NEWSLETTER PER LA TUTELA DELLA SALUTE
E DELLA SICUREZZA
DEI LAVORATORI
INDICE
PAUSE, RIPOSI E FERIE
Da
Studio Cataldi
17
agosto 2016
Il
nostro ordinamento garantisce ai lavoratori il diritto di godere di adeguati
periodi di riposo ai fini, costituzionalmente garantiti, di tutelare la loro
salute e di garantire il pieno sviluppo della loro persona e la loro
partecipazione effettiva alla vita sociale.
Vediamo,
nel dettaglio, di cosa stiamo parlando.
PAUSE
Innanzitutto,
in caso di orario di lavoro giornaliero eccedente il limite delle sei ore, i
lavoratori hanno diritto a una pausa la cui durata e le cui modalità sono
stabilite dai contratti collettivi.
Se
manca la disciplina collettiva, la pausa, che può essere goduta anche sul posto
di lavoro, deve essere di durata non inferiore a dieci minuti e deve essere
collocata tra l’inizio e la fine di ogni periodo giornaliero di lavoro tenendo
conto delle esigenze tecniche del processo lavorativo.
RIPOSO
GIORNALIERO
Oltre
alle pause, il nostro ordinamento disciplina, poi, il riposo giornaliero
prevedendo (all’articolo 7 del D.Lgs. 66/03) che i lavoratori hanno diritto a
undici ore di riposo consecutivo ogni ventiquattro ore e precisando che tale
riposo va fruito in maniera consecutiva ad eccezione dei casi in cui esso
riguardi le attività caratterizzate da periodi di lavoro frazionati durante la
giornata o da periodi di reperibilità.
Tale
disposizione sopperisce all’assenza di un limite esplicito di durata massima
della giornata lavorativa, fissandola, implicitamente, in tredici ore.
RIPOSO
SETTIMANALE
L’articolo
9 del D.Lgs. 66/03 sancisce che il lavoratore ha anche diritto di godere, ogni
sette giorni, di un riposo di almeno ventiquattro ore consecutive, da cumulare
con le ore di riposo giornaliero e calcolato come media in un periodo non
superiore a quattordici giorni.
Il
riposo settimanale, di regola, deve coincidere con la domenica, ma restano
salve le disposizioni speciali che consentono la fruizione del riposo in un
giorno diverso e i casi di lavoro basato su modelli tecnico-organizzativi di
turnazione o in cui siano coinvolti lavoratori addetti ad attività aventi
particolari caratteristiche fissate dallo stesso D.Lgs. 66/03. In ogni caso,
secondo un orientamento giurisprudenziale consolidato, lo svolgimento della
prestazione lavorativa di domenica fa sorgere in capo al lavoratore il diritto
ad una maggiorazione retributiva e a un riposo compensativo.
In
determinati casi, peraltro, le disposizioni in materia di riposi settimanali
conoscono delle eccezioni.
Si
tratta, nel dettaglio:
-
delle
attività di lavoro a turni, quando il lavoratore cambia turno o squadra;
-
delle
attività caratterizzate da periodi di lavoro frazionati durante la giornata;
-
di
alcune attività svolte dal personale che opera nel settore dei trasporti ferroviari.
I
contratti collettivi possono poi stabilire delle previsioni differenti.
FERIE
In
forza di quanto previsto dall’articolo 36, comma 3, della Costituzione, i
lavoratori hanno poi diritto a ferie annuali retribuite.
Tale
diritto trova riconoscimento anche nell’articolo 2109 del Codice Civile e
nell’articolo 10 del D.Lgs. 66/03.
In
sostanza il nostro ordinamento prevede che ogni prestatore di lavoro ha diritto
a un periodo annuale di ferie retribuite di almeno quattro settimane, da godere
per almeno due settimane (consecutive in caso di richiesta del lavoratore) nel
corso dell’anno di maturazione e per le restanti due settimane nei 18 mesi
successivi al termine dell’anno di maturazione.
Il
periodo di quattro settimane, inoltre, può essere sostituito dalla relativa
indennità per ferie non godute solo quando intervenga la risoluzione del
rapporto di lavoro o in casi eccezionali e patologici: il diritto alle ferie,
infatti, è irrinunciabile.
Ai
sensi di quanto previsto dall’articolo 2109 del Codice Civile è il datore di
lavoro a stabilire quando il lavoratore debba fruire delle ferie. Nel fare ciò,
tuttavia, egli deve tenere conto non solo delle esigenze dell’impresa, ma anche
degli interessi dello stesso lavoratore. Il suo potere può inoltre essere mitigato
dalla contrattazione collettiva.
Resta
da dire che il diritto alle ferie matura anche durante il periodo di prova e
anche se il rapporto di lavoro dura meno di un anno e che le ferie sono
generalmente ritenute incompatibili con la malattia, purché quest’ultima sia
comunicata al datore di lavoro e sia di gravità tale da compromettere
l’essenziale funzione di riposo.
PERMESSI
Un
cenno meritano infine i permessi del lavoratore, che lo legittimano ad
astenersi dal lavoro, continuando però a percepire la retribuzione.
Il
riferimento, ad esempio, va ai permessi per decesso o grave infermità del
coniuge o di un parente entro il secondo grado o di un soggetto facente parte
della famiglia anagrafica del lavoratore, ai permessi per donazione di sangue o
di midollo osseo, ai permessi per lo svolgimento di cariche pubbliche elettive,
ai permessi per sostenere concorsi o esami e ai permessi per motivi personali
che spesso sono riconosciuti dai contratti collettivi.
L’OBBLIGO
DI SICUREZZA DEL DATORE DI LAVORO
Da Studio Cataldi
23/08/16
di Valeria Zeppilli
AMBITO DI
APPLICAZIONE, OBBLIGATI, MISURE DI TUTELA
Tutti i datori di
lavoro sono tenuti a garantire la sicurezza sul lavoro: tale obbligo, infatti,
trova la sua fonte in molteplici norme.
Innanzitutto negli
articoli 32 e 41 della Costituzione, che sanciscono, rispettivamente, che la
salute è un diritto fondamentale degli individui e che l’iniziativa economica
privata deve svolgersi in maniera tale da non arrecare danno alla sicurezza.
Tra le norme di rango
primario, invece, annoveriamo l’articolo 2087 del Codice Civile, che stabilisce
che nell’esercizio dell’impresa l’imprenditore deve adottare le misure
necessarie a garantire l’integrità fisica e la personalità morale dei
lavoratori. Ad esso si aggiunge il Testo Unico in materia di salute e sicurezza
sul lavoro, di cui al Decreto Legislativo numero 81 del 2008, che contiene una
disciplina organica della materia.
AMBITO DI APPLICAZIONE
SOGGETTIVO
L’obbligo di
sicurezza vale nei confronti di tutti i lavoratori, questi ultimi da intendersi
come tutti i soggetti che svolgono un’attività lavorativa nell’ambito
dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione.
