SICUREZZA
SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS!
NEWSLETTER
N. 215 DEL 23/06/15
NEWSLETTER PER LA TUTELA DELLA SALUTE
E DELLA
SICUREZZA DEI LAVORATORI
INDICE
LA PROTEZIONE DA AGENTI
CHIMICI PERICOLOSI E L’OBBLIGO DELLA LORO SOSTITUZIONE - SECONDA PARTE
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1
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LE SCALE PORTATILI: REQUISITI E CARATTERISTICHE
PROPRIE DA DETERMINARE MEDIANTE PROVE SPERIMENTALI
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6
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L’INDIVIDUAZIONE DEL LUOGO DI LAVORO AI FINI
DELLA PREVENZIONE INFORTUNI
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7
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RISCHIO STRESS: I RITARDI E LE CARENZE DELLE
VALUTAZIONI DEI RISCHI
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10
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JOBS ACT: PRIMI PASSI PER L’ABOLIZIONE DEL
REGISTRO INFORTUNI E PER LA COSTITUZIONE DELL’AGENZIA UNICA PER LA TUTELA DEI LAVORATORI
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14
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RLS: IL
NUMERO, I DIRITTI, LA
RESPONSABILITA’ E ALTRE FAQ
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16
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LA PROTEZIONE DA
AGENTI CHIMICI PERICOLOSI E L’OBBLIGO DELLA LORO SOSTITUZIONE - SECONDA PARTE
LE
CONSULENZE DI SICUREZZA – KNOW YOUR RIGHTS! – N.67
Come
sapete, uno degli obiettivi del progetto SICUREZZA – KNOW YOUR RIGHTS! è anche
quello di fornire consulenze gratuite a tutti coloro che ne fanno richiesta, su
tematiche relative a salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.
Da quando è nato il progetto ho ricevuto decine di richieste e devo dire
che per me è stato motivo di orgoglio poter contribuire con le mie risposte a
fare chiarezza sui diritti del lavoratori.
Mi sembra doveroso condividere con tutti quelli che hanno la pazienza di
leggere le mie newsletters, queste consulenze.
Esse trattano di argomenti vari sulla materia e possono costituire
un’utile fonte di informazione per tutti coloro che hanno a che fare con casi
simili o analoghi.
Ovviamente per evidenti motivi di riservatezza ometterò il nome delle
persone che mi hanno chiesto chiarimenti e delle aziende coinvolte.
In questo caso, vista la lunghezza e la complessità dell’argomento, ho
diviso il documento in due parti.
La prima (pubblicata nella precedente newsletter) era relativa a:
-
premessa;
-
definizioni;
-
etichettatura
e schede di sicurezza degli agenti chimici;
-
valutazione
del rischio da agenti chimici.
La
seconda (questa) è relativa a:
-
misure
di prevenzione e protezione: la sostituzione degli agenti chimici pericolosi;
-
altre
misure di prevenzione e protezione;
-
conclusioni.
Marco Spezia
QUESITO
Ciao Marco,
sono il responsabile
manutenzione di un azienda metalmeccanica.
Ti pongo il mio
problema.
Sono anni che i
dirigenti fanno usare, per i lavori di riverniciatura delle macchine, una
vernice con diluente alla nitro. Non so bene quali danni possa fare, ma
annusare questo diluente una sola volta, può già dare un’idea.
Quando sono entrato in
azienda sono subito passato (dopo una breve consultazione con la ditta che
produceva e vendeva la vernice, che mi parlò di equivalenza di risultati) alla
vernice con diluizione all’acqua, invece che alla nitro, senza avere nessuna
perdita di resa o durata nel tempo.
Le argomentazioni che i
dirigenti della mia ditta mi hanno opposto quando ho cercato di sensibilizzarli
su questo problema furono che la vernice ad acqua costava di più di quella alla
nitro...
A un corso sulla
sicurezza fatto di recente, mi è stato detto che tra due vernici equivalenti come
resa, ecc., la dirigenza ha l’obbligo di scegliere quella non inquinante o meno
inquinante.
Tu sai qualcosa in
merito? E’ possibile costringere la dirigenza a cambiare questa scelta?
Attendo tue notizie e
ti saluto cordialmente.
RISPOSTA
Ciao,
a
seguire la mia relazione sugli obblighi a carico del datore di lavoro di ogni
azienda relativamente agli agenti chimici pericolosi e alle misure di
prevenzione e protezione da adottare per proteggere la salute e la sicurezza
dei lavoratori.
Come
vedrai la sostituzione degli agenti chimici pericolosi con altri che non lo
sono o lo sono di meno è obbligo prioritario.
Un
caro saluto.
Marco
LA
PROTEZIONE DA AGENTI CHIMICI PERICOLOSI E L’OBBLIGO DELLA LORO SOSTITUZIONE
MISURE
DI PREVENZIONE E PROTEZIONE: LA SOSTITUZIONE DEGLI AGENTI CHIMICI PERICOLOSI
In
generale, indipendentemente dall’esito della valutazione del rischio, ogni qual
volta vengono utilizzati o vengono prodotti agenti chimici pericolosi, il
datore di lavoro è tenuto ad adottare misure generali per la prevenzione e la
protezione della salute dei lavoratori coinvolti.
Tali
misure sono enunciate dall’articolo 224, comma 1 del Decreto:
“Fermo restando quanto previsto dall’articolo
15, i rischi derivanti da agenti
chimici pericolosi devono essere eliminati o ridotti al minimo mediante le
seguenti misure:
a) progettazione e
organizzazione dei sistemi di lavorazione sul luogo di lavoro;
b) fornitura di
attrezzature idonee per il lavoro specifico e relative procedure di
manutenzione adeguate;
c) riduzione al
minimo del numero di lavoratori che sono o potrebbero essere esposti;
d) riduzione al
minimo della durata e dell’intensità dell’esposizione;
e) misure igieniche
adeguate;
f) riduzione al
minimo della quantità di agenti presenti sul luogo di lavoro in funzione delle
necessità della lavorazione;
g) metodi di lavoro
appropriati comprese le disposizioni che garantiscono la sicurezza nella
manipolazione, nell’immagazzinamento e nel trasporto sul luogo di lavoro di
agenti chimici pericolosi nonché dei rifiuti che contengono detti agenti
chimici”.
Come
specificato in precedenza tali misure devono essere adottate prima dell’inizio
dell’attività lavorativa che comporti l’utilizzo di agenti chimici pericolosi.
L’inciso
“fermo restando quanto previsto
dall’articolo 15”, significa che, oltre alle misure indicate
dall’articolo 224, comma 1, il datore di lavoro deve comunque adottare anche quelle
indicate nell’articolo 15 del Decreto (“Misure generali di tutela”), tra le
quali quelle applicabili per il rischio da agenti chimici sono le seguenti:
-
l’eliminazione dei rischi e, ove ciò non sia
possibile, la loro riduzione al minimo in relazione alle conoscenze acquisite
in base al progresso tecnico;
-
la riduzione dei rischi alla fonte;
-
la sostituzione di ciò che è pericoloso con ciò
che non lo è, o è meno pericoloso;
-
la limitazione al minimo del numero dei
lavoratori che sono, o che possono essere, esposti al rischio;
-
l’utilizzo limitato degli agenti chimici, fisici
e biologici sui luoghi di lavoro;
-
la priorità delle misure di protezione collettiva
rispetto alle misure di protezione individuale.
Pertanto,
già a livello generale, il Decreto prevede come misura prioritaria la
sostituzione degli agenti chimici pericolosi con altri che non lo siano o lo
siano di meno.
