INDICE
Rete Nazionale Sicurezza bastamortesullavoro@gmail.com
ILVA TARANTO: NESSUN PROVVEDIMENTO PER LA SICUREZZA
Medicina Democratica segreteria@medicinademocratica.org
ISCRIZIONI 2016 MEDICINA DEMOCRATICA ONLUS
La Città Futura info@lacittafutura.it
A POLETTI LE OTTO ORE SEMBRAN POCHE
Posta
Resistenze posta@resistenze.org
VERSO IL DOMINIO DELLE MULTINAZIONALI GLOBALI
Voci della
Memoria info@vocidellamemoria.org
CAMMINIAMO
DOMANDANDO
Slai Cobas per il Sindacato di Classe slaicobasta@gmail.com
PROCESSO ILVA: SI RICOMINCIA DALL’INIZIO
Davide Hanau
hanaudavide@yahoo.it
RAVENNA: AL MARE INVECE CHE IN UFFICIO, ARRESTATI
DUE ISPETTORI DEL LAVORO
Assemblea 29 Giugno assemblea29giugno@gmail.com
ALLA “LEOPOLDA” DI FIRENZE PER DIRE “NO ALLA PRESCRIZIONE PER
VIAREGGIO!”
Stefano Ghio procomto@libero.it
LA SENTENZA
SOLVAY: UNA VERGOGNA SENZA PARI
MicroMega kwdirect@newsletter.kataweb.it
ILVA, UNA STRAGE DI STATO IMPUNITA E SENZA
FINE
LA SENTENZA SOLVAY DI ALESSANDRIA E’ VERGOGNOSA
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From: Rete Nazionale Sicurezza bastamortesullavoro@gmail.com
To:
Sent: Wednesday, December 09, 2015 8:34 AM
Subject: ILVA TARANTO: NESSUN PROVVEDIMENTO PER LA SICUREZZA
COMUNICATO: UN ALTRO INFORTUNIO, PER FORTUNA NON
MORTALE.
Ma è chiaro che non si fa all’ILVA alcun intervento di controllo e prevenzione.
Per questo si deve pretendere una postazione ispettiva fissa in ILVA!
Su questo il Governo e il Ministero, che fanno Decreti per salvare l’ILVA non fanno neanche mezzo provvedimento d’emergenza.
Ma i lavoratori e tutte le rappresentanze sindacali che si dicano tali DEVONO PRETENDERLO!
Lo Slai Cobas ILVA
Appalto ha già chiarito la sua posizione e, non appena la forza e il consenso
operaio ce lo consentirà, questa fabbrica tornerà in lotta, ma per davvero.
Via i commissari
nominati da Renzi, incapaci e responsabili!
Messa in sicurezza innanzitutto della vita, del lavoro e della salute
operaia e cittadina.
Postazione
ispettiva permanente nella fabbrica, sotto il controllo degli operai.
Nessun ritardo dell’Autorizzazione
Integrata Ambientale
9 dicembre 2015
Slai Cobas per il Sindacato
di Classe
ILVA Appalto
e-mail: slaicobasta@gmail.com
cellulare: 347 53 01
704
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From: Medicina Democratica segreteria@medicinademocratica.org
To:
Sent: Thursday, December 10, 2015 12:06 AM
Subject: ISCRIZIONI 2016 MEDICINA DEMOCRATICA ONLUS
Sono aperte le iscrizioni per l’anno 2016 a Medicina Democratica Onlus. Nell’articolo che segue, è indicato chi è e cosa fa la nostra associazione, i motivi per cui iscriversi e le modalità.
La nostra associazione vive attraverso la partecipazione di tutte le iscritte e di tutti gli iscritti.
Come associarsi (iscriversi) a Medicina Democratica Onlus.
Per sapere chi e’ medicina democratica onlus e cosa
fa andate al link:
Per aiutarci e partecipare attivamente alla vita
dell’Associazione puoi associarti (iscriverti).
E’ possibile associarsi (iscriversi) a Medicina Democratica
Onlus scaricando e compilando la domanda che trovate ai link indicati e inviandola firmata in originale a:
Medicina Democratica Onlus
via dei Carracci,2
20149 Milano
oppure
consegnandola a uno dei referenti locali di Medicina Democratica.
Consigliamo comunque di compilare il form on-line
con i vostri dati a questa pagina per velocizzare la comunicazione della stessa
domanda:
E’ anche possibile inviare la domanda via fax al
numero 178 227 59 93.
La quota annuale
associativa è differenziata per permettere la più ampia adesione anche alle
categorie deboli. Vi ricordiamo, comunque, che la nostra Associazione si basa
esclusivamente su entrate derivanti dalle quote di iscrizione annuali, dalla
quota derivante dal 5 per mille e un numero limitato di sottoscrizioni e che,
nonostante il lavoro per la vita dell’ Associazione sia fornito gratuitamente
da soli volontari, esistono comunque delle spese vive che devono essere
sostenute (in particolar modo relative alle spese legali per i processi in
corso in cui Medicina Democratica Onlus si è costituita ed è stata accolta come
parte civile per la tutela della salute).
Le forme
associative sono le seguenti:
-
Socio ordinario, quota annuale pari a 35,00
euro, tale
quota è comprensiva dell’invio della rivista nella sua attuale versione
cartacea per il medesimo periodo (anno solare 2016);
-
Socio Sostenitore, quota annuale pari a 50,00
euro, comprensiva dell’invio della rivista nella sua attuale versione cartacea
per il medesimo periodo (anno solare 2016);
-
Socio a Quota Ridotta, quota annuale
pari a 10,00 euro,
comprensiva della messa a
disposizione su file degli articoli della rivista con invio alla e-mail
indicata all’atto della iscrizione. questa forma associativa è
rivolta solo alle persone che lo
richiedano e che documentino il loro status di appartenenti
alle categorie maggiormente svantaggiate, ovvero disoccupati, cassintegrati,
esodati, lavoratori con contratti “precari” (cosiddetta “Legge Biagi”);
questa quota ridotta viene estesa anche ai soci della Associazione Italiana Esposti
Amianto, per la comunanza delle iniziative condotte assieme
alla nostra associazione.
La quota può essere versata
-
con
bonifico bancario: codice IBAN IT 48 U0 55 84 01 70
80 00 00 00 18 273, intestato a Medicina Democratica Onlus;
-
con
bollettino di conto corrente postale: codice CCP 1016620211, intestato
a Medicina Democratica Onlus;
-
con bonifico su conto corrente postale: IBAN IT 02 K 07601 10800 001016620211,
intestato a Medicina Democratica Onlus;
oppure facendo
riferimento ai responsabili delle nostre sezioni locali ove presenti sui
territori (per info manda una mail all’indirizzo segreteria@medicinademocratica.org)
Una volta ottenuti
i vostri dati, compilando e sottoscrivendo la domanda, che potete scaricare al
link:
e verificata la
regolarizzazione della quota sociale, otterrete come ricevuta la tessera virtuale
all’indirizzo e-mail da voi indicato.
