venerdì 18 dicembre 2015

18 dicembre - Da Marco Spezia: SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! “LETTERE DAL FRONTE” DEL 17/12/15



INDICE

Rete Nazionale Sicurezza bastamortesullavoro@gmail.com
ILVA TARANTO: NESSUN PROVVEDIMENTO PER LA SICUREZZA

ISCRIZIONI 2016 MEDICINA DEMOCRATICA ONLUS

La Città Futura info@lacittafutura.it
A POLETTI LE OTTO ORE SEMBRAN POCHE

Posta Resistenze posta@resistenze.org
VERSO IL DOMINIO DELLE MULTINAZIONALI GLOBALI

Voci della Memoria info@vocidellamemoria.org
CAMMINIAMO DOMANDANDO

Slai Cobas per il Sindacato di Classe slaicobasta@gmail.com
PROCESSO ILVA: SI RICOMINCIA DALL’INIZIO

Davide Hanau hanaudavide@yahoo.it
RAVENNA: AL MARE INVECE CHE IN UFFICIO, ARRESTATI DUE ISPETTORI DEL LAVORO

Assemblea 29 Giugno assemblea29giugno@gmail.com
ALLA “LEOPOLDA” DI FIRENZE PER DIRE “NO ALLA PRESCRIZIONE PER VIAREGGIO!”

Stefano Ghio procomto@libero.it
LA SENTENZA SOLVAY: UNA VERGOGNA SENZA PARI

ILVA, UNA STRAGE DI STATO IMPUNITA E SENZA FINE

LA SENTENZA SOLVAY DI ALESSANDRIA E’ VERGOGNOSA

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From: Rete Nazionale Sicurezza bastamortesullavoro@gmail.com
To:
Sent: Wednesday, December 09, 2015 8:34 AM
Subject: ILVA TARANTO: NESSUN PROVVEDIMENTO PER LA SICUREZZA

COMUNICATO: UN ALTRO INFORTUNIO, PER FORTUNA NON MORTALE.

Ma è chiaro che non si fa all’ILVA alcun intervento di controllo e prevenzione.

Per questo si deve pretendere una postazione ispettiva fissa in ILVA!

Su questo il Governo e il Ministero, che fanno Decreti per salvare l’ILVA non fanno neanche mezzo provvedimento d’emergenza.

Ma i lavoratori e tutte le rappresentanze sindacali che si dicano tali DEVONO PRETENDERLO!

Lo Slai Cobas ILVA Appalto ha già chiarito la sua posizione e, non appena la forza e il consenso operaio ce lo consentirà, questa fabbrica tornerà in lotta, ma per davvero.
Via i commissari nominati da Renzi, incapaci e responsabili!
Messa in sicurezza innanzitutto della vita, del lavoro e della salute operaia e cittadina.
Postazione ispettiva permanente nella fabbrica, sotto il controllo degli operai.
Nessun ritardo dell’Autorizzazione Integrata Ambientale

9 dicembre 2015
Slai Cobas per il Sindacato di Classe
ILVA Appalto
cellulare: 347 53 01 704

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From: Medicina Democratica segreteria@medicinademocratica.org
To:
Sent: Thursday, December 10, 2015 12:06 AM
Subject: ISCRIZIONI 2016 MEDICINA DEMOCRATICA ONLUS



Sono aperte le iscrizioni per l’anno 2016 a Medicina Democratica Onlus. Nell’articolo che segue, è indicato chi è e cosa fa la nostra associazione, i motivi per cui iscriversi e le modalità.

La nostra associazione vive attraverso la partecipazione di tutte le iscritte e di tutti gli iscritti.


Come associarsi (iscriversi) a Medicina Democratica Onlus.

Per sapere chi e’ medicina democratica onlus e cosa fa andate al link:
Per aiutarci e partecipare attivamente alla vita dell’Associazione puoi associarti (iscriverti).
E’ possibile associarsi (iscriversi) a Medicina Democratica Onlus scaricando e compilando la domanda che trovate ai link indicati e inviandola firmata in originale a:
Medicina Democratica Onlus
via dei Carracci,2
20149 Milano
oppure consegnandola a uno dei referenti locali di Medicina Democratica.
Consigliamo comunque di compilare il form on-line con i vostri dati a questa pagina per velocizzare la comunicazione della stessa domanda:
E’ anche possibile inviare la domanda via fax al numero 178 227 59 93.
La quota annuale associativa è differenziata per permettere la più ampia adesione anche alle categorie deboli. Vi ricordiamo, comunque, che la nostra Associazione si basa esclusivamente su entrate derivanti dalle quote di iscrizione annuali, dalla quota derivante dal 5 per mille e un numero limitato di sottoscrizioni e che, nonostante il lavoro per la vita dell’ Associazione sia fornito gratuitamente da soli volontari, esistono comunque delle spese vive che devono essere sostenute (in particolar modo relative alle spese legali per i processi in corso in cui Medicina Democratica Onlus si è costituita ed è stata accolta come parte civile per la tutela della salute).
Le forme associative sono le seguenti:
-         Socio ordinario, quota annuale pari a 35,00 euro, tale quota è comprensiva dell’invio della rivista nella sua attuale versione cartacea per il medesimo periodo (anno solare 2016);
-         Socio Sostenitore, quota annuale pari a 50,00 euro, comprensiva dell’invio della rivista nella sua attuale versione cartacea per il medesimo periodo (anno solare 2016);
-         Socio a Quota Ridotta, quota annuale pari a 10,00 euro, comprensiva della messa a disposizione su file degli articoli della rivista con invio alla e-mail indicata all’atto della iscrizione. questa forma associativa è rivolta solo alle persone che lo richiedano e che documentino il loro status di appartenenti alle categorie maggiormente svantaggiate, ovvero disoccupati, cassintegrati, esodati, lavoratori con contratti “precari” (cosiddetta “Legge Biagi”); questa quota ridotta viene estesa anche ai soci della Associazione Italiana Esposti Amianto, per la comunanza delle iniziative condotte assieme alla nostra associazione.
La quota può essere versata
-         con bonifico bancario: codice IBAN IT 48 U0 55 84 01 70 80 00 00 00 18 273, intestato a Medicina Democratica Onlus;
-         con bollettino di conto corrente postale: codice CCP 1016620211, intestato a Medicina Democratica Onlus;
-         con bonifico su conto corrente postale: IBAN IT 02 K 07601 10800 001016620211, intestato a Medicina Democratica Onlus;
oppure facendo riferimento ai responsabili delle nostre sezioni locali ove presenti sui territori (per info manda una mail all’indirizzo segreteria@medicinademocratica.org)
Una volta ottenuti i vostri dati, compilando e sottoscrivendo la domanda, che potete scaricare al link:
e verificata la regolarizzazione della quota sociale, otterrete come ricevuta la tessera virtuale all’indirizzo e-mail da voi indicato.

