NEWSLETTER PER LA TUTELA DELLA SALUTE
E DELLA
SICUREZZA DEI LAVORATORI
INDICE
I
PARERI DELLA COMMISSIONE DEGLI INTERPELLI - N.4
L’articolo
12 del D.Lgs.81/08 (Testo Unico sulla sicurezza) ha previsto la costituzione
della Commissione degli Interpelli, composta da rappresentanti del Ministero
del lavoro e delle politiche sociali, del Ministero della salute, della
Conferenza delle Regioni e delle Province autonome con lo scopo di rispondere a
“quesiti di
ordine generale sull’applicazione della normativa in materia di salute e
sicurezza del lavoro” posti da Organismi associativi, Enti pubblici,
Organizzazioni sindacali dei datori di Lavoro e dei lavoratori, Consigli
nazionali degli ordini.
La Commissione degli
Interpelli è stata effettivamente costituita con Decreto del Ministero del
lavoro e delle politiche sociali del 28 settembre 2011.
Secondo il comma 3 dell’articolo 12 del D.Lgs.81/08 “Le indicazioni fornite
nelle risposte ai quesiti di cui al comma 1
[quelli posti alla Commissione] costituiscono
criteri interpretativi e direttivi per l’esercizio delle attività di vigilanza”.
Riporto
pertanto in una nuova rubrica della mia newsletter tali pareri con il link per
scaricare il testo completo del quesito e del parere della Commissione.
Marco
Spezia
SERVIZI IGIENICO ASSISTENZIALI
Interpello in materia di sicurezza n.4 del 2 maggio
2013
RICHIEDENTE
Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del
Lavoro
QUESITO
L’interpello è relativo alla richiesta di
conoscere il parere della Commissione in merito alla corretta interpretazione
dell’articolo 63, comma 1, del D.Lgs.81/08 e successive modifiche e integrazioni
e, in particolare, dei punti 1.13.1.1 e 1.13.3.1 dell’Allegato IV.
Il punto 1.13.1.1 dell’Allegato IV prevede
che “nei luoghi di Lavoro o
nelle loro immediate vicinanze deve essere messa a disposizione dei lavoratori
acqua in quantità sufficiente, tanto per uso potabile quanto per lavarsi”; mentre il punto 1.13.3.1 dell’Allegato IV
recita “i lavoratori devono
disporre, in prossimità dei loro posti di Lavoro, dei locali di riposo, degli
spogliatoi e delle docce, di gabinetti e di lavabi con acqua corrente calda, se
necessario, e dotati di mezzi detergenti e per asciugarsi”.
CHIARIMENTO
Nei casi in cui un luogo di Lavoro è posto all’interno
di un ambiente ben definito e circoscritto, considerando che la norma impone al
Datore di Lavoro di mettere a disposizione del lavoratore i servizi
igienico-assistenziali nel luogo di Lavoro o nelle sue immediate vicinanze, si
ritiene che il Datore di Lavoro assolva al suo obbligo purché questi servizi,
anche se non in uso esclusivo, siano fruibili dai lavoratori liberamente,
facilmente e senza aggravio di costo per loro e nel rispetto delle norme
igieniche.
Il testo completo dell’Interpello in materia di sicurezza n.4 del 2 maggio
2013 è scaricabile al link:
VALUTAZIONE DEL RISCHIO STRESS LAVORO-CORRELATO
Interpello in materia di sicurezza n.5 del 2 maggio
2013
RICHIEDENTE
FIM CISL – Federazione Italiana Metalmeccanici
QUESITO
La FIM ha avanzato istanza di interpello
per conoscere il parere della Commissione se anche nel caso della valutazione
del rischio stress lavoro-correlato, il Datore di Lavoro non possa delegare
quest’attività a terzi, cosi come previsto dall’articolo 17, comma 1, lettera
a) del D.lgs.81/08 e successive modifiche e integrazioni.
CHIARIMENTO
Al riguardo va premesso che l’articolo 28,
comma 1, del D.Lgs.81/08 e successive modifiche e integrazioni, prevede che la
valutazione dei rischi debba riguardare tutti i rischi da lavoro, “ivi compresi quelli riguardanti gruppi di
lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo
stress lavoro-correlato”.
Il successivo comma 1-bis dell’articolo in
commento dispone, di seguito, che la relativa valutazione del rischio da stress
lavoro-correlato è effettuata nel rispetto delle indicazioni fornite dalla
Commissione Consultiva di cui all’articolo 6 del D.Lgs.81/08, approvate da tale
organismo in data 17 novembre 2010.
II legislatore ha poi fissato il principio di generale di delegabilità con l’articolo 16, comma 1 del
D.Lgs.81/08, il quale può incontrare eccezioni solo nei casi in cui la delega
sia “espressamente
esclusa”. Le deroghe
tassativamente previste segnano, pertanto, i limiti giuridici di trasferibilità
delle funzioni in materia prevenzionistica, e cosi, individuano gli obblighi
del Datore di Lavoro aventi natura strettamente personale.
La valutazione dello stress lavoro-correlato è parte
integrante della valutazione del rischio e, pertanto, a essa si applica
integralmente la pertinente disciplina (articoli 17, 28 e 29 del D.Lgs.81/08).
In particolare, l’articolo 17 del D.Lgs.81/08 individua la valutazione dei
rischi tra gli adempimenti non delegabili da parte del Datore di Lavoro, anche
qualora il Datore di Lavoro decida di avvalersi di soggetti in possesso di
specifiche competenze in materia.
Il testo completo dell’Interpello in materia di sicurezza n.5 del 2 maggio
2013 è scaricabile al link:
APPLICAZIONE DEL D.LGS. 81/2008 A “STUNTMEN” E “ADDETTO
AGLI EFFETTI SPECIALI”
Interpello in materia di sicurezza n.6 del 2 maggio
2013
RICHIEDENTE
APT – Associazione Produttori Televisivi
QUESITO
La APT ha chiesto alla Commissione di
pronunciarsi sulla normativa di salute e sicurezza applicabile alle attività
degli stuntmen (intendendosi per stuntman un “acrobata particolarmente esperto nel fingere cadute, tuffi, salti e
scene pericolose”) e degli addetti agli effetti speciali (intendendosi per
addetto agli effetti speciali “un esperto di particolari tecniche di
lavorazione net settore cinematografico, impegnato in attività specifiche come
l’uso di macchine e degli artifizi per la produzione di effetti speciali, l’uso
di materiali e sostanze per la realizzazione degli effetti speciali, la
realizzazione di scene simulanti crolli o rotture, l’impiego di sostanze
infiammabili o esplosive, l’utilizzo di armi da fuoco e da taglio, la
produzione di fiamme libere”).