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From: La Città Futura info@lacittafutura.it
To:
Sent: Thursday, December 10, 2015 10:42 AM
Subject: A POLETTI LE OTTO ORE SEMBRAN POCHE
Il Poletti-pensiero di questa settimana probabilmente si può riassumere così: “studiare tanto, e soprattutto farlo bene, vuol dire solo perdere tempo”. L’importante è prendere questo benedetto pezzo di carta, che dia niente di più che conoscenze immediatamente spendibili per trovare un lavoro da svolgere ovunque ti trovi, a qualunque orario, senza sapere quanto guadagni esattamente.
Secondo il Ministro
del Lavoro, bisogna partecipare in maniera attiva e responsabile all’attività
aziendale e alla produzione del valore, attraverso un lavoro da considerare
semplicemente un’attività umana, che si può fare in mille posti.
Evidentemente, a
Poletti “otto ore gli sembran poche”. E se la sintesi è corretta, è normale,
dopo averla letta, sentirsi un po’ nei panni di Cipputi.
Il tentativo di
mistificare il quotidiano sfruttamento con romanticherie quali “il lavoro è un’attività
umana”, che perciò “si può fare in mille posti”, non riesce a nascondere i
riferimenti a un lavoro basato sul cottimo e in condizioni peggiori di quelle
classiche.
Certo, il Ministro
Poletti ha provato a correggere il tiro. Alla Luiss aveva invitato i
ricercatori a studiare il tema del superamento del contratto di lavoro basato
sull’orario di lavoro, da sostituire con un altro che abbia come riferimento “la
misura dell’apporto dell’opera”; pochi giorni dopo, davanti ai giornalisti,
Poletti afferma di non riferirsi al cottimo ma a una “partecipazione attiva e
responsabile del lavoratore alla propria attività di lavoro, alla produzione
del valore e dell’opera che realizza”.
Il linguaggio si è
fatto più aulico, ma il senso rimane intatto: il salario del lavoratore deve
essere legato al suo rendimento.
Quanto è distante
il senso delle affermazioni di Poletti, da quelle del presidente di
Confindustria, Giorgio Squinzi che parla di salario legato alla produttività ed
alla flessibilità?
Cos’ha di diverso l’idea
del Ministro del Lavoro, rispetto a quella di Marchionne di salario legato agli
obiettivi aziendali? Le risposte, ovviamente, sono scontate: non c’è differenza.
Non a caso il
presidente di Federmeccanica, Fabio Storchi si dice “pienamente d’accordo con
il ministro Poletti” e auspica che si possano “riformulare, insieme al
sindacato, i profili professionali adeguandoli all’oggi, nel contempo
adegueremo questi livelli ai dei minimi salariali di garanzia; questi minimi di
garanzia saranno poi adeguati in azienda”.
Non è difficile
immaginare affinità tra queste formulazioni e quelle di CGIL, CISL e UIL, che
dopo il vertice del 25 novembre hanno parlato di “sperimentazione di nuovi
livelli di partecipazione delle lavoratrici e dei lavoratori al governo dei
processi produttivi aziendali”.
I fautori di questo
modello giustificano tale necessità con il fatto che la tecnologia oggi
permette questo passaggio qualitativo, che consentirebbe a ognuno maggiore
indipendenza e autonomia. Non a caso lo stesso Poletti, nel correggere il tiro
sul contratto sganciato dall’orario di lavoro, ha affermato di avere “un’idea
molto positiva della tecnologia e dell’innovazione e molte aziende hanno già
portato avanti contratti con queste modalità di organizzazione del lavoro”.
Il dramma è che
Poletti ha descritto una realtà che in parte già esiste e che si sta
consolidando in varie forme dell’organizzazione del lavoro. Il tema, ora, è
generalizzare questo approccio proiettato a un’intensificazione dello
sfruttamento e farlo accettare nella sua forma occultata.
Dal lavoratore del
call center a quello della logisitca, dall’operaio in fabbrica al lavoratore
con la finta partita IVA, fino anche ai lavoratori della scuola, tutti stanno
sperimentando sulla propria pelle, seppure in forme diverse, la sostanza del
lavoro basato sulla cosiddetta “partecipazione”.
Che non investe
solo la sfera del compenso, ma anche l’organizzazione del lavoro. Perché per
quanto si voglia addolcire la pillola con un linguaggio mistificatorio, oltre
il velo della “partecipazione” rimane intatta la gerarchia e il comando
padronale sull’organizzazione del lavoro. Anzi, sono accresciuti per l’imposizione
di una flessibilità che travalica le mura dei luoghi di lavoro e investe la
vita dei lavoratori che devono essere sempre più disponibili, anche fino a 24
ore per 7 giorni.
Non è forse questa
la direzione assunta in stabilimenti FCA organizzati su 18 turni di lavoro e l’aumento
degli straordinari comandati? E nel terziario, l’ipotesi di Poletti non è già
per molti versi realizzata? E gli accordi sulla produttività, l’articolo 8
della manovra di Ferragosto 2011 che permette deroghe a contratti e leggi, lo
stesso Testo Unico sulla rappresentanza, non subordinano forse i diritti dei
lavoratori agli obiettivi aziendali?
E’ insomma questa
la forma di organizzazione del lavoro che il capitale sta adottando. Non sarà
sufficiente limitare i danni, difendere qualche diritto ancora non cancellato,
contestare un provvedimento del governo o anche fare uno sciopero per non
peggiorare le condizioni di lavoro in una fabbrica. Bisognerà fare anche quelle
cose, certo, ma la risposta a questa riorganizzazione del lavoro va trovata sul
tentativo di erodere al capitale il controllo sulla produzione.
Vuol dire condurre
una lotta di classe? Sì, proprio questo.
E non basterà a ciò
costituire a tavolino o nelle aule parlamentari un nuovo soggetto politico
genericamente di sinistra. Sarà necessario tentare di rimettere insieme pezzi
di movimenti antagonisti al capitale, per organizzare un nuovo blocco sociale
che abbia un progetto ed un programma antiliberista e anticapitalista.
di Carmine Tomeo
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From: Posta
Resistenze posta@resistenze.org
To:
Sent: Thursday, December 10,
2015 1:10 AM
Subject: VERSO IL DOMINIO DELLE MULTINAZIONALI GLOBALI
Di Prabhat Patnaik
Traduzione a
cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
Gli Stati
Uniti stanno mettendo in piedi una nuova architettura di dominio delle imprese
multinazionali globali attraverso una serie di trattati sugli investimenti che
stanno attualmente negoziando con diversi paesi. Quando tutti questi accordi
avranno efficacia precettiva, l’estensione della loro giurisdizione coprirà
oltre l’80 per cento del PIL mondiale, praticamente l’intera economia mondiale.
