NEWSLETTER PER LA TUTELA DELLA SALUTE
E DELLA SICUREZZA
DEI LAVORATORI
INDICE
LE “FREQUENTLY ASKED
QUESTIONS” DI SICUREZZA SUL LAVORO - KNOW YOUR RIGHTS! - N.17
Nella
mia attività di diffusione della cultura della salute e sicurezza sul lavoro,
spesso sono chiamato, da lavoratori o associazioni sindacali di base, a
svolgere delle vere e proprie “consulenze” (ovviamente del tutto gratuite) di
ampio respiro, che poi riporto, per condividere l’esperienza con tutti, nella
mia newsletter, nella rubrica “Le consulenze di
Sicurezza sul Lavoro – Know Your Rights!”.
In qualche caso invece le richieste che mi
pervengono non richiedono consulenze di ampio respiro, ma brevi e sintetiche
risposte a domande su temi molto specifici e limitati.
Anche in questo caso mi sembra giusto e doveroso
diffondere questi brevi consulenze che hanno la forma delle cosiddette “Frequently Asked
Questions”, facendo nascere su tale argomento una nuova rubrica della mia
newsletter.
Ovviamente,
per evidenti motivi di privacy e per non creare motivi di ritorsione verso i
lavoratori o le associazioni che le hanno poste, riportando le domande ometto
il nominativo del lavoratore e dell’azienda coinvolti.
************
Salve Marco,
ti scrivo perché vedo lesi i miei diritti di RLS in azienda e dei
lavoratori che giornalmente si rivolgono a me per risolvere i problemi.
Sono stato formato con tanto di corso nel 2012 e ho sempre svolto
con coscienza il mio ruolo. Lavoro come infermiere in un ospedale classificato
privato (CCNL in allegato) e sono stato designato all’interno delle RSA
firmatarie di contratto. Ora dall’altro anno, causa fuoriuscita dalla sigla
firmataria di contratto, svolgo la mia attività sindacale in una OS non
firmataria del CCNL, la quale mi ha comunque designato suo RLS in ospedale.
Sempre l’anno scorso l’azienda per cui lavoro è stata ceduta (cessione ramo
d’azienda ex articolo 47 della Legge 428/90) a un nuovo proprietario (una srl)
il cui Amministratore Delegato non mi riconosce come RLS, affermando a parole
che il sindacato che mi ha designato non è firmatario di contratto applicato in
azienda e quindi, avendo già i 3 RLS della triplice che sono rimasti gli stessi
anche nel trasferimento d’azienda, non ha bisogno del quarto (azienda con più
di 200 dipendenti).
Ho chiesto di poter visionare il DVR e non mi è stato concesso, ho
fatto varie segnalazioni senza riscontro. La situazione in ospedale lascia
molto a desiderare potendo ben immaginare quale sia la libertà di agire dei tre
RLS della triplice.
Il TUSL non mette un limite al numero massimo di RLS, ma parla
solo di minimo (nel mio caso 3 essendo l’azienda con più di 200 dipendenti).
Il sindacato che mi ha designato come RLS ha seguito lo stesso
iter (comunicazione della mia nomina da parte del Segretario provinciale
all’Amministrazione), che ha invece tenuto la triplice senza mai fare le
elezioni, come invece andrebbe fatto.
Sono formato e ho tanto di certificazione come RLS dal 2012, ho
firmato il DVR con il precedente datore di lavoro, ho svolto sempre al meglio
il mio compito, denunciando alla ASL Spresal le carenze e facendo intervenire
gli ispettori. Forse questo non è stato gradito dal padrone, ma non me ne mai
importato nulla. Ho subito intimidazioni e pressioni continue, ma ho sempre
resistito e ho difeso la sicurezza dei lavoratori e i loro diritti sul posto di
lavoro.
Adesso il nuovo datore di lavoro pensa che si è finalmente tolto
dai piedi un rompiscatole, negandomi l’accesso alla funzione di RLS.
Avevamo pensato insieme alla Segreteria provinciale di convocare
l’azienda in Direzione Territoriale del Lavoro per questa vicenda. Secondo te
potrebbe essere la strada buona?
Secondo te cosa dovrei fare per farmi riconoscere il ruolo di RLS
e poter tutelare i miei colleghi infermieri e i lavoratori tutti sul posto di
lavoro? Hai consigli da darmi?
Ti saluto.
Ciao,
innanzitutto
comprendo in pieno la tua incazzatura nei confronti dell’azienda che non ti
vuole riconoscere il tuo ruolo, ma anche nei confronti dei RLS della triplice
che non fanno quello che la legge permette loro (e impone moralmente) di fare.
Seguo
personalmente o indirettamente decine di casi simili al tuo in cui i RLS che si
impegnano vengono boicottati e/o minacciati più o meno velatamente dalle
aziende e in cui altri RLS fanno vita tranquilla perché se ne fregano della
tutela dei lavoratori.
Il
tuo è un caso complesso, andando a interessare non solo il D.Lgs. 81/08
(Decreto), ma anche CCNL e vari accordi sindacali.
Parto
allora dal Decreto che definisce le linee guida per la designazione e quindi la
legittimizzazione dei RLS.
I
criteri generali di elezione o designazione del RLS sono definiti, per aziende
come la tua con più di 15 lavoratori dall’articolo 47, comma 4 del Decreto:
“Nelle aziende o unità
produttive con più di 15 lavoratori il rappresentante dei lavoratori per la
sicurezza è eletto o designato dai lavoratori nell’ambito delle rappresentanze
sindacali in azienda. In assenza di tali rappresentanze, il rappresentante è
eletto dai lavoratori della azienda al loro interno”.
Le
modalità di elezione o designazione del RLS sono invece demandate dal Decreto
alla contrattazione collettiva, ai sensi del successivo comma 5:
“Il numero, le modalità di
designazione o di elezione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza,
nonché il tempo di lavoro retribuito e gli strumenti per l’espletamento delle
funzioni sono stabiliti in sede di contrattazione collettiva”.
Il
Decreto non stabilisce un numero massimo di RLS, ma come dici giustamente te,
solo un numero minimo, al comma 7 del solito articolo:
“In ogni caso il numero minimo
dei rappresentanti di cui al comma 2 è il seguente:
a) un rappresentante nelle
aziende ovvero unità produttive sino a 200 lavoratori;
b) tre rappresentanti nelle
aziende ovvero unità produttive da 201 a 1.000 lavoratori;
c) sei rappresentanti in
tutte le altre aziende o unità produttive oltre i 1.000 lavoratori. In tali
aziende il numero dei rappresentanti è aumentato nella misura individuata dagli
accordi interconfederali o dalla contrattazione collettiva”.
Quindi da quest’ultimo punto di vista le affermazioni della tua
azienda sono del tutto pretestuose.
La tua azienda potrebbe invece avere ragione in merito alla modalità
della tua elezione e della durata del tuo mandato.
E mi spiego a seguire.
In merito alle modalità di dettaglio di elezione o designazione del
RLS, a seguito dell’articolo 6 comma a) dell’Accordo del 9 aprile 2015 relativo
alla cessione del ramo di azienda, è ancora valido quanto stabilito dal CCNL
che mi hai inviato.