Tali attività, sempre secondo la richiedente,
si concretizzano in scene pericolose, realizzate secondo esigenze di scena da
una troupe (come tale intendendosi l’insieme delle
persone impiegate dalla società di produzione per lo svolgimento delle relative
attività), a sua volta divisa in diversi reparti operativi, composti da gruppi
di persone con compiti specifici (macchinisti, elettricisti, attrezzisti,
produzione, ecc.), ciascuno con un proprio capo reparto.
In relazione alle attività appena
descritte, la APT distingue due diverse modalità di organizzazione del lavoro,
la prima in cui l’attività sia realizzata da personale della società di
produzione e la seconda in cui l’attività sia affidata in appalto dalla società
di produzione a terzi.
In relazione alla prima ipotesi (attività
svolte da personale della società di produzione), la richiedente chiede quanto
segue.
1) In ragione della particolarità delle
attività di riferimento, il Datore di Lavoro della società di produzione possa
“legittimamente richiedere la collaborazione dei responsabili dei suddetti
reparti nella valutazione dei rischi della scena pericolosa”?
2) Il capo reparto, nel caso di cui al punto
1, deve possedere una particolare formazione in materia di salute e sicurezza
sul lavoro?
3) In assenza di specifica formazione dei
responsabili degli stuntman e/o degli effetti speciali, può il RSPP
collaborare con il Datore di Lavoro e i suddetti responsabili dei reparti
esclusivamente nella formalizzazione della relazione fornendo semplicemente le
procedure corrette per effettuare una adeguata individuazione dei fattori di
rischio e delle misure di prevenzione e protezione?
4) Qualora alla scena pericolosa partecipino
esclusivamente addetti al reparto stuntmen e/o del reparto
effetti speciali è possibile utilizzare la relazione da loro redatta quale
valutazione esclusiva e specifica dell’attività svolta da questi lavoratori da
inserire nel DVR della società di produzione?
In ordine all’affidamento delle attività
in parola da parte della società di produzione a società specializzate, la APT
chiede, invece, quanto segue.
1) I rischi generati dagli stuntmen e/o dagli addetti agli effetti speciali devono essere considerati “rischi specifici propri dell’attività”, ai sensi dell’articolo 26, comma 3, del
D.Lgs.81/08, senza necessità di redazione del DUVRI?
2) Al fine della valutazione dell’idoneità
tecnico professionale delle imprese specializzate è sufficiente che il Datore
di Lavoro della società di produzione chieda i curricula con dettaglio delle esperienze specifiche nel campo del personale impegnato
nell’attività appaltata?
3) Nel caso in cui una società committente
affidi in appalto un’attività che comporta solo rischi specifici propri per la
sua realizzazione, in cosa consiste l’attività di coordinamento che il Datore
di Lavoro della committente deve realizzare?
4) Nel caso in cui una società committente
affidi in appalto due o più servizi a società o lavoratori autonomi che
prevedano solo rischi specifici propri per le rispettive attività, e che
nessuna di queste preveda il coinvolgimento del personale della società
committente, come deve gestire il coordinamento il Datore di Lavoro della
società committente? Gli eventuali rischi interferenziali presenti
esclusivamente tra i fornitori, devono essere trattati in qualche modo dal
Datore di Lavoro committente?
CHIARIMENTO
In merito alla prima ipotesi prospettata,
va evidenziato come l’articolo 17, comma 1, lettera a) del D.Lgs.81/08 imponga
al Datore di Lavoro l’obbligo (indelegabile) di valutare “tutti i rischi” sul lavoro, “con la conseguente elaborazione del documento
previsto dall’articolo 28”. Il contenuto della valutazione dei rischi viene, quindi, puntualmente
individuato dall’articolo 28, nella sua interezza, e le modalità della
valutazione dei rischi sono descritte (si pensi, ad esempio, alla necessità di
rielaborare la valutazione dei rischi “in occasione di modifiche del processo produttivo o della organizzazione
del lavoro significative ai fini della salute e sicurezza sul lavoro”, di cui al comma 3 dell’articolo 29 del
D.Lgs.81/08) al successivo articolo 29.
Rispetto invece alla seconda ipotesi, va
evidenziato che le disposizioni di specifico riferimento sono quelle di cui
all’articolo 26 del D.Lgs.81/08. Tale articolo individua precisi obblighi in
capo al Datore di Lavoro committente nell’eventualità che questi decida di
affidare lavori nell’ambito del proprio ciclo produttivo a imprese appaltatrici
o lavoratori autonomi. Le norme di riferimento sono dirette a tutelare da un
lato i lavoratori autonomi o quelli dell’appaltatore che vengano a operare in ambienti
per loro e per lo stesso Datore di Lavoro sconosciuti e, dall’altro, i
lavoratori dei committenti che si trovino davanti a inusuali situazioni di
rischio determinate dall’appalto o dalla prestazione d’opera.
In via di sintesi, ai sensi dell’articolo
26, commi 1 e 2 del D.Lgs.81/08, in capo al Datore di Lavoro committente
gravano al momento i seguenti obblighi:
1) verificare, anche attraverso l’iscrizione
alla camera di commercio, industria e artigianato, l’idoneità
tecnico-professionale delle imprese appaltatrici o dei lavoratori autonomi in
relazione ai lavori da affidare in appalto o contratto d’opera;
2) fornire agli stessi soggetti dettagliate
informazioni sui rischi specifici esistenti nell’ambiente in cui sono destinati
ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione
alla propria attività;
3) promuovere, in particolare:
-
la cooperazione
all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro
incidenti sull’attività lavorativa oggetto dell’appalto;
-
il coordinamento
degli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i
lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi
dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte
nell’esecuzione dell’opera complessiva.
Il comma 3 della norma in esame impone,
quindi, al Datore di Lavoro, l’obbligo di promuovere la cooperazione e il
coordinamento elaborando un unico documento di valutazione dei rischi (di
seguito, DUVRI), il quale va allegato al contralto d’appalto o d’opera, che
indichi le misure adottate per eliminare o, ove ciò non è possibile, ridurre al
minimo i rischi da interferenze.
Tale documento, per espressa previsione
legislativa, non trova applicazione con riferimento ai “rischi specifici propri dell’attività delle
imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi”; ciò in quanto evidentemente il
Legislatore, in relazione a tali rischi, da considerare “tipici” della attività dell’impresa o dei lavoratori autonomi, non ne ritiene
(ferma restando l’applicazione delle disposizioni di cui ai commi 2 e 3
dell’articolo in commento) necessaria la puntuale identificazione in un
documento.
Al riguardo (si veda anche la
Determinazione n.3 del 5 marzo 2008 dell’Autorità per la vigilanza sui
contralti pubblici, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 15 marzo 2008) va
evidenziato che è possibile parlare d’interferenza ove si verifica un “contatto rischioso” tra il personale del Datore di Lavoro
committente e quello dell’appaltatore o tra il personale di imprese diverse che
operano nella stessa sede aziendale con contratti differenti. In linea di
principio, in altre parole, occorre mettere in relazione i rischi presenti nei
luoghi in cui verrà espletato il lavoro, servizio o fornitura con i rischi
derivanti dall’esecuzione del contratto, con la conseguenza che il DUVRI dovrà
essere redatto solo nei casi in cui esistano interferenze.