Questi trattati includono una serie di Trattati Bilaterali sugli Investimenti
(BITs), il Trattato Transatlantico di Partenariato per lo scambio e gli
investimenti (TTIP) e il Partenariato Trans Pacifico (TPP). Dal momento che l’India
viene spinta a entrare in tale struttura, diventa per noi importante studiare
con cura questa architettura globale.
Ci sono,
allo stato, tre significative caratteristiche in questi trattati. Di queste, la
più significativa è la cosiddetta clausola ISDS (Investor-State Dispute
Settlement), vale a dire il meccanismo di risoluzione delle controversie tra
Stati ed investitori. Secondo tale dispositivo, un investitore privato può
chiamare in giudizio uno Stato sovrano di fronte ad un tribunale arbitrale
privato. Lo Stato sovrano, in altre parole, rinuncia al suo diritto di agire
liberamente per il pubblico interesse limitando l’operatività di un investitore
straniero. Nel caso in cui invece faccia ciò, potrebbe essere chiamato in
giudizio non in un tribunale all’interno del suo ordinamento e istituito
secondo la sua Costituzione, ma si vedrebbe invece convenuto avanti ad una
corte arbitrale privata istituita secondo il trattato in questione, dalla quale
potrebbe essere diffidato a “tutelare” quell’investitore privato dall’invasione
di potere dello Stato.
Vediamo cosa
significhi. In India, nei primi anni settanta, fu approvata una legge
regolatrice degli scambi con l’estero (Foreign Exchange Regulation Act - FERA)
che imponeva una serie di restrizioni alle imprese straniere. Se l’India fosse
stata a quel tempo vincolata da un tale tipo di trattato, le imprese straniere
avrebbero potuto citare il Governo avanti ad una corte arbitrale privata con
giurisdizione al di sopra dello Stato ed al di sopra della Costituzione, per
contestare che una tale legge limitava indebitamente le loro prerogative; ed
avrebbero probabilmente vinto la causa. Altrettanto probabilmente, per timore
di una tale probabile sconfitta, il Governo non avrebbe mai osato approvare una
legge come il FERA, perché lo avrebbe considerato inutile.
Ne consegue
pertanto che ogni governo successivo all’entrata in vigore di tale trattato,
verrà vincolato da ciò che il precedente governo ha firmato; e la corte che
deciderà sull’appropriatezza di ogni azione del governo successivo non sarà una
corte soggetta alla Costituzione di quel paese ed alla visione del pubblico
interesse profilata all’interno di tale Carta fondamentale (che potrebbe portare
ad una decisione in favore del governo sulla base del fatto che la sua azione è
finalizzata al pubblico interesse così come stabilito dalla Costituzione), ma
sarà invece una corte istituita all’interno del trattato. Un tale trattato
sugli investimenti non rappresenta quindi soltanto una grande limitazione della
sovranità dello Stato-nazione, ma ostacola in linea di principio la capacità dello Stato di adempiere al
suo mandato Costituzionale.
Non c’è
bisogno di dire che un tale trattato costituisce una grande violazione al
principio di sovranità ed autodeterminazione dei popoli che è il fondamento
della democrazia. I popoli possono eleggere un governo incaricandolo di
intraprendere misure tese a migliorare le difficoltà economiche, ma quel
governo sarà impossibilitato a prendere qualsivoglia misura se questa incide in
qualche modo sugli interessi di un investitore straniero; ed è difficile
immaginare una qualche misura economica significativa che non abbia alcun
effetto - immediatamente o potenzialmente - sugli investitori stranieri.
Persino la redistribuzione della terra sarà vincolata da questo trattato, dal
momento che potrebbe comportare l’esproprio di porzioni di terreno possedute da
investitori stranieri o potrebbe potenzialmente inibire a questi ultimi l’accesso
al possesso della terra.
Indebolendo
la possibilità di autodeterminazione democratica dei popoli, nessuna
restrizione potrà essere così posta sotto l’ala protettiva dello Stato e dei
suoi interessi, cosa che è sempre stata fonte di preoccupazione per gli
investitori stranieri. Intrappolare lo Stato nel vortice della finanza
globalizzata è sempre stato un modo ovvio per assicurarsi contro queste
eventualità; ogni Stato che intraprendesse misure contro gli investitori
stranieri correva il rischio della fuga dei loro capitali. Ma questa misura di
salvaguardia non sembra essere sufficiente per i capitalisti stranieri, va
ricordato che quando nel 2004 fu sfiduciato il governo Vajpayee, il Wall Street
Journal aveva commentato che la decisione di scegliere un governo non dovrebbe
essere affidata solamente all’elettorato di un paese, ma anche all’intero corpo
dei gruppi di interesse economico presenti in quel paese, inclusi gli
investitori stranieri. Questi trattati, promossi dagli Stati Uniti, sono volti
ad assicurare che anche se l’elettorato scegliesse un nuovo governo, gli
investitori stranieri sarebbero isolati da ogni possibile effetto negativo di
tale cambiamento.
La seconda
caratteristica di questi trattati è che se per avventura il governo
espropriasse beni degli investitori stranieri, esso sarebbe tenuto a dare “immediato,
adeguato ed effettivo” risarcimento. I trattati di solito specificano che tale
risarcimento deve essere valutato al prevalente prezzo di mercato, e non
solamente riferito ad un equo indennizzo. Anche se l’investitore straniero ha
ottenuto all’origine un pezzo di terra ad un prezzo stracciato, se tale terreno
sarà espropriato dal governo, il risarcimento dovrà comunque essere a prezzo di
mercato.
Questo rende
assai difficile per il governo acquisire terre o beni, dal momento che non
dispone delle risorse necessarie per pagare questo pesante tipo di
risarcimento. Espropriare delle piantagioni possedute da investitori stranieri
per redistribuirle a contadini senza terra diverrebbe per il momento
impossibile ad ogni nazione che ricada sotto il servaggio di un tale trattato,
dal momento che le risorse finanziarie necessarie per un tale indennizzo sono
inaccessibili al governo.
Inoltre,
qualsiasi redistribuzione di ricchezza, per sua definizione, significa la
requisizione dei beni di qualcuno al fine di ridistribuire questa ricchezza ad
altri. Ciò significa in altre parole una riduzione
del patrimonio di qualcuno per l’aumento
dei patrimoni di altri. Se qualsiasi procedura di esproprio deve essere
accompagnata da un indennizzo di natura risarcitoria ai prezzi attuali di
mercato, non vi è nessuna riduzione
del patrimonio dell’espropriato, ma solamente un mutamento della forma
patrimoniale da lui posseduta: un bene posseduto nella forma di terreno viene
meramente convertito in moneta senza che alcuna riduzione del suo valore sia
sofferta dall’espropriato. La redistribuzione di ricchezza viene in sostanza
messa fuori gioco, almeno per quel che riguarda i capitali stranieri, in
qualsiasi stato firmatario di un tale trattato.
