegni che i paesi
dicono di assumere, garantiranno che il riscaldamento globale raggiungerà
livelli drammatici dal 2050
in poi, probabilmente raddoppiando nel 2100 la soglia
massima dei 2°C
che, già alta, è l’incremento massimo tollerabile accettato dall’ONU.
Gli
attentati dinamitardi con centinaia di morti e feriti del 13 novembre a Parigi
hanno brutalmente cambiato lo scenario esterno, ma all’interno di COP21 tutto
resta immutato. Il governo francese con la scusa del contesto grave e negativo
creatosi, ha annullato molte marce e proteste pubbliche inerenti i negoziati
sul clima, adducendo motivi di sicurezza per COP21. Ma non ha cancellato eventi
sportivi, mercatini di Natale e altri eventi pubblici. Sarebbe assurdo pensare
che gli attacchi mirassero a impedire le proteste (alle quali erano attese
decine di migliaia di persone, alcune molto ordinate, altre più vivaci) ma sono
stati utilizzati per metterle fuori legge.
Con un
taglio netto delle libertà civili contro la gente comune in Francia, il Governo
di quel paese, insieme con gli Stati Uniti, bombarda selvaggiamente rendendo
ancora più grave la guerra in Siria, con molte vittime civili, censite o no,
presumibilmente per combattere lo Stato islamico (IS).
E’ interessante
notare che non vengono attaccati gli impianti petroliferi controllati dall’IS
in Siria, cosa che invece strangolerebbe una fonte importante del loro
sostentamento. Allo stesso tempo, la
Turchia, tradizionale alleato degli Stati Uniti, ha abbattuto
in circostanze confuse un aereo russo al confine con la Siria, nonostante la Russia sia un paese che
anch’esso combatte la guerra all’IS.
L’abbattimento
è accaduto “accidentalmente”, quando la Russia aveva deciso di collaborare con la Francia contro IS,
avvicinamento scomodo per gli Stati Uniti e per il loro conflitto geopolitico
ed economico con la Russia.
E, per molti osservatori, anche perché gli Usa sono all’origine
di quello che ora è chiamato Stato Islamico, avendo sostenuto i gruppi armati
della regione e creato le condizioni favorevoli alla sua nascita. Un elemento
sfuggente, lo Stato Islamico, che entra ed esce dalla scena internazionale in
momenti chiave per gli Stati Uniti, come prima è accaduto con Osama Bin Laden.
Tutto
converge nell’esacerbare la guerra, che va oltre la Siria e crea un contesto
teso e repressivo per i cittadini, che giustifica l’imposizione di un “Patriot
Acts” sul modello statunitense. Possono apparire elementi isolati, ma sono
collegati non solo in termini repressivi e geopolitici, ma anche rispetto al
cambiamento climatico, alle sue cause e al suo impatto.
Collin
Kelley e i ricercatori dell’Istituto di Lamont-Doherty della Columbia
University hanno pubblicato, nel marzo 2015, il Proceedings of the National Academy of Sciences degli Stati
Uniti, un articolo che mostra che il cambiamento climatico globale è stato la
causa della forte siccità in Siria nel periodo 2007-2010, i tre anni più secchi
dacché vi sono registrazioni, situazione che ha preceduto le rivolte e i
conflitti armati iniziati nel 2011. La regione aveva già conosciuto la siccità,
ma non così estrema e prolungata. Nel triennio perirono tutte le colture e l’80
per cento del bestiame, vennero esaurite le scorte di semenza e 1,5 milioni di
contadini furono costretti a migrare verso le città. Non diciamo che le rivolte
siano un risultato diretto del cambiamento climatico, ma un fattore che lo
esacerbò gravemente.
Allo stesso
tempo, le forze armate e le guerre sono tra i maggiori generatori di gas serra,
provocando così il cambiamento climatico. La sanguinosa guerra per il petrolio
e il controllo dei territori che lo producono (come la Siria) sono un mostro che si
morde la coda. Guerre per il petrolio che causano il cambiamento climatico,
petrolio che sostiene le guerre che si aggravano con il caos climatico e
richiedono più petrolio.