Inoltre, resta inteso che nel documento in
parola non devono essere riportati i rischi propri dell’attività delle singole
imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi, in quanto trattasi di
rischi per i quali resta immutato l’obbligo dell’appaltatore di redigere un
apposito documento di valutazione del rischio e di provvedere all’attuazione
delle misure necessarie per ridurre o eliminare al minimo tali rischi.
In via preliminare, la Commissione ritiene
opportuno ricordare come la stessa sia tenuta unicamente a rispondere a “quesiti di ordine generale
sull’applicazione della normativa di salute e sicurezza sul lavoro” (in questo, inequivoco, senso, l’articolo
12 del D.Lgs.81/08) non potendo pronunciarsi “in astratto” sulla correttezza
delle modalità in base alle quali le aziende attuino le disposizioni in materia
di salute e sicurezza sul lavoro, oggetto, casomai, di specifico accertamento
in sede ispettiva. Per tale ragione, non si ritiene possibile esprimere
l’indirizzo della Commissione rispetto a una serie di richieste di APT dirette
a ottenere indicazioni sulla coerenza di determinate soluzioni organizzative
alle norme di legge, impossibili da fornire senza una verifica in concreto di
quanto descritto. La Commissione ritiene, invece, di pronunciarsi come segue in
ordine alla interpretazione delle norme di legge applicabili nei casi descritti
dalla richiedente.
In ordine allo svolgimento di attività da
parte di qualunque soggetto che si possa definire come “lavoratore” (nel senso
individuato dall’articolo 2, comma 1, lettera a) del D.Lgs.81/08) dell’azienda
di produzione cineaudiovisiva trovano integrale applicazione le disposizioni in
materia di valutazione dei rischi di cui agli articoli 17, 28 e 29 del
D.Lgs.81/08, le quali attribuiscono al Datore di Lavoro la titolarità giuridica
(con la conseguente responsabilità) delle relative funzioni.
Sara quindi il Datore di Lavoro dell’azienda
di produzione a dovere individuare le modalità migliori di adempimento degli
obblighi in questione, avuto riguardo alle modalità di svolgimento delle
attività di riferimento. Ove tali attività comprendano una serie di azioni di
contenuto particolare, quali quelle richieste agli stuntmen o agli addetti agli effetti speciali, è opinione della
Commissione che il coinvolgimento dei capi reparto (ove, come appare probabile,
essi svolgano in concreto le funzioni di preposto) nella valutazione dei rischi
sia opportuna. Quanto alla formazione del personale coinvolto nelle relative
attività, essa dovrà essere coerente con il vigente quadro normativo (si fa
riferimento, in particolare, agli accordi in Conferenza Stato-Regioni relativi
alla formazione di lavoratori, dirigenti e preposti del 21 dicembre 2011 e del
25 luglio 2012), avuto riguardo alle funzioni svolte nell’ambito
dell’organizzazione aziendale, anche in applicazione del principio di cui
all’articolo 299 del D.Lgs.81/08 (rubricato “Esercizio di fatto di poteri
direttivi”). Ne deriva, ad esempio, che se (come pare plausibile e, anzi,
probabile) il capo reparto, nelle attività qui in questione, svolga in concreto
le funzioni di preposto, egli dovrà essere formato come tale.
Infine, in relazione alle richieste
avanzate ai punti 3 e 4 (relativamente alle attività in house delle aziende di
produzione cineaudiovisiva) si rimarca come il DVR sia documento che deve avere
le caratteristiche di cui agli articoli 28 e 29 e come l’unico soggetto
responsabile di tale coerenza sia il Datore di Lavoro, il quale è libero di
operare le proprie scelte secondo le peculiarità della propria azienda e,
correlativamente, risponde della coerenza di esse alla legge.
Venendo, quindi, a trattare delle
questioni sollevate (punti da 1 a 4) in riferimento all’ipotesi in cui la
società cineaudiovisiva di produzione decida di affidare a terzi le attività
tipiche degli stuntmen o degli addetti agli effetti speciali, si evidenzia
innanzitutto come, tenendo conto delle particolari modalità (quali descritte
nell’interpello al quale si fornisce riscontro) dello svolgimento delle
attività degli stuntmen e/o degli addetti agli effetti speciali e ferma
restando ogni riserva in ordine alla verifica delle concrete modalità con le
quali vengono rese le prestazioni in oggetto, si ritiene che i rischi delle
attività svolte in autonomia nei cicli produttivi delle società di produzione
dagli stuntmen e/o dagli addetti agli effetti speciali possano essere
considerati come rischi specifici della attività delle appaltatrici o dei
lavoratori autonomi, purché non vi siano interferenze con strutture o processi
del committente o di altre imprese.
Resta inteso che sarà cura del Datore di
Lavoro committente far si che gli obblighi di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo
26 del D.Lgs.81/08, sopra richiamati, vengano correttamente e completamente
ottemperati, in particolare mediante il rigoroso accertamento della idoneità
tecnico-professionale degli stuntmen o degli addetti agli effetti speciali allo
svolgimento della attività commissionate e una efficace attività di scambio di
informazioni, di cooperazione e coordinamento, la cui concreta realizzazione a
soggetta al controllo del competente organo di vigilanza, tra Datore di Lavoro
committente e appaltatrice (o lavoratori autonomi).
Di conseguenza, quanto al quesito di cui
al punto 3 dell’interpello, si ritiene di sottolineare che, in coerenza con
quanto appena esposto e con quanto argomentato dalla giurisprudenza
assolutamente maggioritaria (si veda, per tutte, la Sentenza n. 28197 del 9
luglio 2009 della Cassazione Penale Sezione IV), il Datore di Lavoro
committente non possa intervenire in supplenza dell’appaltatore o dei
lavoratori autonomi rispetto alle attività che sono proprie (con relativa
assunzione di rischio) dell’impresa appaltatrice o dei lavoratori autonomi in
quanto ciò si risolverebbe in una inammissibile ingerenza nell’attività
affidata a terzi (incompatibile, in particolare, con la figura dell’appalto,
regolata dall’articolo 1655 del Codice Civile). L’obbligo di cooperazione è,
quindi, da intendersi come riferibile all’attuazione delle misure di
prevenzione dirette a eliminare (o ridurre al minimo, se l’eliminazione e
impossibile) i pericoli che, per effetto dell’esecuzione delle opere appaltate,
vanno a incidere sia sui dipendenti dell’appaltante sia su quelli
dell’appaltatore in ordine alle attività tipiche dell’impresa appaltatrice o
dei lavoratori autonomi, salvo che tali attività non vengano svolte con
modalità di aperta pericolosità, tali da mettere in evidente pericolo tutti
coloro che si trovano nei luoghi di lavoro.
