“Pubblichiamo una nostra traduzione di un articolo,
recentemente pubblicato sul sito della rivista statunitense Jacobin,
che affronta il tema della recente ondata di scioperi in Germania. Un’ondata
della quale i nostri media hanno scritto e parlato poco: è più interessante,
infatti, dedicarsi in modo gossipparo allo scontro Germania-Grecia – dipingendo
il popolo greco come una massa di parassiti e truffatori insolventi – che
documentare il più grande ciclo di proteste del mondo del lavoro in Germania da
circa 20 anni, andandone a indagare le ragioni.In Germania hanno scioperato per
giorni e giorni i ferrovieri, gli educatori e il personale paramedico; i
pendolari, i genitori e i pazienti, lungi dal desolidarizzare e condannare,
sono scesi in piazza e hanno contribuito alle lotte che hanno paralizzato il
paese. Perché si sciopera, nella locomotiva d’Europa? Perché il modello
economico tedesco si è costruito, puramente e semplicemente, sulla continua
compressione salariale, che non traspare dai confronti statistici perché in
Germania il regime fiscale e contributivo è molto diverso dal nostro. Nella
locomotiva d’Europa si lavora sempre di più, in condizioni sempre peggiori e a
salari sempre più bassi. Per colpa del dogma dell’austerità crollano scuole e
ponti, esattamente come qui. L’elemento di novità è la rottura della pace
sociale: in un paese dove la concertazione è sempre stata il faro della
politica sindacale, dei piccoli ma combattivi sindacati iniziano a comprendere
la necessità di riprendere la strada del conflitto. Non fino in fondo, come si
sottolinea nell’articolo, ma i tempi stanno cambiando anche lì, e le riflessioni
che emergono da questi eventi devono essere condivise anche qui, perché è di
noi che parla questa favola…”
Il modello economico tedesco non ha
mantenuto le sue promesse di giustizia sociale. La recente ondata di scioperi
può sfidare la concertazione?
Nelle ultime
settimane, titoloni sensazionali come “Wilkommen, Streikrepublik Deutschland”
(“Benvenuta, Repubblica Scioperante Tedesca”, ndT) hanno adornato i siti web delle
testate d’informazione tedesche. IlSüddeutsche Zeitung, il più diffuso quotidiano
tedesco, ha parlato del picco di sindacalizzazione nel paese in prima pagina. E
il londinese Guardian lo ha ritenuto sufficientemente importante da pubblicare
un pezzo del famoso sociologo tedesco Wolfgang Streeck intitolato “Gli scioperi
che stanno attraversando la Germania sono qui per restare”.
Che cosa sta succedendo, dunque, in Germania?
In breve, la
più grande ondata di scioperi da decenni: fino ad ora, quest’anno, più di
350000 giornate lavorative sono state perse negli scioperi. Questo numero era
appena 156000 in totale l’anno scorso, e nel 2010 è stato solo 28000. Piloti di
aerei, conduttori di treni, postini, maestri dell’infanzia, baby sitter, solo
per citare qualche caso, sono tutti stati o sono ancora in sciopero. Queste
azioni sono la più grande sfida al modello economico tedesco dai tempi delle
proteste contro le riforme Hartz IV – che hanno liberalizzato il mercato del
lavoro – più di dieci anni fa. Per generazioni, i sindacati tedeschi non sono
stati famosi per il loro attivismo. Tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli
anni ’70, quando in UK, Italia e Francia c’erano tutte le tipologie di fiero
conflitto industriale, la Germania era in confronto calma. La concertazione
corporativista del paese legava esplicitamente il destino dei lavoratori con
l’economia dell’export, e i sindacati subordinavano i loro interessi a quelli
dell’azienda. Sotto alcuni aspetti il modello ha reso un buon servizio alla
Germania. Il suo tasso di produttività è molto alto e i suoi beni da
esportazione restano relativamente economici per i mercati esteri. I lavoratori
hanno acquisito alcuni diritti democratici attraverso la politica della
codeterminazione, che permette loro di eleggere rappresentanze nei consigli
d’amministrazione delle compagnie. La sindacalizzazione resta, inoltre, molto
più alta che negli Stati Uniti. Tuttavia, l’intero modello è stato accusato di
comprimere i salari e rendere il lavoro meno sicuro. Mentre molti liberals statunitensi hanno propagandato il
modello tedesco come un successo senza ombre, c’è un sostanziale settore di
bassi salari. Tra il 1998 e il 2008, il numero di lavoratori con contratto
full-time è sceso di 800000 unità, mentre il numero di lavoratori con impiego
precario è cresciuto di 2,4 milioni. Dal 2012, i lavoratori “atipici”
rappresentano almeno il 21,2% della forza lavoro tedesca. Oggi più di 2,6
milioni di persone ha un secondo lavoro. La sindacalizzazione si è stabilizzata
e il numero dei rappresentanti nei consigli di fabbrica continua a scendere.
Solo il 58% della forza lavoro tedesca è coperta da un contratto collettivo.