Nick Buxton,
del Transnational Institute, ha chiamato le forze armate un “elefante bianco a
Parigi” nel testo negoziale di COP21, la parola “militare” non viene mai
menzionata. Tuttavia, il Dipartimento della Difesa USA è il più grande
consumatore di petrolio e produttore di gas a effetto serra degli Stati Uniti,
a loro volta il principale produttore storico mondiale consumando il 25% dell’energia
mondiale.
La
produzione di emissioni da parte delle forze armate USA non è nota. Nel 1997,
durante i negoziati del protocollo di Kyoto, gli Stati Uniti hanno ottenuto il
riserbo sul consumo e le emissioni delle forze armate per una questione di “sicurezza
nazionale”, che come tale non può essere limitata né divulgata. Anche mettendo
a confronto il consumo di petrolio del solo Dipartimento della Difesa USA con
quello totale per paese, sono solo 35 i paesi a superare quel volume.
Le carte in
tavola sono chiarissime come non mai, ma COP21 non ne discuterà. Al contrario,
le principali cause dei cambiamenti climatici (imprese petrolifere,
agroalimentari e altre) saranno seduti tra le delegazioni ufficiali e in nome
della sicurezza (nazionale, militare, climatica e alimentare) approveranno il
proseguimento del consumo di petrolio e l’emissione di gas che, dicono, sarà “compensato”
con i mercati del carbone e delle tecnologie rischiose (nucleare e
geo-ingegneristica). Naturalmente, per farlo hanno bisogno di sedare le
proteste, spegnendo il fuoco con la benzina.
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From: La Città Futura info@lacittafutura.it
To:
Sent: Friday, December 04, 2015 5:21 AM
Subject: COMMISSIONE GRANDI RISCHI: LA CASSAZIONE SENTENZIA MA I PROBLEMI RIMANGONO
Dopo la sentenza della Cassazione che ha definitivamente assolto i membri della Commissione Grandi Rischi, resta il bilancio delle vittime e dei danni sul terreno. E di come la sospensione dei diritti e il potere di deroga giustificati dall’emergenza abbiano fatto di L’Aquila un laboratorio per il capitale che utilizza la ricostruzione, come le precedenti costruzioni, nell’ottica di riduzione a merce della protezione di cose e persone.
Dopo sei anni,
arriva la sentenza della Corte di Cassazione riguardante il processo che ha
coinvolto sette dei partecipanti alla riunione della Commissione Grandi Rischi,
svoltasi a L’Aquila il 31 marzo del 2009, alla vigilia di quel terribile
terremoto che il 6 aprile, alle 3.32, si portò via 309 persone, ferendone circa
1.600. Sentenza che conferma quanto stabilito in appello: assoluzione dall’accusa
di omicidio colposo plurimo e lesioni per tutti gli imputati, meno uno.
Il verdetto emanato
dalla Suprema Corte mette la parola fine ad un processo che ha visto alla
sbarra gli scienziati con l’accusa di aver indotto le vittime a cambiare le
proprie abitudini diffondendo un messaggio distorto e tranquillizzante. E’ nota
l’intervista al vice-capo della Protezione Civile, De Bernardinis, rilasciata
prima della riunione “la situazione è favorevole perché c’è un continuo
rilascio di energia” e l’intercettazione in cui Guido Bertolaso, il capo,
rivela all’Assessore regionale Daniela Stati lo scopo politico di quella
riunione: usare gli scienziati per tranquillizzare la popolazione.
Ma note sono anche
le problematiche legate all’edilizia, scadente qualità del cemento, violazione
delle norme antisismiche, errori di progetto, così come è noto il ruolo che
politici e stampa hanno giocato in quei giorni nel dar spazio a opposte
semplificazioni (le presunte previsioni del tecnico Giuliani, la positività del
graduale rilascio di energia).
Archiviata la
vicenda giudiziaria, rimangono aperte le ferite causate dal disastro e le
contraddizioni che lo hanno generato: il malaffare come forma necessaria dell’accumulazione
capitalistica; la prevenzione come sfera di investimento residuale; il
disorganico rapporto tra gli esperti e la popolazione, in particolare quella
lavoratrice.
La mancata
soluzione di questi tre nodi (non la pericolosità della natura!) è ciò che
realmente fa dell’evento un disastro, e fin quando non si provvederà a
scioglierli la tragedia è destinata a ripetersi.