Ai lavoratori in
senso stretto, quindi, sono equiparati i prestatori di lavori socialmente
utili, i volontari dei vigili del fuoco e della protezione civile, i
tirocinanti e così via.
AMBITO DI
APPLICAZIONE OGGETTIVO
Dal punto di vista
oggettivo, invece, le disposizioni del Testo Unico sulla salute e sulla sicurezza
sul lavoro trovano applicazione con riferimento a tutti i settori di attività,
siano esse pubbliche o private, e a tutti i tipi di rischio, tenendo conto
delle eventuali particolari esigenze che derivano dai servizi espletati o
dall’organizzazione.
SOGGETTI GRAVATI
DALL’OBBLIGO
Venendo ai soggetti
che effettivamente sono gravati dall’obbligo di sicurezza, essi vanno identificati
con il datore di lavoro, il dirigente e il preposto.
Il datore di lavoro
è, nel privato, il titolare del rapporto di lavoro e, comunque, il responsabile
dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività o
della singola unità produttiva. Nel pubblico esso coincide con il dirigente al
quale sono affidati i poteri di gestione o con il funzionario eventualmente
preposto a un ufficio con autonomia gestionale e dotato di autonomi poteri
decisionali e di spesa.
Il dirigente, invece,
è colui che, nello svolgimento dell’incarico attribuitogli, attua in concreto
le direttive del datore di lavoro, organizza l’attività lavorativa e vigila su
di essa.
Il preposto, infine,
è colui che sovraintende all’attività lavorativa, controlla la corretta esecuzione
da parte dei lavoratori delle direttive che questi ricevono e esercita un
potere di iniziativa funzionale.
A tali soggetti si
affiancano quelli che il datore di lavoro ha eventualmente delegato come responsabili
dell’obbligo di sicurezza. La delega, in particolare, deve risultare da atto
scritto ed essere accettata. Essa, inoltre, presuppone che il delegato abbia i
requisiti di professionalità ed esperienza necessari per l’attuazione del
compito e che a egli vengano conferiti i necessari poteri di organizzazione,
gestione e controllo e autonomia di spesa. In ogni caso non possono mai essere
delegate l’attività di valutazione dei rischi e la designazione del
responsabile del servizio di prevenzione e protezione dei rischi.
ALTRI SOGGETTI
COINVOLTI
La tutela della
salute e della sicurezza sul lavoro, tuttavia, non passa solo nelle mani dei soggetti
gravati del relativo obbligo, ma è garantita per il tramite di molteplici
figure che giocano un ruolo fondamentale.
Innanzitutto c’è il
medico competente, chiamato a eseguire la sorveglianza sanitaria attraverso le
visite preventive, le visite periodiche e le visite su richiesta dei
lavoratori.
C’è poi il
rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, eletto, a seconda dei casi, a
livello aziendale, territoriale o di sito produttivo, al fine di rappresentare
i lavoratori con riferimento a tutti gli aspetti inerenti la salute e la
sicurezza sul lavoro. Egli, ad esempio, nello svolgimento del suo compito
avverte il responsabile aziendale dei rischi che abbia eventualmente riscontrato,
è consultato preventivamente sulla valutazione dei rischi, fa proposte relative
all’attività di prevenzione, partecipa alle riunioni periodiche in materia e
così via.
Altro soggetto
coinvolto nella tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro è il
responsabile del servizio di prevenzione e protezione, ovverosia un consulente
tecnico del datore di lavoro con compiti di natura propositiva, ad esempio
nell’elaborazione dei programmi di informazione e formazione o delle varie
procedure di sicurezza.
Infine restano da
citare gli organismi paritetici che possono essere costituiti ad iniziativa di
una o più associazioni di datori di lavoro e di lavoratori.
Essi promuovono lo
sviluppo delle azioni necessarie per la salute e la sicurezza, assistono le
imprese nell’ottemperanza ai relativi compiti, programmano attività formative,
raccolgono buone prassi in materia di prevenzione, ecc..
MISURE DI TUTELA
Le misure generali
che in concreto ogni datore di lavoro è tenuto a compiere ai fini di tutela
della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro sono individuate
dall’articolo 15 del Testo Unico: esse non devono comportare, per i lavoratori,
alcun onere di tipo finanziario.
Si tratta, nel
dettaglio, della valutazione di tutti i rischi per la salute e sicurezza, della
programmazione della prevenzione, dell’eliminazione o (se impossibile) della
riduzione al minimo dei rischi e del rispetto dei principi ergonomici
nell’organizzazione del lavoro, nella concezione dei posti di lavoro, nella
scelta delle attrezzature e nella definizione dei metodi di lavoro e produzione.
Altre misure sono
rappresentate dalla sostituzione di ciò che è pericoloso con ciò che non lo è o
lo è meno, dalla limitazione al minimo dei lavoratori esposti (anche solo
potenzialmente) al rischio, dall’utilizzo limitato degli agenti chimici, fisici
e biologici sui luoghi di lavoro e dalla priorità delle misure di protezione
collettiva rispetto quelle di protezione individuale.
I soggetti gravati
dell’obbligo di sicurezza devono inoltre provvedere al controllo sanitario dei
lavoratori, all’allontanamento del lavoratore dall’esposizione al rischio per
motivi sanitari inerenti la sua persona e all’adibizione dello stesso ad altra
mansione (ove possibile), all’informazione e alla formazione adeguate sia dei
lavoratori, che dei dirigenti e dei preposti, che dei rappresentanti dei
lavoratori per la sicurezza.
Ai lavoratori devono
poi essere fornite istruzioni adeguate.
Altre misure generali
di tutela sono rappresentate dalla partecipazione e dalla consultazione dei
lavoratori e dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, dalla
programmazione delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento
nel tempo dei livelli di sicurezza, dalle misure di emergenza da attuare in
caso di primo soccorso, di lotta antincendio, di evacuazione dei lavoratori e
di pericolo grave e immediato, dall’uso di segnali di avvertimento e di
sicurezza e dalla regolare manutenzione di ambienti, attrezzature, impianti,
con particolare riguardo ai dispositivi di sicurezza.
TROPPO LAVORO ANCHE
NEI FESTIVI? SCATTA IL DANNO ESISTENZIALE
Da
Studio Cataldi
26/08/16
di
Valeria Zeppilli
Per
la Cassazione,
però, è a tal fine necessaria la prova del pregiudizio in concreto subito e della
sua dipendenza causale dalla violazione dei diritti del lavoratore.
Prestare
lavoro festivo in maniera ripetuta senza godere dei necessari riposi
compensativi ed essere sottoposti a turni di pronta disponibilità che non
rispettano quelli contrattualmente previsti può legittimare la richiesta di
risarcimento danni da parte del lavoratore.
Con
la Sentenza
numero 17238 del 22 agosto 2016 la
Corte di Cassazione si è pronunciata sulla richiesta di danno
da usura psicofisica, morale ed esistenziale proposta da un medico in ragione
del fatto di essere stato costretto a prestare turni di servizio in 135 giorni
festivi nel periodo dal luglio 1998 al dicembre 2004 senza godere di alcun
riposo compensativo e del fatto di avere svolto, nell’arco di ogni anno di
servizio, una media di 240 turni di pronta disponibilità in giorni feriali,
ovverosia per un numero di giorni maggiore rispetto a quelli contrattualmente
dovuti.