La terza
caratteristica di questo tipo di trattati, che per il momento caratterizza il
Trattato Trans Pacifico, è che gli investitori stranieri dovrebbero essere
trattati alla pari con gli investitori nazionali in ogni settore, anche in
materia di proprietà dei terreni e delle risorse minerarie di un paese. Dal
momento che il termine “investitori nazionali” qui include anche gli
imprenditori del settore pubblico, questo significa che ogni sforzo di
promuovere l’autonomia economica, privilegiando le unità del settore pubblico
viene dichiarato illegittimo dai trattati. Un paese non può preferire la
tecnologia sviluppata al suo interno se interferisce con gli interessi dell’investitore
straniero; non può acquisire l’autonomia tecnologica; non può fare alcun sforzo
per proteggere il proprio cambio limitato, il rimpatrio dei dividendi percepiti
dai soci di un’impresa straniera, o degli interessi pagati ai creditori
stranieri, o del pagamento delle royalties e e dei canoni alla società madre da
parte della filiale operante nel paese.
Dato per
assodato che il mondo è già caratterizzato da un controllo monopolistico della
tecnologia da parte dei paesi a capitalismo avanzato, che vi è la tendenza da
parte dei ricchi delle periferie a spostare la loro ricchezza nei grandi
territori metropolitani, che vi è una enorme diseguaglianza dei rapporti di
forza tra i paesi metropolitani da una parte e le periferie del mondo dall’altra,
ciò che la la stipula di tali trattati significa in pratiche è che la dicotomia
tra questi due segmenti del mondo sarà perpetuata.
I trattati
che stanno imponendo gli Stati Uniti su una serie di paesi del terzo mondo,
insistendo sulla parità di trattamento
tra investitori stranieri e nazionali, in pratica servono oggi a perpetuare la disparità esistente tra i due
segmenti del mondo.
Il capitale
necessita, nello spazio in cui opera, del supporto e della protezione dello
Stato. Quando il capitale opera a livello globale, necessita a sua volta di una
protezione globale. Ma gli Stati-Nazione quali singoli e da soli non sono in
grado di provvedere a questa protezione globale. Anche il più potente degli
Stati-Nazione, gli Stati Uniti d’America, non è in condizioni di assicurare una
simile protezione, poiché ciò comporterebbe l’impiego di elevati livelli di
manodopera e risorse in tutto il mondo, cosa che è restio a fare. E non c’è
nessun Stato Nazione all’orizzonte, né un consorzio di paesi capitalisti
avanzati, che può giocare il ruolo di garante del capitale globale. Inoltre,
anche se esistesse un tale consorzio, richiederebbe per i suoi scopi un
apparato di istituzioni ed una cornice di regole condivise all’interno delle
quali potrebbe operare.
I trattati
di investimento promossi dagli Stati Uniti sono volti alla creazione di un tale
apparato; essi rappresentano una transizione all’insediamento di istituzioni
sovranazionali che possano servire le necessità del capitale globale
offrendogli protezione in ogni
luogo in cui operi. Ciò che va notato è comunque il fatto che queste non sono istituzioni derivanti da un
consorzio di Stati Nazione (come per ora è il caso della Corte
Internazionale di Giustizia); queste sono istituzioni private. Non stiamo in altre parole assistendo alla
transizione verso la fondazione di istituzioni
governative al di sopra degli stati nazionali; stiamo assistendo,
attraverso questi trattati, al debutto di istituzioni sovranazionali private. La globalizzazione del
capitale genera oggi una tendenza verso il dominio dell’impresa privata
multinazionale.
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From: Voci
della Memoria info@vocidellamemoria.org
To:
Sent: Friday, December 11,
2015 8:24 AM
Subject: CAMMINIAMO DOMANDANDO
Car* tutt*,
sabato
21 Novembre si è svolta una riunione plenaria del Direttivo di Voci finalizzata
alla valutazione dell’attività svolta quest’anno ma, più che concentrarsi
meramente sull’analisi del bilancio del “fatto” rispetto al “programmato”, c’è
stata l’esigenza di approfondire le modalità di partecipazione di ognuno di noi
ai progetti realizzati sino ad ora.
Abbiamo
discusso lungamente e serenamente e ognuno di noi ha contribuito alla
riflessione portando la propria sensibilità e il proprio punto di vista.
Ci
si è voluti chiedere, con estrema onestà, su quali forze possa contare Voci a
oggi e quali strade siano ipotizzabili per il futuro.
Le
risposte che ci siamo dati sono state sincere e sofferte.
Allo
stato attuale Voci, inteso come gruppo di lavoro baluardo di valori e battaglie
che i più hanno voluto abbandonare o dimenticare, sta esaurendo la sua forza
vitale.
Pur
convinti che Voci abbia giocato un importantissimo ruolo in molte battaglie di
giustizia combattute sul nostro territorio e che molte sarebbero ancora da
portare avanti, non possiamo immaginare un futuro che si sviluppi sulle spalle
dei soli componenti dell’attuale Direttivo e con le modalità attuali.
Un’associazione
che conta più di 100 iscritti non può demandare l’intero suo operato a un gruppo
di sole 8 persone.
Per
questo motivo abbiamo voluto rendervi partecipi delle nostre riflessioni,
perché ognuno le faccia proprie e risponda a una semplice domanda: cos’è Voci
per me?
Se
la risposta è “un’idea che va sostenuta e a cui sono affezionato”, “una voce
fuori dal coro che deve continuare ad esprimersi”, allora il binario da
percorrere è quello dello scioglimento.
Noi
abbiamo bisogno che la risposta sia diversa, che la risposta di ognuno dei
nostri iscritti sia che Voci è lo strumento attraverso il quale dare più forza
alla propria azione, che Voci sia “vostra”, che sia vissuta da ogni suo
iscritto, che sia un luogo dove incontrarsi e discutere e crescere come
persone.
Per
questo ci sentiamo di chiedervi se siete disposti a invertire la tendenza, se siete
disposti a investire tempo e non denaro per sostenere Voci, mantenendo fermo il
principio fondamentale che ognuno dia per quello che sono le proprie
attitudini. C’è chi può aiutare distribuendo locandine, chi progettando
manifesti, chi facendo ricerche sul web, chi allestendo uno spazio, chi
partecipando alle iniziative...
Vogliamo
che la distanza che si è creata tra il gruppo operativo e il resto degli
associati si annulli. Vogliamo che ognuno dei nostri tesserati faccia parte del
gruppo operativo. Per favorire l’inclusione, l’ingresso di nuove forze, abbiamo
dovuto ripercorrere gli errori fatti finora e trovare alternative a quegli
schemi.
Abbiamo
così deciso di adoperarci per individuare una sede cittadina dove incontrarsi
due volte al mese per non più di un’ora, fornendo a Voci uno spazio e dei tempi
per intessere o cementare i rapporti personali tra i suoi iscritti.