Inoltre,
se in esito alla valutazione del rischio, si dimostra che il rischio da agenti
chimici è significativo per la salute [“rischio rilevante”] e la per sicurezza
[“rischio alto”] dei lavoratori, il datore di lavoro deve adottare (prima
dell’inizio dell’utilizzo degli agenti, come sopra detto), oltre a quelle
generali descritte dall’articolo 224, comma 1 del Decreto, anche specifiche misure
di prevenzione e protezione.
Ciò
deriva dall’articolo 224, comma 2 del Decreto:
“Se i risultati della valutazione dei rischi
dimostrano che, in relazione al tipo e alle quantità di un agente chimico
pericoloso e alle modalità e frequenza di esposizione a tale agente presente
sul luogo di lavoro, vi é solo un rischio basso per la sicurezza e irrilevante
per la salute dei lavoratori e che le misure di cui al comma 1 [misure
generali di tutela] sono sufficienti a
ridurre il rischio, non si applicano le disposizioni degli articoli 225, 226,
229, 230”.
L’articolo
225, comma 1 del Decreto riporta tra queste misure quelle di carattere tecnico
e gestionale:
“Il datore di lavoro, sulla base
dell’attività e della valutazione dei rischi di cui all’articolo 223, provvede
affinché il rischio sia eliminato o ridotto mediante la sostituzione, qualora
la natura dell’attività lo consenta, con altri agenti o processi che, nelle
condizioni di uso, non sono o sono meno pericolosi per la salute dei
lavoratori. Quando la natura dell’attività non consente di eliminare il rischio
attraverso la sostituzione il datore di lavoro garantisce che il rischio sia
ridotto mediante l’applicazione delle seguenti misure da adottarsi nel seguente
ordine di priorità:
a) progettazione di
appropriati processi lavorativi e controlli tecnici, nonché uso di attrezzature
e materiali adeguati;
b) appropriate
misure organizzative e di protezione collettive alla fonte del rischio;
c) misure di
protezione individuali, compresi i dispositivi di protezione individuali,
qualora non si riesca a prevenire con altri mezzi l’esposizione;
d) sorveglianza
sanitaria dei lavoratori a norma degli articoli 229 e 230”.
Il mancato
adempimento da parte del datore di lavoro o dei dirigenti dell’obbligo di
adottare queste misure è reato penale sanzionato dall’articolo 262, comma 2,
lettera a) del Decreto con
l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda da 2.000 a 4.000.
Pertanto
si evince dal testo normativo l’obbligo prioritario (in questo caso
sanzionabile penalmente) di sostituire gli agenti chimici pericolosi con altri
che non lo siano o lo siano di meno (“Il
datore di lavoro, sulla base dell’attività e della valutazione dei rischi [...] provvede affinché il rischio sia eliminato
o ridotto mediante la sostituzione”).
Soltanto
nel caso in cui “la natura dell’attività
non consente di eliminare il rischio attraverso la sostituzione” il datore
di lavoro o i dirigenti devono adottare le altre misure contenute nell’articolo
225, comma 1 del Decreto.
E’
superfluo mettere in evidenza come il legislatore tenga in considerazione ai
fini della sostituzione degli agenti chimici pericolosi solo considerazioni di
tipo tecnico legate alla “natura
dell’attività” e non certo a considerazioni di tipo economico.
In
tale ambito la omessa sostituzione degli agenti chimici pericolosi con altri
non pericolosi o meni pericolosi, non può trovare alcuna scusante relativamente
al costo degli agenti chimici alternativi.
Tale
considerazione nasce, oltre che da quanto disposto dall’articolo 225, comma 1
del Decreto anche dal dettato generale di cui all’articolo 2087 del Codice
Civile che stabilisce che:
“L’imprenditore e tenuto ad adottare
nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro,
l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la
personalità morale dei prestatori di lavoro”.
Anche
in tal caso il legislatore fa riferimento a “l’esperienza e la tecnica” con l’obiettivo, prioritario rispetto a
qualunque altra considerazione, di “tutelare
l’integrità fisica dei prestatori di lavoro”.
ALTRE
MISURE DI PREVENZIONE E PROTEZIONE
Fermo
restando l’obbligo sanzionabile di sostituire gli agenti chimici pericolosi con
altri che non lo siano o che lo siano di meno, se questa misura prettamente
preventiva non è possibile (e si rimarca: da un punto di vista tecnico e non
economico), il datore di lavoro è obbligato (pena la sanzione) ad attuare altre
misure di prevenzione e protezione per ridurre il più possibile il rischio
derivante dagli agenti chimici pericolosi.
Alcune
di queste misure sono indicate alle lettere da a) a c) dell’articolo 225, comma
1 del Decreto sopra menzionato e sono misure di carattere prettamente tecnico e
produttivo per ridurre i rischi alla fonte o predisporre una separazione fisica
(protezione collettiva o individuale) tra gli agenti chimici pericolosi e i
lavoratori. Altre disposizioni sono contenute all’interno dell’articolo 226 del
Decreto, specificatamente in caso di incidenti o di emergenze.
Tra
tali misure rientrano a titolo indicativo, ma non esaustivo le seguenti:
-
stoccaggio
e movimentazione degli agenti chimici per quanto possibile in recipienti o condotti
chiusi e sigillati contro la dispersione dei solidi e dei liquidi, ma anche dei
vapori;
-
etichettatura
o colorazione appropriata di recipienti e/o condotti atte a contenere gli
agenti, in modo da rendere edotti i lavoratori dei pericoli;
-
utilizzo
della minore quantità tecnologicamente possibile di agenti chimici;
-
separazione
delle aree destinate allo stoccaggio, trasporto, utilizzo degli agenti chimici
dagli altri reparti;
-
separazione
tra di loro, nello stoccaggio e nell’utilizzo, degli agenti chimici mutuamente
incompatibili;
-
riduzione
al minimo della presenza di concentrazioni pericolose di sostanze infiammabili
o quantità pericolose di sostanze chimicamente instabili;
-
riduzione
al minimo del numero dei lavoratori a contatto degli agenti chimici, anche mediante
misure di automazione dei processi produttivi;
-
riduzione
al minimo del tempo di permanenza a contatto con gli agenti chimici;
-
messa
a disposizione dei lavoratori di attrezzature tali da ridurre al minimo il
contatto con agenti chimici;
-
pronta
raccolta di qualunque tipo di sversamento degli agenti chimici a terreno o in
atmosfera con mezzi adeguati e realizzati in maniera tale da contenere il più
possibile l’agente sversato;
-
installazione
di prese di aspirazione dell’aria in prossimità a tutti i punti in cui si
possano determinare la dispersione nell’atmosfera di vapori o aerosol
pericolosi;
-
realizzazione
degli ambienti di lavoro e installazione di apparecchiature al fine di pulire
il più prontamente ed efficacemente possibile ogni residuo degli agenti
chimici;
-
consegna
e richiesta di utilizzo di DPI specifici per i rischi introdotti dagli agenti
chimici (facciali filtranti, maschere, guanti, tuta, grembiuli, ecc.);
-
disposizione
del divieto di fumare, usare fiamme libere, mangiare nei luoghi di lavoro ove
sono presenti agenti chimici;
-
redazione
di specifiche misure di emergenza per eliminare o ridurre i rischi legati a
situazioni di emergenza (incendio, terremoto, rottura di contenitori o
tubazioni di agenti chimici, ecc.);
-
adozione
di sistemi automatici di allarme e di comunicazione da utilizzare in caso di
emergenza;
-
messa
a disposizione dei lavoratori di docce e lavaocchi di emergenza da usare a
seguito di contatto con un agente chimico pericoloso;
-
realizzazione
di servizi igienici per permettere un’accurata igiene personale al termine del
lavoro;
-
realizzazione
di spogliatoi con armadietti dove riporre separatamente gli abiti da lavoro da
quelli civili.