Nel
caso di specie, il giudice territoriale aveva liquidato una somma a titolo di
maggiorazione retributiva, ma per la Cassazione non è questa la strada da seguire.
Il
lavoratore, infatti, non ha fatto valere un credito retributivo, ma ha proposto
domande risarcitorie che quindi andavano valutate con una diversa ottica: esse
possono anche essere accolte, ma a tal fine è necessario valutare la prova del
pregiudizio subito.
La
questione, quindi, deve essere rivalutata secondo un principio ormai
consolidato, ovverosia quello in forza del quale se il lavoratore richiede il
risarcimento del danno non patrimoniale per usura psicofisica o per lesione del
diritto alla salute o di quello alla libera esplicazione delle attività
realizzatrici della persona umana in caso di lavoro prestato oltre il sesto
giorno consecutivo, è fondamentale che egli fornisca la prova del pregiudizio
in concreto subito.
Tale
prova deve avere a oggetto sia i caratteri naturalistici del danno che la sua
dipendenza causale dalla violazione dei diritti patrimoniali di cui
all’articolo 36 della Costituzione.
Con
riferimento a essa, inoltre, può assumere rilevanza anche il consenso del
lavoratore a rendere la prestazione nel giorno di riposo o addirittura la sua
richiesta di prestare attività lavorativa proprio in tale giorno. Non rileva,
invece, il fatto che successivamente il lavoratore stesso abbia goduto di
riposi maggiori, dato che il termine di riferimento è quello del giorno o della
settimana.
Occorre,
insomma, un nuovo esame.
Il
testo della Sentenza della Corte di Cassazione numero 17238/2016 è scaricabile,
previa registrazione, al sito:
LAVORI USURANTI: COSA
SONO, QUANDO ANDARE IN PENSIONE E COME FARE DOMANDA
Da
Studio Cataldi
01/09/16
di
Valeria Zeppilli
Il
nostro ordinamento prevede dei benefici pensionistici per chi abbia svolto
lavori particolarmente faticosi e pesanti.
Per
alcuni lavori, particolarmente faticosi e pesanti, l’accesso al pensionamento è
subordinato al possesso di requisiti agevolati rispetto a quelli previsti per
la generalità dei lavoratori.
Coloro
che abbiano svolto nella loro vita dei lavori cosiddetti usuranti, infatti,
possono andare in pensione prima degli altri lavoratori.
COSA
SONO I LAVORI USURANTI: REQUISITI SOGGETTIVI DI ACCESSO AL BENEFICIO
Il
predetto beneficio è subordinato, innanzitutto, al possesso di determinati
requisiti soggettivi.
Fermo
restando il regime di decorrenza del pensionamento vigente, possono infatti
esercitare il diritto di accesso al trattamento pensionistico anticipato coloro
che abbiano un’anzianità contributiva non inferiore a 35 anni e che abbiano
svolto determinate tipologie di lavoro dipendente.
Le
mansioni particolarmente usuranti vanno innanzitutto individuate in quelle
svolte in sotterraneo con carattere di prevalenza o continuità (in galleria,
cava o miniera) e in quelle svolte dagli addetti alle cave di materiale di
pietra e ornamentale (cave) e dagli addetti al fronte di avanzamento con
carattere di prevalenza e continuità (nelle gallerie).
Sono
poi particolarmente usuranti i lavori in cassoni ad aria compressa, i lavori
svolti dai palombari, i lavori ad alte temperature (quando non sia possibile
adottare misure di prevenzione) e le lavorazioni del vetro cavo eseguito a mano
e a soffio.
Danno
poi accesso al beneficio del pensionamento anticipato i lavori espletati in
spazi ristretti e i lavori di asportazione dell’amianto svolti con carattere di
prevalenza e continuità.
In
determinati casi, anche il lavoro notturno è reputato lavoro usurante.
Ci
si riferisce ai casi di lavoro a turni svolto per almeno sei ore comprendenti
l’intervallo tra la mezzanotte e le cinque del mattino, per almeno 78 o 64
giorni lavorativi annui a seconda che i requisiti per l’accesso anticipato
siano perfezionati, rispettivamente, nel periodo compreso tra il 1° luglio 2008
ed il 30 giugno 2009 o dal 1° luglio 2009.
Il
lavoro notturno è considerato usurante anche quando per periodi di lavoro di
durata pari all’intero anno lavorativo i lavoratori prestino la loro attività
per almeno tre ore nell’intervallo tra la mezzanotte e le cinque del mattino.
Altre
fattispecie di lavoro usurante sono rappresentate dall’adibizione alla
cosiddetta linea catena e dal condurre veicoli pesanti, di capienza di almeno
nove posti compreso il conducente, adibiti a servizi pubblici di trasporto.
I
REQUISITI OGGETTIVI PER L’ACCESSO AL BENEFICIO
Per
poter beneficiare del pensionamento anticipato non è sufficiente il possesso
dei predetti requisiti, ma è necessario anche che le attività usuranti siano
state svolte per un determinato periodo di tempo.
In
particolare, per le pensioni con decorrenza entro il 31 dicembre 2017 i lavori
usuranti devono essere stati svolti per almeno sette anni anche non
continuativi negli ultimi dieci anni di attività lavorativa, compreso quello di
maturazione dei requisiti.
Nel
calcolare gli ultimi dieci anni di attività lavorativa si fa una valutazione
per anno solare e se l’attività lavorativa è stata cessata prima della fine
dell’anno di maturazione dei requisiti per l’accesso al trattamento
pensionistico anticipato, si considerano i 10 anni precedenti la data di
cessazione dell’attività lavorativa.
Se
invece al 31 dicembre dell’anno di maturazione dei requisiti per l’accesso al
trattamento pensionistico anticipato il richiedente svolge attività lavorativa,
si considerano i 10 anni precedenti la fine dell’anno di maturazione dei
requisiti.
Nei
10 anni, inoltre, vanno ricompresi i periodi di svolgimento effettivo di
attività lavorativa (in forma sia dipendente che autonoma), desumibile
dall’accredito di contribuzione obbligatoria, mentre sono esclusi i periodi
totalmente coperti da contribuzione figurativa.
Il
calcolo dei sette anni anche non continuativi di svolgimento di attività
lavorative usuranti, invece, va fatto valutando l’anno solare, ricomprendendo i
periodi di svolgimento effettivo di attività lavorativa (solo in forma
dipendente) desumibile dall’accredito di contribuzione obbligatoria ed
escludendo i periodi totalmente coperti da contribuzione figurativa
Le
cose cambieranno per le pensioni con decorrenza dal 1° gennaio 2018: con
riferimento ad esse, infatti, i lavori usuranti dovranno essere stati svolti
per almeno metà della vita lavorativa.