Vorremmo
che la comunicazione all’interno di Voci fosse meno legata ai sistemi
informatici e più personale, che le parole di Voci diventassero facce.
Ci
siamo dati una scadenza per valutare la risposta che avremo da voi.
Un
tempo breve perché una situazione così difficile e delicata ha bisogno di
risposte forti e rapide.
Vi
chiediamo di risponderci, di dimostrarci che Voci può continuare ad esistere
forte della collaborazione di ognuno.
Pamela
e il direttivo di Voci tutto.
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From: Slai Cobas
per il Sindacato di Classe slaicobasta@gmail.com
To:
Sent:
Friday, December 11, 2015 12:36 PM
Subject: PROCESSO ILVA: SI RICOMINCIA DALL’INIZIO
PROCESSO ILVA: SI RICOMINCIA DALL’INIZIO
DOPO LA TRAGEDIA PER FAVORE RISPARMIATECI LA
FARSA
Con rabbia e indignazione i 120 operai ILVA, i
lavoratori e operatori del cimitero San Brunone, i cittadini di Tamburi e Paolo
VI, autorganizzati come parti civili dallo Slai Cobas Taranto e patrocinati dai
legali di Torino Bonetto, Vitale, Pellegrin e dai legali di Taranto Silvestre,
Lamanna hanno accolto la notizia proveniente dal Tribunale/SARAM del ritorno
del processo al GUP.
Non ci pare possibile che per un cavillo legale
si debba ricominciare tutto da capo e fare quindi di questo maxi-processo un
maxi-scandalo delle lungaggini della giustizia e della impunità dei
responsabili di morti e disastro ambientale per il profitto.
E’ possibile che ci sia una volontà di non
arrivare fino in fondo al processo e che dietro vi siano padroni, politici,
governo che da sempre hanno ostacolato il lavoro dei magistrati?
Certamente non intendiamo scoraggiarci e facciamo
appello a tutti i lavoratori e cittadini a comprendere l’importanza storica e
pratica del processo che abbiamo sempre segnalato e comprendano che senza la
partecipazione popolare nessuno avrà giustizia né i morti né i vivi e l’ILVA da
tragedia si trasformerà in farsa.
Slai Cobas per il Sindacato di Classe
via rintone 22 taranto
Telefono: 347 53 01 704
E-mail: slaicobasta@gmail.com
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From: Davide Hanau hanaudavide@yahoo.it
To:
Sent: Saturday, December 12,
2015 4:46 PM
Subject: RAVENNA: AL MARE INVECE CHE IN UFFICIO, ARRESTATI
DUE ISPETTORI DEL LAVORO
Ciao,
già che sono pochi e con pochi
mezzi, ecco cosa fanno gli ispettori del lavoro...
Davide
RAVENNA: AL MARE INVECE CHE IN UFFICIO, ARRESTATI
DUE ISPETTORI DEL LAVORO
I
due sono accusati di truffa ai danni dello Stato e corruzione: avvisavano i
gestori dei locali prima dei controlli
10 dicembre 2015
RAVENNA
I carabinieri di Ravenna hanno arrestato
due dipendenti dell’Agenzia del lavoro per truffa aggravata ai danni dello Stato.
Si tratta di un 59enne originario di Tramonti (Salerno) ma residente a Ravenna e
un 43enne nato a Forlì ma residente a Lugo, nel Ravennate. Il primo è
responsabile dell’ufficio ispettivo della direzione Provinciale del Lavoro e l’altro
è addetto alle pratiche ispettive. Si trovano ora entrambi in carcere.
Secondo quanto esposto dal Procuratore
Capo Alessandro Mancini, che coordina le indagini assieme al Pubblico Ministero
titolare del fascicolo Angela Scorza, i due, tramite il badge, si sarebbero più
volte spacciati al lavoro quando invece erano impegnati in attività personali.
Nella lista figurano escursioni
al mare, visite in centri estetici, giri in bicicletta, lavori di ristrutturazione
casa e altri impegni professionali non legati all’attività ispettiva.
Sono anche accusati di
corruzione continuata e di rivelazione di segreti d’ufficio per avere avvisato
in anticipo i titolare di alcuni locali della riviera di imminenti controlli in
modo da permettere loro di regolarizzare in extremis lavoratori impiegati in
nero. Il tutto in cambio di regalie e assunzioni di amici.
L’indagine, battezzata “Black
job” e portata avanti dai carabinieri del Reparto Operativo e del Nucleo
Ispettorato del Lavoro tramite intercettazioni e pedinamenti, era scattata a
settembre da esposto anonimo. Tra gli indagati a piede libero figurano almeno cinque
o sei titolari di locali. Sono in corso accertamenti sull’uso del badge di
altri ispettori del Lavoro.
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From: Assemblea
29 Giugno assemblea29giugno@gmail.com
To:
Sent:
Sunday, December 13, 2015 10:34 PM
Subject: ALLA “LEOPOLDA”
DI FIRENZE PER DIRE “NO
ALLA PRESCRIZIONE PER VIAREGGIO!”
I familiari
delle 32 Vittime della strage ferroviaria di Viareggio avevano chiesto di
intervenire alla Leopolda a Firenze. Oggi, domenica 13 dicembre, hanno promosso
un presidio per dire “NO alla prescrizione per Viareggio!”.
Naturalmente
la richiesta di intervento è rimasta lettera morta. Nessuno del gruppo
dirigente del PD, del governo e delle istituzioni, è venuto a salutarli.
Diversi “esseri”
(aggiungere umani è pleonastico) hanno rifiutato il volantino diffuso dai
familiari con le foto dei propri cari al collo, come avviene da sei anni.
Questi soggetti, neppure si rendono conto che il primo danno lo hanno
commesso nei confronti del proprio segretario di Partito e del proprio Governo
(Renzi), oltre a compiere un atto disumano e offensivo nei confronti dei
familiari e delle 32 Vittime.
Assemblea 29
giugno, come da sei anni, anche oggi, ha sostenuto e partecipato all’iniziativa
dei familiari, ininterrottamente dalle ore 09.00 alle ore 15.00.
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Monday, December 14, 2015 10:06 PM
Subject: LA SENTENZA SOLVAY: UNA VERGOGNA
SENZA PARI
E’ molto
difficile, per chi ha seguito tutto l’iter di questo processo, dare un senso a
quanto successo lunedì 14 dicembre nell’aula di Corte di Assise del Palazzo di
Giustizia di Alessandria.
Un gruppo di
giudici (in parte togati, in parte civili) guidati dalla dottoressa Sandra
Capacci, presidente del Tribunale, ha letteralmente fatto a pezzi quattro anni
di indagini e tre di udienze.
Se ne sono
rese conto le persone che affollavano, al momento della lettura del
dispositivo, la piccola aula; in quel momento è calato un silenzio a metà tra l’incredulo
e l’indignato: nessuno ha avuto la forza di urlare la propria protesta contro
quanto appena ascoltato.