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From: La Città Futura info@lacittafutura.it
To:
Sent: Thursday, December 10, 2015 10:42 AM

Subject: A POLETTI LE OTTO ORE SEMBRAN POCHE

 

Il Poletti-pensiero di questa settimana probabilmente si può riassumere così: “studiare tanto, e soprattutto farlo bene, vuol dire solo perdere tempo”. L’importante è prendere questo benedetto pezzo di carta, che dia niente di più che conoscenze immediatamente spendibili per trovare un lavoro da svolgere ovunque ti trovi, a qualunque orario, senza sapere quanto guadagni esattamente.

Secondo il Ministro del Lavoro, bisogna partecipare in maniera attiva e responsabile all’attività aziendale e alla produzione del valore, attraverso un lavoro da considerare semplicemente un’attività umana, che si può fare in mille posti.
Evidentemente, a Poletti “otto ore gli sembran poche”. E se la sintesi è corretta, è normale, dopo averla letta, sentirsi un po’ nei panni di Cipputi.
Il tentativo di mistificare il quotidiano sfruttamento con romanticherie quali “il lavoro è un’attività umana”, che perciò “si può fare in mille posti”, non riesce a nascondere i riferimenti a un lavoro basato sul cottimo e in condizioni peggiori di quelle classiche.
Certo, il Ministro Poletti ha provato a correggere il tiro. Alla Luiss aveva invitato i ricercatori a studiare il tema del superamento del contratto di lavoro basato sull’orario di lavoro, da sostituire con un altro che abbia come riferimento “la misura dell’apporto dell’opera”; pochi giorni dopo, davanti ai giornalisti, Poletti afferma di non riferirsi al cottimo ma a una “partecipazione attiva e responsabile del lavoratore alla propria attività di lavoro, alla produzione del valore e dell’opera che realizza”.
Il linguaggio si è fatto più aulico, ma il senso rimane intatto: il salario del lavoratore deve essere legato al suo rendimento.
Quanto è distante il senso delle affermazioni di Poletti, da quelle del presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi che parla di salario legato alla produttività ed alla flessibilità?
Cos’ha di diverso l’idea del Ministro del Lavoro, rispetto a quella di Marchionne di salario legato agli obiettivi aziendali? Le risposte, ovviamente, sono scontate: non c’è differenza.
Non a caso il presidente di Federmeccanica, Fabio Storchi si dice “pienamente d’accordo con il ministro Poletti” e auspica che si possano “riformulare, insieme al sindacato, i profili professionali adeguandoli all’oggi, nel contempo adegueremo questi livelli ai dei minimi salariali di garanzia; questi minimi di garanzia saranno poi adeguati in azienda”.
Non è difficile immaginare affinità tra queste formulazioni e quelle di CGIL, CISL e UIL, che dopo il vertice del 25 novembre hanno parlato di “sperimentazione di nuovi livelli di partecipazione delle lavoratrici e dei lavoratori al governo dei processi produttivi aziendali”.
I fautori di questo modello giustificano tale necessità con il fatto che la tecnologia oggi permette questo passaggio qualitativo, che consentirebbe a ognuno maggiore indipendenza e autonomia. Non a caso lo stesso Poletti, nel correggere il tiro sul contratto sganciato dall’orario di lavoro, ha affermato di avere “un’idea molto positiva della tecnologia e dell’innovazione e molte aziende hanno già portato avanti contratti con queste modalità di organizzazione del lavoro”.
Il dramma è che Poletti ha descritto una realtà che in parte già esiste e che si sta consolidando in varie forme dell’organizzazione del lavoro. Il tema, ora, è generalizzare questo approccio proiettato a un’intensificazione dello sfruttamento e farlo accettare nella sua forma occultata.
Dal lavoratore del call center a quello della logisitca, dall’operaio in fabbrica al lavoratore con la finta partita IVA, fino anche ai lavoratori della scuola, tutti stanno sperimentando sulla propria pelle, seppure in forme diverse, la sostanza del lavoro basato sulla cosiddetta “partecipazione”.
Che non investe solo la sfera del compenso, ma anche l’organizzazione del lavoro. Perché per quanto si voglia addolcire la pillola con un linguaggio mistificatorio, oltre il velo della “partecipazione” rimane intatta la gerarchia e il comando padronale sull’organizzazione del lavoro. Anzi, sono accresciuti per l’imposizione di una flessibilità che travalica le mura dei luoghi di lavoro e investe la vita dei lavoratori che devono essere sempre più disponibili, anche fino a 24 ore per 7 giorni.
Non è forse questa la direzione assunta in stabilimenti FCA organizzati su 18 turni di lavoro e l’aumento degli straordinari comandati? E nel terziario, l’ipotesi di Poletti non è già per molti versi realizzata? E gli accordi sulla produttività, l’articolo 8 della manovra di Ferragosto 2011 che permette deroghe a contratti e leggi, lo stesso Testo Unico sulla rappresentanza, non subordinano forse i diritti dei lavoratori agli obiettivi aziendali?
E’ insomma questa la forma di organizzazione del lavoro che il capitale sta adottando. Non sarà sufficiente limitare i danni, difendere qualche diritto ancora non cancellato, contestare un provvedimento del governo o anche fare uno sciopero per non peggiorare le condizioni di lavoro in una fabbrica. Bisognerà fare anche quelle cose, certo, ma la risposta a questa riorganizzazione del lavoro va trovata sul tentativo di erodere al capitale il controllo sulla produzione.
Vuol dire condurre una lotta di classe? Sì, proprio questo.
E non basterà a ciò costituire a tavolino o nelle aule parlamentari un nuovo soggetto politico genericamente di sinistra. Sarà necessario tentare di rimettere insieme pezzi di movimenti antagonisti al capitale, per organizzare un nuovo blocco sociale che abbia un progetto ed un programma antiliberista e anticapitalista.
di Carmine Tomeo

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From: Posta Resistenze posta@resistenze.org
To:
Sent: Thursday, December 10, 2015 1:10 AM
Subject: VERSO IL DOMINIO DELLE MULTINAZIONALI GLOBALI

Di Prabhat Patnaik
Traduzione a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