L’articolo
225, comma 2 del Decreto impone poi al datore di lavoro di eseguire
campionamenti ambientali o personali della concentrazione di agenti chimici
nell’aria e di confrontarli con i limiti di esposizione per i lavoratori
definiti dalla legislazione o dalla letteratura specifica (a meno che non sia
in grado di dimostrare in altro modo un adeguato livello di salute e
sicurezza).
Se
a seguito di tali campionamenti si rilevasse il superamento del valore limite
di esposizione, il datore di lavoro è tenuto a intraprendere immediate misure
per la riduzione della concentrazione di agenti chimici, compreso, se
necessario, la fermata della attività lavorative.
Si ricorda che il
mancato adempimento da parte del datore di lavoro o dei dirigenti dell’obbligo
di adottare queste misure di prevenzione e protezione, anche relativamente alle
situazioni di emergenza, è reato penale sanzionato dall’articolo 262, comma 2,
lettera a) del Decreto con
l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda da 2.000 a 4.000.
Oltre
a tali misure tecniche e organizzative, il Decreto prevede, all’interno
dell’articolo 227, l’obbligo per il datore di lavoro o per i dirigenti di
erogare una informazione e una formazione specifica ai lavoratori, da adottare
mediante:
-
messa
a disposizione dei lavoratori delle schede di sicurezza di ogni agente chimico
utilizzato;
-
spiegazione
del significato dei simboli di pericolo, delle frasi di rischio, dei consigli
di sicurezza riportati sui contenitori degli agenti chimici;
-
tutti
i dati relativi alla valutazione del rischio, compreso i risultati dei
campionamenti ambientali eseguiti;
-
messa
a disposizione di specifiche procedure di salute e sicurezza contenenti le
precauzioni e le azioni adeguate da intraprendere per eliminare o ridurre il
rischio;
-
necessità
dell’uso dei DPI e corretto utilizzo degli stessi.
Il mancato
adempimento da parte del datore di lavoro o dei dirigenti dell’obbligo di
informazione e formazione dei lavoratori è reato penale sanzionato
dall’articolo 262, comma 2, lettera b) del Decreto con l’arresto fino a sei
mesi o con l’ammenda da 2.000
a 4.000 euro.
Infine
(articolo 229 del Decreto) il datore di lavoro, in collaborazione con il medico
competente, organizza la sorveglianza sanitaria dei lavoratori, eseguita dal
medico competente stesso mediante visite mediche specifiche, comprensive, se
necessario di esami clinici e diagnostici.
La
sorveglianza sanitaria è finalizzata a verificare che i lavoratori siano
fisicamente idonei al lavoro che comporta l’utilizzo di agenti chimici e a
monitorarne lo stato di salute in funzione dell’esposizione agli agenti.
I
risultati della sorveglianza sanitaria devono essere riportati dal medico
competente all’interno della cartella sanitaria e di rischio di cui all’articolo
25, comma 1, lettera c) del Decreto.
Il mancato
adempimento da parte del datore di lavoro o dei dirigenti dell’obbligo di
organizzare la sorveglianza sanitaria dei lavoratori è reato penale sanzionato
dall’articolo 262, comma 2, lettera b) del Decreto con l’arresto fino a sei
mesi o con l’ammenda da 2.000
a 4.000 euro.
Nel
caso che tra gli agenti chimici utilizzati o generati nelle attività lavorative
ve ne fossero di cancerogeni o mutageni, ai sensi della etichettatura degli
agenti o comunque in quanto inseriti nella classificazione stilata dalla IARC (International Agency for Research on Cancer),
e periodicamente aggiornata il datore di lavoro dovrà adottare gli obblighi
definiti dal Titolo IX Capo II
“Protezione da agenti cancerogeni e mutageni”, simili a quelli da adottare per
gli agenti chimici pericolosi, ma con prescrizioni molto più restrittive in
funzione della maggiore pericolosità degli agenti.
CONCLUSIONI
In
caso di utilizzo di agenti chimici, si applica quanto disposto come obbligo a
carico del datore di lavoro o dei dirigenti dal Titolo IX Capo I del Decreto
Legislativo n.81 del 9 aprile 2008 e successive modifiche e integrazioni.
In
presenza di agenti chimici pericolosi, il datore di lavoro deve eseguire una
specifica valutazione del rischio per individuare e classificare tutti i
possibili rischi per la salute e la sicurezza per i lavoratori.
La
valutazione del rischio deve essere eseguita prima dell’inizio di una nuova
attività lavorativa o prima dell’inizio dell’utilizzo di un nuovo prodotto
chimico.
Se
la valutazione evidenzia che il rischio è rilevante per la salute e alto per la
sicurezza, il datore di lavoro deve adottare, oltre a quelle generiche relative
all’utilizzo di agenti chimici, specifiche misure di prevenzione e protezione
per eliminare o ridurre a livelli trascurabili i rischi per i lavoratori.
Misura
prioritaria stabilita dal Decreto è, se la natura dell’attività lavorativa lo
consente, la sostituzione degli agenti chimici pericolosi con altri che non lo
siano o lo siano di meno. Nella scelta degli agenti chimici e quindi nella loro
sostituzione non devono essere valutati dal datore di lavoro gli aspetti
economici, ma solo quelli tecnici.
Nel
caso che la sostituzione degli agenti chimici pericolosi non sia possibile e
comunque se permangono a seguito della sostituzione, rischi per la salute e la
sicurezza del lavoratore, il datore di lavoro deve adottare specifiche misure
di prevenzione e protezione tecniche, organizzative procedurali per ridurre i
rischi a livelli trascurabili.
In
caso di presenza di rischio chimico rilevante, i lavoratori devono essere
adeguatamente informati e formati sugli agenti chimici, anche per mezzo delle
schede di sicurezza e dell’etichettatura degli agenti stessi.
In
caso di presenza di rischio chimico rilevante per la salute, i lavoratori
devono essere sottoposti a sorveglianza sanitaria per verificare la loro
idoneità fisica all’utilizzo degli agenti chimici e per monitorare nel tempo il
loro stato di salute.
LE SCALE PORTATILI:
REQUISITI E CARATTERISTICHE PROPRIE DA DETERMINARE MEDIANTE PROVE SPERIMENTALI
Da
Portale Consulenti
27
maggio 2015
di
Secondo Martino
Le
scale portatili sono attrezzature largamente diffuse e usate in ambiente di
lavoro e in ambiente di vita.
Vengono
impiegate da milioni di persone e comportano rischi elevati di incidenti, come
riportato da numerosi Osservatori.
Le
tipologie di incidenti riguardano principalmente la stabilità nell’uso e la
resistenza strutturale nei riguardi del comportamento alle sollecitazioni
cicliche.
Tali
caratteristiche non sono verificate con idonee prove dalla normativa di
prodotto europea vigente, in quanto parzialmente e indirettamente valutate con
considerazioni geometriche per quanto concerne la stabilità, e con prove di
carattere esclusivamente statico per la resistenza strutturale.
L’attuale
norma di prodotto (la EN
131, parte seconda, del giugno 2010) elaborata in 12 anni circa, non ha
condotto alla introduzione di prove specifiche per la valutazione di tali
caratteristiche, sebbene da parte di alcuni stati membri ne sia stata sentita
l’esigenza, anche attraverso la presentazione di esperienze sperimentali
nazionali (Italia, Regno Unito, Olanda, Belgio).