Il malaffare non
solo nelle costruzioni (la maggior parte delle scuole in Italia non sono a
norma), ma anche nelle ricostruzioni. Di queste tratta brillantemente Roberto
Galtieri (Il laboratorio Aquila, La Contraddizione n. 145) che descrive e analizza i
poteri speciali e derogatori di cui viene dotata la Protezione Civile
subito dopo la scossa che sconvolge l’Aquila al fine di “coprire e permettere
di tutto, anche la presenza della criminalità organizzata”. Poteri speciali che
sono serviti a permettere accumulazione straordinaria di capitale. Non si
tratta, infatti, solo di ruberie dovute a maggiorazioni di prezzo sul costo
della realizzazione piuttosto che utilizzazione di materiali di qualità e costo
inferiore a quanto pattuito (e tutto ciò è avvenuto) quanto piuttosto di aver
creato un sistema libero di agire, senza controlli istituzionali di sorta, al
fine di aumentare a dismisura, al di là delle “normali opportunità di mercato”,
il capitale inizialmente investito producendo accumulazione.
La sospensione dei
diritti costituzionali e il potere di deroga hanno impedito la costituzione di
un’opposizione di classe che avrebbe potuto orientare differentemente il
disegno edilizio e controllare quanto si veniva formando. Come durante il
ventennio fascista, la grande industria ha potuto indisturbata riprodurre
continuamente accumulazione. Per questo l’Aquila è da considerarsi “laboratorio
delle speranze del capitale”.
Arbitrio di cui
occorre liberarsi senza annacquarlo nell’illegalità. Il problema di impedire
che eventi naturali si trasformino in tragedie, infatti, non si risolve
semplicemente (ammesso che sia possibile) impedendo ai rappresentanti del
capitale di violare le loro stesse regole. E’ invece indispensabile una
massiccia e miglior prevenzione, quindi l’impiego di lavoro, vivo (umano) e
morto (macchine), per conservare l’integrità di persone e cose, soprattutto
fabbricati e infrastrutture, minimizzando i danni in caso di eventi naturali
estremi. Rendere gli oggetti e le persone meno vulnerabili. Il che ne modifica
il valore d’uso (e quindi, in regime capitalistico, incrementa valore e prezzo)
e incide sui costi di produzione, il cui incremento però rappresenta una
sottrazione di ricchezza sociale, sebbene sia una condizione di esistenza della
stessa.
L’avvento del
capitalismo non muta la prevenzione in quanto costo necessario a preservare
cose e persone, bensì il metro con cui si misura e giudica che cosa merita di
essere tutelato e fino a che punto. Né cambia l’autonomizzarsi della produzione
dall’applicazione, se non per i risparmi derivanti dalla concentrazione del
primo momento in capo a enti e industrie specializzati.
Il privato,
infatti, investirà nella ricerca e nello sviluppo di conoscenze e tecniche che
migliorano la prevenzione unicamente nella misura in cui la vendita della
merce-prevenzione gli consente di accumulare profitto e nulla più, senza che
ciò aumenti di per sé la ricchezza sociale prodotta. Al più questa potrà meglio
conservarsi se le migliori tecniche fossero adottate, il che avviene, però,
sulla base della comparazione tra le risorse da investire e il danno da
evitare. Se i beni da preservare sono cari, di difficile o costosa
riproducibilità o si valorizzano cospicuamente converrà investire o spendere
nella loro protezione e salvaguardia più di quanto non si faccia nel caso
opposto, indipendentemente dalla pericolosità degli eventi naturali.
Fatta da pubblici
poteri, invece, la prevenzione conserva unicamente la sua utilità, che, per
quanto alta, non aumenta le risorse sociali di cui lo stato dispone né,
soprattutto, modifica gli scopi comuni della classe dominante che l’azione
pubblica mira a tutelare e sviluppare e che non consentono di spendere nell’ottica
di salvare vite umane prive di valore perché inutili ai fini dello sfruttamento
o facilmente rimpiazzabili.
Dunque, la
diffusione della “cultura della prevenzione” e il suo consumo da parte di
cittadini e imprese è necessariamente limitato dalla sottomissione del valore d’uso
al valore di scambio e dalla grandezza di quest’ultimo.