Tale CCNL prevede all’Allegato 6, articolo 1 che:
“Entro il 31 dicembre 1996, in tutte le
strutture sanitarie aderenti alle Associazioni datoriali firmatarie saranno
promosse le iniziative, con le modalità di seguito indicate, per l’elezione del
rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. Sono fatte salve le nomine del
rappresentante di sicurezza già effettuate alla data di sottoscrizione del
presente Accordo, fermo restando quanto previsto dal successivo articolo 4”.
Inoltre all’articolo 6, il medesimo Allegato 6 del CCNL
stabilisce che:
“La durata
dell’incarico è di 3 anni”.
Metto in evidenza che tale CCNL fa ancora riferimento al D.Lgs.
626/94, che però in termini di elezione o designazione del RLS è del tutto
simile al Decreto, prevedendo all’articolo 18, comma 3 che:
“Nelle aziende, ovvero unità
produttive, con più di 15 dipendenti il rappresentante per la sicurezza è
eletto o designato dai lavoratori nell’ambito delle rappresentanze sindacali in
azienda. In assenza di tali rappresentanze, è eletto dai lavoratori dell’azienda
al loro interno”, del tutto analogo a quanto disposto dal
Decreto.
Tale CCNL non specifica altro in merito alla elezione o designazione
del RLS.
Pertanto da quanto previsto dal Decreto (ma anche da quanto era
previsto dal D.Lgs. 626/94), combinato con quanto previsto dal CCNL discende
che, per la tua azienda:
-
il RLS deve essere eletto o designato all’interno
delle rappresentanze sindacali aziendali;
-
il mandato del RLS ha una durata di tre anni.
Visto cosa dice la normativa e il CCNL, nel tuo caso particolare
possono sorgere i seguenti problemi.
Da quello che ho capito tu sei stato designato nel 2012, all’interno
delle RSA in quel momento riconosciute dall’azienda.
Secondo il CCNL, il tuo incarico scadeva quindi nel 2015.
Se tu sei stato nuovamente designato nel 2015 e quindi il tuo incarico
è stato rinnovato fino al 2018, l’azienda deve per forza riconoscerti come RLS,
in quanto sei stato designato, come previsto dall’articolo 47, comma 4 del
Decreto “nell’ambito delle rappresentanze
sindacali in azienda”, cioè all’interno delle RSA che nel 2015 erano
riconosciute dall’azienda.
E ciò fino al 2018, data in cui scadrà il tuo mandato come RLS.
Se tu invece non sei stato rinnovato nel 2015 come RLS, la tua azienda
si può appellare al fatto che il tuo mandato sia scaduto.
Una tua eventuale nuova designazione al momento attuale non potrebbe
essere inoltre essere fatta “nell’ambito
delle rappresentanze sindacali in azienda”, in quanto la tua OS, come mi
sembra di avere capito, non è riconosciuta come RSA o RSU dalla tua azienda.
In questi termini la tua azienda ha quindi effettivamente e purtroppo
la possibilità di non riconoscerti, appellandosi, in maniera strumentale a
cavilli legislativi e contrattuali.
Questa è la mia interpretazione di quanto disposto a livello
legislativo e contrattuale.
In ogni caso non lascerei intentata la iniziativa di convocare
l’azienda alla Direzione del Lavoro, ma prima di fare questo passo, ti
consiglio di rivolgerti alla ASL Servizio di Prevenzione della Sicurezza nel
Luoghi di Lavoro territorialmente competente, in quanto tale organo è
incaricato della corretta applicazione del Decreto e della normativa ad esso
collegato, ai sensi dell’articolo 13, comma 1 del decreto stesso:
“La vigilanza sull’applicazione
della legislazione in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro è
svolta dalla azienda sanitaria locale competente per territorio e, per quanto
di specifica competenza, dal Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco”.
Ti consiglio di richiedere formalmente alla ASL un’opinione sulla
validità o meno del tuo ruolo come RLS alla luce della normativa richiamata.
In assenza di una risposta da parte della ASL, ma anche in aggiunta
alla domanda alla ASL, potrete rivolgere, come OS, il medesimo quesito alla
Commissione degli Interpelli di cui all’articolo 12, comma 2 del Decreto.
Una convocazione dell’azienda alla DTL alla luce di un’interpretazione
normativa da parte della ASL o, meglio ancora, della Commissione degli
Interpelli avrebbe sicuramente una maggiore valenza, anche “politica”.
Rimango a tua disposizione per ulteriori chiarimenti.
Un caro saluto.
Marco
************
Buongiorno
Marco
ancora
una volta grazie per tutta la mole di lavoro che svolgi a beneficio dei
lavoratori sul tema della sicurezza e della salute.
Ti pongo ora un quesito per capire meglio come agire.
Da circa qualche settimana sono stati messi in servizio per la raccolta dei rifiuti “porta a porta” dei mezzi di raccolta i quali presentano nel loro lato destro, ovvero dove è posta la guida del mezzo e dalla quale i colleghi salgono e scendono, il tubo di scarico dei fumi.
Questo scarico una volta in funzione emana fumi dalla parte dove operano i colleghi investendoli talvolta con esalazioni a dir poco asfissianti come pure durante il normale utilizzo del mezzo.
Ho inoltrato già una segnalazione alla ASL SPISAL per una verifica del mezzo citando le varie normativa macchine, ma ancora non ho trovato risposta.
Ora secondo la tua esperienza e conoscenze vi è la possibilità ancora di fare un’ulteriore segnalazione avendo acquisito tali informazioni?
Oltre allo SPISAL vi sono altri enti ai quali fare la segnalazione?
Ti ringrazio del tempo dedicato e della risposta in merito, augurandoti buon lavoro.
RLS
Ciao,
ti
riporto a seguire cosa prevede la normativa vigente.
Nella
tua segnalazione alla ASL SPISAL, hai fatto appello alla facoltà concessa al
RLS dall’articolo 50, comma 1, lettera o) del D.Lgs. 81/08:
“Fatto salvo quanto stabilito in
sede di contrattazione collettiva, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza
può fare ricorso alle autorità competenti qualora ritenga che le misure di prevenzione
e protezione dai rischi adottate dal datore di lavoro o dai dirigenti e i mezzi
impiegati per attuarle non siano idonei a garantire la sicurezza e la salute
durante il lavoro”.
Per quanto riguarda quali siano le autorità competenti, fa fede quanto
disposto dal Decreto di cui sopra, che all’articolo 13, comma 1, dispone che:
“La vigilanza sull’applicazione
della legislazione in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro è
svolta dalla Azienda Sanitaria Locale competente per territorio e, per quanto
di specifica competenza, dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco [...]”.
Quindi correttamente hai inoltrato la segnalazione alla ASL SPISAL, in
quanto è a tale organismo che compete, secondo il D.Lgs. 81/08, la vigilanza in
tema di tutela della salute e della sicurezza.
La citata facoltà in capo agli RLS è in realtà possibile per qualunque
cittadino che venga a conoscenza di un reato (e la mancata tutela della salute
e della sicurezza sul lavoro, cioè i mancati adempimenti definiti dal D.Lgs.
81/08 sono appunto reati), in virtù dell’articolo 333, commi 1 e 2 del Codice
di Procedura Penale:
“Ogni persona che ha
notizia di un reato perseguibile di ufficio può farne denuncia. La legge
determina i casi in cui la denuncia è obbligatoria. La denuncia è presentata
oralmente o per iscritto, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, al
pubblico ministero o a un ufficiale di polizia giudiziaria; se è presentata per
iscritto, è sottoscritta dal denunciante o da un suo procuratore speciale”.