Il
mancato accordo tecnico è dovuto, oltre che alle resistenze di carattere
commerciale, anche alla mancata introduzione di idonei requisiti condivisi tra
le parti e da tipologie di prove spesso non confrontabili fra loro.
Il
Comitato Tecnico TC 93, tenutosi a Berlino il 23 e 24 aprile 2009, ha impostato nuove
strategie condivise per la revisione della norma che tengono conto della
stabilità e della durabilità della scala e ha costituito un nuovo gruppo di
lavoro, il WG10.
Il
compito è di stabilire un programma di lavoro per esaminare i requisiti di
stabilità e di durabilità nonché una possibile classificazione delle scale
portatili che tenga conto di quest’ultimo requisito.
Il
WG1O ha istituito due gruppi di lavoro ad hoc, composti ognuno da cinque esperti,
per procedere con ulteriori approfondimenti riguardo la stabilità e le
prestazioni in relazione alla durabilità valutata con test ciclici.
Al
fine di ridurre al minimo il rischio di incidente, in virtù della evoluzione
dei requisiti prestazionali del prodotto, in relazione al progresso tecnologico
e al livello di sicurezza che i consumatori possono ragionevolmente aspettarsi,
è fondamentale che le scale portatili vengano fabbricate con un livello
intrinseco di sicurezza maggiore.
L’individuazione
delle misure progettuali e di sperimentazione per ridurre al minimo i rischi
connessi con le attività effettuate con le scale portatili coinvolge quindi
direttamente l’attività di ricerca sulle caratteristiche di resistenza e di
stabilità delle stesse.
Il
documento “Le scale portatili” redatto da INAIL Dipartimento innovazioni
tecnologiche e sicurezza degli impianti, prodotti e insediamenti antropici è
scaricabile all’indirizzo:
L’INDIVIDUAZIONE
DEL LUOGO DI LAVORO AI FINI DELLA PREVENZIONE INFORTUNI
Da:
PuntoSicuro
08
giugno 2015
di
Gerardo Porreca
In
tema di norme antinfortunistiche per ambiente di lavoro deve intendersi tutto
il luogo o lo spazio in cui si svolge l’attività lavorativa, in cui si può
accedere anche solo per sostare in momenti di pausa, riposo o sospensione del
lavoro.
Due
gli importanti insegnamenti che discendono dalla lettura di questa lunga e
articolata sentenza della Corte di Cassazione e che riguardano l’uno la
individuazione di quello che è da intendersi come ambiente di lavoro e l’altro
la corretta applicazione dell’articolo 26 del D.Lgs. 81/08 contenente le
disposizioni di sicurezza in caso di appalti e subappalti interni.
In
tema di norme antinfortunistiche, ha sostenuto la Suprema Corte, per
ambiente di lavoro deve intendersi tutto il luogo o lo spazio in cui l’attività
lavorativa si sviluppa e in cui, indipendentemente dall’attualità
dell’attività, coloro che siano autorizzati ad accedere nella zona ove sono
posti i macchinari e coloro che vi accedano per ragioni connesse all’attività
lavorativa, possono recarsi o sostare anche in momenti di pausa, riposo o
sospensione del lavoro.
Secondo
la Corte di
Cassazione, inoltre, il concetto di interferenza tra impresa appaltante e
impresa appaltatrice, in relazione agli obblighi previsti dal comma 2
dell’articolo 26 del D.Lgs. 81/08 non può ridursi, ai fini dell’individuazione
delle responsabilità colpose penalmente rilevanti, ai soli contatti rischiosi
tra il personale delle due imprese, committente e appaltatrice, ma deve fare
necessario riferimento anche a tutte le attività dirette a prevenirli.
Il
Tribunale ha dichiarato in prima istanza l’Amministratore Delegato di una
società e il Direttore dello Stabilimento della società stessa colpevoli, nelle
rispettive qualità, del reato di omicidio colposo, aggravato dalla violazione
delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro e dall’avere agito
nonostante la previsione dell’evento (articolo 61, comma 3 del Codice Penale),
in relazione alla morte di un dipendente di una società appaltatrice dei
servizi di raccolta e accatastamento dei filati di lamierino realizzati
all’interno dello stabilimento, il quale una sera, durante la pausa per la
cena, è stato trovato privo di vita nel reparto tranceria, accartocciato su se
stesso, sul nastro trasportatore posto sotto delle presse.
Gli
imputati sono stati accusati, tra l’altro, di non aver adottato le misure
necessarie per tutelare l’integrità fisica del lavoratore, non disponendo
l’arresto del nastro mobile durante la pausa dal lavoro per il pasto e non
approntando un apposito sportello controllato da dispositivo elettromeccanico
di blocco del motore del convogliatore delle palette, e di non aver provveduto
alla chiusura dell’imboccatura posteriore delle presse nonostante tale esigenza
fosse prevista nel documento di valutazione dei rischi.
E’
stata contestata agli stessi, inoltre, la violazione degli articoli 18, comma
1, lettera h), 26, comma 3 e 37, comma 4 del D.Lgs. 81/08 per aver omesso di
promuovere la cooperazione e il coordinamento tra la società committente e la
società appaltatrice per la redazione di un unico documento di valutazione dei
rischi e per l’assunzione dei provvedimenti necessari a eliminare o ridurre i
rischi da interferenze nonché per non aver adempiuto agli obblighi di
informazione e formazione dei dipendenti della ditta appaltatrice sui rischi
specifici legati alle attività svolte e all’ambiente di lavoro.
Esclusa
l’aggravante di cui all’articolo 61, comma 3 del Codice Penale e concesse le
attenuanti generiche, ritenute equivalenti alle residue aggravanti, il
Tribunale ha condannato l’Amministratore Delegato alla pena di un anno e sei
mesi di reclusione e il Direttore dello Stabilimento a quella di un anno e
quattro mesi di reclusione e ha dichiarato inoltre la società committente
responsabile dell’illecito amministrativo di cui all’articolo 25-septies del
D.Lgs. 231/01 e, conseguentemente, riconosciuta la riduzione di cui
all’articolo 12 el medesimo Decreto, ha applicata alla stessa la sanzione amministrativa
di 180.000 euro.
La Corte d’Appello ha
successivamente riformata parzialmente la decisione del Tribunale in punto di
trattamento sanzionatorio rideterminando le pene, rispettivamente, in un anno e
due mesi di reclusione per l’Amministratore Delegato e in un anno di reclusione
per il Direttore dello Stabilimento e riducendo, altresì, la sanzione
amministrativa pecuniaria applicata alla società a 130.000 euro.