Gli Stati Uniti stanno mettendo in piedi una nuova architettura di dominio delle imprese multinazionali globali attraverso una serie di trattati sugli investimenti che stanno attualmente negoziando con diversi paesi. Quando tutti questi accordi avranno efficacia precettiva, l’estensione della loro giurisdizione coprirà oltre l’80 per cento del PIL mondiale, praticamente l’intera economia mondiale. Questi trattati includono una serie di Trattati Bilaterali sugli Investimenti (BITs), il Trattato Transatlantico di Partenariato per lo scambio e gli investimenti (TTIP) e il Partenariato Trans Pacifico (TPP). Dal momento che l’India viene spinta a entrare in tale struttura, diventa per noi importante studiare con cura questa architettura globale.
Ci sono, allo stato, tre significative caratteristiche in questi trattati. Di queste, la più significativa è la cosiddetta clausola ISDS (Investor-State Dispute Settlement), vale a dire il meccanismo di risoluzione delle controversie tra Stati ed investitori. Secondo tale dispositivo, un investitore privato può chiamare in giudizio uno Stato sovrano di fronte ad un tribunale arbitrale privato. Lo Stato sovrano, in altre parole, rinuncia al suo diritto di agire liberamente per il pubblico interesse limitando l’operatività di un investitore straniero. Nel caso in cui invece faccia ciò, potrebbe essere chiamato in giudizio non in un tribunale all’interno del suo ordinamento e istituito secondo la sua Costituzione, ma si vedrebbe invece convenuto avanti ad una corte arbitrale privata istituita secondo il trattato in questione, dalla quale potrebbe essere diffidato a “tutelare” quell’investitore privato dall’invasione di potere dello Stato.
Vediamo cosa significhi. In India, nei primi anni settanta, fu approvata una legge regolatrice degli scambi con l’estero (Foreign Exchange Regulation Act - FERA) che imponeva una serie di restrizioni alle imprese straniere. Se l’India fosse stata a quel tempo vincolata da un tale tipo di trattato, le imprese straniere avrebbero potuto citare il Governo avanti ad una corte arbitrale privata con giurisdizione al di sopra dello Stato ed al di sopra della Costituzione, per contestare che una tale legge limitava indebitamente le loro prerogative; ed avrebbero probabilmente vinto la causa. Altrettanto probabilmente, per timore di una tale probabile sconfitta, il Governo non avrebbe mai osato approvare una legge come il FERA, perché lo avrebbe considerato inutile.
Ne consegue pertanto che ogni governo successivo all’entrata in vigore di tale trattato, verrà vincolato da ciò che il precedente governo ha firmato; e la corte che deciderà sull’appropriatezza di ogni azione del governo successivo non sarà una corte soggetta alla Costituzione di quel paese ed alla visione del pubblico interesse profilata all’interno di tale Carta fondamentale (che potrebbe portare ad una decisione in favore del governo sulla base del fatto che la sua azione è finalizzata al pubblico interesse così come stabilito dalla Costituzione), ma sarà invece una corte istituita all’interno del trattato. Un tale trattato sugli investimenti non rappresenta quindi soltanto una grande limitazione della sovranità dello Stato-nazione, ma ostacola in linea di principio la capacità dello Stato di adempiere al suo mandato Costituzionale.
Non c’è bisogno di dire che un tale trattato costituisce una grande violazione al principio di sovranità ed autodeterminazione dei popoli che è il fondamento della democrazia. I popoli possono eleggere un governo incaricandolo di intraprendere misure tese a migliorare le difficoltà economiche, ma quel governo sarà impossibilitato a prendere qualsivoglia misura se questa incide in qualche modo sugli interessi di un investitore straniero; ed è difficile immaginare una qualche misura economica significativa che non abbia alcun effetto - immediatamente o potenzialmente - sugli investitori stranieri. Persino la redistribuzione della terra sarà vincolata da questo trattato, dal momento che potrebbe comportare l’esproprio di porzioni di terreno possedute da investitori stranieri o potrebbe potenzialmente inibire a questi ultimi l’accesso al possesso della terra.
Indebolendo la possibilità di autodeterminazione democratica dei popoli, nessuna restrizione potrà essere così posta sotto l’ala protettiva dello Stato e dei suoi interessi, cosa che è sempre stata fonte di preoccupazione per gli investitori stranieri. Intrappolare lo Stato nel vortice della finanza globalizzata è sempre stato un modo ovvio per assicurarsi contro queste eventualità; ogni Stato che intraprendesse misure contro gli investitori stranieri correva il rischio della fuga dei loro capitali. Ma questa misura di salvaguardia non sembra essere sufficiente per i capitalisti stranieri, va ricordato che quando nel 2004 fu sfiduciato il governo Vajpayee, il Wall Street Journal aveva commentato che la decisione di scegliere un governo non dovrebbe essere affidata solamente all’elettorato di un paese, ma anche all’intero corpo dei gruppi di interesse economico presenti in quel paese, inclusi gli investitori stranieri. Questi trattati, promossi dagli Stati Uniti, sono volti ad assicurare che anche se l’elettorato scegliesse un nuovo governo, gli investitori stranieri sarebbero isolati da ogni possibile effetto negativo di tale cambiamento.
La seconda caratteristica di questi trattati è che se per avventura il governo espropriasse beni degli investitori stranieri, esso sarebbe tenuto a dare “immediato, adeguato ed effettivo” risarcimento. I trattati di solito specificano che tale risarcimento deve essere valutato al prevalente prezzo di mercato, e non solamente riferito ad un equo indennizzo. Anche se l’investitore straniero ha ottenuto all’origine un pezzo di terra ad un prezzo stracciato, se tale terreno sarà espropriato dal governo, il risarcimento dovrà comunque essere a prezzo di mercato.
Questo rende assai difficile per il governo acquisire terre o beni, dal momento che non dispone delle risorse necessarie per pagare questo pesante tipo di risarcimento. Espropriare delle piantagioni possedute da investitori stranieri per redistribuirle a contadini senza terra diverrebbe per il momento impossibile ad ogni nazione che ricada sotto il servaggio di un tale trattato, dal momento che le risorse finanziarie necessarie per un tale indennizzo sono inaccessibili al governo.
Inoltre, qualsiasi redistribuzione di ricchezza, per sua definizione, significa la requisizione dei beni di qualcuno al fine di ridistribuire questa ricchezza ad altri. Ciò significa in altre parole una riduzione del patrimonio di qualcuno per l’aumento dei patrimoni di altri. Se qualsiasi procedura di esproprio deve essere accompagnata da un indennizzo di natura risarcitoria ai prezzi attuali di mercato, non vi è nessuna riduzione del patrimonio dell’espropriato, ma solamente un mutamento della forma patrimoniale da lui posseduta: un bene posseduto nella forma di terreno viene meramente convertito in moneta senza che alcuna riduzione del suo valore sia sofferta dall’espropriato. La redistribuzione di ricchezza viene in sostanza messa fuori gioco, almeno per quel che riguarda i capitali stranieri, in qualsiasi stato firmatario di un tale trattato.
La terza caratteristica di questo tipo di trattati, che per il momento caratterizza il Trattato Trans Pacifico, è che gli investitori stranieri dovrebbero essere trattati alla pari con gli investitori nazionali in ogni settore, anche in materia di proprietà dei terreni e delle risorse minerarie di un paese. Dal momento che il termine “investitori nazionali” qui include anche gli imprenditori del settore pubblico, questo significa che ogni sforzo di promuovere l’autonomia economica, privilegiando le unità del settore pubblico viene dichiarato illegittimo dai trattati. Un paese non può preferire la tecnologia sviluppata al suo interno se interferisce con gli interessi dell’investitore straniero; non può acquisire l’autonomia tecnologica; non può fare alcun sforzo per proteggere il proprio cambio limitato, il rimpatrio dei dividendi percepiti dai soci di un’impresa straniera, o degli interessi pagati ai creditori stranieri, o del pagamento delle royalties e e dei canoni alla società madre da parte della filiale operante nel paese.
Dato per assodato che il mondo è già caratterizzato da un controllo monopolistico della tecnologia da parte dei paesi a capitalismo avanzato, che vi è la tendenza da parte dei ricchi delle periferie a spostare la loro ricchezza nei grandi territori metropolitani, che vi è una enorme diseguaglianza dei rapporti di forza tra i paesi metropolitani da una parte e le periferie del mondo dall’altra, ciò che la la stipula di tali trattati significa in pratiche è che la dicotomia tra questi due segmenti del mondo sarà perpetuata.
I trattati che stanno imponendo gli Stati Uniti su una serie di paesi del terzo mondo, insistendo sulla parità di trattamento tra investitori stranieri e nazionali, in pratica servono oggi a perpetuare la disparità esistente tra i due segmenti del mondo.
Il capitale necessita, nello spazio in cui opera, del supporto e della protezione dello Stato. Quando il capitale opera a livello globale, necessita a sua volta di una protezione globale. Ma gli Stati-Nazione quali singoli e da soli non sono in grado di provvedere a questa protezione globale. Anche il più potente degli Stati-Nazione, gli Stati Uniti d’America, non è in condizioni di assicurare una simile protezione, poiché ciò comporterebbe l’impiego di elevati livelli di manodopera e risorse in tutto il mondo, cosa che è restio a fare. E non c’è nessun Stato Nazione all’orizzonte, né un consorzio di paesi capitalisti avanzati, che può giocare il ruolo di garante del capitale globale. Inoltre, anche se esistesse un tale consorzio, richiederebbe per i suoi scopi un apparato di istituzioni ed una cornice di regole condivise all’interno delle quali potrebbe operare.
I trattati di investimento promossi dagli Stati Uniti sono volti alla creazione di un tale apparato; essi rappresentano una transizione all’insediamento di istituzioni sovranazionali che possano servire le necessità del capitale globale offrendogli protezione in ogni luogo in cui operi. Ciò che va notato è comunque il fatto che queste non sono istituzioni derivanti da un consorzio di Stati Nazione (come per ora è il caso della Corte Internazionale di Giustizia); queste sono istituzioni private. Non stiamo in altre parole assistendo alla transizione verso la fondazione di istituzioni governative al di sopra degli stati nazionali; stiamo assistendo, attraverso questi trattati, al debutto di istituzioni sovranazionali private. La globalizzazione del capitale genera oggi una tendenza verso il dominio dell’impresa privata multinazionale.

