Stragi
occultate in nome del profitto
Moni
Ovadia
L’ultimo sabato del mese
di Aprile, ogni anno, se precedenti impegni professionali non me lo impediscono,
partecipo ad una marcia a Sesto San Giovanni che parte dalla sede del “Comitato
per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio” e arriva,
dopo un tragitto relativamente breve, a piazza Carducci, prospiciente al
terreno dove un tempo sorgeva la Breda, una delle celebri fabbriche della
Milano industriale.
Sopra un fazzoletto di
spazio verde sottratto ai nuovi edifici delle attività commerciali e di servizi
che hanno sostituito le strutture industriali, è stato collocato un cippo “A memoria delle vittime dello sfruttamento
capitalistico”, queste le precise parole dell’iscrizione.
Che cosa intende
rappresentare questa marcia che termina con una breve celebrazione intesa ad
onorare le vittime menzionate nella scritta del modesto monumento privo di ogni
prosopopea? Forse il rito di un pugno di nostalgici veterocomunisti dei quali
faccio parte anch’io? Osservato superficialmente, tutto sembra confermarlo, ma
in realtà si tratta di ben altro. Le persone che ogni anno partecipano alla
marcia, ricordano le vittime dell’amianto. Non solo le decine e decine di migliaia
di vittime di un lontano tempo passato, ma anche quelle di un passato recente,
recentissimo, quelle che stanno diventando vittime nel tempo presente, nel
prossimo futuro e quelle che lo diventeranno in un futuro meno prossimo ma che
sono già condannate.
I sostenitori dello
sviluppo capitalistico e dei suoi benefici forse penseranno che i morti sono il
prezzo indiretto e involontario pagato al valore del progresso con le sue
straordinarie innovazioni. Non è così! I lavoratori e gli abitanti dei
territori inquinati sono stati sacrificati deliberatamente alla logica dei
profitti ipertrofici di un Capitalismo indifferente alla salute, alla dignità e
perfino alla vita degli esseri umani.
La nocività
dell’asbesto, materia da cui si ricava l’amianto, fu osservata empiricamente
già da Plinio il Vecchio sugli schiavi di Roma addetti al trattamento di quella
materia.
Le prime evidenze
scientifiche furono rilevate già a metà del Diciottesimo secolo e, nel corso
del Novecento, analisi scientifiche hanno comprovato una diretta relazione fra
l’amianto e alcune patologie esiziali come il mesotelioma della pleura. Fu
negli anni Sessanta del secondo dopoguerra che le ipotesi scientifiche
diventano certezza.
Malgrado ciò, le
lavorazioni dell’amianto continuano massicciamente e gli operai, la gente dei
territori e tutti coloro che in vario modo vengono a contatto con il micidiale
elemento, sono sottoposti al rischio di malattie terribili che spesso portano
alla morte.
Se la definizione di “sfruttamento
capitalistico” ferisce le orecchie delicate delle anime belle della
sottocultura iper liberista, lo trovino loro il termine per chiamare questa
infamia. Oggi i molti che hanno sentito parlare dei devastanti effetti
dell’amianto, ma solo nel modo generico dei media, possono documentarsi in
profondità e capire la portata e la diffusione del fenomeno grazie all’uscita
di un libro fondamentale di Michele Michelino e di Daniela Trollio per le
Edizioni del Faro dal titolo “Amianto: Morti di Progresso”.
Il contenuto è
annunciato già in copertina: “La lotta
per la difesa della salute nelle fabbriche e nel territorio attraverso le
testimonianze degli operai, i documenti e gli atti processuali del Comitato per
la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio”. Percorrere
le testimonianze, le storie, gli atti processuali e i documenti contenuti in
questo volume, permette anche ad un lettore non familiarizzato con la materia
delle devastazioni prodotte dalla lavorazione dell’amianto, di prendere
coscienza di quanti danni siano stati prodotti con spietata e feroce
indifferenza, ad esseri umani impegnati nell’esercizio del diritto più naturale:
il sostentamento di se stesso e della propria famiglia attraverso il lavoro.
Questo diritto primario, grazie a decenni di lotte e sacrifici, aveva
conquistato una titolarità nel quadro dell’unica forma di giustizia che non ne sia una caricatura, la
giustizia sociale. I lavoratori e le loro organizzazioni, con lo strumento delle
loro lotte esemplari, avevano conquistato fra gli altri il diritto alla tutela
della salute nei luoghi di lavoro, ma avevano anche edificato una cultura ed
un’etica che aveva fatto del lavoro, il fondamento sacrale della democrazia
stessa. Il turbo capitalismo iperliberista selvaggio e senza scrupoli, per
l’arricchimento smisurato di un pugno di padroni – non meritano l’attributo di
imprenditori coloro che hanno avvelenato la salute e la vita di chi lavorava e
lavora nelle loro fabbriche – con la complicità di yes men della sedicente
politica, ha fatto e continua a fare strame di tutto il patrimonio di diritto
edificato dalla classe operaia.
Ma lo spirito che anima
l’aspirazione a creare una società di giustizia e dignità non si è sopito ed è
questa la parte più emozionante e stimolante dell’impegno di Michele Michelino
e Daniela Trollio, narrare anche le vittorie conseguite per virtù di una
tenacia ultra quarantennale che non ha conosciuto battute di arresto né la
tentazione di cedere, con la consapevolezza che lottare è già il principio di
un risarcimento alle vittime e l’apertura di un’orizzonte di prosperità per le
generazioni a venire.
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