In relazione al quesito di cui al punto 2
dell’interpello (ferma restando la necessità che il Datore di Lavoro
committente acquisisca l’iscrizione alla Camera di Commercio, industria e
artigianato e I’autocertificazione di cui all’articolo 26, comma 1, lettera a)
del D.Lgs.81/08) si richiama la necessità che la verifica in parola (la quale
potrà essere riferita, in assenza di altri parametri, ai curricula, cosi come
alle altre certificazioni, quali, ad esempio, quelle relative alla attività di
formazione svolta, rilevanti in materia di salute e sicurezza sul lavoro) venga
effettuata con particolare rigore, in modo da permettere al Datore di Lavoro
committente di valutare la capacità tecnico-professionale del personale di
riferimento della appaltatrice o dei lavoratori autonomi.
Non si ritiene, infine, per le ragioni
sopra indicate, di rispondere al quesito, sempre relativo alle attività
affidate dalle società di produzione a terzi, di cui al punto 4.
Il testo completo dell’Interpello in materia di sicurezza n.6 del 2 maggio
2013 è scaricabile al link:
REGISTRO NAZIONALE DEI MESOTELIOMI:
V RAPPORTO
Da
Portale Consulenti
9 dicembre
2015
Le misure
epidemiologiche di incidenza, latenza, età media alla diagnosi, sopravvivenza
per oltre 21.000 casi.
La
sorveglianza epidemiologica degli effetti sulla salute dell’esposizione a fibre
aerodisperse di amianto è un tema di grande rilevanza per la salute e la
sicurezza nei luoghi di lavoro.
Malgrado
infatti il bando del 1992, che ha determinato la cessazione di ogni attività di
estrazione, lavorazione, utilizzo e commercio di amianto, la lunga latenza
delle malattie amianto correlate, la storia industriale del nostro Paese e le
caratteristiche eziologiche delle patologie coinvolte, rendono necessarie
ancora oggi in Italia le attività di monitoraggio dei rischi e degli effetti.
Il Registro
Nazionale dei Mesoteliomi in questo quadro rappresenta un modello di
interazione costruttiva e feconda fra INAIL e Regioni e si caratterizza, oggi
come nel passato, per la solidità dei risultati scientifici e di ricerca al
servizio della sanità pubblica e di tutti gli operatori del settore.
Le
conoscenze rese disponibili dal Registro Nazionale dei Mesoteliomi, in ordine
alle caratteristiche epidemiologiche della malattia e ai settori di attività
economica coinvolti nell’esposizione, sono preziose per i compiti istituzionali
che l’Istituto è chiamato a svolgere nel quadro del sistema di tutele del
nostro Paese.
In
particolare su questo tema infatti la sinergia fra le acquisizioni della
ricerca scientifica e le attività di riconoscimento ai fini assicurativi è
essenziale e strategica per l’efficienza del sistema sanitario e della
prevenzione dei rischi nei luoghi di vita e di lavoro.
L’Italia è
attualmente uno dei Paesi al mondo maggiormente colpiti dall’epidemia di
malattie amianto correlate. Tale condizione è la conseguenza di utilizzi
dell’amianto che sono quantificabili a partire dal dato di 3.748.550 tonnellate
di amianto grezzo prodotto nazionalmente nel periodo dal 1945 al 1992 e
1.900.885 tonnellate di amianto grezzo importato nella stessa finestra
temporale.
La relazione
di associazione causale estremamente significativa fra esposizione ad amianto e
mesotelioma e la pressoché completa assenza di fattori confondenti e di altri
agenti eziologici causali per la malattia, hanno consigliato e consentito lo
sviluppo di un sistema di sorveglianza epidemiologica per i mesoteliomi basato
sulla ricerca attiva dei casi e la ricostruzione anamnestica individuale
tramite questionario delle circostanze di esposizione ad amianto (siano esse
avvenute in ambito professionale come in ambito residenziale o familiare).
Il sistema
di sorveglianza epidemiologica dei casi di mesotelioma è costituito dal
Registro Nazionale dei Mesoteliomi (ReNaM) istituito presso l’INAIL,
Dipartimento di Medicina, Epidemiologia, Igiene del Lavoro ed Ambientale
(DiMEILA), i cui compiti e le cui modalità e procedure operative sono definite
dal D.P.C.M. 308/02.
La
pubblicazione realizzata da INAIL DiMEILA “Registro Nazionale dei Mesoteliomi:
V Rapporto” è scaricabile all’indirizzo:
RLS NELLE AZIENDE CON PIU’ STRUTTURE
OPERATIVE
Da:
PuntoSicuro
01 dicembre
2015
E’ opportuna
la presenza di un RLS in ciascuna struttura operativa periferica di una grande
azienda operante sul territorio nazionale?
Pubblichiamo
un articolo tratto da “Articolo 19”
n.04/2015, bollettino di informazione e comunicazione per la rete di RLS delle
aziende della Provincia di Bologna realizzato dal SIRS (Servizio Informativo
per i Rappresentanti dei lavoratori per la Sicurezza) con la collaborazione di vari soggetti
istituzionali provinciali (Provincia di Bologna, ASL, INAIL, DPL,
organizzazioni sindacali, ecc.).
Sono stati
recentemente posti al SIRS alcuni quesiti sul particolare problema della nomina
dei RLS e delle loro relazioni con l’azienda in situazioni complesse, con
diverse dislocazioni dei lavoratori dell’azienda.
Sostanzialmente
le fattispecie sono tre:
-
holding,
comprendenti diverse aziende tra loro variamente articolate e interconnesse;
-
aziende
operanti sul territorio nazionale che hanno diverse articolazioni operative
(filiali, succursali, reparti, settori, ecc.) in aree diverse, anche molto
lontane tra loro e dalla casa madre;
-
aziende che
assumono lavori in appalto e inviano quindi il loro personale a operare in
località lontane dalla “casa madre”, in cantieri di vario tipo, dall’edilizia
alla manutenzione, dalla pulizia alla sanificazione, costituendo gruppi anche
grossi di lavoratori che operano anche all’interno di aziende terze.
Il problema
che si pone in questi casi è quello di stabilire se i RLS sono quelli della
sede centrale della holding o dell’azienda, oppure se individuare in ogni
realtà periferica uno o più RLS.
La normativa
non ci aiuta a sciogliere il nodo, perché da un lato non affronta in nessun
modo il problema, dall’altro rimanda (comma 5 dell’articolo 47 del D.Lgs.81/08)
alla contrattazione collettiva: “Il numero, le modalità di designazione o di
elezione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, nonché il tempo di
lavoro retribuito e gli strumenti per l’espletamento delle funzioni sono
stabiliti in sede di contrattazione collettiva”.