L’ETA’
PENSIONABILE
Come
detto più volte, il beneficio riservato dal nostro ordinamento a coloro che
abbiano svolto lavori usuranti consiste nell’accesso anticipato alla pensione.
Più
nel dettaglio, a partire dal 1° gennaio 2016 tali lavoratori possono in
generale andare in pensione con una anzianità contributiva minima di 35 anni,
una età minima di 61 anni e 7 mesi ed il perfezionamento contestuale della
quota 97,6.
I
requisiti sono parzialmente diversi in caso di lavoro notturno.
Se
questo è svolto per un numero di giorni annui da 64 a 71 l’età anagrafica
minima richiesta è di 63 anni e 7 mesi mentre la quota pensionistica richiesta
è di 99,6, se invece il lavoro notturno annuo si è svolto per un numero di
giorni da 72 a
77 l’età anagrafica minima richiesta è di 62 anni e 7 mesi mentre la quota
pensionistica richiesta è di 98,6.
LE
FINESTRE MOBILI
Non
bisogna poi dimenticare che, in forza di quanto previsto dall’articolo 24,
comma 17-bis, del Decreto Legge 201/11, per i lavoratori assoggettati alla
disciplina in esame trovano ancora applicazione le cosiddette finestre mobili
di cui al Decreto Legge 78/10, con la conseguenza che, dopo che i requisiti
anagrafici e contributivi siano stati perfezionati, per il pagamento del primo
rateo di pensione si dovranno attendere altri 12 mesi.
INCOMPATIBILITA’
Il
pensionamento anticipato per lavoratori usuranti non può essere cumulato con le
norme di miglior favore per l’accesso anticipato al pensionamento rispetto ai
requisiti previsti nell’assicurazione generale obbligatoria né con i benefici
previsti per lavoratori invalidi, non vedenti, sordomuti o comunque affetti da
particolari infermità oggetto di tutela previdenziale.
Può
invece godersi del beneficio in parola anche insieme al beneficio per i
lavoratori esposti all’amianto (pur se solo ai fini della misura del
trattamento pensionistico) e insieme al meccanismo di prolungamento dei periodi
lavorativi previsto per i lavoratori marittimi.
LAVORO
AUTONOMO
Il
beneficio previsto per i lavori usuranti, come accennato, riguarda solo i
lavoratori dipendenti.
Si
sottolinea, tuttavia, che la domanda può essere presentata anche da coloro che
raggiungono il requisito contributivo richiesto solo grazie al cumulo con la
contribuzione versata presso una gestione speciale per i lavoratori autonomi.
L’unica
conseguenza negativa di tale situazione è che sia i requisiti anagrafici
richiesti che le quote sono innalzati di un anno e che la pensione decorre dopo
18 mesi da quando si sono perfezionati i requisiti.
COME
FARE DOMANDA
La
domanda per accedere al beneficio in commento va fatta avvalendosi
dell’apposito modulo disponibile nella sezione modulistica del sito dell’INPS.
Questo,
una volta compilato, va presentato alla struttura territoriale dell’istituto
competente corredato della relativa documentazione entro il 1° marzo dell’anno
di perfezionamento dei requisiti agevolati, se questi sono maturati a decorrere
dal 1° gennaio 2012.
MODIFICHE AL DECRETO
81/08: RECEPITA IN ITALIA LA
NUOVA DIRETTIVA SUI CAMPI ELETTROMAGNETICI
Da:
PuntoSicuro
31
agosto 2016
di
Tiziano Menduto
Il
recepimento della Direttiva 2013/35/UE sui campi elettromagnetici e le
modifiche al D.Lgs. 81/08. Il nuovo campo di applicazione, i percorsi di
formazione e le definizioni degli effetti e dei valori limite. Il decreto entra
in vigore il 2 settembre.
In
questi mesi, con riferimento alla presentazione delle guide di buone prassi per
l’attuazione della Direttiva 2013/35/UE, ci siamo più volte soffermati sulla
tematica dell’esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dai campi
elettromagnetici (CEM) rimarcando l’assenza del recepimento della Direttiva da
parte dell’Italia (sarebbe dovuto avvenire entro il 1° luglio 2016).
Finalmente,
con il consueto ritardo che caratterizza molti provvedimenti nostrani, dopo
essere stato approvato dal Consiglio dei Ministri, nelle scorse settimane, il
Decreto Legislativo del 01 agosto 2016, n. 159 di recepimento della Direttiva
2013/35/UE è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 18 agosto ed entrerà in
vigore il prossimo 2 settembre 2016.
Vediamo
di soffermarci su alcune delle novità contenute nel D.Lgs. 159/16, recante
“Attuazione della Direttiva 2013/35/UE sulle disposizioni minime di sicurezza e
di salute relative all’esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli
agenti fisici (campi elettromagnetici) e che abroga la Direttiva 2004/40/CE”.
Innanzitutto
è bene sottolineare che il decreto apporta molte modifiche e integrazioni alla
parte del D.Lgs. 81/08 riguardante la protezione dei lavoratori contro i rischi
per la salute e la sicurezza derivanti dall’esposizione ai campi
elettromagnetici (sono modificati/sostituiti gli articoli 206, 207, 209, 210,
211, 212 ed è aggiunto l’articolo 210 bis)
Ricordando
che le novità del nuovo Decreto attuativo e della Direttiva recepita riguardano
in particolare la protezione dalle esposizioni in campi da bassa frequenza, l’obbligo
di informazione e formazione dei lavoratori potenzialmente esposti e la
sorveglianza sanitaria, riportiamo alcuni degli articoli del Testo Unico come
modificati dal nuovo Decreto.
Riportiamo
parzialmente il nuovo articolo 206:
“1. Il presente capo determina i requisiti
minimi per la protezione dei lavoratori contro i rischi per la salute e la
sicurezza derivanti dall’esposizione ai campi elettromagnetici (da 0 Hz a 300
GHz), come definiti dall’articolo 207, durante il lavoro. Le disposizioni riguardano
la protezione dai rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori dovuti
agli effetti biofisici diretti e agli effetti indiretti noti provocati dai
campi elettromagnetici.
2. I Valori limite di
esposizione (VLE) stabiliti nel presente capo riguardano soltanto le relazioni
scientificamente accertate tra effetti biofisici diretti a breve termine ed
esposizione ai campi elettromagnetici.
3. Il presente capo
non riguarda la protezione da eventuali effetti a lungo termine e i rischi risultanti
dal contatto con i conduttori in tensione.
[...]”
Articolo
che fa dunque riferimento “agli effetti biofisici diretti e agli effetti
indiretti noti provocati dai campi elettromagnetici” (non solo dunque, come
indicato precedentemente, agli effetti nocivi a breve termine conosciuti).
Veniamo
al nuovo articolo 207 di cui riportiamo le nuove definizioni.
Ora
si intendono per “campi elettromagnetici”, campi elettrici statici, campi
magnetici statici e campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici variabili
nel tempo con frequenze sino a 300 GHz.