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From: Voci della Memoria info@vocidellamemoria.org
To:
Sent: Friday, December 11, 2015 8:24 AM
Subject: CAMMINIAMO DOMANDANDO

Car* tutt*,
sabato 21 Novembre si è svolta una riunione plenaria del Direttivo di Voci finalizzata alla valutazione dell’attività svolta quest’anno ma, più che concentrarsi meramente sull’analisi del bilancio del “fatto” rispetto al “programmato”, c’è stata l’esigenza di approfondire le modalità di partecipazione di ognuno di noi ai progetti realizzati sino ad ora.
Abbiamo discusso lungamente e serenamente e ognuno di noi ha contribuito alla riflessione portando la propria sensibilità e il proprio punto di vista.
Ci si è voluti chiedere, con estrema onestà, su quali forze possa contare Voci a oggi e quali strade siano ipotizzabili per il futuro.
Le risposte che ci siamo dati sono state sincere e sofferte.
Allo stato attuale Voci, inteso come gruppo di lavoro baluardo di valori e battaglie che i più hanno voluto abbandonare o dimenticare, sta esaurendo la sua forza vitale.
Pur convinti che Voci abbia giocato un importantissimo ruolo in molte battaglie di giustizia combattute sul nostro territorio e che molte sarebbero ancora da portare avanti, non possiamo immaginare un futuro che si sviluppi sulle spalle dei soli componenti dell’attuale Direttivo e con le modalità attuali.
Un’associazione che conta più di 100 iscritti non può demandare l’intero suo operato a un gruppo di sole 8 persone.
Per questo motivo abbiamo voluto rendervi partecipi delle nostre riflessioni, perché ognuno le faccia proprie e risponda a una semplice domanda: cos’è Voci per me?
Se la risposta è “un’idea che va sostenuta e a cui sono affezionato”, “una voce fuori dal coro che deve continuare ad esprimersi”, allora il binario da percorrere è quello dello scioglimento.
Noi abbiamo bisogno che la risposta sia diversa, che la risposta di ognuno dei nostri iscritti sia che Voci è lo strumento attraverso il quale dare più forza alla propria azione, che Voci sia “vostra”, che sia vissuta da ogni suo iscritto, che sia un luogo dove incontrarsi e discutere e crescere come persone.
Per questo ci sentiamo di chiedervi se siete disposti a invertire la tendenza, se siete disposti a investire tempo e non denaro per sostenere Voci, mantenendo fermo il principio fondamentale che ognuno dia per quello che sono le proprie attitudini. C’è chi può aiutare distribuendo locandine, chi progettando manifesti, chi facendo ricerche sul web, chi allestendo uno spazio, chi partecipando alle iniziative...
Vogliamo che la distanza che si è creata tra il gruppo operativo e il resto degli associati si annulli. Vogliamo che ognuno dei nostri tesserati faccia parte del gruppo operativo. Per favorire l’inclusione, l’ingresso di nuove forze, abbiamo dovuto ripercorrere gli errori fatti finora e trovare alternative a quegli schemi.
Abbiamo così deciso di adoperarci per individuare una sede cittadina dove incontrarsi due volte al mese per non più di un’ora, fornendo a Voci uno spazio e dei tempi per intessere o cementare i rapporti personali tra i suoi iscritti.
Vorremmo che la comunicazione all’interno di Voci fosse meno legata ai sistemi informatici e più personale, che le parole di Voci diventassero facce.
Ci siamo dati una scadenza per valutare la risposta che avremo da voi.
Un tempo breve perché una situazione così difficile e delicata ha bisogno di risposte forti e rapide.
Vi chiediamo di risponderci, di dimostrarci che Voci può continuare ad esistere forte della collaborazione di ognuno.
Pamela e il direttivo di Voci tutto.