Le richieste di intervento degli ispettori della ASL da parte dei RLS
(o dei lavoratori in generale) deve essere fatta in maniera formale, cioè con
lettera scritta di denuncia di reato, inviata tramite Raccomandata RR oppure
Posta Elettronica Certificata (in partenza e in arrivo), sia alla ASL, che, per
conoscenza, al Pubblico Ministero della Procura della Repubblica di competenza,
che ha il compito di verificare il corretto operato degli ispettori (vedi
dopo).
Va osservato che gli ispettori ASL sono Ufficiali di Polizia
Giudiziaria.
Infatti l’articolo 19, comma 1, lettera b) del D.Lgs. 789/94 definisce
come “organi di vigilanza”
relativamente ai reati relativi alla salute e alla sicurezza sul lavoro:
“il personale ispettivo di cui
all’articolo 21, terzo comma, della legge 23 dicembre 1978, n.833, fatte salve
le diverse competenze previste da altre norme”.
A sua volta l’articolo 21 della L. 833/78
stabilisce che:
“In applicazione di quanto disposto
nell’ultimo comma dell’articolo 27, D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, spetta al
prefetto stabilire su proposta del presidente della regione, quali addetti ai
servizi di ciascuna unità sanitaria locale, nonché ai presidi e servizi [...] assumano ai sensi delle leggi vigenti la
qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria, in relazione alle funzioni
ispettive e di controllo da essi esercitate relativamente all’applicazione
della legislazione sulla sicurezza del lavoro”.
In quanto Ufficiali di Polizia Giudiziaria gli ispettori ASL ai quali
è stato formalmente comunicato il reato devono intervenire obbligatoriamente ai
sensi dell’articolo 55, comma 1 del Codice di Procedura Penale:
“La polizia giudiziaria deve,
anche di propria iniziativa, prendere notizia dei reati, impedire che vengano
portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti
necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa
servire per l’applicazione della legge penale”;
per impartire al datore di lavoro la prescrizione per l’adempimento
dell’obbligo, secondo la procedura fissata dall’articolo 20 del D.Lgs.758/94:
“1. Allo scopo di eliminare la
contravvenzione accertata, l’organo di vigilanza, nell’esercizio delle funzioni
di polizia giudiziaria di cui all’articolo 55 del codice di procedura penale,
impartisce al contravventore un’apposita prescrizione, fissando per la
regolarizzazione un termine non eccedente il periodo di tempo tecnicamente necessario. Tale termine è
prorogabile a richiesta del contravventore, per la particolare complessità o
per l’oggettiva difficoltà dell’adempimento. In nessun caso esso può superare i
sei mesi. Tuttavia, quando specifiche circostanze non imputabili al
contravventore determinano un ritardo nella regolarizzazione, il termine di sei
mesi può essere prorogato per una sola volta, a richiesta del contravventore,
per un tempo non superiore ad ulteriori sei mesi, con provvedimento motivato
che è comunicato immediatamente al pubblico ministero.
2. Copia della prescrizione
è notificata o comunicata anche al rappresentante legale dell’ente nell’ambito
o al servizio del quale opera il contravventore.
3. Con la prescrizione
l’organo di vigilanza può imporre specifiche misure atte a far cessare il
pericolo per la sicurezza o per la salute dei lavoratori durante il lavoro.
4. Resta fermo l’obbligo
dell’organo di vigilanza di riferire al pubblico ministero la notizia di reato
inerente alla contravvenzione ai sensi dell’articolo 347 del codice di
procedura penale”.
Gli ispettori ASL devono inoltre verificare che la prescrizione sia
ottemperata nei tempi impartiti dalla prescrizione stessa, secondo l’articolo
21 del D.Lgs.758/94:
“1. Entro
e non oltre sessanta giorni dalla scadenza del termine fissato nella
prescrizione, l’organo di vigilanza verifica se la violazione è stata eliminata
secondo le modalità e nel termine indicati dalla prescrizione.
2. Quando risulta
l’adempimento alla prescrizione, l’organo di vigilanza ammette il contravventore
a pagare in sede amministrativa, nel termine di trenta giorni, una somma pari
al quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione commessa.
Entro centoventi giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione,
l’organo di vigilanza comunica al pubblico ministero l’adempimento alla
prescrizione, nonché l’eventuale pagamento della predetta somma.
3. Quando risulta
l’inadempimento alla prescrizione, l’organo di vigilanza ne dà comunicazione al
pubblico ministero e al contravventore entro novanta giorni dalla scadenza del
termine fissato nella prescrizione”.
Di tutti questi passi, come si evince dal testo degli articoli, l’ASL
come organismo di vigilanza deve dare comunicazione al Pubblico Ministero, come
anche disposto dall’articolo 347 comma 1 del Codice di Procedura Penale:
“Acquisita la notizia di reato, la Polizia Giudiziaria,
senza ritardo, riferisce al Pubblico Ministero, per iscritto, gli elementi
essenziali del fatto e gli altri elementi sino ad allora raccolti, indicando le
fonti di prova e le attività compiute, delle quali trasmette la relativa
documentazione”.
In caso di adempimento e di pagamento della sanzione da parte del
datore di lavoro, il reato penale è estinto. In caso contrario (mancato
adempimento o mancato pagamento della sanzione) viene avviato dal Pubblico
Ministero nei confronti del datore di lavoro il procedimento penale.
Se a seguito di denuncia formale, i funzionari ASL non intervengono,
commettono a loro volta reato penale, secondo l’articolo 328 del Codice Penale:
“Il pubblico ufficiale o l’incaricato
di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che,
per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di
igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione
da sei mesi a due anni”.
In questo caso occorre denunciare il fatto alla Procura della
Repubblica (cioè al Pubblico Ministero), allegando la lettera inviata alla ASL
corredata della cartolina di RR (oppure messaggio di ricevuta della Posta
Elettronica Certificata) e segnalando da parte dei funzionari ASL il mancato
adempimento degli obblighi di cui all’articolo 20 del D.Lgs.758/94 e dell’articolo 55, comma 1 del Codice di Procedura Penale sopra citati.
Inoltre si può richiedere al Pubblico Ministero la richiesta di intervento da parte della ASL ai
sensi dell’articolo 22, comma 1 del D.Lgs.758/94:
“Se il pubblico ministero prende
notizia di una contravvenzione di propria iniziativa ovvero la riceve da
privati o da pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio diversi
dall’organo di vigilanza, ne dà immediata comunicazione all’organo di vigilanza
per le determinazioni inerenti alla prescrizione che si rende necessaria allo
scopo di eliminare la contravvenzione”.
Nel caso da te citato, si possono configurare due mancati adempimenti
alla normativa vigente.
Il primo, da parte del costruttore del veicolo
raccolta rifiuti, è il mancato rispetto dell’articolo 3, comma 3, lettera a)
del D.Lgs. 17/10 (recepimento della Direttiva Macchine 2006/42/CE che impone
che:
“Il
fabbricante o il suo mandatario, prima di immettere sul mercato ovvero mettere
in servizio una macchina si accerta che soddisfi i pertinenti requisiti
essenziali di sicurezza e di tutela della salute indicati nell’allegato I”.
Nel caso in particolare il requisito essenziale di sicurezza non
rispettato è quello di cui al punto 1.5.13 dell’Allegato I:
“La macchina deve essere
progettata e costruita in modo tale da evitare i rischi di inalazione,
ingestione, contatto con la pelle, gli occhi e le mucose e di penetrazione
attraverso la pelle delle materie e sostanze pericolose prodotte.
