SICUREZZA SUL LAVORO! KNOW YOUR RIGHTS “LETTERE
DAL FRONTE” DEL 22/06/15
Invio a seguire e/o in allegato le “Lettere
dal fronte”, cioè una raccolta di quelle mail che, tra le tante che ricevo,
hanno come tema comune la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori
e dei cittadini e la tutela del diritto e della dignità del lavoro.
Il mio vuole essere un contributo a
diffondere commenti, iniziative, appelli relativamente ai temi del diritto a un
lavoro dignitoso, sicuro e salubre.
Invito tutti i compagni e gli amici della
mia mailing list che riceveranno queste notizie a diffonderle in tutti i modi.
Marco Spezia
ingegnere e tecnico della salute e della
sicurezza sul lavoro
Medicina Democratica
Progetto “Sicurezza sul lavoro! Know Your
Rights”
e-mail: sp-mail@libero.it
Web Medicina Democratica: http://www.medicinademocratica.org/wp/?cat=210
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INDICE
Mario Murgia info@associazioneespostiamiantovalbasento.it
SENTENZA STORICA A CAGLIARI: PENSIONE
ANTICIPATA PER MALATO D’AMIANTO
Franco Mugliari fmuglia@tin.it
I 7 PECCATI CAPITALI DEL MOBBER
Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
INTERROGAZIONE PARLAMENTARE DELL’ONOREVOLE
ALFONSO BONAFEDE SULLE MORTI SUL LAVORO
SpeziaPolis info@speziapolis.org
DA SPEZIAVIADALCARBONE
Davide Fabbri ecologisticesena@hotmail.it
AMIANTO NELL’ACQUA CHE BEVIAMO DAL
RUBINETTO: ORA SERVONO LE BONIFICHE
Posta Resistenze posta@resistenze.org
JOBS ACT: IL DISCOUNT DEL LAVORO E’ SERVITO
Lorena Tacco lorenatacco@fastwebnet.it
SENTENZA DI APPELLO DEL PROCESSO EURECO
Assemblea 29 Giugno assemblea29giugno@gmail.com
VIAREGGIO: LUNEDI’ 29 GIUGNO: GIORNATA
DELLA MEMORIA E DELLA SOLIDARIETA’
Teoria & Prassi teoriaeprassi@yahoo.it
UN NUOVO, INFAME “COLPO DI MANO” DI RENZI E
DEL SUO GOVERNO!
Lavoro & Politica lavoro&politica@partito-lavoro.it
LA TROIKA E I DIRITTI UMANI
Franco Mugliari fmuglia@tin.it
TANTA LA CARNE AL FUOCO, MA...TANTO FUMO E
POCO ARROSTO
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From: Mario Murgia info@associazioneespostiamiantovalbasento.it
To:
Sent: Friday, June 12, 2015 12:38 PM
Subject: SENTENZA STORICA A CAGLIARI:
PENSIONE ANTICIPATA PER MALATO D’AMIANTO
Associazione Italiana Esposti Amianto Onlus
Ban Asbestos Network
COMUNICATO STAMPA
Quasi dieci anni di battaglie per il
riconoscimento di malattia professionale per i lavoratori esposti all’amianto:
con le prime sentenze favorevoli è stato ottenuto un importante passo avanti
nella lunga battaglia di AIEA Sardegna a sostegno dei diritti dei lavoratori.
Ci sono voluti quasi dieci anni estenuanti
di domande, richieste, esami medici, analisi, controlli e visite di ogni genere,
fino al ricorso in giudizio per ottenere il riconoscimento di malattia
professionale da esposizione al temibile amianto e i relativi, ma tardivi,
benefici di legge: questa la vicenda di Enrico Porcedda, lavoratore dipendente
della ex Rumianca, oggi Syndial, di Assemini. Una vicenda dolorosa, che si è
conclusa soltanto con la sentenza del Tribunale di Cagliari, che gli ha dato
ragione e ha riconosciuto il diritto al trattamento pensionistico anticipato,
così come previsto dalla Legge 27 marzo n. 257 del 1992. Un beneficio che si è
tradotto, in realtà, in una pensione anticipata di soli 3 anni, rispetto ai 15
spettanti di diritto: nonostante la malattia già in corso e oggi acclarata, il
signor Porcedda ha dovuto continuare a lavorare, in un ambiente contaminato,
per un totale di 37 anni e 7 mesi.