Il collegio
giudicante è riuscito nell’impresa, invero assai ardua se si valutano le
semplici risultanze dibattimentali, di derubricare il reato da “disastro ambientale
doloso” a “colposo”.
Durante le
testimonianze è venuto fuori, in modo indiscutibile, che le varie aziende che
si sono succedute nel polo chimico di Spinetta Marengo (Montedison, Enimont,
Solvay) sono decenni che interrano fusti di materiale contenente cromo al di
sotto del terreno dove sorge l’azienda.
A chi scrive
risulta assai arduo credere che, chi si comporta in questo modo, possa non
rendersi conto che, così facendo, potrebbe causare l’inquinamento della falda
acquifera sottostante lo stabilimento.
Tant’è, la
presidente e i suoi collaboratori hanno accolto in pieno le assurde pretese
della difesa dei padroni avvelenatori: così facendo hanno partorito un vero
mostro giuridico.
I tre
maggiori dirigenti imputati, Carlo Cogliati (per il quale il Pubblico Ministero
Riccardo Ghio aveva chiesto la condanna a anni 18 di reclusione), Bernard De
Laguiche (anni 18) e Pierre Jacques Joris (anni 18), sono stati assolti dai
reati a loro ascritti “per non aver commesso il fatto”, mentre per Giulio
Tommasi (anni 10) ha ordinato “il non luogo a procedere per intervenuta
prescrizione”.
Alla fine
gli unici ad essere condannati (se così si può dire) ad 2 anni e 6 mesi
ciascuno, sono stati i pesci piccoli: Salvatore Francesco Boncoraglio (richiesti
15 anni e 6 mesi), Luigi Guarracino (richiesti 15 anni e 6 mesi), Giorgio
Carimati (richiesti 16 anni e 9 mesi) e Giorgio Canti (richiesti 15 anni e 6 mesi).
Va infine
detto che i rei dovranno risarcire alcune parti civili per un ammontare che
definire ridicolo è un eufemismo (si va da un minimo di diecimila a un massimo
di cinquantamila euro), oltre alla rifusione delle spese di costituzione.
Stefano Ghio
Rete
sicurezza Alessandria/Genova
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Tuesday, December 15, 2015 2:05 PM
Subject: ILVA, UNA STRAGE DI STATO IMPUNITA E SENZA FINE
Mentre
Peacelink ha appena presentato un ennesimo dossier sui veleni emessi dallo
stabilimento siderurgico tarantino, governo, Confindustria e una gran fetta d’imprenditori
e stampa italiana continuano a sposare la causa dell’ILVA, dando per scontata l’immolazione
di altre centinaia di morti e malati.
Il
2016 sarà l’anno della ripresa per il mercato europeo dell’acciaio. Le
previsioni degli esperti dicono che la produzione in Italia crescerà del 10,5%.
Ma affinché questo avvenga, spiega Stefano Ferrari direttore di Siderweb, “è
necessario che l’ILVA di Taranto torni almeno sui 6,5 milioni di tonnellate
rispetto ai 4,5 milioni prodotti quest’anno”.
Si.
Accade anche questo. Accade che il governo, Confindustria e una gran fetta d’imprenditori
e stampa italiana possano ancora sposare la causa dell’ILVA e dell’importanza
della produzione, dando per scontata l’immolazione di altre centinaia di morti
e malati.
Accade
che si affermi che a Taranto tutto è sotto controllo, mentre Peacelink ha
appena presentato l’ennesimo importante dossier sui picchi di idrocarburi
policiclici aromatici (IPA), pericolosi inquinanti, emessi in aria dallo
stabilimento siderurgico e che, soprattutto durante i giorni di vento,
investono drammaticamente la città.
Peacelink
ha chiesto alle istituzioni di procedere con un’ordinanza di chiusura delle
cockerie, nei giorni in cui il vento proviene da nord-nord ovest, quando cioè
le sostanze cancerogene provenienti dal siderurgico (il 99 % degli IPA
proverrebbero dall’ILVA) si posano come un mantello nero su tutta la superficie
della città. L’Associazione monitora la qualità dell’aria a Taranto da tempo,
riuscendo a misurare il particolato sottile che sfugge ai controlli
istituzionali e che, una volta entrato nei polmoni e nei tessuti umani, può
generare malattie gravissime, soprattutto nei momenti di estrema concentrazione
come è il caso dei giorni di vento, i “wind days”.
E’
quindi davvero tutto “sotto controllo” se addirittura la ASL ha nei giorni
scorsi invitato il sindaco Stefàno a emanare una serie di raccomandazioni utili
per minimizzare l’esposizione della popolazione ai terribili inquinanti? Il
Dipartimento di Prevenzione della ASL stessa ha stilato un documento dal titolo
“Misure cautelative in occasione di possibili criticità dello stato di qualità
dell’aria a Taranto”. Nel documento si legge che “i principali problemi di
salute connessi all’inquinamento atmosferico sono legati soprattutto ai livelli
di PM10 e ai relativi inquinanti cancerogeni adsorbiti, come il benzo(a)pirene,
che sono strettamente correlati alle attività produttive dello stabilimento ILVA”.
Seguono
poi i consigli pratici.
Quando
il rischio di respirare PM10 è alto viene consigliato alla popolazione di non
fare attività all’aria aperta e di aprire le finestre solo tra le ore 12 e le
ore 18. Quando invece il rischio è molto alto o eccezionale “si consiglia di
evitare attività̀ fisiche intense e prolungate all’aperto e di rimanere il più
possibile in ambienti chiusi, in particolare per i soggetti a rischio”.
I
consigli alla popolazione sono stati elaborati sulla base dei dati rilevati
dall’ARPA attraverso la rete di centraline di monitoraggio della qualità dell’aria,
nel periodo 2010-2015.
Un
coprifuoco, insomma. Che finalmente mette in chiaro che le istituzioni sanno e
conoscono il pericolo, che la situazione di Taranto è molto grave e che
inaccettabile è il ruolo del governo.
Il
Ministro dell’Ambiente che, da Parigi, dove si tiene la conferenza sul clima “COP21”,
dichiara che questa settimana si faranno passi decisivi in favore dell’ambiente,
sa dove è Taranto? Sa che Taranto è una città devastata dall’inquinamento e
dalla vergognosa assenza delle istituzioni? Ha forse parlato di Taranto al COP21?
Il
Ministro della Sanità come fa a ignorare ancora il dramma che si svolge a poche
centinaia di chilometri da Roma e dai palazzi del potere? In un altro paese,
dopo la pubblicazione del documento della ASL, il Ministro si sarebbe dimesso.
Senza ombra di dubbio.
Anni
di avvelenamento consapevole di persone, ambiente, generazioni future, nell’omertà
e nella negazione le più totali.