La coscienza di
questo stato di cose, qui solo accennato, è ancora largamente assente tra gli
scienziati e gli esperti del settore. Ciò si traduce in campagne di
sensibilizzazione che molto spesso hanno come obiettivo i cittadini
indipendentemente dalla loro funzione sociale e dalla classe sociale di
appartenenza, col risultato di allontanare i lavoratori dalle nozioni
indispensabili per maturare la necessaria coscienza. Spiegare il grado di
probabilità di un fenomeno e il potenziale impatto; esortare l’esecuzione di
verifiche, collaudi, migliorie ed esercitazioni; coadiuvare le autorità a
predisporre i migliori piani è utile, ma trova concreta applicazione solo nella
misura in cui i destinatari sono padroni delle proprie azioni e delle
condizioni in cui esse si sviluppano. Minore è la capacità di scelta e di spesa
dei cittadini e in particolare dei lavoratori, il potere e la grandezza di
mercato delle aziende, minori e peggiori sono le precauzioni che si possono
effettivamente adottare e maggiore il dominio degli eventi.
Dunque aumentare le
risorse è necessario ma non basta; c’è bisogno di liberarle dal vincolo del
profitto, in modo da ovviare agli attuali limiti della divisione internazionale
del lavoro e rispondere finalmente in maniera diversa alla domanda: chi paga?
Alessandro Bartoloni
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From: Lavoratori
autoconvocati assemblealavoratori@libero.it
To:
Sent: Friday, December 04,
2015 11:03 AM
Subject: LA “CARTA”
DEGLI STRIKERS
Siamo gli
strikers: siamo le precarie, i migranti, gli operai, gli studenti che il 14
novembre 2014 hanno scioperato insieme, sfidando le divisioni che producono la
nostra comune precarietà.
Siamo quelli
che lavorano a chiamata in cambio di un voucher, siamo lavoratori realmente
subordinati anche se ci chiamano “partite IVA” o “soci lavoratori”, siamo i “tirocinanti”,
i “volontari”, gli “stagisti”, gli studenti “dell’alternanza scuola/lavoro” che
lavorano senza essere pagati nella speranza di avere un salario domani, siamo
lavoratori autonomi di nuova generazione, impoveriti, privi di welfare e
vessati da un fisco iniquo.
Abbiamo in
tasca un permesso di soggiorno da rinnovare al prezzo dello sfruttamento, siamo
i lavoratori dipendenti che nonostante il contratto a tempo indeterminato non
hanno più diritti ma solo un salario misero, assenza di welfare e precarietà.
Lo sciopero
sociale è la sfida che ci ha uniti contro chi fa profitti sulla nostra
precarietà: lo
abbiamo fatto una volta e vogliamo farlo ancora.
abbiamo fatto una volta e vogliamo farlo ancora.
Siamo gli
strikers: non crediamo a chi ci racconta che la crisi è finita e comincia la
ripresa.
Le politiche
europee di austerità sono la nostra normalità. In Italia le chiamano Jobs Act,
Sblocca Italia, Garanzia giovani, Buona scuola e Buona università, ma per noi significano
precarietà. Noi non accettiamo che l’Europa e i suoi Stati ci chiudano le porte
in faccia quando non siamo “utili”, chiamandoci turisti del welfare o
clandestini. Noi non ci accontentiamo delle briciole e pretendiamo molto di
più. Noi sappiamo che per unire le nostre lotte e organizzarci sono necessari
strumenti nuovi e all’altezza dei tempi. Noi sappiamo quello che vogliamo:
reddito minimo e welfare, salario minimo e un permesso di soggiorno senza
condizioni. Non solo in Italia ma in tutta Europa, perché se la precarietà
attraversa i confini devono farlo anche le nostre lotte.
Siamo gli
strikers, ci definisce lo sciopero, non la precarietà: uno sciopero anche per
chi
non può scioperare, per chi deve immaginare nuovi strumenti per organizzarsi.
non può scioperare, per chi deve immaginare nuovi strumenti per organizzarsi.
Leggi la
carta completa al link:
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To:
Sent:
Friday, December 04, 2015 5:16 PM
Subject:
ISDE ITALIA E MEDICINA DEMOCRATICA SULLA PRESENZA DI FIBRE DI AMIANTO NELL’ACQUA
POTABILE TOSCANA
L’Autorità
Idrica Toscana ha emesso nei giorni scorsi un comunicato stampa relativo alla
presenza di fibre di amianto nell’acqua potabile.