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From: Slai Cobas per il Sindacato di Classe slaicobasta@gmail.com
To:
Sent: Friday, December 11, 2015 12:36 PM
Subject: PROCESSO ILVA: SI RICOMINCIA DALL’INIZIO

PROCESSO ILVA: SI RICOMINCIA DALL’INIZIO
DOPO LA TRAGEDIA PER FAVORE RISPARMIATECI LA FARSA
Con rabbia e indignazione i 120 operai ILVA, i lavoratori e operatori del cimitero San Brunone, i cittadini di Tamburi e Paolo VI, autorganizzati come parti civili dallo Slai Cobas Taranto e patrocinati dai legali di Torino Bonetto, Vitale, Pellegrin e dai legali di Taranto Silvestre, Lamanna hanno accolto la notizia proveniente dal Tribunale/SARAM del ritorno del processo al GUP.
Non ci pare possibile che per un cavillo legale si debba ricominciare tutto da capo e fare quindi di questo maxi-processo un maxi-scandalo delle lungaggini della giustizia e della impunità dei responsabili di morti e disastro ambientale per il profitto.
E’ possibile che ci sia una volontà di non arrivare fino in fondo al processo e che dietro vi siano padroni, politici, governo che da sempre hanno ostacolato il lavoro dei magistrati?
Certamente non intendiamo scoraggiarci e facciamo appello a tutti i lavoratori e cittadini a comprendere l’importanza storica e pratica del processo che abbiamo sempre segnalato e comprendano che senza la partecipazione popolare nessuno avrà giustizia né i morti né i vivi e l’ILVA da tragedia si trasformerà in farsa.

Slai Cobas per il Sindacato di Classe
via rintone 22 taranto
Telefono: 347 53 01 704

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From: Davide Hanau hanaudavide@yahoo.it
To:
Sent: Saturday, December 12, 2015 4:46 PM
Subject: RAVENNA: AL MARE INVECE CHE IN UFFICIO, ARRESTATI DUE ISPETTORI DEL LAVORO

Ciao,
già che sono pochi e con pochi mezzi, ecco cosa fanno gli ispettori del lavoro...
Davide

RAVENNA: AL MARE INVECE CHE IN UFFICIO, ARRESTATI DUE ISPETTORI DEL LAVORO
I due sono accusati di truffa ai danni dello Stato e corruzione: avvisavano i gestori dei locali prima dei controlli
10 dicembre 2015
RAVENNA
I carabinieri di Ravenna hanno arrestato due dipendenti dell’Agenzia del lavoro per truffa aggravata ai danni dello Stato. Si tratta di un 59enne originario di Tramonti (Salerno) ma residente a Ravenna e un 43enne nato a Forlì ma residente a Lugo, nel Ravennate. Il primo è responsabile dell’ufficio ispettivo della direzione Provinciale del Lavoro e l’altro è addetto alle pratiche ispettive. Si trovano ora entrambi in carcere.
Secondo quanto esposto dal Procuratore Capo Alessandro Mancini, che coordina le indagini assieme al Pubblico Ministero titolare del fascicolo Angela Scorza, i due, tramite il badge, si sarebbero più volte spacciati al lavoro quando invece erano impegnati in attività personali.
Nella lista figurano escursioni al mare, visite in centri estetici, giri in bicicletta, lavori di ristrutturazione casa e altri impegni professionali non legati all’attività ispettiva.
Sono anche accusati di corruzione continuata e di rivelazione di segreti d’ufficio per avere avvisato in anticipo i titolare di alcuni locali della riviera di imminenti controlli in modo da permettere loro di regolarizzare in extremis lavoratori impiegati in nero. Il tutto in cambio di regalie e assunzioni di amici.
L’indagine, battezzata “Black job” e portata avanti dai carabinieri del Reparto Operativo e del Nucleo Ispettorato del Lavoro tramite intercettazioni e pedinamenti, era scattata a settembre da esposto anonimo. Tra gli indagati a piede libero figurano almeno cinque o sei titolari di locali. Sono in corso accertamenti sull’uso del badge di altri ispettori del Lavoro.

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From: Assemblea 29 Giugno assemblea29giugno@gmail.com
To:
Sent: Sunday, December 13, 2015 10:34 PM
Subject: ALLA “LEOPOLDA” DI FIRENZE PER DIRE “NO ALLA PRESCRIZIONE PER VIAREGGIO!”

I familiari delle 32 Vittime della strage ferroviaria di Viareggio avevano chiesto di intervenire alla Leopolda a Firenze. Oggi, domenica 13 dicembre, hanno promosso un presidio per dire “NO alla prescrizione per Viareggio!”.
Naturalmente la richiesta di intervento è rimasta lettera morta. Nessuno del gruppo dirigente del PD, del governo e delle istituzioni, è venuto a salutarli.
Diversi “esseri” (aggiungere umani è pleonastico) hanno rifiutato il volantino diffuso dai familiari con le foto dei propri cari al collo, come avviene da sei anni. Questi soggetti, neppure si rendono conto che il primo danno lo hanno commesso nei confronti del proprio segretario di Partito e del proprio Governo (Renzi), oltre a compiere un atto disumano e offensivo nei confronti dei familiari e delle 32 Vittime.
Assemblea 29 giugno, come da sei anni, anche oggi, ha sostenuto e partecipato all’iniziativa dei familiari, ininterrottamente dalle ore 09.00 alle ore 15.00.