La
stessa ha ritenuto che l’ipotesi della caduta accidentale della vittima, avvalorata
dalla ricostruzione del perito, fosse l’unica verosimile, non avendo trovato
riscontro alcuno l’alternativa spiegazione causale proposta dalle difese di un
incidente esterno ascrivibile all’atto volontario di terzi o dello stesso
lavoratore e, esaminando le contestazioni mosse alla ritenuta mancanza di
coordinamento e di adeguata formazione in nesso causale con l’infortunio, ha
rilevato in sintesi che:
-
secondo
costante indirizzo giurisprudenziale, in tema di norme antinfortunistiche, per
ambiente di lavoro deve intendersi tutto il luogo o lo spazio in cui l’attività
lavorativa si sviluppa e in cui, indipendentemente dall’attualità
dell’attività, coloro che siano autorizzati ad accedere nella zona ove sono
posti i macchinari e coloro che vi accedano per ragioni connesse all’attività
lavorativa, possono recarsi o sostare anche in momenti di pausa, riposo o sospensione
del lavoro; nel caso in esame era risultato che la vittima e gli altri soci
della cooperativa potessero accedere senza limitazioni di sorta al reparto
tranceria, non solo durante le loro mansioni, ma anche in tempi diversi e ciò,
anzi, era un’abitudine consolidata;
-
il
concetto di interferenza tra impresa appaltante e impresa appaltatrice, in
relazione agli obblighi previsti dall’articolo 26, comma 2 del D.Lgs. 81/08,
non può ridursi, ai fini dell’individuazione di responsabilità colpose
penalmente rilevanti, ai soli contatti rischiosi tra il personale delle due
imprese, ma deve fare necessario riferimento anche a tutte le attività dirette
a prevenirli;
-
che,
in punto di fatto, l’impianto presentasse degli accessi pericolosi, che non
escludevano la caduta accidentale nel nastro trasportatore sottostante le
presse era stato peraltro già segnalato nel documento di valutazione dei
rischi, nel quale era stato rilevato che l’imbocco verso il dispositivo di
macinazione aveva protezioni insufficienti e che l’imbocco aveva dei portelli
che non erano collegati a nessun dispositivo elettromeccanico di blocco dei
motori oltre a essere parecchio grande per cui in caso di perdita di equilibrio
o inciampo di un lavoratore in direzione dell’apertura questi poteva essere
trascinato dai nastri trasportatori verso i meccanismi in moto.
Avverso
la sentenza della Corte di Appello hanno proposto ricorso entrambi gli imputati
per mezzo dei rispettivi difensori.
Gli
stessi hanno contestata la dinamica dell’accaduto individuata in uno
scivolamento del lavoratore in quanto dalle foto acquisite e dalle
testimonianze rese dai dipendenti della società era emerso che era del tutto
impossibile finire con le gambe sotto le trance e soprattutto che, pure finiti
sotto la trancia, era impossibile un contatto del corpo con le palette del
nastro per cui avevano dedotto che nella Sentenza di secondo grado non era
stata data una spiegazione di come il lavoratore della ditta appaltatrice fosse
potuto finire all’interno del nastro trasportatore.
Secondo
i ricorrenti inoltre la causa dell’evento non poteva essere individuata in un
difetto di coordinamento, non essendo stato l’incidente occasionato dalla
compresenza di soggetti appartenenti a organizzazioni differenti e considerato,
conseguentemente, che nessun documento unico di valutazione dei rischi
interferenziali avrebbe mai potuto prevedere quanto accaduto.
Gli
stessi hanno contestata, inoltre, l’affermazione secondo cui il lavoratore
infortunato e gli altri soci della ditta appaltatrice potevano accedere senza
limiti di sorta alle zone pericolose, posto che, nel corso dell’ordinaria
lavorazione e durante le pause, il retro di tutte le trance era reso
inaccessibile da una serie di ripari oltre che dalla presenza di una vera e
propria cabina chiusa che inglobava la macchina e quanto poi al difetto di
formazione contestato hanno fatto presente che nulla ha lasciato immaginare che
la vittima non fosse stato avvertito e, comunque, non fosse in grado di
rendersi autonomamente conto dello specifico potenziale pericolo per chiunque
tentasse di accedere al nastro trasportatore in movimento.
Le
motivazioni dei ricorsi sono state ritenute infondate dalla Corte di Cassazione
che li ha pertanto rigettati. La stessa Corte, in premessa, ha posto in
evidenza che le doglianze svolte dai ricorrenti sono risultate legate a una
serie di censure in punto di fatto e come tali inammissibili in sede di Cassazione.
La
ricostruzione alternativa proposta dei ricorrenti (azione volontaria della
stessa vittima o di ignoti terzi ai suoi danni), ha fatto notare la Suprema Corte, non
si fonda su elementi di univoco e cogente significato indiziario, tale da
imporsi in termini di oggettiva evidenza e scardinare il ragionamento
probatorio illustrato in sentenza.
La Sezione IV ha rammentato che
il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del
provvedimento impugnato è, per espressa disposizione legislativa, rigorosamente
circoscritto a verificare che la pronuncia sia sorretta, nei suoi punti
essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione
delle regole della logica, ed esenti da vistose ed insormontabili incongruenze
tra di loro.
Al
giudice di legittimità è infatti preclusa, in sede di controllo sulla
motivazione, la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e
valutazione dei fatti.
In
caso contrario, infatti, queste operazioni trasformerebbero la Corte nell’ennesimo giudice
del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal
legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti
adottati dai giudici di merito rispetti sempre uno standard minimo di
intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico
seguito dal giudice per giungere alla decisione.
Con
riferimento al difetto di coordinamento e di formazione da parte del
committente la Suprema
Corte ha fatto presente che la Corte di Appello ha
correttamente richiamato l’indirizzo in base al quale “in tema di violazione di
normativa antinfortunistica in un cantiere edile, per ambiente di lavoro deve
intendersi tutto il luogo o lo spazio in cui l’attività lavorativa si sviluppa
e in cui, indipendentemente dall’attualità dell’attività, coloro che siano
autorizzati ad accedere nel cantiere e coloro che vi accedano per ragioni
connesse all’attività lavorativa, possono recarsi o sostare anche in momenti di
pausa, riposo o sospensione del lavoro” né ha ritenuto che avesse un plausibile
fondamento logico la censura secondo cui il difetto di coordinamento addebitato
agli imputati non avrebbe avuto, nel caso di specie, efficacia causale, non
essendo l’incidente correlabile a una fase della lavorazione per la quale si
richiedeva la compresenza di lavoratori dipendenti di imprese diverse. Non può
dubitarsi, infatti, ha sostenuto ancora la Sezione IV che la
presenza dei dipendenti della ditta appaltatrice e la loro comprovata
accessibilità al reparto tranceria anche nei momenti di pausa delle lavorazioni
valevano ad attivare per il datore di lavoro/committente gli obblighi
prevenzionali specificamente previsti dall’articolo 7 del D.Lgs. 626/94 (ora
articolo 26 del D.Lgs. 81/08).
Quanto
infine alla ritenuta mancata informazione e formazione del lavoratore
infortunato sui rischi specifici legati al luogo di lavoro e alla affermazione
fatta dai ricorrenti secondo cui lo stesso poteva comunque rendersi conto
autonomamente dello specifico potenziale rischio rappresentato dal pericolo di
accedere al nastro trasportatore in movimento, la Corte Suprema ha concluso
sostenendo che “è appena il caso di rilevare che gli obblighi formativi e
informativi dettati dalle norme prevenzionistiche prescindono ovviamente dalla
capacità dei destinatari di tale attività di provvedere da sé alle necessità di
formazione e, soprattutto, non autorizzano alcuna presunzione al riguardo”.
La Sentenza n. 18073 del 29
aprile 2015 della Corte di Cassazione Penale Sezione IV è visionabile
all’indirizzo:
RISCHIO STRESS: I
RITARDI E LE CARENZE DELLE VALUTAZIONI DEI RISCHI
Da:
PuntoSicuro
09
giugno 2015
di
Tiziano Menduto
Un’indagine
è stata condotta nel comparto metalmeccanico per conoscere lo stato, le carenze
e le criticità delle valutazioni del rischio stress lavoro correlato.
Presentiamo i risultati con un’intervista al ricercatore Daniele Di Nunzio.
Malgrado
l’attenzione riservata al rischio stress lavoro correlato da parte del D.Lgs.
81/08, malgrado i chiarimenti e le indicazioni della Commissione consultiva e
gli innumerevoli convegni, interventi e articoli sul tema, c’è ancora un
evidente sfasamento tra quanto dovrebbe essere fatto nelle aziende italiane e
quanto si fa effettivamente. Non solo in molte realtà la valutazione del
rischio stress lavoro correlato è ancora sconosciuta, ma anche la gestione del
rischio spesso non è adeguata e non produce una reale prevenzione.