“La storia del signor Porcedda” - ha
dichiarato Sabina Contu, presidente dell’Associazione Italiana Esposti Amianto
AIEA Sardegna – “è indicativa delle traversie che i nostri lavoratori sono
costretti ad affrontare per vedere riconosciuti i diritti a tutela della
salute, che spetterebbero loro per legge. La posta in gioco è proprio questa:
coloro che sono stati esposti alle fibre e alle polveri di amianto rischiano
gravi patologie, in particolare all’apparato respiratorio, quali l’asbestosi,
il carcinoma polmonare e il mesotelioma pleurico, che quando si manifesta,
rappresenta purtroppo, una condanna senza appello! Stiamo seguendo una
cinquantina di casi provenienti da tutte le aree industriali dell’isola, di cui
una decina, pressoché definiti: 7 si sono risolti in modo positivo, alcuni dopo
ricorso in giudizio, altri in via amministrativa. Su altri 3 sono tutt’ora in
corso azioni giudiziarie, e siamo in attesa di sentenza. Ma sono migliaia i
casi di lavoratori che hanno perso la speranza e hanno rinunciato a rivendicare
i propri diritti di fronte ai troppi ostacoli e dinieghi, e questo è
profondamente ingiusto”.
Le malattie causate dalla esposizione all’amianto
sono purtroppo a lunghissima latenza, oltre i venti anni, e di difficile e
complessa diagnosi, si tratta di un rischio reale che incombe, secondo AIEA
Sardegna, su un bacino potenziale di 50.000 (cinquantamila) lavoratori ed ex
lavoratori delle aree industriali dismesse o ancora attive in Sardegna: una
drammatica emergenza su cui da troppo tempo incombe un preoccupante silenzio e
su cui AIEA Sardegna, in sintonia con AIEA Nazionale, ha avviato negli ultimi
anni una azione sistematica di denuncia e supporto diretto ai lavoratori,
attraverso l’azione degli Uffici Legali in convenzione, di cui cominciano a
vedersi i primi risultati.
“La situazione della Sardegna” - ha detto
Mario Murgia, vicepresidente nazionale dell’Associazione Italiana Esposti
Amianto - “rappresenta un caso emblematico e di rilevanza nazionale rispetto a
tutte le aree industriali ed ex industriali del nostro Paese: in base ai
riscontri che abbiamo potuto raccogliere, nessuna delle domande presentate dai
lavoratori sardi all’INAIL, alla scadenza del 15 giugno 2005 prevista dalla
Legge 257/92 è stata accolta, contrariamente a quanto accaduto ad esempio ai
loro colleghi dello stabilimento di Pisticci Scalo, Basilicata, gemello di
quello dell’ANIC/EniChem Fibre di Ottana, che hanno ottenuto il riconoscimento
dei loro diritti in via amministrativa già dal 2006”.
E’ inaccettabile che i lavoratori vedano
respinte sistematicamente le loro richieste di riconoscimento delle patologie
oncologiche amianto correlate, un calvario doloroso e ingiusto, che spesso li
vede soccombenti. Una situazione di vera e propria “discriminazione” nei
confronti dei lavoratori sardi, su cui l’AIEA vuole vedere chiaro e per cui
chiede l’intervento urgente della Regione.
L’Associazione chiede, infatti, l’attivazione
di un registro degli esposti ed ex esposti ad amianto e in ambito sanitario
chiede che vengano seguite le linee guida previste dal Piano Sanitario
Nazionale 2011-2013: le malattie oncologiche sono una priorità in ambito
sanitario. La lotta ai tumori si pone come obiettivo: la prevenzione, la
riduzione della mortalità, la promozione della diagnosi precoce.