Perché
è stata un’associazione ancora una volta a lanciare l’allarme? E perché mentre ARPA
e ASL finalmente escono allo scoperto il governo sta cercando di vendere l’ILVA
e per far questo, o per far credere di farlo, stanzia 300 milioni che non
andranno di certo alla inesistente messa a norma ambientale?
Il
nuovo decreto per l’ILVA, il nono della serie, prevedrebbe infatti un nuovo
slittamento della data finale per i lavori di adeguamento ambientale e in più
la possibilità, per chi acquisterà lo stabilimento, di cambiare il piano
ambientale stesso, modificandone ulteriormente profili, date, scadenze, ecc.
rispetto all’attuale che non in ogni caso non è mai stato realizzato.
Il
Sottosegretario De Vincenti parla di dare un futuro stabile, definitivo al
siderurgico. Mentre il Ministro dell’Ambiente afferma che il posticipo del
termine di realizzazione del piano ambientale dal 4 agosto al 31 dicembre 2016
è dovuto al fatto che l’aggiudicatario avrà “il diritto” di apportare modifiche
al piano ambientale stesso. Quale diritto?
E’
quindi aperta la caccia all’investitore.
La
situazione é disperata, le perdite sono in aumento e il governo, che sperava
nel tesoretto dei Riva (gli 1,2 miliardi che non sono stati fatti tornare in Italia,
ma che resteranno in Svizzera fino alla fine del processo “Ambiente Svenduto”),
non sa come pagare creditori e stipendi.
La
nuova società (Newco) che doveva essere costituita nella primavera scorsa con l’apporto
d’investitori è rimasta sulla carta. Così si cerca di prendere tempo, di far
credere di nuovo ai capitali stranieri, di tentare l’impossibile.
Bondi,
Gnudi, i consulenti di Mckinsey, Guerra, una sfilza di commissari,
sottocommissari, esperti e uomini di fiducia, ma mai una dirigenza che fosse
davvero esperta di acciaio e di ambiente. Una serie di manovre per prendere
tempo, per non risolvere, tenendo in bilico il sacrosanto diritto dei Tarantini
alla salute e alla vita, rischiando la pelle degli operai. E’ recente il
luttuoso evento che ha interessato l’operaio Cosimo Martucci.
Il
Consiglio dei Ministri, con l’ennesimo decreto, il nono, modifica ancora una
volta le carte in tavola, arrogandosi il diritto di infliggere ancora malattia
e morte.
Lo
stabilimento opera nell’illegalità totale, una sorta di regime in cui le leggi
italiane ed europee non solo non sono rispettate, ma vengono di continuo
disinnescate e circuite dal governo stesso.
Nel
frattempo la maledizione dell’ILVA sembra aver colpito ancora. Terzo stop per
il processo “Ambiente svenduto”, già rinviato due volte, la prima per un’omessa
notifica e l’altra per lo sciopero dei penalisti.
Quello
che è accaduto ieri però è ben grave e fa tornare indietro l’intero processo
all’udienza preliminare, a causa di un errore nel verbale del 23 luglio scorso
quando all’udienza, assenti dieci avvocati, lì dove doveva essere indicato il
legale in sostituzione, è stato lasciato un fatale rigo bianco. Un motivo
talmente ridicolo, ma capace di far crollare un intero procedimento.
Adesso
dovrà essere un nuovo GUP a decidere se mandare a processo gli imputati o meno.
Si dovrà stabilire di nuovo se le accuse di associazione a delinquere, disastro
ambientale, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele
contro gli infortuni, contestate a componenti della famiglia Riva, a direttori
e dirigenti dello stabilimento, a politici ed amministratori, saranno
confermate o meno.
Sembra
che il potere dello Stato, in tutte le sue manifestazioni, riesca ancora una
volta a vincerla.
A
questo punto, gli imputati potranno avvalersi della legge eco-reati approvata
di recente, che rende non punibili i reati commessi con un’autorizzazione?
Perché chi ha operato, lo ha fatto non “abusivamente”, ma seguendo le norme,
almeno sulla carta. Poiché l’ILVA produce inquinando, ma produce con una
regolare autorizzazione ambientale.
Oppure
si punta semplicemente alla prescrizione dei reati stessi?
di Antonia Battaglia
10 dicembre 2015
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Wednesday, December 16, 2015 5:20 PM
Subject: LA
SENTENZA SOLVAY DI ALESSANDRIA E’ VERGOGNOSA
Si è concluso il processo alla Solvay di Spinetta Marengo (Alessandria).
Laura Mara, avvocato di Medicina Democratica (alla quale va il plauso per l’impegno
e la competenza, purtroppo isolati in mezzo alla torma degli altri avvocati di
parte civile) ha rilasciato ai giornali il 14 dicembre la seguente
dichiarazione sulla sentenza:
“C’è soddisfazione per il
risultato raggiunto, perché il verdetto dimostra che l’impianto dell’accusa non
era infondato, ha retto anche se non nella forma dolosa inizialmente
contestata. Attendiamo le motivazioni per capire perché siano state escluse
alcune parti civili, mentre siamo soddisfatti per il risarcimento delle altre”.
In evidente contrasto con Laura Mara, la Sezione provinciale di Medicina Democratica
di Alessandria ha invece valutato vergognosa la sentenza, come potete leggere
nei comunicati stampa seguenti.
COMUNICATO STAMPA DEL 14 DICEMBRE
DELUDENTE E PREOCCUPANTE LA SENTENZA SOLVAY DI SPINETTA MARENGO
E’ giustamente collocata fra le tante nel libro “Ambiente Delitto
Perfetto”. Cosa potevi aspettarti di più da Alessandria rispetto alla consolidata
giustizia in materia ambientale in Italia? Nulla. Nulla di nuovo tra Tanaro e
Bormida: confermerebbe Umberto Eco.
La sentenza del processo Solvay di Spinetta Marengo è deludente e
preoccupante. Deludente per le parti civili vittime dell’ecocidio che esigeva
condanne e risarcimenti severi. Preoccupante per gli abitanti della Fraschetta,
consapevoli che soltanto una costosissima bonifica del territorio potrà
scongiurare un futuro di indagini epidemiologiche con sempre più morti e
malattie.
Deludente e preoccupante anche per le innumerevoli comunità italiane
che proprio dalla Magistratura di Alessandria attendevano una coraggiosa
inversione di tendenza alle sentenze (Eternit, Thyssenkrupp, Bussi, ecc.) che
hanno scandalizzato l’universo ecologista e aperto un vasto dibattito sulla
Giustizia in materia ambientale per la loro sostanziale impunità tramite la
derubricazione dei reati dal pesante dolo alla lieve colpa e le prescrizioni,
per non dire delle assoluzioni. Tutte le aspettative, deluse ad Alessandria,
ruotavano attorno all’ormai famoso articolo 439 del Codice Penale che condanna
la consapevolezza del delitto contro la collettività, il dolo appunto: “Chiunque
avvelena acque destinate all’alimentazione, prima che siano attinte o
distribuite per consumo, è punito con la reclusione non inferiore a...”. Da 10
a 18 anni ha chiesto il Pubblico Ministero per gli 8 imputati. E non un paio di
anni, quasi prescritti, come per aver attraversato con il rosso. Sono infatti
almeno 21 le sostanze tossiche e cancerogene prima scaricate di nascosto in
falda e poi addirittura omesse di bonifica. Una bonifica che necessiterebbe un
risarcimento miliardario.