Per
comprendere come è affrontato questo rischio nelle aziende metalmeccaniche, è
stata realizzata un’indagine condotta dall’Associazione Bruno Trentin in
stretta collaborazione con le organizzazioni sindacali e promossa dalla CGIL
Nazionale e dalla FIOM CGIL, con il finanziamento del FAPI (Fondo Formazione
Piccole e Medie Imprese).
I
risultati dell’indagine, raccolti nel volume “Il rischio stress lavoro
correlato nel settore metalmeccanico” sono stati presentati il 31 marzo a Roma
durante la giornata di studio e confronto dal titolo “Rischi psicosociali in
Italia ed in Europa: quali percorsi per la tutela dei lavoratori?”.
Per
conoscere i risultati di questa interessante ricerca e avere un quadro
realistico di come si affronta lo stress lavorativo nelle aziende del comparto
metalmeccanico, PuntoSicuro ha fatto una breve intervista al ricercatore
Daniele Di Nunzio (Associazione Bruno Trentin . Istituto di Ricerche Economiche
e Sociali - Osservatorio Salute e Sicurezza).
PARTIAMO
DALLA STORIA DI QUESTA RICERCA SUL RISCHIO STRESS LAVORO CORRELATO NEL SETTORE
METALMECCANICO. DA QUALI ESIGENZE E PROBLEMATICHE E’ NATA? CHI HA COINVOLTO?
Negli
ultimi dieci anni le leggi e gli accordi tra le parti sociali hanno rafforzato
gli obblighi per la tutela della salute dei lavoratori dando sempre maggiore
importanza all’integrità della salute psico-fisica e, di conseguenza, alla
prevenzione dei rischi psicosociali. In particolare, il D.Lgs. 81/08 impone a
tutte le imprese l’obbligo di effettuare la valutazione del rischio stress
lavoro correlato, secondo quanto previsto dalle indicazioni della Commissione
consultiva permanente emanate alla fine del 2010.
L’Associazione
Bruno Trentin, in collaborazione con la
CGIL nazionale e la FIOM CGIL, con un finanziamento del FAPI Fondo Formazione PMI, ha condotto una ricerca per capire lo stato della
valutazione del rischio stress: se è effettuata, come è effettuata, quali sono
i risultati.
La
ricerca è stata condotta nelle aziende metalmeccaniche, ascoltando il parere
dei Rappresentanti dei Lavoratori per Sicurezza, attraverso un questionario.
PERCHE’
HA RIGUARDATO IN PARTICOLARE IL SETTORE METALMECCANICO? QUANTO E’ PRESENTE IN
QUESTO SETTORE IL RISCHIO STRESS LAVORO CORRELATO?
Nel
settore industriale i rischi per la salute dei lavoratori sono molti. I rischi
più noti sono quelli di tipo fisico, come i danni muscolo-scheletrici, o di
tipo chimico, così come il rischio di subire un incidente. Però esistono anche
dei rischi che sono propri dell’organizzazione del lavoro, molto diffusi, meno
visibili, rispetto ai quali l’attenzione è minore. I fattori che mettono una
forte pressione sul lavoratore sono tanti, come i ritmi serrati, la catena di
montaggio, il lavoro ripetitivo, i turni e la tendenza alla produzione
continua. Questi fattori possono comportare dei danni alla salute psicologica e
anche un maggiore rischio di incidenti, quindi mettono in pericolo la salute
del singolo, ma anche quella di una comunità di lavoratori e lavoratrici.
VENIAMO
AI RISULTATI PARTENDO INNANZITUTTO DAI RITARDI DELLE AZIENDE NEL VALUTARE I
RISCHI STRESS LAVORO CORRELATI. QUAL E’ LA SITUAZIONE NEL
COMPARTO METALMECCANICO? IN QUANTE AZIENDE LA VALUTAZIONE E’
STATA EFFETTIVAMENTE FATTA?
La
ricerca mostra l’esistenza di numerose difficoltà per la valutazione del
rischio stress lavoro correlato. Le criticità maggiori e più diffuse sono: il
fatto che la valutazione non viene effettuata, le mancanze nell’applicazione
delle norme, lo scarso coinvolgimento degli Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS), la
scarsa efficacia nell’individuazione dei rischi, la scarsa capacità di
programmare delle adeguate misure di intervento per migliorare le condizioni di
lavoro.
Dei
185 casi analizzati, solo in 59 la valutazione è stata conclusa al momento
della rilevazione. Dall’analisi di questi 59 casi sappiamo che solo in 8
aziende sono stati evidenziati dei rischi “medi” o “alti” dall’analisi degli
eventi sentinella (ossia fattori quali l’indice infortunistico o l’assenza per
malattia). In 22 casi i fattori di contesto o contenuto (come l’ambiente di
lavoro, l’orario e i turni) hanno indicato un rischio “medio” o “alto”. Solo in
14 casi è stata indicata la necessità di misure di intervento per contrastare il
rischio stress lavoro correlato e migliorare le condizioni di lavoro.
Dunque,
in un contesto con così tanti pericoli, come quello metalmeccanico, nella
maggioranza dei casi la valutazione dei rischi non è riuscita a fare emergere i
problemi reali per la salute psicologica dei lavoratori. E’ dunque utile
fermarsi a riflettere su qual è il funzionamento del sistema di gestione dei
rischi e della valutazione dei rischi, per comprenderne le criticità e migliorarne
l’efficacia.
Se
vogliamo approfondire l’analisi, i dati della ricerca ci mostrano che a tre
anni dall’emanazione delle indicazioni della Commissione Consultiva ancora
un’azienda su tre non ha iniziato a valutare il rischio stress lavoro correlato
secondo quanto previsto dalla nuova regolamentazione. Se consideriamo un
periodo di tempo più lungo, un’azienda su cinque non ha mai svolto la
valutazione del rischio stress lavoro correlato a partire almeno dal 2008, per
cui numerosi lavoratori sono stati esclusi dalla prevenzione obbligatoria su
questo rischio.
CHE
DIFFERENZA C’E’ NEI DATI IN RELAZIONE ALLA GRANDEZZA DELLE AZIENDE?
Nelle
piccole aziende sono molte le difficoltà per la tutela della salute dei
lavoratori, tra cui: le difficoltà economiche che ostacolano la messa in atto
di interventi preventivi e migliorativi delle condizioni di lavoro, la minore
presenza di figure specializzate sui temi della salute e sicurezza, il fatto
che le aziende più piccole lavorano più spesso in appalto o comunque sono più
facilmente in balia del mercato e delle commesse esterne, una minore
opportunità di programmazione a lungo termine del lavoro.
Però
dalla ricerca emerge un dato interessante: per quanto riguarda la valutazione
specifica del rischio stress lavoro correlato, il coinvolgimento degli RLS è
avvenuto in misura maggiore nelle aziende più piccole (con meno di 50 addetti).
In ipotesi, nei contesti più piccoli gli RLS hanno un rapporto più diretto con
la dirigenza e possono assumere un ruolo più operativo mentre nei contesti più
grandi si impone uno stile più tecnocratico e formale che ostacola la
partecipazione.
LA RICERCA HA COINVOLTO IN
PARTICOLARE I RAPPRESENTANTE DEI LAVORATORI PER LA SICUREZZA DELLE
VARIE AZIENDE. QUAL E’ IL LIVELLO DI COINVOLGIMENTO RISCONTRATO, LADDOVE LA VALUTAZIONE DEL
RISCHIO E’ STATA FATTA? IN CHE PERCENTUALE SONO STATI FORMATI SUL RISCHIO
STRESS?