Oggi è stato
pubblicato il comunicato congiunto di ISDE Italia e Medicina Democratica sulla
questione.
Cordiali
saluti
Roberto
Romizi
LA
PRESENZA DI FIBRE DI AMIANTO NELL’ACQUA POTABILE IN TOSCANA
Comunicato congiunto
Medicina Democratica e Associazione Medici per l’Ambiente
ISDE Italia
Nel Comunicato Stampa relativo alla presenza di fibre
di amianto nelle acque potabili del 1° Dicembre 2015 da parte dell’Autorità
Idrica Toscana, consultabile al link:
abbiamo letto con sconcerto le seguenti frasi.
“Non esiste dunque alcuna prova seria che l’ingestione
di amianto sia pericolosa per la salute, non è stato ritenuto utile, pertanto,
stabilire un valore guida fondato su delle considerazioni di natura sanitaria,
per la presenza di questa sostanza dell’acqua potabile”.
“Anche se l’amianto è un noto agente cancerogeno per
inalazione degli esseri umani, gli studi epidemiologici a disposizione non
supportano l’ipotesi che vi sia un aumento del rischio di cancro associato con
l’ingestione di amianto in acqua potabile. Inoltre negli studi su animali con
somministrazione di amianto nell’alimentazione, non vi sono evidenze di un’aumentata
incidenza di tumori del tratto gastrointestinale. Non vi sono quindi prove
evidenti che l’amianto ingerito sia pericoloso per la salute e si conclude che
non vi sia alcuna necessità di stabilire Linee Guida per l’ami anto in acqua
potabile”
Segnaliamo che nella Monografia n. 100 del 2012 della
IARC (International Agency for Research
on Cancer), consultabile al link:
è viceversa chiaramente riportato che:
“Inalazione ed ingestione sono le principali vie di
esposizione all’asbesto. La popolazione generale può essere esposta all’amianto
attraverso l’acqua potabile. L’amianto può entrare nelle forniture di acqua
potabile attraverso l’erosione dei depositi naturali o la lisciviazione da
amianto dei rifiuti in discarica, dal deterioramento dei tubi di cemento
contenenti amianto utilizzati per il trasporto di acqua potabile o per il
filtraggio delle risorse idriche attraverso filtri contenenti amianto. Negli
Stati Uniti, la concentrazione di amianto nella maggior parte delle fonti di
acqua potabile è inferiore a 1 f/ml (fibra per millilitro), anche nelle zone
con depositi di amianto o con cemento-amianto nei tubi di alimentazione acqua.
Tuttavia, in alcune località, la concentrazione in acqua può essere
estremamente elevata, contenente 10-300 milioni f/L (o superiore). La persona
media beve circa 2 litri
di acqua al giorno (ATSDR, 2001). I rischi di esposizione ad amianto in acqua
potabile possono essere particolarmente elevato per i bambini piccoli che
bevono sette volte più acqua al giorno per ogni kg di peso corporeo rispetto
alla media degli adulti (National Academy of Sciences, 1993)”.
E si conclude che:
“Esiste una sufficiente evidenza di carcinogenicità
nell’uomo per tutte le forme di asbesto. L’asbesto causa mesotelioma e cancro
di polmone, laringe ed ovaio. Una associazione positiva è stata anche osservata
per tutte le forme di asbesto con il cancro di faringe, stomaco e colon-retto.
Per il cancro del colon retto il gruppo di lavoro era equamente ripartito sul
fatto che le prove erano abbastanza forti da giustificare la classificazione
come sufficiente”.
L’affermazione secondo cui non “non esiste dunque
alcuna prova seria che l’ingestione di amianto sia pericolosa per la salute” ci
risulta del tutto inadeguata e ci chiediamo con quale “serietà” si possano
fornire rassicurazioni di questo tipo circa l’assenza di rischi per la salute
umana da ingestione di fibre di amianto, quando, all’interno dello stesso gruppo
di lavoro della IARC, la metà dei pareri era per considerare l’asbesto come
cancerogeno certo anche per il cancro del colon-retto.
