Tutto questo
sta succedendo alla fabbrica che produce la Smart ad Hambach in Francia, come
riporta, in maniera entusiasta, un articolo del Sole 24 Ore di ieri, 17
dicembre, titolato, appunto “Alla Smart si lavorerà fino a 39 ore pagate 37”.
Vediamo come
descrive il corrispondente da Parigi tutta la faccenda che è davvero molto
importante per le implicazioni che suggerisce e che vuole servire ancor di più
da spinta per le “relazioni sindacali” anche nel nostro paese. Sottolineiamo e
commentiamo i vari passaggi.
“Il muro
delle 35 ore – che i sindacati francesi, con la connivenza di una
politica sottomessa e pavida, a destra come a sinistra, cercano di
puntellare in nome di un’ideologia anacronistica – perde un altro
pezzo.”
Come si sa
nelle fabbriche francesi l’orario di lavoro settimanale è secondo la legge
di 35 ore. Il giornalista, omette di dire che da diversi anni quest’orario è
soltanto sulla carta dato che nel frattempo i rapporti di forza sfavorevoli
alla classe operaia e favorevoli ai padroni hanno portato ad altre leggi, e a
una pratica di fatto, che hanno annullato in buona parte gli effetti di quella
legge. Ma al giornalista ciò che interessa è che adesso anche il simbolo
stesso di quella legge possa essere attaccato, come in Italia con l’art. 18
dello Statuto dei lavoratori. Da notare come parla della politica, definita
sottomessa e paurosa, da destra a sinistra, quando dallo scontro di classe
viene fuori qualcosa di positivo per i lavoratori. E infatti, continua dicendo
che il muro che perde un altro pezzo non è “dei meno emblematici.(!)
Gli 800 dipendenti dello stabilimento Smart di Hambach, in Mosella, hanno
deciso di accettare il “patto” [le virgolette sono del giornalista!] proposto
dalla società di rinunciare, per cinque anni, a quella che i socialisti
hanno contrabbandato come “una grande conquista sociale” e che invece ha fatto
perdere alla Francia posti su posti nella classifica mondiale della
competitività. E quindi posti di lavoro.”
I padroni,
quindi, nel più classico dei modi, “propongono” agli operai di allungare la
giornata
lavorativa per recuperare il profitto perso con la lotta degli operai, [vedi Formazione Operaia - http://proletaricomunisti.blogspot.it/2015/12/pc-17-dicembre-formazione-operaia.html]. “Se la giornata lavorativa viene abbreviata, dice Marx, eguali rimanendo la forza produttiva e l’intensità del lavoro, allora il valore della forza-lavoro e quindi il tempo di lavoro necessario rimane uguale. Ciò che si abbrevia dunque è il lavoro in più, il pluslavoro e con esso diminuisce il plusvalore.”
lavorativa per recuperare il profitto perso con la lotta degli operai, [vedi Formazione Operaia - http://proletaricomunisti.blogspot.it/2015/12/pc-17-dicembre-formazione-operaia.html]. “Se la giornata lavorativa viene abbreviata, dice Marx, eguali rimanendo la forza produttiva e l’intensità del lavoro, allora il valore della forza-lavoro e quindi il tempo di lavoro necessario rimane uguale. Ciò che si abbrevia dunque è il lavoro in più, il pluslavoro e con esso diminuisce il plusvalore.”
“La vicenda”
continua il
giornalista del quotidiano dei padroni, “inizia a giugno, quando la
direzione dell’azienda del gruppo Daimler – che a Hambach produce la due posti
Fortwo – propone ai sindacati un accordo finalizzato a ridurre del 6% il costo
nel lavoro: nel 2016 si passa a 37 ore pagate 35, poi per tre anni a 39 ore
pagate 37, poi un anno di nuovo a 37 ore pagate 35 prima di tornare, nel 2021,
a 35 ore. In cambio offre mille euro lordi di una tantum (da pagare in due
rate), 120 euro mensili (sempre lordi) di aumento in busta paga (che rimarranno
per sempre) e soprattutto la garanzia di non tagliare l’occupazione almeno fino
al 2020.”
La
“riduzione del costo del lavoro”, cioè, per dirla ancora con Marx, “abbassare il prezzo della forza-lavoro
“al di sotto del suo valore”” è
un’ossessione per i padroni e il ricatto dell’azienda che sta dietro a questa
“proposta” è il solito: mantenere la produzione in Francia o portarla in
Slovenia? E questa proposta, invece, non sarebbe “in nome di un’ideologia
anacronistica”?
“Il vero
obiettivo in realtà è quello di condizionare la scelta, che il gruppo dovrà
fare nel 2018, della fabbrica in cui produrre il restyling della terza
generazione della Fortwo: Hambach o l’impianto sloveno Renault (il
costruttore francese ha una partnership con Daimler sulle piccole utilitarie)
di Novo Mesto. Dove attualmente viene montata la quattro posti Forfour a un
costo per vettura inferiore di circa 600 euro a quello dello stabilimento
francese.”
E, come
sempre, qui viene messa in risalto la differenza salariale, che non
viene spiegata con le differenze oggettive di storia e condizioni esistenti
negli altri paesi, ma come “virtù” di un altro tipo di operai. Quelli,
insomma, che lavorano di più per salvarsi il posto di lavoro. “I dipendenti
di Hambach devono insomma decidere se vogliono lavorare il 12% in più
(di cui solo la metà retribuito) per garantirsi un posto sicuro nei
prossimi cinque anni. E probabile (la riduzione dei costi consente di
recuperare metà del gap rispetto a Novo Mesto) nei successivi.”
Di “sicuro”
nel capitalismo, come sanno tutti gli operai, c’è lo sfruttamento sempre più
selvaggio, mentre la garanzia del posto è un miraggio.
“L’11
settembre l’intesa viene approvata da un referendum con il 56% di voti
favorevoli, sia pure con una spaccatura tra addetti alle linee (che lo bocciano)
e gli altri (che lo accettano a larga maggioranza). Ma le due
organizzazioni sindacali maggioritarie, grazie al loro 53%, pongono il veto.”
Quindi gli
operai alle linee, cioè quelli che fanno il lavoro vero, quello più duro,
bocciano l’accordo, mentre gli “altri”, senza specificare chi, ma noi sappiamo
che si tratta fondamentalmente degli impiegati e addetti ad altri servizi,
hanno detto sì. Ma… “Ma le due organizzazioni sindacali maggioritarie, grazie
al loro 53%, pongono il veto.” Ma… “L’azienda” non si arrende e “decide allora
di rivolgersi direttamente ai dipendenti, sottoponendo a ciascuno di loro una
clausola integrativa al contratto in cui accettano la proposta a titolo
personale. Con l’impegno a concretizzare il patto se raccoglierà almeno
il 75% delle adesioni. Il risultato provvisorio (ci sarà tempo fino a venerdì
per decidere) è ben più alto: il 93% dei dipendenti ha già risposto
positivamente.”
Felice di
questo primo risultato, il giornalista conclude, sospirando, perché amerebbe
vedere tutto questo anche in Italia: “Per la Francia si tratta di una novità
assoluta: è la prima volta in cui i dipendenti decidono di lavorare di più
guadagnando di meno e la prima volta in cui lo fanno al di fuori di un
accordo sindacale. Chissà che sia l’inizio di un mondo nuovo.”
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