Il
sindacato ha un ruolo fondamentale nel sistema di gestione dei rischi. La
ricerca mostra che quando gli RLS sono coinvolti nella gestione del rischio
stress emergono meglio i problemi e le soluzioni. E’ scarsa anche l’attenzione
verso la percezione “soggettiva” dei lavoratori e questo dimostra come ci sia
ancora troppa confusione rispetto ai temi della salute psicologica. I lavoratori
dovrebbero essere i primi a essere coinvolti nei percorsi di tutela delle loro
condizioni di salute, visto che l’analisi dei rischi legati allo stress non può
certo prescindere dall’ascolto del loro punto di vista. Certamente i fattori
oggettivi sono importanti, ma non possono riuscire a individuare tutti i
problemi presenti per la salute psicologica, perché questa non può essere ridotta
a un calcolo matematico, perché l’articolazione dei fattori di rischio è
complessa e perché, di certo, il primo fattore di benessere è quello di
sentirsi partecipi della vita aziendale.
Riguardo
al ruolo degli RLS, la ricerca mostra che il rispetto formale della normativa
ha portato le aziende a osservare alcuni obblighi minimi, come la visione del
Documento di Valutazione dei Rischi per gli RLS e la loro formazione, ma nella
sostanza non ha favorito un ruolo attivo e partecipativo degli RLS.
L’analisi
evidenzia alcuni problemi: un RLS su quattro non è stato consultato su come
impostare la valutazione preliminare; nella metà dei casi gli RLS non sono
stati coinvolti o lo sono stati in maniera marginale; si afferma il ricorso a
consulenze esterne private, mentre il coinvolgimento di esperti delle
istituzioni pubbliche e di quelli delle organizzazioni sindacali e datoriali è
scarsissimo se non nullo.
DA
COSA NASCE LA CARENZA DI
COINVOLGIMENTO DEGLI RLS NELLE VALUTAZIONI DEI RISCHI? PERCHE’ IN ITALIA E’
ANCORA CARENTE L’IDEA CHE LA PARTECIPAZIONE DI TUTTI ALLA CULTURA DELLA
SICUREZZA POSSA ESSERE UN ELEMENTO VINCENTE PER L’EFFICACIA DELLE ATTIVITA’ DI
PREVENZIONE?
Negli
ultimi anni in Italia, non solo nel settore metalmeccanico, la competizione
delle aziende è stata fondata soprattutto sull’abbassamento del costo del
lavoro, con una scarsa attenzione ai fattori propri dell’innovazione e della
valorizzazione del personale. Così, si è affermata una spirale di
dequalificazione dei processi produttivi che si traduce in una minore
competitività sui mercati globali e, anche, in peggiori condizioni per i
lavoratori.
In
molte imprese italiane manca la capacità di puntare davvero sulla qualità della
produzione, di valorizzare ogni singolo aspetto del ciclo produttivo, a partire
dall’innovazione dei processi, dal lavoro quotidiano delle persone, dalla
facoltà di creare un clima cooperativo. Ad esempio, la ricerca mostra che il
coinvolgimento degli RLS è avvenuto nella maggior parte dei casi nei contesti
aziendali con uno stile di gestione del rischio più collaborativo, mentre
laddove lo stile è più conflittuale ci sono degli ostacoli al coinvolgimento
degli RLS. La cultura della sicurezza è indissolubilmente legata al valore che
si da alle persone e al loro lavoro, così come è in stretto rapporto alla
democrazia interna di un contesto aziendale.
QUAL
E’ IL GIUDIZIO GENERALE CHE E’ STATO RISCONTRATO SULLA PRESENZA E SULLA GESTIONE
DEL RISCHIO STRESS NELLE AZIENDE METALMECCANICHE?
Solo
il 30,8% degli RLS ritiene che la valutazione abbia fatto emergere i problemi
principali legati al rischio stress in azienda e addirittura solo il 9% di loro
ritiene che siano state affrontate delle problematiche ritenute importanti per
la valutazione dello stress.
Non
stupisce dunque che la maggioranza degli RLS (il 61,2%) non sia soddisfatta di
come è stata condotta la valutazione nelle aziende e la valutazione del rischio
sarebbe stata più efficace nell’individuare le problematiche realmente presenti
nei luoghi di lavoro se il coinvolgimento degli RLS e dei lavoratori fosse
stato maggiore, al contrario di quanto è accaduto.
QUALI
SONO LE POSSIBILI SOLUZIONI PER ARRIVARE AD UN’ADEGUATA VALUTAZIONE E GESTIONE
DEL RISCHIO?
La
soluzione migliore è certamente quella di rispettare le leggi e, anche, lo
spirito che è alla base delle normative, partendo da quanto previsto dagli
orientamenti europei in materia che prevedono la creazioni di sistemi di
gestione del rischio fondati sulla cooperazione tra tutti gli attori.
Per
questo, è molto utile la creazioni di gruppi specifici di lavoro su questi temi
a livello aziendale, capaci di favorire il coinvolgimento e la partecipazione
degli RLS, dei lavoratori e anche dei medici, delle ASL, di esperti. In
particolare, dalla ricerca emerge che le aziende in cui i fattori di contenuto
e di contesto hanno portato all’individuazione di un rischio “medio” o “alto”
sono quelle in cui c’è stato il coinvolgimento maggiore dell’RLS. Allo stesso
modo la necessità del ricorso a misure correttive o interventi migliorativi
emerge con maggiore frequenza nelle aziende in cui è stata indagata la
percezione dei lavoratori e l’RLS è stato coinvolto nel processo di
valutazione.
AL
DI LA’ DELLE SCELTE AZIENDALI, TRA GLI RLS C’E’ SUFFICIENTE ATTENZIONE AL TEMA
DELLO STRESS E DEI RISCHIO PSICOSOCIALI?
Negli
ultimi anni l’attenzione a questi temi è andata crescendo. Lo stress lavoro
correlato è un problema che permea ogni aspetto della vita aziendale, di
conseguenza per gli RLS occuparsi di questi temi significa occuparsi
dell’organizzazione complessiva e delle condizioni generali del lavoro.
Sicuramente i problemi per la salute psicologica nelle aziende sono meno
considerati rispetto ad altri, però questo non significa che non siano
importanti per i lavoratori che, ogni giorno, si confrontano con i problemi
dovuti ai ritmi, agli orari, al carico di lavoro e di responsabilità che
possono avere. E gli RLS dunque si confrontano necessariamente con questi problemi
che riguardano la vita quotidiana dei lavoratori e lo fanno con una
consapevolezza sempre crescente che deve essere alimentata con una formazione
continua.
Certamente
sono problemi complessi e per questo gli RLS necessitano di avere degli strumenti
adeguati, in termini di formazione, ma anche di supporto da parte dell’azienda
e, anche, delle organizzazioni sindacali, che devono riuscire a valorizzare il
loro ruolo e a coordinare il loro lavoro in maniera sempre più efficace.
QUALI
SONO IN DEFINITIVA LE PRINCIPALI CONCLUSIONI A CUI ARRIVA LA RICERCA?
Secondo
i risultati della nostra ricerca, successivamente all’entrata in vigore delle
indicazioni della Commissione Consultiva permanente è aumentato il numero di
aziende che hanno svolto la valutazione del rischio stress lavoro correlato,
per cui le indicazioni potrebbero avere contribuito ad aumentare l’attenzione a
questi rischi. Quindi qualche passo in avanti è stato fatto ma la strada è
ancora lunga.