Questo
almeno fa chiarezza, a nostro avviso, su un elemento: non rientrano i casi in
cui le strutture periferiche (chiamiamole così) abbiano dignità di unità
produttive (per la cui definizione si veda l’articolo 2, comma 1, lettera t del
D.Lgs.81/08 per cui unità produttiva è stabilimento o struttura finalizzati
alla produzione di beni o all’erogazione di servizi, dotati di autonomia
finanziaria e tecnico funzionale).
L’altro
riferimento normativo importante è il comma 1 dell’articolo 47 del D.Lgs.81/08,
secondo cui “In tutte le aziende, o unità produttive, è eletto o designato il
rappresentante dei lavoratori per la sicurezza”.
Quindi,
acclarato che per le aziende e per le unità produttive il RLS deve essere
eletto o designato (vedi comma 2 sopra citato), resta il problema dei casi in
cui le articolazioni periferiche non sono né aziende né unità produttive. In
questi casi è la contrattazione collettiva che stabilisce le modalità cui
attenersi: ovviamente, se in sede di contrattazione non si raggiunge un accordo
tra le parti, il problema resta irrisolto (ed ecco da dove nascono i quesiti
che pervengono al SIRS: da casi di non accordo sulle modalità).
A nostro
avviso, questo è un tipico problema da Interpello (vedasi indicazioni
all’articolo 12 del D.Lgs.81/08), e quindi non possiamo permetterci di fornire
una nostra interpretazione, che sarebbe del tutto soggettiva e individuale, e
quindi non utilizzabile dai RLS.
L’unica cosa
che possiamo fare è evidenziare gli elementi che a nostro avviso dovrebbero
indurre a privilegiare la scelta di RLS presenti in tutte le articolazioni
periferiche di un’azienda che abbiano almeno una certa consistenza numerica,
organizzativa e di mandato:
-
solo un RLS
che conosca direttamente la realtà di una situazione lavorativa può portare
contributi utili al miglioramento delle condizioni di rischio e al controllo di
eventuali criticità, ovvero può essere un interlocutore valido ed affidabile
per la dirigenza aziendale ed una reale risorsa per i suoi compagni di lavoro;
-
al
contrario, un RLS che si trovi nella sede centrale aziendale non può avere il
polso concretamente delle situazioni periferiche (che possono anche essere
diverse) e quindi, se volesse svolgere il suo ruolo con l’efficacia che la
legge prevede dovrebbe, ad esempio, avere la possibilità di recarsi spesso o
almeno al bisogno nelle realtà periferiche stesse, quanto meno in due momenti
topici: per esprimere il suo parere sulla valutazione dei rischi (sentendo
anche i suoi compagni di lavoro della struttura periferica) e in occasione
della preparazione e svolgimento della riunione annuale di prevenzione;
-
un RLS che
si trovi solo nella sede centrale aziendale, per poter essere efficace, deve
comunque disporre di una rete, anche se informale, di referenti nelle strutture
periferiche, referenti che comunque non sono RLS e non hanno né gli strumenti
né la formazione per poter fare le funzioni dell’RLS, e quindi questa
situazione kafkiana potrebbe generare facilmente disservizi e conflitti;
-
l’individuazione
di RLS solo a livello della sede centrale aziendale porta di fatto o a uno
svuotamento totale del ruolo dell’RLS stesso o, in alternativa, se invece tale
ruolo si vuole conservare e promuovere, a una serie di problemi gestionali e
organizzativi di non poco conto, ad esempio numerose trasferte, necessità di
una rete di collegamenti in tempo reale, individuazione comunque di figure di
riferimento di cui definire compiti, funzioni, agibilità, ecc.
L’elenco
potrebbe continuare, ma questi ci sembrano i quattro punti più importanti utili
a sostenere l’opportunità che il RLS sia presente in tutte le strutture
operative periferiche di una grande azienda con strutture operative diverse sul
territorio nazionale.
SORVEGLIANZA SANITARIA E IDONEITA’
ALLA MANSIONE
Da:
PuntoSicuro
09 dicembre
2015
L’attività
di sorveglianza sanitaria svolta dal medico competente e l’espressione del
giudizio di idoneità alla mansione specifica.
Pubblichiamo
un estratto del documento INAIL “INSula: Indagine nazionale sulla salute e
sicurezza sul lavoro. Medici competenti” che affronta lo svolgimento
dell’attività di Medico competente e gli obblighi.
La
Sorveglianza Sanitaria (articolo 41 del D.Lgs.81/08 e successive modifiche e
integrazioni) è definita (articolo 2) come l’insieme di atti medici finalizzati
alla tutela dello stato di salute e sicurezza dei lavoratori, in relazione
all’ambiente di lavoro, ai fattori di rischio professionali e alle modalità di
svolgimento dell’attività lavorativa.
Lo
svolgimento della Sorveglianza Sanitaria da parte del Medico competente sui
lavoratori esposti ai rischi occupazionali, consiste, pertanto, nell’esecuzione
di visite mediche, accertamenti di laboratorio chimico-clinici, strumentali,
tossicologici e visite specialistiche per l’esplorazione degli organi
specificamente esposti a un determinato fattore di rischio. Questi accertamenti
sanitari consentono al Medico competente di verificare lo stato di salute del
lavoratore e conseguentemente gli permettono di esprimere il giudizio di
idoneità alla mansione specifica.
Nell’ambito
della Sorveglianza Sanitaria vengono ricomprese differenti tipologie di visite
mediche svolte dal Medico competente:
-
visita
medica preventiva, intesa a constatare l’assenza di controindicazioni al lavoro
cui il lavoratore è destinato, al fine di valutare l’idoneità alla mansione
specifica;
-
visita
medica periodica per controllare lo stato di salute dei lavoratori ed esprimere
il giudizio di idoneità alla mansione specifica (la periodicità di tali
accertamenti, qualora non prevista dalla relativa normativa, viene stabilita,
di norma, in una volta l’anno; tale periodicità può assumere cadenza diversa,
stabilita dal Medico competente in funzione della Valutazione dei Rischi.
L’Organo di Vigilanza, con provvedimento motivato, può disporre contenuti e
periodicità della Sorveglianza Sanitaria differenti rispetto a quelli indicati
dal Medico competente;
-
visita
medica su richiesta del lavoratore, qualora sia ritenuta dal Medico competente
correlata ai rischi professionali o alle sue condizioni di salute, suscettibili
di peggioramento a causa dell’attività lavorativa svolta, al fine di esprimere
il giudizio di idoneità alla mansione specifica;
-
visita
medica in occasione del cambio della mansione onde verificare l’idoneità alla
mansione specifica;
-
visita
medica alla cessazione del rapporto di lavoro nei casi previsti dalla normativa
vigente;
-
visita
medica preventiva in fase preassuntiva;
-
visita
medica precedente alla ripresa del lavoro, a seguito di assenza per motivi di
salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi, al fine di verificare
l’idoneità alla mansione.
Al termine
delle visite mediche di Sorveglianza Sanitaria, sulla base delle risultanze
degli accertamenti sanitari eseguiti e in considerazione dello stato di salute
del lavoratore, il Medico competente esprime il giudizio di idoneità alla
mansione specifica.