Se il pericolo non può
essere eliminato, la macchina deve essere equipaggiata in modo che le materie e
sostanze pericolose possano essere captate, aspirate, precipitate mediante
vaporizzazione di acqua, filtrate o trattate con un altro metodo altrettanto
efficace.
Qualora il processo
non sia totalmente chiuso durante il normale funzionamento della macchina, i
dispositivi di captazione e/o di aspirazione devono essere situati in modo da
produrre il massimo effetto”.
Il secondo mancato adempimento alla norma può configurarsi da
parte del datore di lavoro della tua azienda, per mancato rispetto
dell’articolo 71, comma 1 del D.Lgs. 81/08 che impone che:
“Il datore di lavoro mette a
disposizione dei lavoratori attrezzature conformi ai requisiti di cui
all’articolo precedente [conformi alle specifiche disposizioni legislative
e regolamentari di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto nel caso
in particolare], idonee ai fini della salute
e sicurezza e adeguate al lavoro da svolgere o adattate a tali scopi che devono
essere utilizzate conformemente alle disposizioni legislative di recepimento
delle direttive comunitarie”.
Il fatto che la macchina in questione sia marcata CE non esime il
datore di lavoro della ditta utilizzatrice dall’eseguire una specifica analisi
dei rischi per la salute e la sicurezza relativi alla macchina, specie se
questi, come in questo caso sono particolarmente evidenti e predisporre
adeguate misure di prevenzione e protezione.
Premesso quanto dispone la normativa sopra citata, ti consiglio:
-
di scrivere nuovamente alla ASL SPISAL, segnalando
il mancato rispetto da parte del costruttore dei mezzi raccolta rifiuti di
quanto stabilito dal D.Lgs. 17/10 e la mancata messa a disposizione da parte
del datore di lavoro di attrezzature conformi ai requisiti di salute e sicurezza,
secondo il D.Lgs. 81/08, inviando la segnalazione (come detto) per Raccomandata
RR o per PEC e mettendo in conoscenza anche il Pubblico Ministero presso la Procura della Repubblica
competente per territorio;
-
in caso di mancato intervento degli ispettori della
ASL SPISAL, di scrivere direttamente al Pubblico Ministero, segnalando il
mancato rispetto da parte degli ispettori di quanto disposto dal dell’articolo 55, comma 1 del Codice di Procedura Penale e invitando
il Pubblico Ministero stesso a una richiesta formale di intervento degli
ispettori ASL SPISAL, ai sensi dell’articolo 22, comma 1 del D.Lgs.758/94.
A disposizione per ulteriori chiarimenti, rimango
in attesa di novità in merito a quanto da te segnalato.
Un
caro saluto.
Marco
************
NOTA
Nel
testo delle “Frequently Asked Questions” sopra riportate sono state usati i
seguenti acronimi e termini:
ASL
= Azienda Sanitaria Locale
CCNL
= Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro
DPI
= Dispositivi di Protezione Individuali
DVR
= Documento di Valutazione dei Rischi
DUVRI
= Documento Unico di Valutazione dei Rischi da Interferenza in caso di lavori
in appalto
OS
= Organizzazioni Sindacali
RSPP
= Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione
RLS
= Rappresentate dei Lavoratori per la Sicurezza
RSA
= Rappresentanze Sindacali Aziendali
RSU
= Rappresentanze Sindacali Unitarie
D.Lgs.
81/08 o Decreto o TUSL: Decreto Legislativo n.81 del 9 aprile 2008 e successive
modifiche e integrazioni (cosiddetto “Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro”)
INFORTUNI SUL LAVORO:
COME OTTENERE INDENNIZZI E RENDITE DALL’INAIL
Da
Studio Cataldi
18/09/16
di
Valeria Zeppilli
L’indennizzabilità
del danno, l’indennità giornaliera, la rendita, il risarcimento del danno biologico,
la denuncia di infortunio e le altre prestazioni
L’infortunio
sul lavoro è quello che si verifica per causa violenta in occasione di lavoro,
comportando, per il lavoratore, la morte, l’inabilità permanente assoluta o
parziale al lavoro, l’inabilità temporanea totale per più di 3 giorni o un
danno biologico.
LA
CAUSA VIOLENTA E L’OCCASIONE DI LAVORO
Come
accennato, un infortunio è indennizzabile dall’INAIL anzitutto se imputabile a
una causa violenta. Si tratta, nei fatti, di un’aggressione esterna
all’indennità psico-fisica del lavoratore, intensa e concentrata nel tempo. Non
sono, invece, indispensabili i requisiti della straordinarietà,
dell’accidentalità o dell’imprevedibilità del fatto lesivo.
Proprio
le caratteristiche della causa violenta permettono di distinguere l’infortunio
dalla malattia, caratterizzata, invece, da una causa lenta.
La
causa violenta deve, poi, verificarsi in occasione di lavoro. Ciò vuol dire che
tra l’attività lavorativa e l’infortunio deve sussistere un rapporto, diretto o
indiretto, di causa-effetto, senza che sia sufficiente che l’evento si
verifichi durante il lavoro.
Se
l’infortunio è connesso a una condotta riconducibile all’attività lavorativa,
l’indennizzabilità non è compromessa dal comportamento imprudente, negligente o
privo di perizia del lavoratore, mentre restano esclusi dalla tutela gli
infortuni le cui conseguenze siano dolosamente aggravate dal lavoratore o che
derivino dall’abuso di sostanze alcoliche e di psicofarmaci, dall’uso non
terapeutico di stupefacenti e allucinogeni o dalla mancanza della patente di
guida.
L’INFORTUNIO
IN ITINERE
Si
considera verificatosi durante il lavoro anche il cosiddetto “infortunio in
itinere”, ovverosia quello che avviene durante il tragitto compiuto per
raggiungere, dalla propria abitazione, il luogo di lavoro o quello compiuto per
recarsi da un luogo di lavoro a un altro o, infine, quello necessario per la
consumazione dei pasti in assenza di mensa aziendale.
Se
l’infortunio si verifica durante eventuali deviazioni rispetto ai predetti
tragitti, esso è risarcibile dall’INAIL solo se tali deviazioni siano
necessarie per accompagnare i figli a scuola, conseguenza di una direttiva del
datore di lavoro o dovute a causa di forza maggiore, ad esigenze assistenziali
improrogabili o ad obblighi penalmente rilevanti. In caso di sosta il
risarcimento è riconosciuto solo se essa sia breve e non alteri le condizioni
di rischio.
Occorre
tuttavia chiarire che il tragitto percorso con l’utilizzo di un mezzo privato è
coperto dall’assicurazione solo se tale uso sia indispensabile, come ad esempio
nel caso in cui il mezzo sia fornito o prescritto dal datore di lavoro per
esigenze lavorative o nel caso in cui il luogo di lavoro non possa essere
raggiunto, o non possa essere raggiunto in tempo utile, con l’utilizzo dei
mezzi pubblici.
L’INDENNIZZABILITA’
DEL DANNO
Il
danno derivante dall’infortunio sul lavoro è indennizzabile solo laddove sia di
particolare rilevo e comporti, quindi, una riduzione della capacità lavorativa
di almeno il 16%, un danno biologico quantificato in minimo 6 punti
percentuali, un’inabilità assoluta temporanea al lavoro.