Veniamo
alla definizione degli effetti:
-
“effetti
biofisici diretti”, effetti provocati direttamente nel corpo umano a causa
della sua presenza all’interno di un campo elettromagnetico, che comprendono:
1)
effetti
termici, quali il riscaldamento dei tessuti a causa dell’assorbimento di
energia dai campi elettromagnetici nei tessuti medesimi;
2)
effetti
non termici, quali la stimolazione di muscoli, nervi e organi sensoriali: Tali
effetti possono essere di detrimento per la salute mentale e fisica dei
lavoratori esposti; inoltre, la stimolazione degli organi sensoriali può
comportare sintomi transitori quali vertigini e fosfeni e tali effetti possono
generare disturbi temporanei e influenzare le capacità cognitive o altre
funzioni cerebrali o muscolari e possono, pertanto, influire negativamente
sulla capacità di un lavoratore di operare in modo sicuro;
3)
correnti
negli arti;
-
“effetti
indiretti”, effetti provocati dalla presenza di un oggetto in un campo
elettromagnetico, che potrebbe essere causa di un pericolo per la salute e
sicurezza, quali:
1)
interferenza
con attrezzature e dispositivi medici elettronici, compresi stimolatori cardiaci
e altri impianti o dispositivi medici portati sul corpo;
2)
rischio
propulsivo di oggetti ferromagnetici all’interno di campi magnetici statici;
3)
innesco
di dispositivi elettro-esplosivi (detonatori);
4)
incendi
ed esplosioni dovuti all’accensione di materiali infiammabili a causa di
scintille prodotte da campi indotti, correnti di contatto o scariche elettriche;
5)
correnti
di contatto.
L’articolo
si sofferma anche sulle definizioni dei valori limite:
-
“Valori
limite di esposizione (VLE)”, valori stabiliti sulla base di considerazioni
biofisiche e biologiche, in particolare sulla base degli effetti diretti acuti
e a breve termine scientificamente accertati, ossia gli effetti termici e la
stimolazione elettrica dei tessuti;
-
“VLE
relativi agli effetti sanitari”, VLE al di sopra dei quali i lavoratori
potrebbero essere soggetti a effetti nocivi per la salute, quali il
riscaldamento termico o la stimolazione del tessuto nervoso o muscolare;
-
“VLE
relativi agli effetti sensoriali”, VLE al di sopra dei quali i lavoratori
potrebbero essere soggetti a disturbi transitori delle percezioni sensoriali e
a modifiche minori nelle funzioni cerebrali;
-
“Valori
di azione (VA)”, livelli operativi stabiliti per semplificare il processo di
dimostrazione della conformità ai pertinenti VLE e, ove appropriato, per
prendere le opportune misure di protezione o prevenzione.
Inoltre
si indica che nell’allegato XXXVI del D.Lgs. 81/08 parte II:
-
per
i campi elettrici, per “VA inferiori” e “VA superiori” s’intendono i livelli
connessi alle specifiche misure di protezione o prevenzione da adottare;
-
per
i campi magnetici, per “VA inferiori” s’intendono i valori connessi ai VLE
relativi agli effetti sensoriali e per “VA superiori” i valori connessi ai VLE
relativi agli effetti sanitari.
Concludiamo
riportando il nuovo articolo 210-bis in materia di informazione e formazione
per i lavoratori e i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza:
“Ai
sensi di quanto previsto all’articolo 184, comma 1, lettera b), il datore di
lavoro garantisce, inoltre, che i lavoratori che potrebbero essere esposti ai
rischi derivanti dai campi elettromagnetici sul luogo di lavoro e i loro
rappresentanti ricevano le informazioni e la formazione necessarie in relazione
al risultato della valutazione dei rischi con particolare riguardo:
a)
agli eventuali effetti indiretti dell’esposizione;
b)
alla possibilità di sensazioni e sintomi transitori dovuti a effetti sul
sistema nervoso centrale o periferico;
c)
alla possibilità di rischi specifici nei confronti di lavoratori appartenenti a
gruppi particolarmente sensibili al rischio, quali i soggetti portatori di
dispositivi medici o di protesi metalliche e le lavoratrici in stato di
gravidanza”.
Il
Decreto legislativo del 1 agosto 2016, n. 159 “Attuazione della Direttiva
2013/35/UE sulle disposizioni minime di sicurezza e di salute relative
all’esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (campi
elettromagnetici) e che abroga la
Direttiva 2004/40/CE” è consultabile all’indirizzo:
IMPARARE DAGLI
ERRORI: ANCORA SUGLI INFORTUNI A MANI NON PROTETTE
Da:
PuntoSicuro
01
settembre 2016
di
Tiziano Menduto
Esempi
di infortuni correlati all’uso, errato o mancato, di guanti per la protezione
delle mani. Gli infortuni nell’utilizzo di una motosega e durante le attività
di magazzino. La dinamica degli infortuni e le informazioni sui dispositivi di
protezione.
E’
impossibile riuscire a raccogliere e raccontare, con la nostra rubrica
“Imparare dagli errori” dedicata agli infortuni e alle malattie professionali,
tutte le tipologie di incidenti, con danni più o meno gravi per gli operatori,
che riguardano l’assenza o l’utilizzo errato dei guanti di protezione.
A
volte sono piccoli infortuni non segnalati o solo infortuni sfiorati: i “near
miss”. E spesso i DPI non sono forniti e il lavoratore è costretto a lavorare
senza di essi.
Continuiamo
dunque oggi ad affrontare gli infortuni alle mani per uso errato o mancato uso
di DPI (ma disponibili) e lo facciamo, come sempre, presentando dinamiche
infortunistiche tratte dall’archivio di schede di INFOR.MO., strumento per
l'analisi qualitativa dei casi di infortunio collegato al sistema di
sorveglianza degli infortuni mortali e gravi.
Il
primo caso riguarda un infortunio durante l’utilizzo di una motosega.
Un
lavoratore mentre utilizza una motosega da potatura, con la sola mano destra,
improvvisamente perde il controllo dell'attrezzatura andando a sbattere con la
lama sulla mano sinistra. Si procura l'amputazione dell'indice sinistro.
L’operatore
non indossava idonei guanti antitaglio.
I
fattori causali dell’incidente, rilevati dalla scheda, sono evidenti:
-
il
lavoratore perdeva il controllo dell'attrezzatura;
-
il
lavoratore non indossava idonei guanti antitaglio.
Più
articolato il secondo caso di infortunio che riguarda attività di magazzino.
Il
capo magazziniere di un istituto religioso per esigenze di servizio si deve
recare nel magazzino “pannoloni” del reparto infermeria per prelevare dei
contenitori (biobox di colore bianco con il tappo rosso) che sono utilizzati
come deposito per rifiuti taglienti (aghi ecc.).
Questi
contenitori si trovano sull’ultimo piano di una scaffalatura a circa 2 metri da terra.
Per
poterli raggiungere il capo magazziniere sale su alcuni scatoloni di pannoloni
situati alla base della scaffalatura.