Trasmetto:
Esposto all’amianto, concesso il
prepensionamento: sentenza storica al Tribunale di Cagliari:
Sentenza storica a Cagliari: pensione
anticipata per malato d’amianto:
Lavoratori esposti all’amianto: arrivano
primi riconoscimenti:
Cagliari, 11 giugno 2015
Carmìna Conte
Addetto stampa AIEA in Sardegna
cellulare 393 13 77 616
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From: Franco Mugliari fmuglia@tin.it
To:
Sent: Monday, June 15, 2015 6:41 AM
Subject: I 7 PECCATI CAPITALI DEL MOBBER
Dal blog Muglia la Furia
E dopo il rischio stress lavoro-correlato,
parliamo di “mobbing”. Certo noi potremmo parlare di conflitti, soprusi,
molestie, vessazioni, demansionamenti ecc., ma con il termine mobbing si
ricomprendono tutte queste ipotesi.
Parlando di mobbing dobbiamo proprio
rassegnarci a dover usare alcuni neologismi di importazione (mobber, mobbizzati
ecc...) dovuti forse anche al fatto di non avere una norma interna che abbia
definito un glossario specifico.
La mancanza di una normativa specifica
mette in evidenza l’importanza dell’Articolo 2087 del Codice Civile del quale
abbiamo già detto parlando del rischio stress lavoro correlato (http://muglialafuria.blogspot.it/2015/06/la-festa-della-repubblica-il-2087-e-il.html).
Oggi ne parliamo con riferimento al mobbing
alla luce di una importante sentenza della Corte di Cassazione Civile (n. 1037
del 2015) che, da un lato ha dato per acquisite alcune modalità per il
riconoscimento del mobbing (anche sotto il profilo risarcitorio) e, dall’altro,
ha stabilito che la responsabilità del datore di lavoro non viene meno quando a
mettere in atto le azioni mobbizzanti siano stati colleghi di lavoro del mobbizzato.
Ma andiamo per gradi e rileggiamo cosa dice
l’articiki 2087 Codice Civile (“Tutela delle condizioni di lavoro”): “L’imprenditore
è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la
particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare
l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
Proprio così, con questo articolo del 1942
il legislatore ha introdotto nel nostro ordinamento la tutela della personalità
morale
Gaetano Natullo a tal proposito nel working
paper di Olympus del 12 maggio 2011 “Il quadro normativo dal Codice Civile al
Codice della sicurezza sul lavoro. Dalla Massima sicurezza (astrattamente)
possibile alla Massima sicurezza ragionevolmente (concretamente applicata?)” http://olympus.uniurb.it/images/wpo/2014/39.pdf
scrive che “La norma apre il sistema legislativo di tutela delle condizioni di
lavoro, che si articola nel ponderoso corpus delle norme tecniche, ed allo
stesso tempo lo integra e lo chiude, nell’ipotesi in cui, pur non sussistendo
obblighi legislativi prevenzionali specifici, si accerti comunque l’esistenza
di rischi e la possibilità, secondo le conoscenze tecniche del tempo, di
apprestare delle misure di prevenzione”.
Infatti, pur in assenza di una legge
specifica sul mobbing, prosegue Natullo: “L’articolo 2087 del Codice Civile ha,
in particolare, offerto una solida base normativa ai Giudici per la tutela dei
prestatori (prestatrici) di lavoro nei casi di molestie sessuali e, più
generale, di vessazioni sul lavoro. E’ infatti nell’obbligo di sicurezza del
datore di lavoro, ex 2087 del Codice Civile, e in particolare nella parte che
fa riferimento alla tutela della “personalità morale” del lavoratore, che la
giurisprudenza ha rinvenuto le ragioni per affermare la responsabilità del
datore di lavoro (diretta o indiretta e solidale) per le molestie sessuali
subite ad opera dello stesso datore di lavoro o di altri dipendenti. Più in
generale, altrettanto importante, com’è noto, è il ruolo giocato dalla norma
del Codice Civile nella tutela del lavoratore contro il mobbing e nella
definizione qualitativa e quantitativa dei conseguenti danni risarcibili”.