In
particolare se il danno permanente è:
-
inferiore
al 6%, non si ha diritto ad alcun indennizzo;
-
di
entità compresa tra il 6% e il 15%, si ha diritto all’indennizzo in capitale
del danno biologico;
-
di
entità compresa tra il 16% e il 100%, si ha diritto a una rendita a titolo di
indennizzo sia del danno biologico sia del danno patrimoniale.
L’INDENNITA’
GIORNALIERA PER LA INABILITA’
TEMPORANEA
Nel
caso in cui dall’infortunio sia derivata al lavoratore un’inabilità al lavoro
temporanea e assoluta, egli avrà diritto a un’indennità giornaliera corrisposta
dall’INAIL a partire dal quarto giorno (i primi tre giorni sono a carico del
datore di lavoro) e pari al 60% della retribuzione per i primi 90 giorni e al
75% dal novantunesimo giorno in poi.
Terminato
il periodo di inabilità temporanea, il lavoratore è sottoposto a visita
medico-legale dall’INAIL al fine di valutare la presenza di eventuali postumi.
LA
RENDITA DIRETTA
Nel
caso in cui dall’infortunio sia derivata al lavoratore un’inabilità permanente,
assoluta o parziale, fino al 25 luglio 2000 egli aveva diritto ad una rendita
corrisposta mensilmente.
Essa
spetta ancora oggi ai lavoratori che abbiano subito un infortunio prima di tale
data ed è subordinata alla circostanza che l’inabilità derivata fosse almeno
pari all’11%.
La
rendita è incompatibile con le pensioni di inabilità e gli assegni di
invalidità erogati per il medesimo evento invalidante ma è cumulabile con le
pensioni di vecchiaia e di anzianità.
IL
RISARCIMENTO DEL DANNO BIOLOGICO
Per
gli infortuni avvenuti a partire dal 25 luglio 2000 è previsto il risarcimento,
da parte dell’INAIL, del danno biologico subito dal lavoratore a seguito di
infortunio sul lavoro.
Esso
è influenzato nel suo ammontare dal tipo e dalla percentuale di menomazione che
ne è derivata e soggiace alle stesse incompatibilità previste per la rendita
diretta.
Bisogna
quindi fare riferimento, congiuntamente, alla tabella delle menomazioni e alla
tabella di indennizzo del danno biologico.
Se
la menomazione è inferiore al 6% il danno biologico, come visto, non è
riconosciuto, se essa è compresa tra il 6% e il 15% comporta l’erogazione di
una somma in capitale, una tantum, influenzata anche dal sesso e dall’età del
danneggiato.
Se,
infine, la menomazione è superiore al 16% dà luogo a una rendita corrisposta
tramite l’INPS e influenzata, nel suo ammontare, oltre che dalla percentuale di
invalidità, anche dallo stipendio e da un coefficiente di maggiorazione.
In
tale ultime ipotesi il lavoratore può anche ottenere il risarcimento del danno
patrimoniale subito, calcolato riferendosi alla cosiddetta tabella dei
coefficienti.
LA DENUNCIA DI INFORTUNIO
Il
lavoratore è tenuto a denunciare immediatamente l’infortunio al datore di
lavoro, il quale deve a sua volta denunciarlo all’INAIL entro due giorni.
In
ogni caso per poter ottenere l’erogazione delle prestazioni, il lavoratore deve
fare espressa domanda all’INAIL entro tre anni e centocinquanta giorni
dall’evento dannoso, compilando un modulo scaricabile online o recandosi presso
le sedi dell’istituto.
ALTRE
PRESTAZIONI.
La
tutela previdenziale prevede ulteriori prestazioni oltre a quelle fondamentali
sopra analizzate.
Ad
esempio, al lavoratore che benefici della rendita e, invalido al 100%, non sia
in grado di far fronte autonomamente alle esigenze di vita quotidiana, spetta
anche un assegno per l’assistenza personale continuativa.
E’
previsto, poi, un assegno di incollocabilità corrisposto al lavoratore che, a
causa delle conseguenze riportate a seguito dell’infortunio, stimate in almeno
il 34% di invalidità, non possa usufruire del sistema di collocamento
obbligatorio.
Si
pensi, inoltre, alla rendita corrisposta ai superstiti nel caso in cui
dall’infortunio sia derivata la morte del lavoratore, da dividersi pro quota
tra il coniuge e i figli, in mancanza tra gli ascendenti se a carico del
defunto o, in subordine, a fratelli e sorelle conviventi e a carico del defunto.
IMPARARE
DAGLI ERRORI: INCENDI ED ESPLOSIONI IN ATTIVITA’ DI SALDATURA
Da: PuntoSicuro
08 settembre 2016
di Tiziano Menduto
Esempi di infortuni correlati alle attività
di saldatura con riferimento al rischio di incendio e esplosione. La saldatura
di un serbatoio di gasolio e la vicinanza di bidoni con vernici e solventi. Gli
infortuni, la normativa e la prevenzione.
Non sono pochi i rischi per la salute e la
sicurezza degli operatori impegnati nelle attività di saldatura. Ad esempio
rischi collegati alla presenza di agenti chimici e cancerogeni (fumi, polveri,
vapori, gas, ecc.), all’esposizione al rumore, ai campi elettromagnetici, alle
alte temperature, alle atmosfere esplosive, ecc.
Per questo motivo ogni tanto la rubrica di
PuntoSicuro “Imparare dagli errori”, dedicata agli infortuni e alle malattie
professionali, si sofferma sugli incidenti, sui rischi e sulla prevenzione
nelle molte attività di saldatura diffuse in vari comparti lavorativi.
Ci soffermiamo in particolare oggi su alcuni
infortuni correlati alla presenza di materiali infiammabili e di atmosfere esplosive.
Ricordiamo che i casi che presentiamo sono
raccolti nell’archivio di schede di INFOR.MO., strumento per l’analisi
qualitativa dei casi di infortunio collegato al sistema di sorveglianza degli
infortuni mortali e gravi.
Il primo caso riguarda un infortunio avvenuto
nel 2012 a un lavoratore straniero durante le operazioni di saldatura di un
serbatoio di gasolio in metallo per camion.
Durante l’attività di saldatura del serbatoio
si verifica uno scoppio con distacco delle pareti laterali e dei setti divisori
interni che colpiscono il lavoratore con la conseguenza di un grave trauma
cranio-encefalico e successivo arresto cardio-circolatorio.
Il fattore causale dell’incidente, rilevato
dalla scheda di INFOR.MO., è un errore procedurale che potrebbe dipendere anche
da carenze nella formazione/informazione/addestramento del lavoratore: l’infortunato
operava in una situazione di gravità in quanto a rischio esplosione.
Anche il secondo caso, un infortunio del
2004, riguarda le conseguenze di un’esplosione e di un incendio.
Il titolare di una ditta e un dipendente
stanno costruendo un cavalletto in metallo da montare su di un piccolo
autocarro per il trasporto degli infissi da loro prodotti.
Mentre stanno saldando/molando,
verosimilmente delle scintille vanno a contatto con alcuni bidoni che hanno
contenuto e/o contengono vernici e solventi (probabilmente alcuni bidoni non
sono coperti) che si trovano lì vicino.
A causa di queste scintille si innesca una
prima esplosione e un successivo incendio.