Si invita pertanto a voler rettificare quanto
riportato nel comunicato in oggetto poiché non riteniamo ammissibile che informazioni
così delicate e che riguardano un bene essenziale per la salute pubblica quale
l’acqua siano fornite in modo tanto superficiale, basandosi su documenti
obsoleti e superati (vedi viceversa IARC 2012), rischiando di minare
ulteriormente la già scarsa fiducia che i cittadini hanno nelle Istituzioni.
Le evidenze sopra indicate sono sufficienti per far programmare
agli enti pubblici e ai gestori del servizio idrico la sostituzione di tutta
quella parte di tubazioni acquedottistiche realizzate in
cemento-amianto che, anche per le caratteristiche dell’acqua,
permettono che ci sia un inquinamento da fibre di amianto.
4 dicembre 2015
Piergiorgio Duca
Medicina Democratica Onlus
Roberto Romizi
Associazione Medici per l’Ambiente ISDE Italia
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To:
Sent:
Saturday, December 05, 2015 9:10 PM
Subject: VERTENZA NATUZZI:
NO AI LICENZIAMENTI
Nell’assemblea
dello scorso 30 novembre ad Altamura siamo stati delle buone Cassandre
anticipando che gli accordi stipulati tra FILLEA-CGIL, FILCA-CISL, FENEAL-UIL,
Natuzzi e Istituzioni pubbliche sono l’anticamera dei licenziamenti collettivi,
in quanto prevedono, per un cospicuo numero di lavoratori, la collocazione in Cassa
Integrazione Salari a zero per cessazione attività produttiva, che rappresenta,
per l’appunto, l’ultimo step prima della risoluzione dei rapporti di lavoro.
Detto,
fatto, l’azienda il 2 dicembre 2015, presso la sede della Confindustria di Bari,
ha confermato che persistono gli esuberi e, pertanto, dopo la fine del previsto
periodo di Cassa Integrazione, 365 lavoratori daranno l’addio alla Natuzzi.
Oltre, poi, ad aggiungere le solite manfrine in merito al “parsimonioso”
incentivo all’esodo e alla richiesta verso le istituzioni locali di collaborare
per un’eventuale ricollocazione dei licenziati in altre aziende.
Noi
come Unione Sindacale di Base, manifestando la nostra assoluta contrarietà a
questi diktat aziendali, avvallati dai sopra citati sindacati confederali,
ribadiamo che non lesineremo nessuna lotta e nessuno sforzo per opporci a
qualsiasi ipotesi di licenziamento. Per questo proponiamo, a tutti i lavoratori
e le lavoratrici della Natuzzi, l’apertura dello stato di agitazione e la
mobilitazione per la salvaguardia dei posti di lavoro, che mai nel tessuto
murgiano sono stati di primaria importanza come in questo momento.
Inoltre,
sollecitiamo i soggetti interessati ad aprire, concretamente, una riflessione
sullo sviluppo e futuro del territorio in questione, che verta sugli opportuni
investimenti per la difesa dei livelli occupazionali ed escluda i già visti e
ed abusati finanziamenti a pioggia verso famelici imprenditori di passaggio.
Unione
Sindacale di Base
Lavoro
Privato
Puglia
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To:
Sent:
Saturday, December 05, 2015 4:26 PM
Il 5 dicembre arriva San Nicolò.
Arrivano però anche i “Krampus” per castigare i bambini cattivi,
ma anche i cattivi maestri.
Più volte mi è toccato di intervenire
sullo scandalo dei corsi di formazione
alla sicurezza sul lavoro a partire dalle modalità di erogazione, la
loro organizzazione e gestione, il rilascio di crediti formativi.
Nel mirino sempre, o quasi, associazioni
che vantano requisiti che spesso non hanno, millantando credito nei confronti
di soggetti privi di competenza specifica. Per non parlare di soggetti
formatori di dubbia professionalità, che vantano il fatto di essere “centri di formazione”. Insomma tutti
quelli che approfittando del mercato della formazione, ci si sono buttati a
pesce sperando di far cassa. Per non parlare di quegli organismi paritetici “di
comodo” che vantano una rappresentatività sulla base di accordi e contratti di
lavoro che nessuno riconosce ed applica.