Visto il quadro generale di riferimento, vediamo
ora cosa prevede nello specifico la Sentenza della Corte di Cassazione Civile,
Sezione Lavoro, 15 maggio 2015, n. 10037, visionabile al link: http://olympus.uniurb.it/index.php?option=com_content&view=article&id=13381:cassazione-civile-sez-lav-15-maggio-2015-n-10037-mobbing-sette-parametri-di-riconoscimento-della-%20fattispecie&catid=16:cassazione-civile&Itemid=60.
La Cassazione Civile è intervenuta con la
propria decisione sulla legittimità della sentenza emessa dalla Corte di
Appello dell’Aquila che condannava in solido il Comune di Colonnella e C.E.G. a
risarcire il danno alla salute e professionale in favore della dipendente
D.M.A. quale conseguenza di un comportamento mobbizzante.
Le risultanze istruttorie confermavano: “la
sottrazione delle mansioni, la conseguente emarginazione, lo spostamento senza
plausibili ragioni da un ufficio all’altro, l’umiliazione di essere subordinati
a quello che prima era un proprio sottoposto, l’assegnazione a un ufficio
aperto al pubblico senza possibilità di poter lavorare, così rendendo ancor più
cocente la propria umiliazione”.
Prosegue ancora la sentenza nel
sottolineare che “nel caso di specie si era riscontrata la presenza contestuale
di tutti e sette i parametri tassativi di riconoscimento del mobbing, per cui
la Cassazione ha respinto il ricorso presentato dal Comune contro il
risarcimento richiesto”.
Sette i parametri per l’accertamento del
mobbing individuati nel metodo per la valutazione e la quantificazione dello
specifico danno secondo il metodo inventato dallo psicopatologo Harald Ege che
consente sia il riconoscimento (o meno) della presenza del mobbing, sia il
calcolo del grado di lesione risarcibile riportata dal soggetto mobbizzato (Harald
Ege, La valutazione peritale del danno da mobbing, Edizioni Giuffrè, Milano,
2002).
Questi i sette parametri considerati e la
cui presenza deve essere contestuale:
1) l’ambiente
lavorativo: il conflitto deve svolgersi sul posto di lavoro (meglio sarebbe
parlare di occasione di lavoro);
2) la frequenza (le
azioni ostili devono accadere almeno alcune volte al mese);
3) la durata (i
conflitti devono essere in corso da almeno 6 mesi);
4) il tipo di azioni
(le azioni devono appartenere ad almeno 2 delle categorie del “Lipt Hege”,
questionario elaborato del 1950 da Harlad Ege);
5) il dislivello tra
antagonisti (la vittima deve trovarsi in posizione costante di inferiorità);
6) l’andamento secondo
fasi successive (la vicenda ha raggiunto almeno la seconda fase del modello
Harald Ege);
7) l’intento
persecutorio (nella vicenda deve essere riscontrabile un disegno vessatorio
coerente e finalizzato, un obiettivo conflittuale, una carica emotiva e
soggettiva).
Con la stessa Sentenza la Corte di
Cassazione ha affermato che “la circostanza che la condotta di mobbing provenga
da altro dipendente in posizione di supremazia gerarchica rispetto alla
vittima, non vale ad escludere la responsabilità del datore di lavoro su cui
incombono gli obblighi di cui all’articolo 2049 del Codice Civile, ove questo
sia rimasto colpevolmente inerte alla rimozione del fatto lesivo”.
Né secondo la Corte del merito “il Comune
poteva essere scriminato dal danno arrecato alla lavoratrice giacché la
circostanza che la condotta di mobbing provenga da altro dipendente in
posizione di supremazia gerarchica rispetto alla vittima, non vale ad escludere
la responsabilità del datore di lavoro su cui incombono gli obblighi di cui all’articolo
2049 del Codice Civile, ove questo sia rimasto colpevolmente inerte alla
rimozione del fatto lesivo (l’articolo 2049 del Codice Civile specifica che i
padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto
illecito dei loro domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze a cui
sono adibiti)”.