I due lavoratori si trovano all’interno di un
prolungamento costruito a ridosso del capannone (abusivo), dove all’interno si
eseguivano piccoli lavori di saldatura e di verniciatura.
A causa dell’incendio, in prossimità dell’unica
apertura (portone) presente, il titolare che si trova all’interno rimane
intrappolato, mentre il dipendente che si trova all’esterno viene solo leggermente
ferito dall’esplosione e dall’incendio.
Questi i fattori causali dell’infortunio
mortale, come rilevati dalla scheda:
-
il
lavoratore stava eseguendo delle saldature/molature vicino a bidoni di diluente
e vernice;
-
sul
luogo di lavoro vi sono bidoni contenenti vernici e solventi non coperti.
Riguardo al tema delle esplosioni ricordiamo
innanzitutto che alla protezione da atmosfere esplosive, il Decreto legislativo
81/2008, Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei
luoghi di lavoro, dedica il Titolo XI. Dove con “atmosfera esplosiva” si
intende una miscela con l’aria, a condizioni atmosferiche, di sostanze
infiammabili allo stato di gas, vapori, nebbie o polveri in cui, dopo
accensione, la combustione si propaga nell’insieme della miscela incombusta.
Riprendiamo, a questo proposito, due degli
articoli contenuti nel Titolo XI.
L’articolo 289 “Prevenzione e protezione contro
le esplosioni” specifica che:
“1. Ai fini della prevenzione e della
protezione contro le esplosioni, sulla base della valutazione dei rischi e dei
principi generali di tutela di cui all’articolo 15, il datore di lavoro adotta
le misure tecniche e organizzative adeguate alla natura dell’attività; in
particolare il datore di lavoro previene la formazione di atmosfere esplosive.
2. Se la natura dell’attività non consente di
prevenire la formazione di atmosfere esplosive, il datore di lavoro deve:
a) evitare l’accensione di atmosfere
esplosive;
b) attenuare gli effetti pregiudizievoli di
un’esplosione in modo da garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori.
3. Se necessario, le misure di cui ai commi 1
e 2 sono combinate e integrate con altre contro la propagazione delle
esplosioni e sono riesaminate periodicamente e, in ogni caso, ogniqualvolta si
verifichino cambiamenti rilevanti”.
Mentre l’articolo 290 “Valutazione dei rischi
di esplosione” specifica che:
“1. Nell’assolvere gli obblighi stabiliti dall’articolo
17, comma 1, il datore di lavoro valuta i rischi specifici derivanti da
atmosfere esplosive, tenendo conto almeno dei seguenti elementi:
a) probabilità e durata della presenza di
atmosfere esplosive;
b) probabilità che le fonti di accensione, comprese
le scariche elettrostatiche, siano presenti e divengano attive ed efficaci;
c) caratteristiche dell’impianto, sostanze
utilizzate, processi e loro possibili interazioni;
d) entità degli effetti prevedibili.
2. I rischi di esplosione sono valutati complessivamente.
3. Nella valutazione dei rischi di esplosione
vanno presi in considerazione i luoghi che sono o possono essere in
collegamento, tramite aperture, con quelli in cui possono formarsi atmosfere
esplosive”.
Riguardo sempre ai rischi di incendio e di
esplosione prendiamo spunto da alcune indicazioni normative regionali dedicate,
in questo caso, alle attività di saldatura metalli.
In particolare il Decreto n. 10033 del 9
novembre 2012 della Direzione Generale Sanità della Regione Lombardia ha approvato
il documento “Vademecum per il miglioramento della sicurezza e della salute dei
lavoratori nelle attività di saldatura metalli”. Vademecum che dedica uno
spazio proprio al rischio incendio.
Si indica che per le aziende che effettuano
lavorazione di saldatura di metalli, generalmente il rischio incendio viene
considerato “medio”, pur non potendo escludere che, in casi specifici
(dimensioni dell’azienda, capacità produttive dell’impianto, ecc.), la
valutazione conduca ad una classificazione di livello di rischio “elevato”.
Questi i contenuti minimi del documento di
valutazione del rischio incendio:
-
informazioni
sulle caratteristiche di infiammabilità ed esplosività delle materie prime e di
eventuali intermedi;
-
quantitativi
in uso e in deposito;
-
caratteristiche
degli ambienti con eventuale compartimentazione;
-
elenco
attrezzature e impianti da utilizzare per l’estinzione, ubicazione e relativo
programma di verifica e manutenzione periodica;
-
caratteristiche
dell’impianto elettrico;
-
classificazione
del rischio.
Infine il vademecum riporta ulteriori
adempimenti correlati al rischio incendio:
-
eventuale
valutazione dei rischi di esplosione (in relazione alle caratteristiche delle
sostanze utilizzate), vedi Titolo XI del D.Lgs. 81/08;
-
redazione
del piano di emergenza ed evacuazione;
-
nomina
e formazione degli addetti all’emergenza ed evacuazione;
-
nomina
e formazione degli addetti al primo soccorso;
-
installazione
e manutenzione della segnaletica relativa alle attrezzature.
Il sito web di INFOR.MO., di cui nell’articolo
abbiamo presentato le schede numero 2737 e 1399, è al link:
Il Decreto n. 10033 del 9 novembre 2012 della
Direzione Generale Sanità della Regione Lombardia contenente il documento “Vademecum
per il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori nelle
attività di saldatura metalli” è scaricabile all’indirizzo:
MOVIMENTAZIONE
MANUALE DEI CARICHI: RISCHI PER LA SALUTE E PREVENZIONE
Da:
PuntoSicuro
12
settembre 2016
Un
volume dedicato alle PMI e al mondo dell’artigianato riepiloga la normativa in
materia di salute e sicurezza. Focus sui rischi correlati alla movimentazione
manuale dei carichi: normativa, rischi per la salute, analisi del rischio e
prevenzione.
Se
l’attività di movimentazione manuale dei carichi è da sempre una fonte di
rischio per la salute dei lavoratori, in realtà è solo con l’entrata in vigore
del D.Lgs. 626/94 che il legislatore ha affrontato in modo sostanziale gli
aspetti di prevenzione in materia. E con la successiva entrata in vigore, il 15
maggio 2008, del D.Lgs. 81/08 (Testo Unico in materia di tutela della salute e
della sicurezza nei luoghi di lavoro), il principale riferimento per la
prevenzione di questi rischi è oggi costituito dagli articoli 167, 168, 169 del
Titolo VI (Movimentazione manuale dei carichi) e dalle indicazioni contenute
nell’allegato XXXIII del Testo Unico.
A
ricordarcelo e a presentare alcune indicazioni per la prevenzione dei rischi
correlati alla movimentazione manuale dei carichi è il volume “Salute e
Sicurezza nelle imprese artigiane e nelle PMI: cosa occorre sapere e cosa si
deve fare”, realizzato dall’Organismo Paritetico Regionale per l’Artigianato
Lombardia (OPRA Lombardia) e dai vari Organismi Paritetici Territoriali Artigiani
(OPTA).
Nel
capitolo “I rischi per la salute dei lavoratori - La movimentazione manuale dei
carichi” si segnala che il D.Lgs. 81/08 riporta l’obbligo del Datore di Lavoro
di adottare le misure organizzative necessarie a ridurre il rischio, di
valutare le condizioni di sicurezza e salute e di sottoporre alla sorveglianza
sanitaria gli addetti alle attività di movimentazione.