Tale
giudizio può essere di:
-
idoneità;
-
idoneità
parziale, temporanea o permanente, con prescrizioni o limitazioni;
-
inidoneità
temporanea (vanno precisati i limiti temporali di validità);
-
inidoneità
permanente.
Il giudizio
di idoneità deve essere espresso dal Medico competente per iscritto fornendo
copia dello stesso al lavoratore ed al Datore di Lavoro.
Su tale
giudizio, che deve contenere la firma del lavoratore per avvenuta consegna,
deve essere specificata la mansione svolta dal lavoratore e i relativi fattori
di rischio ai quali egli è esposto, deve essere specificata la data della
successiva visita medica e deve essere riportata la data di emissione.
Avverso i
giudizi del Medico competente, ivi compresi quelli formulati in fase
preassuntiva, è ammesso ricorso, entro trenta giorni dalla data di
comunicazione del giudizio medesimo, all’Organo di Vigilanza territorialmente
competente, che dispone (dopo eventuali ulteriori accertamenti) la conferma, la
modifica o la revoca del giudizio stesso.
Il documento
INAIL “INSula: Indagine nazionale sulla salute e sicurezza sul lavoro. Medici
competenti” è scaricabile all’indirizzo:
SULLA FIGURA DEL DATORE DI LAVORO
“FORMALE” E DI FATTO
Da:
PuntoSicuro
09 dicembre
2015
di Gerardo
Porreca
Il datore di
lavoro titolare degli obblighi prevenzionistici va individuato sia in colui che
risulta esserlo secondo il contratto di lavoro, sia nel soggetto che di fatto
assume i poteri tipici della figura datoriale.
Si esprime
la Corte di Cassazione in questa sentenza sulla figura del datore di lavoro di
fatto e su quello che risulta essere tale formalmente dalla documentazione di
contratto. La stessa nell’individuare la responsabilità per un infortunio
occorso ad un lavoratore caduto da una scala durante lo svolgimento di alcuni
lavori agricoli, ha infatti sostenuto che l’individuazione di un datore di
lavoro “formale”, risultato tale dalla documentazione di contratto non si pone
comunque in contrapposizione con la eventuale esistenza anche di un datore di
lavoro di fatto sicché affermare l’esistenza di un datore di lavoro sulla
scorta di quanto emerge da documenti non può valere a escludere che tale ruolo
fosse stato in concreto assunto anche da altri.
La Corte di
Appello ha riformato la pronuncia emessa dal Tribunale con la quale un datore
di lavoro era stato ritenuto responsabile del reato di lesioni personali
colpose commesse in danno di un lavoratore e condannato alla pena ritenuta
equa. Secondo il giudice di primo grado dalle dichiarazioni della persona
offesa era emerso che l’infortunato era stato assunto “in nero” dall’imputato e
avviato ai lavori di raccolta degli agrumi e che questi nello svolgimento di
tali compiti è caduto da una scala riportando lesioni personali da ricondurre
all’imputato quale datore di lavoro di fatto.
La Corte
Territoriale, da parte sua, ha mandato assolto l’imputato sostenendo che
l’accertamento processuale non aveva consentito di ritenere che l’imputato
fosse stato datore di lavoro dell’infortunato e quindi titolare degli obblighi
prevenzionistici la cui violazione aveva determinato l’infortunio allo stesso
occorso. Tanto in ragione della ritenuta inattendibilità della dichiarazione
dell’infortunato e della circostanza che la proprietaria del terreno ove si
svolgeva la raccolta degli agrumi aveva effettuato una comunicazione di
assunzione di quel lavoratore, anche se tardiva tanto da essere sanzionata
dall’Ispettorato del lavoro, e che l’INAIL aveva riconosciuto che l’infortunio
fosse occorso mentre svolgeva attività lavorativa alle dipendenze della
proprietaria del terreno.
Avverso tale
decisione ha ricorso per cassazione il lavoratore infortunato, costituitosi
parte civile a mezzo del difensore di fiducia, sostenendo che la denuncia infortuni
si riferisse ad altro lavoratore e non a lui, lamentandosi inoltre che la Corte
di Appello non aveva tenuto conto delle dichiarazioni rese da alcuni testimoni.
L’imputato da parte sua, con propria memoria difensiva, ha chiesto il rigetto
del ricorso avanzato dall’infortunato non ritenendo sussistente i vizi
motivazionali dallo stesso indicati nel suo ricorso e sostenendo che l’obbligo
prevenzionistico la cui violazione ebbe a determinare l’infortunio era da
attribuire alla proprietaria del terreno.
Il ricorso è
stato ritenuto fondato dalla Corte di Cassazione che ha perciò annullata la
sentenza impugnata. Secondo la suprema Corte il giudice di primo grado aveva
affermato che l’imputato era stato il datore di lavoro di fatto
dell’infortunato a ciò pervenendo sulla base delle dichiarazioni della persona
offesa, che aveva riferito di essere stato ingaggiato telefonicamente dallo
stesso e di aver ricevuto da questi il salario. A fronte di ciò la Corte di
Appello ha valorizzato dati meramente formali, quali il fatto che la
documentazione, tutta formata dopo l’incidente, era stata sottoscritta dalla
proprietaria del terreno e indicava in essa la datrice di lavoro. La Corte di
Appello, secondo la Sezione IV della Cassazione, ha quindi svolta una
argomentazione manifestamente illogica, avendo contrapposto a un accertamento
di una situazione di fatto un’analisi della situazione “apparente”.
“Orbene, è
noto che in materia prevenzionistica”, ha così concluso la suprema Corte, “il
datore di lavoro, titolare degli obblighi prevenzionistici, va individuato sia
in colui che risulta parte in senso formale del contratto di lavoro, sia nel
soggetto che di fatto assume i poteri tipici della figura datoriale” per cui
“ne consegue che l’individuazione di un datore di lavoro formale non si pone in
contrapposizione con l’eventualità dell’esistenza anche di un datore di lavoro
di fatto; sicché affermare l’esistenza di un datore di lavoro sulla scorta di
quanto emerge da documenti non può valere ad escludere che tale ruolo fosse
stato in concreto assunto anche dal datore di lavoro di fatto”.
Per quanto
sopra detto la Corte di Cassazione ha annullata la sentenza impugnata di
proscioglimento dell’imputato con rinvio, ai sensi dell’articolo 622 del Codice
di Procedura Penale, al giudice civile competente per valore in grado di
appello.
AMBIENTI CONFINATI: RUOLI E
RESPONSABILITA’
Da:
PuntoSicuro
14 dicembre
2015
Indicazioni
su quali siano i ruoli e i compiti nei modelli nordamericani in relazione
tutela della sicurezza nei lavori negli ambienti confinati. Focus su entrant,
attendant, entry supervisor e rescue team member.