Per questi motivi la Corte di Cassazione ha
rigettato i ricorsi presentati con la conferma delle condanne inflitte dal
Giudice di merito e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità.
Muglia La Furia
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From: Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
To:
Sent: Monday, June 15, 2015 4:06 PM
Subject: INTERROGAZIONE PARLAMENTARE DELL’ONOREVOLE
ALFONSO BONAFEDE SULLE MORTI SUL LAVORO
L’Onorevole Alfonso Bonafede ha creato un
atto alla Camera dei Deputati, un’interrogazione parlamentare al Ministero del
Lavoro e delle politiche Sociali e al Ministero delle Politiche Agricole
Alimentari e Forestali sui morti sul lavoro e degli agricoltori schiacciati dal
trattore.
Voglio sperare che almeno dopo questa
interrogazione il Ministro Martina, il Ministro Poletti e il Primo Ministro
Renzi si occupino come richiesto da quando questo Governo si è insidiato, dall’Osservatorio
Indipendente di Bologna morti sul lavoro http://cadutisullavoro.blogspot.it,
di occuparsi finalmente di queste tragedie.
Ricordo a tutti che le morti sui luoghi di
lavoro da quando questo Governo si è insidiato sono aumentate notevolmente.
Grazie Onorevole Bonafede. Non ho mai votato il Movimento 5 Stelle, ma siete
gli unici in Parlamento a occuparvi con continuità delle morti sul lavoro.
Gli altri gruppi sono tempestati di mail,
ma mai nessuno si è degnato di rispondere.
Chiedo a tutti quelli che mi sono stati
vicini in questi anni, che mi hanno chiesto l’amicizia, che visitano a
centinaia ogni giorno l’Osservatorio di sostenere questa iniziativa.
ATTO CAMERA
INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA 4/09455
Primo firmatario: Bonafede Alfonso
Gruppo: Movimento 5 Stelle
Data firma: 12/06/15
Al Ministero del Lavoro e delle Politiche
Sociali, Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali.
Premesso che:
-
secondo
i dati rilevati dall’Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro,
sono 252 i morti sui luoghi di lavoro nei primi cinque mesi del 2015, mentre,
nel solo mese di maggio, si sono registrati 56 decessi dei quali 23 relativi ad
agricoltori schiacciati da trattori e 3 morti mediante motozappa;
-
per
la detta categoria, gli incidenti mortali, con i dati di maggio, in totale dall’inizio
dell’anno sono 54, facendo così lievitare, per il 2015 (l’anno di EXPO dedicato
all’agricoltura) al 34 per cento i morti nel comparto agricolo sul totale
nazionale, ricordando che durante l’intero 2014 i morti schiacciati da trattori
furono ben 152;
-
il
28 febbraio del 2014, il citato Osservatorio chiese ufficialmente, senza
riscontro alcuno, ai Ministri interrogati, nonché al Presidente del Consiglio,
di realizzare una campagna informativa sulla pericolosità nell’utilizzo dei
mezzi agricoli come contributo di solidarietà nei confronti di questa categoria
di lavoratori; e che identica sollecitazione è stata proposta sia nel febbraio,
che nel maggio 2015;
-
in
assenza di specifiche iniziative istituzionali al riguardo, anche in relazione
ai recenti eventi luttuosi verificatisi in gran numero in Toscana, l’agenzia formativa
del CIPA-AT di Grosseto, la CIA, l’Istituto Leopoldo II di Lorena, assieme a
Confagricoltura, ASL, INAIL e a uno sponsor privato, produttore di macchine
agricole, con un format pubblico/privato, hanno recentemente istituito un corso
di formazione per il rilascio dell’abilitazione all’uso del trattore agricolo
rivolto ad un ristretto numero di studenti, quale possibile “esperienza pilota”
a livello nazionale.