L’esposizione Ambiente-Lavoro negli ultimi
anni è diventata purtroppo la vetrina privilegiata per questo tipo
di organizzazioni, senza che nessuno riesca a contrastare questo indecente
mercato. Servirebbe un sussulto e uno scatto d’orgoglio, ma è cosa troppo
grande per chi da questo modo di fare è abituato a trarre profitto anche a
fronte di un apparato legislativo, regolamentare e amministrativo, incapace di
farvi fronte.
Oggi però non voglio riprendere i miei interventi
sul blog, ma segnalare quanto hanno scritto a tal proposito Riccardo
Borghetto e Sebastiano Calleri.
No crediti? ahi ahi ahi!
Scrive Riccardo:
“Quello che sto
vedendo in questi anni è veramente incredibile, e quello che è più incredibile
è che non se ne parla, probabilmente perché moltissimi, associazioni di
categoria e dei professionisti tra questi, hanno grossi problemi di conflitto
di interessi. Organi di vigilanza e procure mi sembra non stiano facendo un
efficace lavoro di prevenzione.
Cerco di
elencare i casi che ho personalmente riscontrato e che mi sono stati raccontati
da colleghi.
1. Corsi di formazione erogati da soggetti che non hanno i requisiti per poterlo fare;
1. Corsi di formazione erogati da soggetti che non hanno i requisiti per poterlo fare;
2. Corsi di
formazione con attestazione sbagliata;
3. Corsi in
modalità e-learning non consentita;
4. Corsi in
spregio all’Accordo Stato-Regioni del 22/02/12;
5. Corsi mai
effettuati con attestati perfetti;
6. Docenti e
istruttori senza requisiti di legge.
Mi riferisco
soprattutto a situazioni per le quali è necessario l’accreditamento regionale.
Vi sono migliaia di centri di formazione, spesso costituiti da una singola
persona docente, che essendo esclusi dalle norme di legge o Accordi Stato-Regioni,
acquistano attestati da soggetti che possiedono tali requisiti (spesso però in una sola Regione e non in tutte visto che l’accreditamento
è regionale). Contrattualmente si
fregiano del concetto di diretta emanazione del centro con cui operano, che
nella pratica sta a significare vendita di attestati. A mio avviso la
collaborazione dovrebbe avvenire vendendo docenza come normalmente si fa tra un
professionista e un ente di formazione. Qui accade il contrario. E’ l’ente di
formazione che vende gli attestati al docente (che si fregia del titolo
di direttore del centro di formazione quando non c’è nessun centro e nessuno da
dirigere).
Sempre al punto
1. ci sono altre varianti, come quello di docenti/centri di formazione senza requisiti
che comperano attestati non da associazioni ma da enti accreditati, senza che
questi abbiano svolto le relative procedure deliberate dalla Regione. Per
svolgere corsi sotto accreditamento infatti è necessario rispettare precise
procedure definite dalla Regione.
C’è un’ulteriore
variante al punto 1, ancora più incredibile, ove la vendita degli attestati
viene effettuata da presunti enti datoriali o enti bilaterali non
rappresentativi, costituiti da pochissimo, talvolta nascondendo interessi
commerciali di aziende, anche questi sprovvisti dei requisiti di legge
Lo scrivente ha
ricevuto più volte la proposta di acquisto di pacchetti di attestati a costo
decrescente in funzione del numero...”
Per quanto all’intervento di Riccardo mi
fermo qui, limitandomi ad indicare gli altri punti toccati nella sua
denuncia:
“Nella recente
Fiera Ambiente e Lavoro di Bologna, alcuni degli stand più costosi erano proprio
quelli di enti o associazioni che hanno fatto della vendita di attestati il
loro business, vanificando del tutto lo spirito delle recenti norme di legge
che volevano formazione di qualità erogata da pochi soggetti qualificati.
Auspico una
seria riflessione e un passo indietro per le associazioni, almeno quelle che
pretendono di essere serie, e un atto di denuncia nei confronti di tutte le
situazioni di palese violazione delle norme”.
Sullo stesso tema, con una altrettanto
efficace denuncia, è intervenuto Sebastiano Calleri.
Anche il suo intervento prende le mosse
dalla recente edizione bolognese di Ambiente-Lavoro. Ve ne propongo una parte.