Il
lavoratore prende i contenitori richiesti (circa 10) e li deposita sulla sua
destra, sopra alcuni pannoloni, ad un’altezza di circa 1 metro e 50 centimetri da
terra.
Effettuata
questa operazione, per scendere dagli scatoloni si gira e, contemporaneamente,
si sostiene con la mano sinistra all’ultimo piano della scaffalatura.
Nel
fare questo movimento non si accorge però che la fede nuziale che indossava al
quarto dito della mano sinistra rimane agganciata a una sporgenza di un
montante della scaffalatura. Pertanto il capo magazziniere scendendo dal
gradino, costituito dallo scatolone (alto circa 20 centimetri), con
il peso (70 kg)
del proprio corpo e a causa del contatto del suo anello con la sporgenza del
montante, si procura l’amputazione del quarto dito della mano sinistra a
livello dell’interfalangea prossimale con scuoiamento.
Le
indagini successive all’incidente hanno rilevato che l’infortunato aveva
disposizione guanti da lavoro ed un’apposita scaletta per raggiungere l’ultimo
piano della scaffalatura ma ha deciso, di propria iniziativa, di non utilizzare
entrambi.
Questi
i fattori causali dell’infortunio:
-
il
lavoratore non usa la scaletta ma sale e scende su alcuni scatoloni non
stabili;
-
mancato
utilizzo dei guanti da lavoro in dotazione.
Con
riferimento al primo incidente, riprendiamo ancora alcune notizie sui DPI
antitaglio tratte da un documento correlato al progetto multimediale Impresa
Sicura (elaborato da EBER, EBAM, Regione Marche, Regione Emilia-Romagna e
INAIL) che è stato validato dalla Commissione Consultiva Permanente per la
salute e la sicurezza come buona prassi nella seduta del 27 novembre 2013.
Riportiamo
informazioni su due specifiche tipologie di guanti di protezione dai rischi
meccanici:
-
guanti
e proteggi-braccia contro tagli causati da coltelli motorizzati: tipologia di
DPI indicata per quelle lavorazioni in cui l’operatore fa uso di coltelli
motorizzati, cioè di apparecchiature a impugnatura manuale o fissa che
utilizzano una fonte di energia diversa da quella umana (generalmente elettrica
o aria compressa) per azionare una lama di coltello rotante, alternativa o
vibrante: queste attrezzature di lavoro sono comunemente utilizzate nel settore
dell’abbigliamento, nella lavorazione della gomma piuma e materiali similari,
nei mattatoi e negli stabilimenti per il taglio della carne; si utilizzano
coltelli a nastro, coltelli diritti alternativi, taglierine circolari rotanti e
altri tipi;
-
guanti
di protezione per l’utilizzo di seghe a catena: la norma UNI EN 381 specifica
le caratteristiche di resistenza che i guanti debbono avere verso il taglio
mediante sega a catena: poiché queste attrezzature di lavoro sono progettate
per essere utilizzate con la mano destra, normalmente protetta quando stringe
l’apposita impugnatura dell’attrezzatura di lavoro, i requisiti di protezione
sono riferiti ai guanti per la mano sinistra; pertanto un operatore mancino
deve utilizzare la sega a catena come un destrorso per ottenere la prevista protezione
dal DPI; sono previsti due tipi di guanti di protezione che differiscono tra
loro sulla base delle diverse aree di protezione della mano: di Tipo A (guanto
a cinque dita separate, con protezione del metacarpo, cioè della parte compresa
tra il polso e le dita) e di Tipo B (guanto a 5 dita o manopola con protezione
di tutto il dorso della mano compreso quello delle dita, ad esclusione del
pollice; per la mano destra non è richiesta alcuna protezione: tuttavia se essa
esiste deve per lo meno essere equivalente a quella richiesta per la mano
sinistra, secondo le relative tipologie sopra indicate.
Ci
soffermiamo, in conclusione, su alcuni requisiti generali e fondamentali dei
guanti di protezione utilizzabili nel mondo del lavoro tratti dal documento
correlato a Impresa Sicura e con riferimento a quanto prescritto dalla norma
UNI EN 420, una norma che definisce non solo requisiti e procedimenti di prova,
ma anche aspetti come innocuità e confortevolezza:
-
innocuità:
i materiali del guanto, comprese le cuciture e i bordi, nonché i prodotti della
loro degradazione e le sostanze in essi contenute, e in particolare quelle
parti che sono a diretto contatto con l’utilizzatore, non devono danneggiare la
sua salute e la sua igiene; nelle istruzioni fornite dal fabbricante devono
essere elencate tutte le sostanze che sono note come potenziali allergizzanti;
il pH dei quanti deve essere maggiore di 3,5 e minore di 9,5;
-
ergonomia/confortevolezza:
la confortevolezza è legata alla taglia, e quindi alla misura, delle mani e dei
guanti: le taglie dei guanti (riportate in un’apposita tabella) sono definite
sulla base di due caratteristiche dimensionali delle mani: circonferenza e
lunghezza (distanza tra polso e l’estremità del dito medio); si annota che sono
possibili anche mezze taglie, le cui misure sono ricavate per interpolazione
delle misure riportate nella precedente tabella e taglie più piccole o più
grandi, estrapolabili sempre dai suddetti dati: la lunghezza minima della mezza
taglia deve coincidere con quella della taglia unitaria immediatamente
superiore;
-
destrezza:
la destrezza offerta dal guanto dovrebbe essere la massima possibile: essa dipende
da vari fattori, quali spessore del materiale con cui è fabbricato il guanto,
la sua elasticità e la sua deformabilità; se richiesto, la destrezza delle dita
deve essere testata e le prestazioni graduate (anche in questo caso è riportata
una tabella con i livelli di prestazione);
-
trasmissione
e assorbimento al vapore acqueo: se possibile i guanti di protezione devono
permettere la permeabilità al vapore acqueo in modo che le mani dell’operatore
possano operare in una situazione di benessere; qualora le caratteristiche di
protezione del guanto impediscano o escludano la permeabilità al vapore acqueo,
il DPI dovrà essere progettato per ridurre il più possibile gli effetti della
traspirazione.
Il
sito web di INFOR.MO. di cui abbiamo presentato le schede numero 2737 e 1399 si
trova all’indirizzo:
REGOLAMENTO EUROPEO
DPI: LA PROTEZIONE DAL
CALDO E DAL FREDDO
Da:
PuntoSicuro
05
settembre 2016
Indicazioni
sui requisiti essenziali di salute e di sicurezza dei Dispositivi di Protezione
Individuale (DPI) riportati nel nuovo Regolamento 2016/425/UE. Focus sui
requisiti dei DPI per la protezione dagli effetti del calore o del fuoco e per
la protezione dal freddo.
Per
conoscere quali siano i requisiti richiesti dalla normativa europea per i DPI,
che hanno la funzione di proteggere da rischi come il rumore, gli agenti
chimici, le cadute, il calore e le radiazioni, è possibile consultare la Direttiva 89/686/CEE del
21 dicembre 1989, attuata in Italia dal D.Lgs. 475/92 “Attuazione della
Direttiva 89/686/CEE del Consiglio del 21 dicembre 1989, in materia di
ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai Dispositivi di
Protezione Individuale”.