Per sapere:
-
se,
possano indicare quali misure abbiano implementato nell’ambito delle proprie
rispettive competenze dal loro insediamento posto che l’interrogante ritiene
che, nonostante specifici appelli provenienti da organismi indipendenti, i
Ministri interrogati abbiano sottovalutato il problema delle vittime occorse
durante l’utilizzo delle macchine agricole;
-
se
posto che, nell’ambito delle morti bianche, la delineata situazione rappresenta
un’emergenza cui fare fronte;
-
non
ritengano necessario porre in essere appositi interventi di comunicazione
mirata sui fattori di rischio anche attraverso esperienze di formazione presso
i più giovani, e se, possano dire quali ulteriori misure tecniche siano da
adottarsi per garantire la sicurezza dei conducenti delle macchine agricole,
senza tuttavia operare aggravi di tipo economico a carico degli stessi
agricoltori.
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From: SpeziaPolis info@speziapolis.org
To:
Sent: Tuesday, June 16, 2015 3:41 PM
Subject: DA SPEZIAVIADALCARBONE
Eccoci con un nuovo aggiornamento...prima
di partire per Padova dove parteciperemo a un nuovo convegno sull’energia:
In attesa di organizzarne uno nuovo alla
Spezia...
Intanto ARPAL ha collocato due centraline
mobili a Vezzano Ligure e Melara:
sapremo mai cosa ci è costato in salute, in
passato, non aver fatto monitoraggi specifici?
Ultime battute per il processo Parcopoli
che diventa una telenovelas: i magistrati non mollano:
speriamo che poi trovino il tempo di
occuparsi dei nostri esposti sull’ENEL.
Giovedì l’enciclica del Papa. Laudato sì e
la sura del creato:
Un docufilm di 20 minuti per vedere cosa c’è
dietro l’acciaio e il mercato delle automobili, in Brasile:
Sempre più soggetti, fondi e intere nazioni
disinvestono dal carbone: non (solo) per problemi etici o ambientali ma perché
proprio non conviene più:
Ecco perché anche Enel dovrà cercare
rapidamente alternative.
Cosa succede della nostra salute se
facciamo niente, poco, tanto?
L’indagine è oggetto del progetto VIAS
Valutazione dell’Impatto Ambientale Sanitario dell’inquinamento:
Sull’intervento all’Assemblea Generale di
Enel c’era anche una twitter story:
Saluti,
Daniela Patrucco
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From: Davide Fabbri ecologisticesena@hotmail.it
To:
Sent: Tuesday, June 16, 2015 7:38 PM
Subject: AMIANTO NELL’ACQUA CHE BEVIAMO DAL
RUBINETTO: ORA SERVONO LE BONIFICHE
Pochi lo sanno. L’informazione è carente:
in quasi tutti gli acquedotti italiani sono presenti tubature usurate in
cemento-amianto. A Cesena sono presenti 43 kilometri di condutture idriche in
cemento amianto; in tutta la Romagna sono la bellezza di 2.300 i kilometri di
tubazioni in cemento-amianto.
Da anni mi batto per far partire le
bonifiche, facendo seri investimenti sulla manutenzione delle reti.
Si chiede alle nostre istituzioni un
maggior impegno per contrastare o ridurre il rischio delle fibre di amianto
ingerite nell’acqua; pertanto faccio appello al sindaco del Comune di Cesena,
ai sindaci della Romagna e ad Hera SpA per la rimozione e sostituzione delle
tubazioni obsolete in cemento-amianto utilizzate per le acque destinate ad usi
potabili.
Da anni sostengo che l’acqua deve essere
completamente indenne da sostanze cancerogene.
Pur essendo partito un piano di Hera SpA di
sostituzione delle vecchie reti in cemento-amianto, non sono state adottate
misure necessarie ed efficaci che coincidano con la bonifica graduale e
integrale delle reti per far veicolare l’acqua per uso potabile. Le tubature in
cemento-amianto hanno avuto grande diffusione a partire dalla seconda metà
degli anni ‘60 e ne è stato completamente interrotto l’utilizzo a partire dai
primi anni ‘90, con l’introduzione della Legge nazionale n. 257 del 1992, che
ha stabilito (per le problematiche sanitarie correlate all’amianto) il divieto
di produrre e commercializzare i prodotti contenenti amianto.