Esaminiamo
il documento “Istruzioni operative in materia di sicurezza ed igiene del lavoro
per i lavori in ambienti confinati”, che raccoglie le indicazioni operative
elaborate dal gruppo di lavoro denominato “Ambienti Confinati”, insediato dal
Comitato Regionale di Coordinamento ex articolo 7 del D.Lgs.81/08 della Regione
Emilia Romagna, con la collaborazione, nella fase di seconda revisione,
dell’ingegner Adriano Paolo Bacchetta.
Nell’allegato
viene fornito uno stralcio del modello organizzativo e di responsabilità
ripreso da modelli nordamericani, che chiaramente non fa riferimento ai vincoli
e ai ruoli definiti della nostra normativa. Ruoli che sono stati più volte
individuati nei nostri articoli sugli spazi confinati, ad esempio in relazione
al referente del committente o all’attività di vigilanza del preposto o,
comunque, all’attività del soggetto che, posto all’esterno del punto di accesso
allo spazio confinato, vigila sull’operato di lavoratori all’interno.
Nel modello
nordamericano, come presentato nella guida, i soggetti per cui devono essere
definiti ruoli e responsabilità (oltre al Rappresentante del’azienda
Committente), sono invece identificabili in funzione di quattro ruoli:
-
Entrant
(operatore che entra nello spazio confinato);
-
Attendant
(operatore che assiste dall’esterno l’operatore entrato);
-
Entry
supervisor (Responsabile);
-
Rescue Team
member (addetto al salvataggio).
A ognuno di
questi soggetti sono affidati specifici compiti e responsabilità.
Vediamo nel
dettaglio i compiti e responsabilità assegnati dal modello americano.
L’Entrant
(il lavoratore che deve accedere allo spazio confinato):
-
effettua le
operazioni prefissate seguendo le procedure aziendali;
-
si attiene
alle istruzioni ricevute e non effettua manovre/operazioni che possano mettere
in pericolo la sua o l’altrui sicurezza;
-
verifica,
prima di indossarli, lo stato di conservazione e l’efficienza dei previsti DPI
e delle attrezzature di lavoro;
-
segnala al
Supervisor ogni anomalia o rottura o mancato funzionamento riscontrato nei DPI
e nelle attrezzature di lavoro e, se del caso, chiede la loro sostituzione;
-
si mantiene
in comunicazione continua con l’Attendant;
-
avvisa
l’Attendant in caso di pericolo;
-
abbandona lo
spazio confinato quando si sente in pericolo o a seguito di un ordine ricevuto
dall’Attendant; in caso di emergenza, si attiene alle disposizioni impartite dal
responsabile del Rescue Team e si mette a sua disposizione per eventuali
necessità.
L’Attendant
(il preposto):
-
verifica che
solo i lavoratori autorizzati (Entrant) accedano allo spazio confinato;
-
conoscendo i
rischi associati con lo spazio confinato e le operazioni previste controlla che
l’Entrant indossi i previsti DPI e che non effettui manovre/operazioni che
possano mettere in pericolo la sua o l’altrui sicurezza;
-
controlla
costantemente che permangano le condizioni di sicurezza verificate all’inizio
delle attività e impedisce l’accesso ai non autorizzati;
-
non
abbandona mai il suo posto e si mantiene in comunicazione continua con
l’Entrant effettuando, se previsto, il continuo monitoraggio dell’atmosfera;
-
se
necessario, su propria iniziativa o a seguito della richiesta del Supervisor,
ordina all’Entrant di abbandonare lo spazio confinato;
-
se
necessario, attua le manovre di Non Entry rescue e/o richiede tempestivamente
l’intervento del Rescue Team.
Il
Supervisor (il supervisore):
-
conosce i
rischi associati con le attività negli ambienti a sospetto inquinamento e
confinato, le operazioni previste e i rischi specifici del luogo di lavoro;
-
redige/prende
visione del permesso di lavoro e, prima dell’ingresso, effettua i necessari
test controllando personalmente che siano garantite le condizioni di sicurezza
necessarie per l’avvio delle operazioni secondo quanto previsto;
-
controlla la
presenza ed efficienza delle attrezzature necessarie all’intervento;
-
controlla la
disponibilità/presenza del Rescue Team;
-
conduce il
Pre entry Briefing ed effettua i Test di Pre ingresso;
-
controlla
che gli Entrant indossino i previsti DPI e che la squadra operativa non
effettui manovre/operazioni che possano risultare pericolose;
-
controlla
costantemente che permangano le condizioni di sicurezza verificate all’inizio
delle attività e, se del caso, adotta provvedimenti di adeguamento;
-
si mantiene
costantemente disponibile e in comunicazione continua con l’Attendant;
-
se
necessario, ordina all’Attendant di disporre l’abbandono dello spazio
confinato;
-
se
necessario, dispone in No Entry Rescue e/o richiede tempestivamente
l’intervento del Rescue Team;
-
se
necessario, chiede l’intervento degli addetti del sistema di emergenza del
Servizio sanitario nazionale e dei Vigili del Fuoco;
-
conduce il Post Entry
Debriefing.
Il Rescue
Team member (l’addetto al salvataggio):
-
deve essere
dichiarato in buona salute e idoneo al compito da parte del Medico Competente;
-
dispone di
adeguati DPI per l’intervento ed è correttamente addestrato al loro impiego in
ogni situazione;
-
può
utilizzare in modo sicuro ed efficace le attrezzature di salvataggio che ha a
disposizione, essendo stato adeguatamente formato e addestrato
-
ha ben
chiari i propri compiti, il ruolo che ricopre nel Team di soccorso e le procedure
di soccorso specifiche per ogni spazio confinato in cui deve operare;
-
conosce i
rischi legati agli interventi di soccorso negli ambienti sospetti di
inquinamento o confinati e, nello specifico, quali sono le caratteristiche
dell’ambiente nel quale è chiamato, volta per volta, a operare;
-
è addestrato
sulle tecniche di Basic Life Support (BLS), Basic Trauma Life Support (BTLS) e
sulle manovre di assistenza rianimatoria cardiopolmonare (CRP) e Basic Life
Support Defibrillation (BLSD);
-
effettua
esercitazioni pratiche sulle tecniche di salvataggio con l’utilizzo di
manichini antropomorfi da ambienti che riproducono il più possibile le reali
condizioni di intervento (dimensione passaggio, volume interno, ecc.).
Concludiamo
ricordando, ancora una volta, che questi non sono i ruoli individuati dalla
normativa nazionale, ma i ruoli e responsabilità individuate dai modelli
organizzativi nordamericani con riferimento alle attività nei “Confined
spaces”.