Tuttavia
qualche mese fa è stato emanato il nuovo Regolamento 2016/425/UE del Parlamento
Europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016 sui DPI, che abroga la Direttiva 89/686/CEE e
che si applicherà (con alcune eccezioni) dal 21 aprile 2018 (è infatti da
questa data che sarà effettivamente abrogata la Direttiva 89/686/CEE).
E
anche il nuovo regolamento riporta nell’allegato II i requisiti essenziali di
salute e di sicurezza dei DPI.
Per
familiarizzare con questi nuovi requisiti, abbiamo presentato, in precedenti
articoli, i requisiti generali, i requisiti supplementari comuni a varie
tipologie di DPI e alcuni requisiti supplementari specifici per DPI destinati
alla protezione da impatto meccanico, alla protezione dalle cadute, dal rumore
e dai rischi di annegamento.
Ci
soffermiamo oggi sui requisiti supplementari per i DPI destinati alla
protezione dal caldo e dal freddo.
Nell’allegato
II del Regolamento europeo si indica che i DPI destinati a proteggere
interamente o parzialmente il corpo dagli effetti del calore e/o del fuoco
devono avere un potere di isolamento termico e una resistenza meccanica
adeguati alle condizioni prevedibili di impiego.
Sono
poi riportate indicazioni sui materiali costitutivi e altri componenti dei DPI:
-
i
materiali costitutivi e gli altri componenti destinati alla protezione dal
calore radiante e convettivo devono avere un coefficiente adeguato di
trasmissione del flusso termico incidente e un grado di incombustibilità
sufficientemente elevato, per evitare ogni rischio di combustione spontanea
nelle condizioni prevedibili di impiego;
-
se
la superficie esterna di tali materiali e componenti deve avere un potere
riflettente, tale potere deve essere adeguato al flusso di calore emesso
mediante irraggiamento nella regione dell’infrarosso;
-
i
materiali e gli altri componenti dei DPI destinati a interventi di breve durata
all’interno di ambienti ad alta temperatura e i DPI suscettibili di ricevere
proiezioni di prodotti caldi, ad esempio materie in fusione, devono inoltre
avere una capacità calorifica sufficiente per restituire la maggior parte del
calore immagazzinato soltanto dopo che l’utilizzatore si sia allontanato dal
luogo di esposizione ai rischi e abbia rimosso il DPI;
-
i
materiali e gli altri componenti dei DPI suscettibili di ricevere proiezioni di
prodotti caldi devono inoltre assorbire sufficientemente gli urti meccanici;
-
i
materiali e gli altri componenti dei DPI suscettibili di venire accidentalmente
a contatto con la fiamma e quelli utilizzati nella fabbricazione dei
dispositivi industriali o di lotta antincendio devono inoltre essere
caratterizzati da un grado di ininfiammabilità e di protezione termica o dal
riscaldamento ad arco corrispondente alla classe dei rischi incorsi nelle condizioni
prevedibili di impiego; essi non devono fondere sotto l’azione della fiamma, né
contribuire a propagarla.
E
per i DPI completi, pronti per l’uso (sempre in relazione alla protezione dal
calore e/o dal fuoco) nelle condizioni prevedibili di impiego:
-
la
quantità di calore trasmessa all’utilizzatore attraverso il DPI deve essere
sufficientemente bassa affinché il calore accumulato per tutta la durata di
impiego nella parte del corpo da proteggere non raggiunga mai la soglia di
dolore o quella in cui si verifichi un qualsiasi effetto nocivo per la salute;
-
i
DPI devono impedire, se necessario, la penetrazione di liquidi o di vapori e
non devono causare ustioni derivanti da contatti puntuali tra il loro
rivestimento protettivo e l’utilizzatore.
Si
segnala poi che se i DPI sono dotati di dispositivi di refrigerazione in grado
di assorbire il calore incidente mediante evaporazione di un liquido o
sublimazione di un solido, i dispositivi devono essere progettati in modo tale
che le sostanze volatili che si formano siano evacuate all’esterno
dell’involucro di protezione e non verso l’utilizzatore. E se i DPI comprendono
un dispositivo respiratorio, tale dispositivo deve garantire adeguatamente la
funzione di protezione stabilita nelle condizioni prevedibili di impiego.
Si
indica poi che il fabbricante deve indicare, nelle istruzioni allegate al DPI
destinato a interventi di breve durata in ambienti ad alta temperatura,
qualsiasi dato utile ai fini della determinazione della durata massima
ammissibile dell’esposizione dell’utilizzatore al calore trasmesso dai
dispositivi utilizzati conformemente al loro impiego previsto.
Riportiamo
ora qualche indicazione relativa ai requisiti dei DPI per la protezione dal
freddo.
L’allegato
II indica che i DPI destinati a difendere tutto il corpo o parte di esso dagli
effetti del freddo devono possedere un isolamento termico e una resistenza
meccanica adeguati alle condizioni prevedibili di impiego cui sono destinati.
In
particolare i materiali costitutivi e gli altri componenti dei DPI destinati a
proteggere dal freddo devono possedere coefficienti di trasmissione del flusso
termico incidente tanto bassi quanto lo richiedono le condizioni prevedibili di
impiego. I materiali e gli altri componenti flessibili dei DPI da utilizzare
per interventi all’interno di ambienti a bassa temperatura devono conservare un
grado di flessibilità che permetta all’operatore di compiere i gesti necessari
e di assumere determinate posizioni. Inoltre i materiali e gli altri componenti
dei DPI che potrebbero essere interessati da proiezioni di prodotti freddi
devono poter assorbire sufficientemente gli urti meccanici.
Infine
per i DPI completi, pronti per l’uso, per la protezione dal freddo e nelle
condizioni prevedibili di impiego si applicano i seguenti requisiti:
-
il
flusso trasmesso all’utilizzatore attraverso il DPI deve essere tale che il
freddo accumulato durante il periodo di impiego sulle parti del corpo da
proteggere, comprese le punte delle dita dei piedi e delle mani, non raggiunga
in alcun caso la soglia di dolore o quella in cui si manifesta un qualsiasi
effetto nocivo per la salute;
-
i
DPI devono impedire per quanto possibile la penetrazione di liquidi, quali, ad
esempio, la pioggia, e non devono essere all’origine di lesioni provocate da
contatti puntuali tra il loro rivestimento di protezione e l’utilizzatore.
Come
per la protezione dal caldo, anche in questo caso se i DPI sono dotati di un
dispositivo per la respirazione, il dispositivo deve assolvere efficacemente la
sua funzione di protezione nelle condizioni prevedibili di impiego.
E
il fabbricante deve indicare, nelle istruzioni che accompagnano il DPI
destinato a interventi di breve durata in ambienti a bassa temperatura,
qualsiasi dato utile ai fini della determinazione della durata massima
ammissibile dell’esposizione dell’utilizzatore al freddo trasmesso dal dispositivo.