Gli occhi del mondo penale e ambientalista sono rimasti per 7 anni
puntati sul Tribunale di Alessandria, 3 anni in Corte di Assise, dove la
battaglia in campo dottrinale è stata esaltata dagli enormi interessi economici
in gioco, in vista di una sentenza di possibile portata storica in campo
giudiziario. In questi 7 anni, invece, gli occhi delle vittime hanno pianto testimoniando
in aula e non pochi si sono nel frattempo spenti in attesa di giustizia. Noi,
che in Tribunale ci siamo battuti più di ogni altro, possiamo dire che oggi i
più deboli hanno ottenuto giustizia? Non possiamo. Lo lasciamo dire agli
avvocati, come ai politici che alle elezioni vincono tutti. Nell’aula campeggia
la fatidica scritta “La legge è uguale per tutti” che altrimenti interpretò
Raffaele Guariniello: “Sono stato nella Magistratura per decenni e ho cercato
di fare il bene dei più deboli”.
Medicina democratica Movimento di lotta per la salute Sezione
provinciale di Alessandria
COMUNICATO STAMPA DEL 15 DICEMBRE
Alcuni articoli giornalistici hanno riportato correttamente il parere del
legale di Medicina Democratica, Laura Mara, ma trascurato, quando non ignorato,
il contemporaneo comunicato stampa della Sezione provinciale di Alessandria che
sulla sentenza Solvay esprime considerazioni difformi da quelle dell’avvocato,
e che sono quelle che contano per l’Associazione. Ingiusta, deludente e
preoccupante sentenza. Opportunamente collocata fra le tante (Eternit, Thyssenkrupp,
Bussi, ecc.) nel nostro libro “Ambiente Delitto Perfetto” a definire che “non
esiste giustizia in campo ambientale”, con tanta pace per innumerevoli comunità
italiane che proprio dalla Magistratura di Alessandria attendevano una
coraggiosa inversione di tendenza ai processi che hanno scandalizzato l’universo
ecologista per la loro sostanziale impunità tramite la derubricazione dei reati
dal pesante dolo alla lieve colpa e le prescrizioni, per non dire delle
assoluzioni.
Ad Alessandria, dopo la melina di 7 anni di udienze, contiamo 4 assolti
su 8 imputati (38 iniziali). Condanne di 2 anni e 6 mesi invece che di 18,
risarcimenti in proporzione, ma perfino a chi (Comune, Provincia ecc.) si
merita tutt’altro. Bonifica nel libro dei sogni. La bomba ecologica di Spinetta
Marengo equiparata...ad incidente per attraversamento con il rosso. Non dolo
cosciente ma involontarietà della colpa. Facile la prescrizione. I potenti
vertici assolti: estranei al disastro ambientale e all’omessa bonifica. I
condannati: non ne erano consapevoli... anche se avevano cercato di nasconderne
le prove (con i vertici). Le tonnellate di prove provate del Pubblico Ministero:
carta staccia.
Vittime della sentenza: le parti civili morte e ammalate, gli abitanti
inquinati del territorio, il mondo ambientalista disarmato. Vittima la
Giustizia insomma, che, per essere “uguale per tutti” dovrebbe, per citare
Guariniello, cercare di fare il bene per i più deboli.
Medicina democratica Movimento di lotta per la salute Sezione provinciale
di Alessandria.
INTERVENTO
DEL 16 DICEMBRE.
La goccia
che ha fatto traboccare il vaso al (l’ex) responsabile di Medicina Democratica.
Con coerenza
di 40 anni di attivismo senza eguali, in merito al processo Solvay, Medicina Democratica
ha scritto tantissimo, sul blog di udienza in udienza e sul libro “Ambiente
Delitto Perfetto”, e infine ha criticato pesantemente la sentenza della Corte
di Assise di Alessandria.
Mi si
consenta di aggiungere, credo di meritarlo per la mia lunga storia, una
considerazione del tutto personale. Io non ho bisogno di attendere il deposito
delle motivazioni della sentenza per esprimere un giudizio. Tra 90 giorni
saranno parole, parole ben articolate per giustificarla.
Io conosco
invece i fatti, e da almeno 30 anni prima del processo. Fatti che conoscono
tutti, anche grazie alle mie denunce, ma soprattutto per esperienza, dai
lavoratori che lottavano per portare a casa la pelle, ai cittadini di Spinetta
Marengo che non hanno bisogno della conferma delle indagini epidemiologiche, ma
anche dai giornalisti che non pubblicano le denunce, dai giudici che hanno
ignorato le denunce, dagli amministratori pubblici complici degli enormi
inquinamenti (e anche concussi secondo Solvay).
Fatti e non
giochi di parole giudiziari. Fatti che ho meticolosamente elencato nella mia
lunga testimonianza al processo. Fatti che nella melina di 7 anni di
dibattimenti sono comunque emersi chiaramente come prove dalla mole di
documentazioni e intercettazioni prodotte dal Pubblico Ministero: macigni che
la sentenza ha affondato.
Se penso che
il presidente Ausimont-Solvay è stato assolto per non aver commesso il fatto,
cioè non conosceva l’avvelenamento della falda benché mi avesse licenziato
proprio per averlo accusato di averla avvelenata... Se penso che pure il
successivo presidente Solvay ne era al corrente se non altro tramite una mia
lettera pubblicata anche su tutti i giornali... Se penso che gli unici 4
condannati di avvelenamento l’avrebbero comunque procurato involontariamente,
per colpa e non per dolo... Se penso ai risarcimenti irrisori per le vittime e
agli altri assurdi...
Se ci penso,
ebbene, non dovrei dirlo, proprio io che i tribunali (di Milano) più volte
dalle rappresaglie mi hanno salvato il posto di lavoro e la vita, ma sono
arrivato al punto che non ho più la minima fiducia nella Giustizia. Se penso
poi che non ci sarà vera bonifica del territorio della Fraschetta, né dell’acqua
né dell’aria, alle malattie e alle morti...
Fortunatamente
avevo già comunicato al nostro congresso che non sarei più stato dal prossimo
anno responsabile della sezione provinciale di Medicina Democratica.
Lino Balza
Messaggio di
pace e salute inviato a destinatari da Lino Balza
via Dante 86,
15121 Alessandria
Telefono:
347 01 82 679
Medicina
Democratica - Movimento di Lotta per la Salute onlus
via dei
Carracci 2, 20100 Milano
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