Per peggiorare la situazione, il parlamento ha appena approvato una legge che
ambisce a ridurre il diritto di organizzazione e di sciopero. Questo è un
diretto attacco a uno dei principali attori coinvolti nell’ondata di sciopero:
il sindacato dei capotreni, il cui sciopero di 34.000 membri ha dimostrato il
potere di un piccolo ma strutturalmente forte gruppo di lavoratori. Le loro
interruzioni di servizio hanno lasciato a terra oltre sei milioni di passeggeri
e lasciato più di 600000 tonnellate di materiali grezzi e beni nei depositi su
base giornaliera. Un singolo giorno di sciopero costa circa 10 milioni di euro
alle ferrovie tedesche, mentre il danno totale per l’economia tedesca di un
giorno di sciopero è stato di circa 100 milioni. A partire dalla parziale
privatizzazione delle ferrovie, i capotreni sono stati pagati meno dei loro
colleghi europei. Così, benchè la loro richiesta di un aumento salariale del
5%, della riduzione dell’orario di lavoro, del miglioramento delle condizioni
lavorative e del diritto di rappresentare altro personale ferroviario fosse
assolutamente ragionevole, è stata affrontata con profonda ostilità da
politici, stampa (con poche, notevoli eccezioni, come Der Spiegel) e anche da alcuni settori
sindacali (il fatto che il sindacato dei capotreni non sia il sindacato
ufficiale ha reso loro e il loro leader, Klaus Weselsky, un bersaglio facile). Se
i capotreni vogliono una fetta di torta più grossa, i lavoratori ospedalieri
alla Charité di Berlino vogliono impossessarsi dell’intera pasticceria. Il mese
scorso, i lavoratori della Charité hanno guidato il più grande sciopero
ospedaliero della storia tedesca semplicemente marciando per due giorni. Loro
non chiedevano più soldi, ma un miglior rapporto percentuale tra pazienti e
staff. Inoltre lo sciopero partiva da passate azioni dei lavoratori, che erano
state guidate dallo staff amministrativo, i portanitni e altro personale. I
lavoratori ospedalieri hanno sopportato il peso della ristrutturazione
neoliberale negli ospedali, ed è su questa base che hanno costruito coalizioni
vincenti con gruppi di pazienti, medici, studenti, cittadini e il partito di
sinistra Die Linke. Gli insegnanti della materna e dell’infanzia domandano
un riconoscimento sociale per il loro lavoro e un aumento tra il 10 e il 15 %.
Facendo ciò, hanno aperto una discussione pubblica su ciò in cui dovrebbe
consistere l’educazione dell’infanzia, e sul perché persistono disuguaglianze
salariali: perché un operaio qualificato di sesso maschile vale più di un
educatore di sesso femminile? E se le élites politiche come la Cancelliera Merkel
asseriscono l’importanza dell’educazione dell’infanzia, perché gli educatori
non sono pagati il giusto? Gli insegnanti della materna e dell’infanzia non si
limitano a giocare con i bambini, come suggerisce l’immagine dominante. Il loro
lavoro è di tipo educativo. Lo sciopero chiama in causa anche la politica di
austerità fiscale della Merkel e del Ministro delle Finanze Wolfgang Schauble,
denominata Schwarze null (Zero nero). L’obiettivo del governo di evitare il
passivo in ogni caso è stata perseguita ad un costo enorme. Le città e le
municipalità tedesche sono state dissanguate, le scuole cadono a pezzi e i
ponti stanno per collassare. Se i lavoratori vincono, questo modello potrebbe
crollare. Le municipalità tedesche dovrebbero iniziare a pagare uno stipendio
decente ai lavoratori per i servizi che offrono, e i lavoratori potrebbero
spingere per servizi migliori e meglio finanziati. Ricorrere all’arbitrato,
però – come hanno fatto gli insegnanti della materna, alla fine del loro
sciopero – rende tutto ciò improbabile. È questo sviluppo che dovrebbe fermarci
riguardo agli esuberanti proclami circa il lavoro senza fine in Germania. Sono
state perse troppe opportunità e ci sono state troppe concessioni negli ultimi
anni per ipotizzare un cambio di rotta radicale. Dopo tutto, questo è un paese
dove ad un funzionario sindacale della IG Metall è stata affidata
l’amministrazione della Volkswagen mentre azionisti e proprietari litigavano
sulla strategia. La tendenza a ricorrere all’arbitrato anche quando i genitori
e la pubblica opinione erano con loro sembra confermare la visione che i
sindacati tedeschi continuano ad avere sul modello della codeterminazione, un
modello le cui promesse di giustizia sociale sono state smascherate troppo
tardi. Oggi, la Germania è una delle società meno egualitarie in Europa. La
crescita economica è arrivata ad un costo umano ed ambientale sempre più
grande. Fino ad ora, gli scioperi sono stati convocati da gruppi ben
organizzati di lavoratori con una lunga tradizione sindacale. Il settore a
bassi salari, al contrario, è stato essenzialmente estraneo a questa
sollevazione. Se è necessario diffondere le interruzioni di lavoro, i
lavoratori in sciopero devono strappare concessioni al capitale per dimostrare
che fermare la produzione è utile nel contesto tedesco – piuttosto che
limitarsi a credere che la partnership sociale porterebbe agli stessi
risultati. Questo movimento potrebbe essere l’inizio di qualcosa di reale se i
lavoratori osassero rompere con la logica che ha dominato la politica sindacale
ufficiale in Germania per troppo tempo. Dopotutto, c’è stato un tempo in cui la
“lingua franca” del movimento sindacale era il tedesco.
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