Il
Regolamento 2016/425/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016
sui Dispositivi di Protezione Individuale e che abroga la direttiva 89/686/CEE
del Consiglio è scaricabile all’indirizzo:
La Direttiva 89/686/CEE del 21
dicembre 1989 del Consiglio delle Comunità Europee, concernente il
ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri relative ai Dispositivi di
Protezione Individuale è scaricabile all’indirizzo:
I REQUISITI DEI
LUOGHI DI LAVORO: ALTEZZE, PORTE E SCALE FISSE
Da:
PuntoSicuro
07
settembre 2016
Un
volume dedicato alle PMI e al mondo dell’artigianato riepiloga la normativa in
materia di salute e sicurezza. Focus su alcuni requisiti dei luoghi di lavoro:
altezze degli ambienti, porte, portoni, locali sotterranei, scale fisse a
gradini e parapetti.
Nei
mesi scorsi abbiamo presentato un volume, realizzato dall’Organismo Paritetico
Regionale per l’Artigianato Lombardia (OPRA Lombardia) e dai vari Organismi
Paritetici Territoriali Artigiani (OPTA), che vuole favorire una corretta
applicazione delle disposizioni di legge, con particolare riferimento ai
titolari e lavoratori delle imprese artigiane.
E
proprio per facilitare la conoscenza della normativa il volume “Salute e
Sicurezza nelle imprese artigiane e nelle PMI: cosa occorre sapere e cosa si
deve fare” non si sofferma solo sulla prevenzione dei rischi e sulla gestione
dei rischi, ma presenta anche precise indicazioni sulle caratteristiche dei
luoghi di lavoro.
La
pubblicazione segnala che, per conoscere i requisiti dei luoghi di lavoro, le
fonti legislative sono costituite essenzialmente dal Decreto Legislativo 81 del
2008 (articolo 63 e seguenti e allegato IV) e, per quanto riguarda il settore
alimentare, dalle norme contenute nel cosiddetto “pacchetto igiene” (un insieme
di testi legislativi emanati dall’Unione Europea) con particolare riferimento
all’allegato II del Regolamento 852/04/CE sull’igiene dei prodotti alimentari.
Nel
volume viene riportato un breve sunto di quelli che sono i principali aspetti
da conoscere, con particolare attenzione al comparto artigianale.
Ci
soffermiamo oggi in particolare su altezze, porte, scale e parapetti.
Cominciamo
parlando di altezze, in relazione agli ambienti di lavoro in locali chiusi.
I
luoghi e aree di lavoro non devono avere un’altezza inferiore a 3 m.
Mentre
per i locali destinati o da destinarsi a uffici, indipendentemente dal tipo di
azienda, e per quelli delle aziende commerciali, i limiti di altezza sono
quelli individuati dalla normativa urbanistica vigente. In linea di massima, il
documento indica:
-
luoghi
e aree adibite esclusivamente a uffici: altezza non inferiore a 2,70 m;
-
depositi,
magazzini e corridoi: altezza non inferiore a 2,40 m.
Per
quanto riguardo porte e portoni queste sono le indicazioni riportate nel documento:
-
in
ambienti di lavoro frequentati da non più di 25 persone vi deve essere 1 sola
porta (per ogni singolo locale) di larghezza minima 80 cm;
-
in
ambienti di lavoro frequentati da più di 25 persone e da meno di 50 vi deve
essere 1 sola porta (per ogni singolo locale) di larghezza minima 120 cm;
-
in
ambienti di lavoro frequentati da più di 50 persone vi devono essere 2 porte
(per ogni singolo locale) di cui una di larghezza minima 80 cm e una di larghezza
minima di 120 cm;
-
le
porte e i portoni che si aprono nei due sensi devono essere trasparenti ad
altezza occhi;
-
sulle
porte trasparenti deve essere applicato un segno indicativo di ingresso posto
all’altezza degli occhi.
In
merito al tema dei locali sotterranei si indica che:
-
è
vietato destinare al lavoro locali chiusi sotterranei o semisotterranei;
-
in
deroga al divieto di cui sopra, possono essere destinati al lavoro locali
chiusi sotterranei o semisotterranei, quando ricorrano particolari esigenze
tecniche. in tali casi il datore di lavoro provvede ad assicurare idonee
condizioni di aerazione, di illuminazione e di microclima.
Queste
le indicazioni per le scale fisse a gradini:
-
pedata
e alzata devono essere dimensionate in modo regolare, e in particolare devono essere
rispettate le seguenti indicazioni: alzata minima cm 16, massima cm 18;
l’altezza massima della alzata è consentita solo per casi particolari e
comunque solo per progetti di ristrutturazione; pedata di altezza tale che la
somma di essa con due alzate non sia inferiore a cm 63 (Regolamento di igiene
Regione Lombardia);
-
per
il collegamento di più alloggi le scale devono essere interrotte almeno ogni 10
alzate con idonei pianerottoli (Regolamento di igiene Regione Lombardia);
-
la
larghezza deve essere adeguata alle esigenze del transito, e comunque non
inferiore a 1,20 m
riducibili a 1 m
per le costruzioni fino a due piani e/o ove vi sia servizio di ascensore
(Regolamento di igiene Regione Lombardia);
-
la
scala deve essere dotata di illuminazione e i gradini non devono essere
scivolosi;
-
se
la scala ha un lato aperto, esso deve essere protetto con un parapetto; se non
vi sono lati aperti ci deve essere almeno un corrimano.
E
sempre con particolare, ma non esclusivo, riferimento alle scale, parliamo di
parapetti.
In
particolare è richiesto un parapetto:
-
in
ogni piano rialzato o piattaforma, su tutti i lati aperti eccezion fatta,
ovviamente, per il lato di accesso alla scala;
-
su
tutti i lati aperti di: impalcature; passerelle; ripiani; rampe di accesso;
balconi; posti di lavoro sopraelevati.
Detto
parapetto deve essere conforme alle seguenti regole:
-
altezza
pari ad almeno 1 m;
-
dotato
di almeno due correnti, di cui quello più basso fissato a metà distanza fra
quello superiore e il pavimento;
-
costruito
in materiale rigido e resistente;
-
può
inoltre avere un arresto al piede costituito da una fascia continua alta almeno
15 cm.
Ricordiamo
che indicazioni sulle caratteristiche dei parapetti per la prevenzione degli
infortuni nei lavori in quota nei cantieri temporanei o mobili (Titolo IV,
D.Lgs. 81/08) si possono trovare all’articolo 126 e nell’allegato XVIII del
D.Lgs. 81/08.
Segnaliamo
infine che il volume dedicato a imprese artigiane e PMI si sofferma anche su
altri requisiti dei luoghi di lavoro: illuminazione, areazione, pavimenti,
pareti e servizi igienici.
Il
documento dell’Organismo Paritetico Regionale per l’Artigianato Lombardia
“Salute e Sicurezza nelle imprese artigiane e nelle PMI: cosa occorre sapere e
cosa si deve fare” è scaricabile all’indirizzo:
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