Il documento
della Regione Emilia Romagna “Istruzioni operative in materia di sicurezza ed
igiene del lavoro per i lavori in ambienti confinati”, realizzato dal gruppo di
lavoro denominato “Ambienti Confinati”, insediato dal Comitato Regionale di
Coordinamento della Regione Emilia Romagna è scaricabile all’indirizzo:
L’OBBLIGO DEL FERMO ASSOLUTO NELLA
MANUTENZIONE DELLE MACCHINE
Da:
PuntoSicuro
14 dicembre
2015
di Gerardo
Porreca
E’
indispensabile, ai fini del rispetto della sicurezza sul lavoro, che su una
macchina sia installato un dispositivo di fermo assoluto che impedisca che la
stessa durante i lavori di manutenzione possa riavviarsi o essere riavviata
Chiamata ad
esprimersi su di un infortunio occorso ad un lavoratore nei pressi di una
macchina durante l’effettuazione di alcuni lavori di manutenzione la Corte di
Cassazione in questa sentenza ha ribadita una disposizione di legge che è
ritenuta indispensabile per garantire la sicurezza degli operatori impegnati in
tali tipi di operazione, prevista del resto ormai da tempo dalle norme in
materia di salute e sicurezza sul lavoro.
E’
assolutamente necessario, ha ricordato la suprema Corte, che ogni macchina sia
dotata di un dispositivo di “fermo assoluto” al fine di impedire che durante i
lavori di manutenzione la stessa possa riavviarsi o possa essere
accidentalmente riavviata da altri lavoratori.
Nella
circostanza è stato escluso altresì dalla suprema Corte che l’evento
infortunistico fosse legato a un comportamento del lavoratore abnorme,
esorbitante e comunque tale da interrompere il nesso di causalità tra la
condotta omissiva del datore di lavoro e l’evento letale occorsogli in quanto
lo stesso stava svolgendo delle mansioni a lui assegnate dal datore di lavoro e
non una operazione imprevedibile quale è quella di un intervento manutentivo.
Hanno
ricorso in Cassazione i difensori di fiducia di un datore di lavoro avverso una
sentenza emessa dalla Corte di appello che, in parziale riforma di quella del
Tribunale, aveva ridotta la pena inflitta rideterminandola in 200,00 euro di
multa e aveva revocata la sospensione condizionale della stessa.
L’imputato
era stato ritenuto colpevole del delitto di cui agli articoli 40 e 590 commi 1,
2, e 3 del Codice Penale per avere, in qualità di legale rappresentante di una
società e quindi di datore di lavoro, per colpa consistita in negligenza,
imperizia, imprudenza e violazione di legge (in particolare degli articoli 70,
comma 2, 71, comma 1, 87, comma 2 del D.Lgs 81/08 e 2087 del Codice Civile),
cagionato a un operaio dipendente della società stessa, addetto alla
manutenzione degli impianti, lesioni personali consistite in ferita lacera al
secondo dito della mano sinistra con interessamento della lamina ungueale e
frattura della falange, con prognosi complessiva di giorni 72.
In
particolare è stato ritenuto colpevole per non avere adottato dispositivi,
misure e cautele tali da assicurare in modo assoluto la posizione di fermo
dell’attrezzatura di lavoro e dei suoi organi durante l’esecuzione di
interventi manutentivi e tali da garantire il riavvio in condizioni di
sicurezza e per non avere inoltre adeguato le pulsantiere delle rulliere
motorizzate del macchinario alla normativa tecnica di riferimento. L’operaio,
in particolare, durante l’intervento manutentivo volto alla regolazione del
sistema della catena di trascinamento, era rimasto incastrato con la mano
sinistra nel sistema catena pignone, con trascinamento prima del guanto di protezione
e poi del secondo dito della mano sinistra, che veniva conseguentemente
schiacciato, a causa di un riavvio intempestivo del macchinario.
Il
ricorrente ha lamentata l’omessa applicazione e valutazione dell’articolo 70
del D.Lgs.81/08 nella parte in cui richiama le indicazioni dell’Allegato V
dello stesso decreto e ha messa in evidenza la mancata definizione di “fermo
assoluto” della macchina, l’assenza di una effettiva verifica circa la sua
esistenza nel caso in esame e di una verifica della combinata presenza del
“fermo assoluto” e del comportamento concreto del lavoratore nel governo del
suddetto dispositivo.
Il ricorso è
stato ritenuto infondato dalla Corte di Cassazione ed è stato pertanto
rigettato. In buona sostanza, ha fatto osservare la suprema Corte, il ricorso,
ribadendo censure già prospettate e disattese con congrue e corrette
motivazioni in entrambi i giudizi di merito, ha ricondotto essenzialmente il
verificarsi dell’infortunio al comportamento del lavoratore stesso, qualificato
come abnorme, imprudente e anzi improntato a deliberata accettazione del
rischio in violazione di una elementare regola di cautela e a una precisa
istruzione operativa.
Al riguardo,
ha ribadito la Sezione IV, correttamente e con adeguata motivazione è stato
escluso un comportamento imprevedibile e abnorme del lavoratore e comunque
idoneo da solo a cagionare l’evento e a elidere il nesso di causalità tra la
condotta omissiva del datore di lavoro e l’evento letale allo stesso occorso,
comportamento che pur avventato, negligente, o disattento, era connesso
all’attività lavorativa e da essa non esorbitante né eccentrico rispetto alle
mansioni al medesimo specificamente assegnate nell’ambito del ciclo produttivo
e pertanto non imprevedibile come era appunto l’intervento manutentivo che gli
competeva.
La Corte
territoriale, ha fatto altresì notare la Sezione IV, aveva, fra l’altro,
richiamate e condivise le argomentazioni del giudice di prime grado laddove è
stato esaustivamente rilevato che la mancanza di dispositivi atti ad assicurare
in modo assoluto la posizione di fermo dell’attrezzatura e dei suoi organi che
garantissero l’impossibilità dello stesso di riattivarsi o di essere
volontariamente riattivato, durante l’intervento di manutenzione ed in
particolare durante la scopertura della catena e del pignone mediante la
rimozione del carter di protezione (accorgimento che avrebbe certamente
scongiurato l’evento lesivo) era stata accertata dall’ASL nel suo atto di
contestazione laddove era stata anche constatata la mancata previsione di
misure adottabili di maggior cautela per il ripristino del moto della macchina
e l’omessa consegna ai lavoratori di procedure scritte consequenziali.
Né alcuna
rilevanza, ha così concluso la Corte di Cassazione, ha avuto il dedotto
fraintendimento tra il lavoratore infortunato e il collega di lavoro addetto
all’avviamento e all’arresto del macchinario, dal momento che il “fermo
assoluto” dopo la rimozione del carter di protezione, misura di salvaguardia
che incombeva sul datore di lavoro che omise di adottarla (con la conseguente
integrazione della colpa per violazione di legge ex articolo 70 del D.Lgs.81/08
e 2087 del Codice Civile), avrebbe sicuramente evitato l’infortunio.
La Sentenza
n.45051 del 11 novembre 2015 della Corte di Cassazione Penale Sezione IV è
consultabile all’indirizzo:
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