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From: Stefano Ghio procomto@libero.it
To:
Sent: Monday, December 14, 2015 10:06 PM
Subject: LA SENTENZA SOLVAY: UNA VERGOGNA SENZA PARI

E’ molto difficile, per chi ha seguito tutto l’iter di questo processo, dare un senso a quanto successo lunedì 14 dicembre nell’aula di Corte di Assise del Palazzo di Giustizia di Alessandria.
Un gruppo di giudici (in parte togati, in parte civili) guidati dalla dottoressa Sandra Capacci, presidente del Tribunale, ha letteralmente fatto a pezzi quattro anni di indagini e tre di udienze.
Se ne sono rese conto le persone che affollavano, al momento della lettura del dispositivo, la piccola aula; in quel momento è calato un silenzio a metà tra l’incredulo e l’indignato: nessuno ha avuto la forza di urlare la propria protesta contro quanto appena ascoltato.
Il collegio giudicante è riuscito nell’impresa, invero assai ardua se si valutano le semplici risultanze dibattimentali, di derubricare il reato da “disastro ambientale doloso” a “colposo”.
Durante le testimonianze è venuto fuori, in modo indiscutibile, che le varie aziende che si sono succedute nel polo chimico di Spinetta Marengo (Montedison, Enimont, Solvay) sono decenni che interrano fusti di materiale contenente cromo al di sotto del terreno dove sorge l’azienda.
A chi scrive risulta assai arduo credere che, chi si comporta in questo modo, possa non rendersi conto che, così facendo, potrebbe causare l’inquinamento della falda acquifera sottostante lo stabilimento.
Tant’è, la presidente e i suoi collaboratori hanno accolto in pieno le assurde pretese della difesa dei padroni avvelenatori: così facendo hanno partorito un vero mostro giuridico.
I tre maggiori dirigenti imputati, Carlo Cogliati (per il quale il Pubblico Ministero Riccardo Ghio aveva chiesto la condanna a anni 18 di reclusione), Bernard De Laguiche (anni 18) e Pierre Jacques Joris (anni 18), sono stati assolti dai reati a loro ascritti “per non aver commesso il fatto”, mentre per Giulio Tommasi (anni 10) ha ordinato “il non luogo a procedere per intervenuta prescrizione”.
Alla fine gli unici ad essere condannati (se così si può dire) ad 2 anni e 6 mesi ciascuno, sono stati i pesci piccoli: Salvatore Francesco Boncoraglio (richiesti 15 anni e 6 mesi), Luigi Guarracino (richiesti 15 anni e 6 mesi), Giorgio Carimati (richiesti 16 anni e 9 mesi) e Giorgio Canti (richiesti 15 anni e 6 mesi).
Va infine detto che i rei dovranno risarcire alcune parti civili per un ammontare che definire ridicolo è un eufemismo (si va da un minimo di diecimila a un massimo di cinquantamila euro), oltre alla rifusione delle spese di costituzione.

Stefano Ghio
Rete sicurezza Alessandria/Genova
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Sent: Tuesday, December 15, 2015 2:05 PM

Subject: ILVA, UNA STRAGE DI STATO IMPUNITA E SENZA FINE


Mentre Peacelink ha appena presentato un ennesimo dossier sui veleni emessi dallo stabilimento siderurgico tarantino, governo, Confindustria e una gran fetta d’imprenditori e stampa italiana continuano a sposare la causa dell’ILVA, dando per scontata l’immolazione di altre centinaia di morti e malati.
Il 2016 sarà l’anno della ripresa per il mercato europeo dell’acciaio. Le previsioni degli esperti dicono che la produzione in Italia crescerà del 10,5%. Ma affinché questo avvenga, spiega Stefano Ferrari direttore di Siderweb, “è necessario che l’ILVA di Taranto torni almeno sui 6,5 milioni di tonnellate rispetto ai 4,5 milioni prodotti quest’anno”.
Si. Accade anche questo. Accade che il governo, Confindustria e una gran fetta d’imprenditori e stampa italiana possano ancora sposare la causa dell’ILVA e dell’importanza della produzione, dando per scontata l’immolazione di altre centinaia di morti e malati.
Accade che si affermi che a Taranto tutto è sotto controllo, mentre Peacelink ha appena presentato l’ennesimo importante dossier sui picchi di idrocarburi policiclici aromatici (IPA), pericolosi inquinanti, emessi in aria dallo stabilimento siderurgico e che, soprattutto durante i giorni di vento, investono drammaticamente la città.
Peacelink ha chiesto alle istituzioni di procedere con un’ordinanza di chiusura delle cockerie, nei giorni in cui il vento proviene da nord-nord ovest, quando cioè le sostanze cancerogene provenienti dal siderurgico (il 99 % degli IPA proverrebbero dall’ILVA) si posano come un mantello nero su tutta la superficie della città. L’Associazione monitora la qualità dell’aria a Taranto da tempo, riuscendo a misurare il particolato sottile che sfugge ai controlli istituzionali e che, una volta entrato nei polmoni e nei tessuti umani, può generare malattie gravissime, soprattutto nei momenti di estrema concentrazione come è il caso dei giorni di vento, i “wind days”.
E’ quindi davvero tutto “sotto controllo” se addirittura la ASL ha nei giorni scorsi invitato il sindaco Stefàno a emanare una serie di raccomandazioni utili per minimizzare l’esposizione della popolazione ai terribili inquinanti? Il Dipartimento di Prevenzione della ASL stessa ha stilato un documento dal titolo “Misure cautelative in occasione di possibili criticità dello stato di qualità dell’aria a Taranto”. Nel documento si legge che “i principali problemi di salute connessi all’inquinamento atmosferico sono legati soprattutto ai livelli di PM10 e ai relativi inquinanti cancerogeni adsorbiti, come il benzo(a)pirene, che sono strettamente correlati alle attività produttive dello stabilimento ILVA”.
Seguono poi i consigli pratici.
Quando il rischio di respirare PM10 è alto viene consigliato alla popolazione di non fare attività all’aria aperta e di aprire le finestre solo tra le ore 12 e le ore 18. Quando invece il rischio è molto alto o eccezionale “si consiglia di evitare attività̀ fisiche intense e prolungate all’aperto e di rimanere il più possibile in ambienti chiusi, in particolare per i soggetti a rischio”.
I consigli alla popolazione sono stati elaborati sulla base dei dati rilevati dall’ARPA attraverso la rete di centraline di monitoraggio della qualità dell’aria, nel periodo 2010-2015.
Un coprifuoco, insomma. Che finalmente mette in chiaro che le istituzioni sanno e conoscono il pericolo, che la situazione di Taranto è molto grave e che inaccettabile è il ruolo del governo.
Il Ministro dell’Ambiente che, da Parigi, dove si tiene la conferenza sul clima “COP21”, dichiara che questa settimana si faranno passi decisivi in favore dell’ambiente, sa dove è Taranto? Sa che Taranto è una città devastata dall’inquinamento e dalla vergognosa assenza delle istituzioni? Ha forse parlato di Taranto al COP21?
Il Ministro della Sanità come fa a ignorare ancora il dramma che si svolge a poche centinaia di chilometri da Roma e dai palazzi del potere? In un altro paese, dopo la pubblicazione del documento della ASL, il Ministro si sarebbe dimesso. Senza ombra di dubbio.
Anni di avvelenamento consapevole di persone, ambiente, generazioni future, nell’omertà e nella negazione le più totali.
Perché è stata un’associazione ancora una volta a lanciare l’allarme? E perché mentre ARPA e ASL finalmente escono allo scoperto il governo sta cercando di vendere l’ILVA e per far questo, o per far credere di farlo, stanzia 300 milioni che non andranno di certo alla inesistente messa a norma ambientale?
Il nuovo decreto per l’ILVA, il nono della serie, prevedrebbe infatti un nuovo slittamento della data finale per i lavori di adeguamento ambientale e in più la possibilità, per chi acquisterà lo stabilimento, di cambiare il piano ambientale stesso, modificandone ulteriormente profili, date, scadenze, ecc. rispetto all’attuale che non in ogni caso non è mai stato realizzato.
Il Sottosegretario De Vincenti parla di dare un futuro stabile, definitivo al siderurgico. Mentre il Ministro dell’Ambiente afferma che il posticipo del termine di realizzazione del piano ambientale dal 4 agosto al 31 dicembre 2016 è dovuto al fatto che l’aggiudicatario avrà “il diritto” di apportare modifiche al piano ambientale stesso. Quale diritto?
E’ quindi aperta la caccia all’investitore.
La situazione é disperata, le perdite sono in aumento e il governo, che sperava nel tesoretto dei Riva (gli 1,2 miliardi che non sono stati fatti tornare in Italia, ma che resteranno in Svizzera fino alla fine del processo “Ambiente Svenduto”), non sa come pagare creditori e stipendi.
La nuova società (Newco) che doveva essere costituita nella primavera scorsa con l’apporto d’investitori è rimasta sulla carta. Così si cerca di prendere tempo, di far credere di nuovo ai capitali stranieri, di tentare l’impossibile.
Bondi, Gnudi, i consulenti di Mckinsey, Guerra, una sfilza di commissari, sottocommissari, esperti e uomini di fiducia, ma mai una dirigenza che fosse davvero esperta di acciaio e di ambiente. Una serie di manovre per prendere tempo, per non risolvere, tenendo in bilico il sacrosanto diritto dei Tarantini alla salute e alla vita, rischiando la pelle degli operai. E’ recente il luttuoso evento che ha interessato l’operaio Cosimo Martucci.
Il Consiglio dei Ministri, con l’ennesimo decreto, il nono, modifica ancora una volta le carte in tavola, arrogandosi il diritto di infliggere ancora malattia e morte.
Lo stabilimento opera nell’illegalità totale, una sorta di regime in cui le leggi italiane ed europee non solo non sono rispettate, ma vengono di continuo disinnescate e circuite dal governo stesso.
Nel frattempo la maledizione dell’ILVA sembra aver colpito ancora. Terzo stop per il processo “Ambiente svenduto”, già rinviato due volte, la prima per un’omessa notifica e l’altra per lo sciopero dei penalisti.
Quello che è accaduto ieri però è ben grave e fa tornare indietro l’intero processo all’udienza preliminare, a causa di un errore nel verbale del 23 luglio scorso quando all’udienza, assenti dieci avvocati, lì dove doveva essere indicato il legale in sostituzione, è stato lasciato un fatale rigo bianco. Un motivo talmente ridicolo, ma capace di far crollare un intero procedimento.
Adesso dovrà essere un nuovo GUP a decidere se mandare a processo gli imputati o meno. Si dovrà stabilire di nuovo se le accuse di associazione a delinquere, disastro ambientale, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni, contestate a componenti della famiglia Riva, a direttori e dirigenti dello stabilimento, a politici ed amministratori, saranno confermate o meno.
Sembra che il potere dello Stato, in tutte le sue manifestazioni, riesca ancora una volta a vincerla.
A questo punto, gli imputati potranno avvalersi della legge eco-reati approvata di recente, che rende non punibili i reati commessi con un’autorizzazione? Perché chi ha operato, lo ha fatto non “abusivamente”, ma seguendo le norme, almeno sulla carta. Poiché l’ILVA produce inquinando, ma produce con una regolare autorizzazione ambientale.
Oppure si punta semplicemente alla prescrizione dei reati stessi?