Ricordiamo
che l’articolo 167 del D.Lgs. 81/08 intende la movimentazione manuale dei
carichi come “le operazioni di trasporto o di sostegno di un carico ad opera di
uno o più lavoratori, comprese le azioni del sollevare, deporre, spingere,
tirare, portare o spostare un carico, che, per le loro caratteristiche o in
conseguenza delle condizioni ergonomiche sfavorevoli, comportano rischi di
patologie da sovraccarico biomeccanico, in particolare dorso-lombari”.
E
riguardo ai già accennati obblighi del datore di lavoro, riportiamo
integralmente l’articolo 168 del medesimo Decreto:
“1.
Il datore di lavoro adotta le misure organizzative necessarie e ricorre ai
mezzi appropriati, in particolare attrezzature meccaniche, per evitare la
necessità di una movimentazione manuale dei carichi da parte dei lavoratori.
2.
Qualora non sia possibile evitare la movimentazione manuale dei carichi ad
opera dei lavoratori, il datore di lavoro adotta le misure organizzative
necessarie, ricorre ai mezzi appropriati e fornisce ai lavoratori stessi i
mezzi adeguati, allo scopo di ridurre il rischio che comporta la movimentazione
manuale di detti carichi, tenendo conto dell’Allegato XXXIII, ed in particolare:
a)
organizza i posti di lavoro in modo che detta movimentazione assicuri
condizioni di sicurezza e salute;
b)
valuta, se possibile anche in fase di progettazione, le condizioni di sicurezza
e di salute connesse al lavoro in questione tenendo conto dell’Allegato XXXIII;
c)
evita o riduce i rischi, particolarmente di patologie dorso-lombari, adottando
le misure adeguate, tenendo conto in particolare dei fattori individuali di
rischio, delle caratteristiche dell’ambiente di lavoro e delle esigenze che
tale attività comporta, in base all’Allegato XXXIII;
d)
sottopone i lavoratori alla sorveglianza sanitaria di cui all’articolo 41,
sulla base della valutazione del rischio e dei fattori individuali di rischio
di cui all’Allegato XXXIII.
3.
Le norme tecniche costituiscono criteri di riferimento per le finalità del
presente articolo e dell’Allegato XXXIII, ove applicabili. Negli altri casi si
può fare riferimento alle buone prassi e alle linee guida”.
Torniamo
al volume realizzato da OPRA e OPTA e riportiamo alcuni quesiti e risposte.
Quali
sono i rischi per la salute del lavoratore?
A
questa domanda il volume risponde ricordando che il D.Lgs. 81/08 fa riferimento
principalmente alle lesioni dorso lombari, citate con questa espressione in più
punti della norma. Nei paesi occidentali le assenze dei lavoratori per questa
causa sono infatti da 20 a 30 giorni/anno per 100 lavoratori; inoltre la
patologia del rachide, indipendentemente da cause predisponenti, occupa il
primo posto tra le cause di non idoneità al lavoro manuale.
Tuttavia
non vanno escluse altre potenziali situazioni di danno per la salute, quali la
discopatia artrosica (caratterizzata da deterioramento dei dischi
intervertebrali), l’artrosi dorsale (malattia degenerativa delle placche
cartilaginee che delimitano inferiormente e superiormente i corpi vertebrali),
il varicocele e anche quel tipo di ernia inguinale che una volta veniva
chiamata “ernia da sforzo”.
E
per questa tipologia di rischio è necessaria la sorveglianza sanitaria?
Gli
autori segnalano che definire con precisione in questa sede se è necessaria o
meno l’attività di sorveglianza sanitaria non è possibile. E non bisogna
considerare fonte di rischio per la salute del lavoratore ogni attività di
movimentazione.
In
particolare l’Allegato XXXIII del Testo Unico indica che un carico può
costituire un rischio quando è troppo pesante, ma viene tolto il riferimento
(presente nel D.Lgs. 626/94) alla soglia di 30 kg. Una modifica che può essere
letta con la volontà di non escludere che la movimentazione di carichi di
entità inferiore ai 30 kg possa essere fonte di rischio. Occorre quindi considerare
anche quale è la frequenza di movimentazione nell’arco della giornata
lavorativa tipo, se occorre effettuare movimenti di torsione del tronco,
eventuali carenze di spazio, la necessità di piegarsi per raccogliere il
carico, se il carico è stabile, ecc..
Insomma
si indica che occorre valutare il rischio. E proprio a seguito della
valutazione potrà meglio essere definita la necessità di fare ricorso alla sorveglianza
sanitaria, la cui obbligatorietà, come si è cercato di spiegare, non sempre è
evidente.
Ci
sono Dispositivi di Protezione Individuale da adottare?
Il
volume indica che spesso, non tanto per fare fronte al rischio di malattia
professionale, quanto per evitare possibili infortuni, è necessario adottare
l’uso di calzature antinfortunistiche.
E’
obbligatoria la formazione sulla movimentazione manuale dei carichi?
Nel
volume si ricorda che l’articolo 169 del D.Lgs. 81/08 stabilisce che il Datore
di Lavoro:
-
deve
fornire ai lavoratori adeguate informazioni riguardo al peso e alle altre
caratteristiche del carico movimentato;
-
deve
assicurare ai lavoratori la formazione adeguata in relazione ai rischi
lavorativi e alle modalità di corretta esecuzione delle attività.
Inoltre
lo stesso articolo prevede infine che il Datore di Lavoro fornisca ai
lavoratori l’addestramento adeguato in merito alle corrette manovre e procedure
da adottare nella movimentazione manuale dei carichi.
Cosa
si può fare per migliorare le condizioni di sicurezza?
Il
capitolo si conclude ricordando che ovviamente il modo più semplice per
migliorare le condizioni di salubrità è quello di fare ricorso ad attrezzature
meccaniche.
E
laddove ciò non risulti possibile, possono essere adottate misure organizzative
(turnazione, cambiamento di mansioni anche nell’arco della giornata, ecc.)
idonee a ridurre il rischio.
Si
indica, infine, che diventa significativa l’attività di sorveglianza sanitaria,
che consente di diagnosticare preventivamente situazioni di rischio a carico
del singolo lavoratore e di monitorare nel tempo l’insorgenza di eventuali
patologie e/o disturbi. Ed è inoltre utile eliminare possibili cause di disagio
durante le operazioni di movimentazione (pavimenti scivolosi, zone in ombra,
condizioni microclimatiche avverse, ecc.).
Il
documento “Salute e Sicurezza nelle imprese artigiane e nelle PMI: cosa occorre
sapere e cosa si deve fare” dell’Organismo Paritetico Regionale per
l’Artigianato Lombardia del 2014 è scaricabile all’indirizzo:
IMPARARE
DAGLI ERRORI: L’IMPORTANZA DI PROTEGGERE LA TESTA
Da: PuntoSicuro
15 settembre 2016
di Tiziano Menduto
Esempi di infortuni correlati all’uso errato
o mancato uso di dispositivi di protezione della testa. Le conseguenze del
mancato uso del casco o elmetto di protezione. La descrizione degli infortuni e
la scelta di idonei DPI.
Riprendiamo il viaggio di “Imparare dagli
errori”, la rubrica che PuntoSicuro dedica al racconto e all’analisi degli
infortuni lavorativi, attraverso le conseguenze relative all’uso errato o mancato
uso dei Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) nei luoghi di lavoro.
Le prime cinque tappe di questo percorso
hanno analizzato le varie casistiche correlate all’uso o all’assenza di
occhiali di protezione e di idonei guanti per proteggere le mani.