E’
necessario migliorare dal punto di vista normativo gli obblighi per la
valutazione del rischio, ma, soprattutto, bisogna superare qualsiasi approccio
formale e non sostanziale a questi problemi, evitando anche il rischio di una
burocratizzazione della valutazione che si ferma alla sola misurazione del dato
oggettivo. In generale, è necessario favorire l’affermazione di una cultura
della sicurezza fondata sulla cooperazione, sul dialogo, sulla democrazia
aziendale, valorizzando il ruolo degli RLS e la partecipazione dei lavoratori,
che sono i veri protagonisti di questi processi e devono avere un ruolo attivo
e propositivo.
JOBS ACT: PRIMI
PASSI PER L’ABOLIZIONE DEL REGISTRO INFORTUNI E PER LA COSTITUZIONE DELL’AGENZIA
UNICA PER LA TUTELA DEI
LAVORATORI
Da
Portale Consulenti
16
giugno 2015
Il
Consiglio dei Ministri si è riunito giovedì 11 giugno 2015 a Palazzo Chigi, sotto
la presidenza del Presidente del Consiglio dei Ministri Matteo Renzi con i
seguenti argomenti all’ordine del giorno:
-
razionalizzazione
e semplificazione dell’attività ispettiva in materia di lavoro e legislazione
sociale;
-
riordino
della normativa in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di
lavoro;
-
riordino
della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive;
-
razionalizzazione
e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini ed
imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari
opportunità.
Il
Consiglio dei Ministri del 11 giugno 2015 ha approvato in via preliminare il Decreto
Legislativo attuativo del “Jobs Act” (Legge 10 dicembre 2014, n. 183 recante
disposizioni di razionalizzazione e semplificazione in materia di salute e
sicurezza sul lavoro e di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul
lavoro e le malattie professionali)
Al
suo fianco, in esame preliminare, è stato promulgato il Decreto per la
razionalizzazione e la semplificazione dell’attività ispettiva in materia di
lavoro e legislazione.
La Legge 183/14, infatti,
ha previsto che le otto deleghe venissero esercitate entro sei mesi
dall’entrata in vigore. Dopo i due Decreti entrati in vigore a marzo scorso sul
contratto tutele crescenti e sulle tutele in caso di disoccupazione
involontaria sono stati approvati definitivamente altri due Decreti Legislativi
relativi, rispettivamente, al riordino delle tipologie contrattuali e alla
conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
Sono
stati poi esaminati in via preliminare gli ultimi quattro schemi di Decreti
Legislativi in attuazione della Legge 283/14, recanti disposizioni in materia
di:
-
razionalizzazione
e semplificazione dell’attività ispettiva in materia di lavoro e legislazione
sociale;
-
riordino
della normativa in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di
lavoro;
-
riordino
della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive;
-
razionalizzazione
e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini ed
imprese ed altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari
opportunità.
Tali
ultimi provvedimenti, una volta ricevuto il parere parlamentare, previsto entro
trenta giorni e non vincolante, dovranno essere definitivamente approvati da un
successivo Consiglio dei Ministri prima della pubblicazione nella Gazzetta
Ufficiale e quindi poter entrare in vigore.
Relativamente
alla razionalizzazione e semplificazione in materia di salute e sicurezza sul
lavoro e di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le
malattie professionali, le principali modifiche riguardano:
-
la
revisione della composizione del Comitato per l’indirizzo e la valutazione
delle politiche attive e per il coordinamento nazionale delle attività di
vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro, al fine di semplificare
e snellire le procedure di designazione dei membri;
-
la
riduzione dei componenti della Commissione consultiva permanente per la salute
e sicurezza sul lavoro, l’introduzione di una nuova procedura di ricostituzione
della Commissione e un aggiornamento delle funzioni ad essa istituzionalmente
attribuite;
-
la
messa a disposizione del datore di lavoro, da parte dell’INAIL, anche in
collaborazione con le Aziende Sanitarie Locali per il tramite del Coordinamento
Tecnico delle Regioni, di strumenti tecnici e specialistici per la riduzione
dei livelli di rischio;
-
lo
svolgimento diretto da parte del datore di lavoro dei compiti di primo
soccorso, nonché di prevenzione degli incendi e di evacuazione, anche nelle
imprese o unità produttive che superano i cinque lavoratori;
-
il
miglioramento del processo di acquisizione delle informazioni necessarie per il
calcolo del premio assicurativo attraverso la realizzazione di un apposito
servizio sul portale dell’INAIL;
-
la
trasmissione all’INAIL del certificato di infortunio e di malattia
professionale esclusivamente per via telematica, con conseguente esonero per il
datore di lavoro;
-
la
trasmissione all’autorità di Pubblica Sicurezza delle informazioni relative
alle denuncie di infortunio mortali o con prognosi superiore a trenta giorni a
carico dell’INAIL, esonerando il datore di lavoro;
-
l’abolizione
dell’obbligo di tenuta del Registro Infortuni, anticipando la soppressione
dell’obbligo, connessa, nelle intenzioni del legislatore, alla emanazione del
Decreto interministeriale istitutivo del Sistema Informativo Nazionale per la Prevenzione nei luoghi
di lavoro (SINP).
Il
verbale del Consiglio dei Ministri n.67 del 11 giugno 2015 è scaricabile
all’indirizzo:
RLS: IL NUMERO, I DIRITTI, LA RESPONSABILITA’ E
ALTRE FAQ
Da
Portale Consulenti
17
giugno 2015
di
A. Ruggiero
Il
numero di RLS, i diritti, la responsabilità, comunicazione, FAQ.
Il
Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) nel diritto del lavoro
italiano è la figura, eletta o designata, che ha il compito in un’azienda di rappresentare
i lavoratori per quanto concerne la salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
La
figura venne creata dal D.Lgs. 19 settembre 1994 n. 626 e reso obbligatorio col
D.Lgs 81/08 (Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro).
Nelle
aziende o unità produttive che occupano fino a 15 lavoratori il RLS viene
eletto direttamente dai lavoratori (o altrimenti può essere scelto un
rappresentante territoriale che svolga il compito esternamente per più aziende
sul territorio). In caso di aziende o unità produttive che occupano più di 15
lavoratori il RLS viene eletto dai lavoratori in base alle rappresentanze sindacali
in azienda. Nel caso di assenza di queste ultime in azienda, il Rappresentate
dei Lavoratori per la Sicurezza viene eletto direttamente dai lavoratori.
Il
D.Lgs. 81/08 non ha previsto alcuna specifica sanzione a carico dei
Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza. Il motivo risiede nel fatto che
gli RLS, in considerazione dei compiti consultivi loro assegnati, non hanno
alcun potere decisionale in merito alle scelte in materia di prevenzione
infortuni effettuate dal datore di lavoro.
Il
datore di lavoro o il dirigente hanno l’obbligo di comunicare in via telematica
all’INAIL in caso di nuova nomina o designazione, i nominativi dei RLS (articolo
18, comma 1, lettera aa) del D.Lgs. 81/08, così come modificato dall’articolo
13, lettera f) del D.Lgs. 106/09).
Quali
sono gli obblighi di formazione per il Rappresentante dei Lavoratori per la
Sicurezza?
L’obbligo
di aggiornamento periodico della formazione del RLS vige anche per le aziende
che occupano fino a 15 dipendenti?
Quali
sono le modalità e il contenuto di tali aggiornamenti?
Quali
sono i soggetti competenti a stabilire tali contenuti e modalità?
A
queste e ad altre domande relative agli RLS è dedicato l’opuscolo
“Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza” a cura di Portale Consulenti,
scaricabile all’indirizzo:
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