di Antonia Battaglia
10 dicembre 2015

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To:
Sent: Wednesday, December 16, 2015 5:20 PM
Subject: LA SENTENZA SOLVAY DI ALESSANDRIA E’ VERGOGNOSA

Si è concluso il processo alla Solvay di Spinetta Marengo (Alessandria). Laura Mara, avvocato di Medicina Democratica (alla quale va il plauso per l’impegno e la competenza, purtroppo isolati in mezzo alla torma degli altri avvocati di parte civile) ha rilasciato ai giornali il 14 dicembre la seguente dichiarazione sulla sentenza:
C’è soddisfazione per il risultato raggiunto, perché il verdetto dimostra che l’impianto dell’accusa non era infondato, ha retto anche se non nella forma dolosa inizialmente contestata. Attendiamo le motivazioni per capire perché siano state escluse alcune parti civili, mentre siamo soddisfatti per il risarcimento delle altre”. In evidente contrasto con Laura Mara, la Sezione provinciale di Medicina Democratica di Alessandria ha invece valutato vergognosa la sentenza, come potete leggere nei comunicati stampa seguenti.

COMUNICATO STAMPA DEL 14 DICEMBRE
DELUDENTE E PREOCCUPANTE LA SENTENZA SOLVAY DI SPINETTA MARENGO
E’ giustamente collocata fra le tante nel libro “Ambiente Delitto Perfetto”. Cosa potevi aspettarti di più da Alessandria rispetto alla consolidata giustizia in materia ambientale in Italia? Nulla. Nulla di nuovo tra Tanaro e Bormida: confermerebbe Umberto Eco.
La sentenza del processo Solvay di Spinetta Marengo è deludente e preoccupante. Deludente per le parti civili vittime dell’ecocidio che esigeva condanne e risarcimenti severi. Preoccupante per gli abitanti della Fraschetta, consapevoli che soltanto una costosissima bonifica del territorio potrà scongiurare un futuro di indagini epidemiologiche con sempre più morti e malattie.
Deludente e preoccupante anche per le innumerevoli comunità italiane che proprio dalla Magistratura di Alessandria attendevano una coraggiosa inversione di tendenza alle sentenze (Eternit, Thyssenkrupp, Bussi, ecc.) che hanno scandalizzato l’universo ecologista e aperto un vasto dibattito sulla Giustizia in materia ambientale per la loro sostanziale impunità tramite la derubricazione dei reati dal pesante dolo alla lieve colpa e le prescrizioni, per non dire delle assoluzioni. Tutte le aspettative, deluse ad Alessandria, ruotavano attorno all’ormai famoso articolo 439 del Codice Penale che condanna la consapevolezza del delitto contro la collettività, il dolo appunto: “Chiunque avvelena acque destinate all’alimentazione, prima che siano attinte o distribuite per consumo, è punito con la reclusione non inferiore a...”. Da 10 a 18 anni ha chiesto il Pubblico Ministero per gli 8 imputati. E non un paio di anni, quasi prescritti, come per aver attraversato con il rosso. Sono infatti almeno 21 le sostanze tossiche e cancerogene prima scaricate di nascosto in falda e poi addirittura omesse di bonifica. Una bonifica che necessiterebbe un risarcimento miliardario.
Gli occhi del mondo penale e ambientalista sono rimasti per 7 anni puntati sul Tribunale di Alessandria, 3 anni in Corte di Assise, dove la battaglia in campo dottrinale è stata esaltata dagli enormi interessi economici in gioco, in vista di una sentenza di possibile portata storica in campo giudiziario. In questi 7 anni, invece, gli occhi delle vittime hanno pianto testimoniando in aula e non pochi si sono nel frattempo spenti in attesa di giustizia. Noi, che in Tribunale ci siamo battuti più di ogni altro, possiamo dire che oggi i più deboli hanno ottenuto giustizia? Non possiamo. Lo lasciamo dire agli avvocati, come ai politici che alle elezioni vincono tutti. Nell’aula campeggia la fatidica scritta “La legge è uguale per tutti” che altrimenti interpretò Raffaele Guariniello: “Sono stato nella Magistratura per decenni e ho cercato di fare il bene dei più deboli”.
Medicina democratica Movimento di lotta per la salute Sezione provinciale di Alessandria