Scrive Calleri:
“Si è appena
chiusa a Bologna l’annuale fiera Ambiente e lavoro, e il tema della formazione
in salute e sicurezza anche stavolta è stato al centro di molte (troppe)
iniziative e discussioni. Bene ha fatto la Consulta Interassociativa Italiana per la Prevenzione
(CIIP), con una lettera documentata e circostanziata, a denunciare gli abusi o
le vere e proprie illegalità che si perpetrano in questo campo a opera di operatori
scorretti e fin troppo tollerati”.
Bene, finalmente due denunce
circostanziate che segnalano situazioni “border line” quando non
illegittime.
Ecco allora uno stralcio della lettera
aperta/denuncia della CIIP dal titolo: “Le
criticità della formazione in materia di Salute e sicurezza sul Lavoro – Sorveglianza
pubblica del mercato”:
“In questi anni
si è potuto constatare che si sono sviluppate ampie zone di elusione e/o
evasione degli obblighi nomativi relativi alla formazione, con il frequente
ricorso a soluzioni di mera apparenza, il rilascio di attestati formativi di
comodo e/o al seguito di procedure meramente burocratiche e prive di contenuti
reali, con docenze affidate a formatori non qualificati e la vendita di corsi
in formazione a distanza privi dei requisiti di legge, spesso anche di
contenuti pertinenti, tali da configurare vere fattispecie di truffa ai danni
degli utenti.
Tali anomalie
hanno potuto svilupparsi proprio a causa della mancanza o della inadeguatezza dei
controlli che hanno consentito il dilagare di situazioni illegali.
Il frequente e
sistematico ricorso a tali metodi illeciti e inefficaci da parte di Aziende
talvolta prive di scrupoli, ma più spesso in buona fede, ma raggirate da
operatori scorretti, comporta l’ulteriore conseguenza di rendere difficoltoso
lo svolgimento delle attività di formazione di qualità da parte degli operatori
qualificati, non competitivi in termini di tempi, criteri e modalità di
erogazione della formazione stessa”.
Bene, direte voi. L’ho pensato anch’io ma,
per curiosità sono andato a vedere da chi è composta la CIIP e chi rappresenta. Ecco
qua.
“La Consulta
Interassociativa Italiana per la
Prevenzione (CIIP) è una associazione nata nel 1990 per
volontà di alcune tra le più rappresentative Associazioni professionali e
scientifiche che operano nei settori della medicina del lavoro, dell’igiene
industriale, della prevenzione ambientale, della sicurezza del prodotto e dell’ergonomia.
Si pone oggi come uno strumento per l’integrazione delle conoscenze e l’armonizzazione
delle risposte alle problematiche della prevenzione e della sicurezza dei
lavoratori. CIIP rappresenta circa 15.000 operatori ed esperti del settore;
possiede tutte le migliori competenze ed esperienze da mettere a disposizione
dei professionisti associati, di tutti i lavoratori, nonché dei consumatori,
del mondo delle imprese e delle istituzioni”.
Sono andato anche a vedere quali sono le
associazioni che aderiscono e la domanda sorge spontanea: “Sono certi, quelli della
CIIP, che tra i firmatari della dura reprimenda contro i corsi taroccati, i
falsi enti formatori, le scuole di formazione (1 uomo = 1 scuola), il mercato
dei corsi e degli attestati...non via siano anche associazioni aderenti alla
stessa CIIP?”.
“Chi è senza
peccato scagli la prima pietra”, si potrebbe
dire. Ma non temete, non verrà scagliato nessun sasso e tutto proseguirà anche
per il futuro nella totale e assoluta indifferenza.
Per leggere per intero il pezzo di
Riccardo Borghetto:
http://www.lisaservizi.it/blog/truffe-extravergine-e-formazione-sicurezza
Per leggere il pezzo di Sebastiano Calleri:
Per leggere il pezzo di Sebastiano Calleri:
Per la lettera della CIIP:
Per leggere i miei post precedenti sul
tema:
A BOLOGNA, A BOLOGNA: Cacciatori di crediti o
cacciatori di competenze?
E’ la sicurezza sul lavoro che non conosce crisi:
Franco
Mugliari alias Muglia La Furia
mail: fmuglia@tin.it
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