Tuttavia c’è un’altra parte essenziale del
nostro corpo che se colpita duramente porta spesso a casi mortali o lesioni
gravi: la testa.
Cominciamo ad occuparci oggi proprio dei DPI
per la protezione della testa ricordando che l’Allegato VIII del D.Lgs. 81/08
indica che i lavoratori esposti a specifici pericoli di offesa al capo per
caduta di materiali dall’alto o per contatti con elementi comunque pericolosi
devono essere provvisti di copricapo appropriato.
Le dinamiche degli infortuni presentati sono
tratte dalle schede di INFOR.MO., strumento per l'analisi qualitativa dei casi
di infortunio collegato al sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e
gravi.
Il primo caso riguarda un infortunio avvenuto
ad un muratore durante attività edili.
Un lavoratore mentre sta raccogliendo alcune
attrezzature di lavoro al di sotto di un balcone, improvvisamente viene colpito
alla testa da una soglia che cade dal balcone sovrastante. Il lavoratore, che
non usava il casco di protezione, riporta la frattura del cranio.
Sono evidenti i fattori causali riportati
nella scheda:
-
mancato
uso del casco;
-
soglia
in marmo pericolante.
Il secondo caso riguarda un infortunio
avvenuto ad un lavoratore straniero durante attività di ristrutturazione di un
locale.
Il lavoratore si trova con due colleghi più
esperti presso un locale dove si svolgono lavori per la ristrutturazione
interna di un locale. Devono montare e realizzare l'impianto di refrigerazione
e ricambio d'aria del locale.
Sono diversi giorni che lavorano in quel
locale. E avviene che succede che il primo lavoratore, mentre si trova su di
una scala a pioli del tipo a libro per prendere misure sui canali per il posizionamento
di una bocchetta per la presa d'aria, perde l'equilibrio e cade a terra,
sbattendo il capo nel pavimento e riportando la frattura del cranio.
Dall'indagine successiva è emerso che il
lavoratore, un'apprendista che aiutava gli operai più esperti, si trovava a
cavalcioni sull'ultimo piolo della scala, posizionata parallelamente alla parete,
con in mano un metro a rotella. Non indossava il casco ma aveva le scarpe
antiinfortunistiche.
Dall’indagine è emerso anche che la ditta
aveva fornito agli operai scale e trabattelli per i lavori in quota.
Questi i fattori causali dell’incidente
rilevati dalla scheda:
-
l'infortunato
prima dell'evento si trovava a cavalcioni sull'ultimo piolo della scala con una
mano impegnata;
-
l'infortunato
non indossava il casco.
Anche il terzo caso riguarda un infortunio
avvenuto durante attività edili.
Nella rimozione di un tetto di un edificio in
ristrutturazione, un lavoratore cade da un impalcato alto circa 2 metri e urta il capo
contro il pavimento della soletta sottostante provocandosi un trauma cranico.
L'impalcato non era stato montato correttamente e non era sufficientemente
esteso per tutta l'area di lavoro. Il lavoratore non faceva uso del caschetto
di sicurezza che aveva ricevuto in dotazione.
In questo caso abbiamo:
un ponteggio instabile, non montato
correttamente e non sufficientemente esteso per tutta l'area di lavoro;
il mancato uso del casco di sicurezza.
In questi “Imparare dagli errori” non ci
soffermiamo in realtà sulle cause degli infortuni segnalati, ad esempio sulle
cause delle cadute dagli impalcati, delle cadute dalle scale o del perché un
operaio edile viene investito da materiale che cade dall’alto. La rubrica ha
affrontato in passato tutti questi aspetti, con riferimento sia ai casi di
caduta dall’alto che di caduta di materiale.
Ci soffermiamo invece sulla mancanza dell’elmetto
di protezione che risulta comunque un elemento di aggravamento delle
conseguenze dell’incidente e cerchiamo, attraverso alcuni materiali pubblicati
in precedenti articoli, di ricordare le specificità, i limiti e le potenzialità
di questo importante DPI di protezione del capo.
Per avere qualche indicazione utile per la
conoscenza, la scelta e l’uso di adeguati dispositivi di protezione della
testa, possiamo fare riferimento al progetto multimediale Impresa Sicura (elaborato
da EBER, EBAM, Regione Marche, Regione Emilia-Romagna e INAIL) che è stato
validato dalla Commissione Consultiva Permanente per la salute e la sicurezza
come buona prassi nella seduta del 27 novembre 2013. Progetto che ha prodotto
diversi materiali relativi alla prevenzione in molti comparti lavorativi
(metalmeccanica, cantieristica navale, lavorazione del legno, calzature, ...) e
una raccolta dettagliata di informazioni sui Dispositivi di Protezione Individuale
nel documento “Impresa Sicura DPI”.
In quest’ultimo documento si indica che,
riguardo alla protezione del capo, le norme tecniche definiscono l’elmetto di
protezione per l’industria come un “‘copricapo il cui scopo primario è quello
di proteggere la parte superiore della testa dell’utilizzatore contro lesioni
che possono essere provocate da oggetti in caduta” (noma UNI EN 397). Mentre il
copricapo antiurto per l’industria è invece destinato a “proteggere la testa
dell’utilizzatore dalle lesioni causate da un urto della testa contro oggetti
duri e immobili” (norma UNI EN 812).
Vi sono poi altri dispositivi di protezione
del capo come:
l’elmo per Vigili del Fuoco: un copricapo
destinato a “garantire la protezione della testa dell’utilizzatore dai pericoli
che potrebbero insorgere durante le operazioni condotte dai Vigili del Fuoco”
(norma UNI EN 443);
dispositivi di protezione del capo utilizzati
per le discipline sportive e per le attività di tempo libero definiti da altre
norme specifiche (ad esempio caschi per sport aerei, per sci alpino, per
ciclisti, ecc.).
Rimandando ad altre puntate di “Imparare
dagli errori” l’approfondimento sulle caratteristiche di elmetti e copricapi,
concludiamo l’articolo riportando dal documento di “Impresa Sicura” qualche
informazione riguardo alla scelta degli elmetti di protezione.
Il primo dovere del datore di lavoro è
l’esecuzione di specifica valutazione, allo scopo di definire chiaramente la
fonte e la natura di tutti i potenziali rischi. Una volta identificati i
rischi, il requisito successivo è considerare e mettere in pratica tutte quelle
misure fattibili per l’eliminazione o la riduzione del rischio alla fonte. Per
proteggere il capo se il rischio non può essere eliminato o ridotto ad un
livello tale da non provocare lesioni, il ricorso ad un elmetto di protezione è
inevitabile ed è necessario avviare la procedura di selezione.
Una volta individuato il DPI devono essere
infine determinati i requisiti di prestazione che devono essere riportati nella
nota informativa del fabbricante. Nell’ambito degli elmetti di protezione
esistono una serie di prescrizioni che portano ad altrettanti requisiti di
prestazione obbligatori. Al loro interno questi requisiti sono suddivisibili in
funzione del loro livello di prestazione.
Il sito web di INFOR.MO., di cui
nell’articolo abbiamo presentato le schede numero 3417, 3065 e 1868, è al link:
Il documento “Impresa Sicura DPI” elaborato
da da EBER, EBAM, Regione Marche, Regione Emilia-Romagna e INAIL è scaricabile
all’indirizzo:
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