COMUNICATO STAMPA DEL 15 DICEMBRE
Alcuni articoli giornalistici hanno riportato correttamente il parere del legale di Medicina Democratica, Laura Mara, ma trascurato, quando non ignorato, il contemporaneo comunicato stampa della Sezione provinciale di Alessandria che sulla sentenza Solvay esprime considerazioni difformi da quelle dell’avvocato, e che sono quelle che contano per l’Associazione. Ingiusta, deludente e preoccupante sentenza. Opportunamente collocata fra le tante (Eternit, Thyssenkrupp, Bussi, ecc.) nel nostro libro “Ambiente Delitto Perfetto” a definire che “non esiste giustizia in campo ambientale”, con tanta pace per innumerevoli comunità italiane che proprio dalla Magistratura di Alessandria attendevano una coraggiosa inversione di tendenza ai processi che hanno scandalizzato l’universo ecologista per la loro sostanziale impunità tramite la derubricazione dei reati dal pesante dolo alla lieve colpa e le prescrizioni, per non dire delle assoluzioni.
Ad Alessandria, dopo la melina di 7 anni di udienze, contiamo 4 assolti su 8 imputati (38 iniziali). Condanne di 2 anni e 6 mesi invece che di 18, risarcimenti in proporzione, ma perfino a chi (Comune, Provincia ecc.) si merita tutt’altro. Bonifica nel libro dei sogni. La bomba ecologica di Spinetta Marengo equiparata...ad incidente per attraversamento con il rosso. Non dolo cosciente ma involontarietà della colpa. Facile la prescrizione. I potenti vertici assolti: estranei al disastro ambientale e all’omessa bonifica. I condannati: non ne erano consapevoli... anche se avevano cercato di nasconderne le prove (con i vertici). Le tonnellate di prove provate del Pubblico Ministero: carta staccia.
Vittime della sentenza: le parti civili morte e ammalate, gli abitanti inquinati del territorio, il mondo ambientalista disarmato. Vittima la Giustizia insomma, che, per essere “uguale per tutti” dovrebbe, per citare Guariniello, cercare di fare il bene per i più deboli.
Medicina democratica Movimento di lotta per la salute Sezione provinciale di Alessandria.

INTERVENTO DEL 16 DICEMBRE.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso al (l’ex) responsabile di Medicina Democratica.
Con coerenza di 40 anni di attivismo senza eguali, in merito al processo Solvay, Medicina Democratica ha scritto tantissimo, sul blog di udienza in udienza e sul libro “Ambiente Delitto Perfetto”, e infine ha criticato pesantemente la sentenza della Corte di Assise di Alessandria.
Mi si consenta di aggiungere, credo di meritarlo per la mia lunga storia, una considerazione del tutto personale. Io non ho bisogno di attendere il deposito delle motivazioni della sentenza per esprimere un giudizio. Tra 90 giorni saranno parole, parole ben articolate per giustificarla.
Io conosco invece i fatti, e da almeno 30 anni prima del processo. Fatti che conoscono tutti, anche grazie alle mie denunce, ma soprattutto per esperienza, dai lavoratori che lottavano per portare a casa la pelle, ai cittadini di Spinetta Marengo che non hanno bisogno della conferma delle indagini epidemiologiche, ma anche dai giornalisti che non pubblicano le denunce, dai giudici che hanno ignorato le denunce, dagli amministratori pubblici complici degli enormi inquinamenti (e anche concussi secondo Solvay).
Fatti e non giochi di parole giudiziari. Fatti che ho meticolosamente elencato nella mia lunga testimonianza al processo. Fatti che nella melina di 7 anni di dibattimenti sono comunque emersi chiaramente come prove dalla mole di documentazioni e intercettazioni prodotte dal Pubblico Ministero: macigni che la sentenza ha affondato.
Se penso che il presidente Ausimont-Solvay è stato assolto per non aver commesso il fatto, cioè non conosceva l’avvelenamento della falda benché mi avesse licenziato proprio per averlo accusato di averla avvelenata... Se penso che pure il successivo presidente Solvay ne era al corrente se non altro tramite una mia lettera pubblicata anche su tutti i giornali... Se penso che gli unici 4 condannati di avvelenamento l’avrebbero comunque procurato involontariamente, per colpa e non per dolo... Se penso ai risarcimenti irrisori per le vittime e agli altri assurdi...
Se ci penso, ebbene, non dovrei dirlo, proprio io che i tribunali (di Milano) più volte dalle rappresaglie mi hanno salvato il posto di lavoro e la vita, ma sono arrivato al punto che non ho più la minima fiducia nella Giustizia. Se penso poi che non ci sarà vera bonifica del territorio della Fraschetta, né dell’acqua né dell’aria, alle malattie e alle morti...
Fortunatamente avevo già comunicato al nostro congresso che non sarei più stato dal prossimo anno responsabile della sezione provinciale di Medicina Democratica.
Lino Balza

Messaggio di pace e salute inviato a destinatari da Lino Balza
via Dante 86, 15121 Alessandria
Telefono: 347 01 82 679 
Medicina Democratica - Movimento di Lotta per la Salute onlus
via dei Carracci 2, 20100 Milano

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