La concentrazione di amianto nell’acqua
dovrebbe essere pari a zero (ma in realtà non è così), e i danni dovuti al
rilascio da parte delle tubature usurate si producono sia per effetto di
ingestione che per inalazione.
Studi scientifici recenti mettono in
evidenza il pericolo dell’amianto ingerito con l’acqua (l’ingestione di fibre
di amianto è un fenomeno poco studiato e da molti sottovalutato); inoltre l’amianto
eventualmente contenuto nell’acqua può contribuire ad aumentare il livello di
fondo delle fibre aero-disperse e quindi il rischio legato alla possibile
assunzione per via inalatoria (fibre di amianto si possono respirare lavando i
pavimenti, ad esempio).
La soluzione è legata allo sostituzione
graduale di tutte le tubature in cemento-amianto con materiali che non ne
rilasciano, un’operazione dal costo di milioni di euro: investimento affrontabile
per le tasche del gestore che fa business sulle risorse ambientali, Hera SpA,
ma che non sembra intenzionato a investire.
Un’azione, quella della sostituzione, che
dovrebbe essere fatta al più presto, per evitare delle ripercussioni sulla salute
delle persone.
Si chiede pertanto ad Hera SpA e ai Sindaci
dei Comuni soci di Hera SpA, di elaborare e mettere in atto un piano teso a
bonificare integralmente le reti acquedottistiche.
Cesena, 16 giugno 2015
Davide Fabbri
Associazione Italiana Esposti Amianto della
Provincia di Forlì-Cesena
cellulare: 333 12 96 915
mail: davide.fa@virgilio.it
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From: Posta Resistenze posta@resistenze.org
To:
Sent: Thursday, June 18, 2015 3:06 AM
Subject: JOBS ACT: IL DISCOUNT DEL LAVORO E’ SERVITO
Millantando come una grande conquista la
stabilizzazione a 24 mesi della Nuova Assicurazione Sociale per la perdita dell’Impiego
(NASpI) in cambio del dimezzamento della possibilità di usufruire della Cassa
Integrazione (da 48 a 24 mesi nei cinque anni), il commensale degli attori di “mafia
capitale”, il ministro Poletti, ha dato notizia della costituzione dell’Agenzia
Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro e del riordino di queste
politiche.
Premesso che due anni di conservazione del
posto di lavoro e con un sussidio costante sono ben altra cosa rispetto all’aggiunta
di sei mesi di un assegno (quello della NASpI) che, decurtandosi del 3% al mese
a partire dal quarto mese di disoccupazione, si riduce in briciole, andando a “vedere”
il testo del Decreto licenziato dal Consiglio dei Ministri e trasmesso (per il
più inutile degli esami) alle commissioni parlamentari, non si può non
riconoscere al Governo la ferrea coerenza con cui, dopo aver fatto strame del
diritto del lavoro, dà alla merce lavoro e al lavoro in quanto tale la più
consona allocazione commerciale: il discount.
Dell’Agenzia, a parte la pretesa del
Governo attraverso un Ministero, quello del lavoro, trasformato in una testa
senza un corpo, e lo smembramento dell’ISFOL (Istituto per lo Sviluppo della
Formazione Professionale dei Lavoratori), la cui autonomia di ricerca sarebbe d’ingombro,
a parte la pretesa, dicevamo, di porre sotto il ferreo controllo dell’esecutivo
incentivi e politiche attive per il lavoro, dell’Agenzia non si può sapere
granché, visto che tutto è rimandato a Decreti attuativi successivi, con tutte
le più che giustificate preoccupazioni dei lavoratori coinvolti, e certamente
alla versione finale del titolo quinto della Costituzione con il riordino delle
competenze tra Stato e regioni.
Ma cosa intendano per politiche attive e
cosa intendendo per mercato del lavoro Renzi e i suoi sodali è chiaro e
indiscutibile.
Solo qualche esempio.
Chi ha la colpa di dover fare ricorso ad un
sostegno al reddito perché è stato licenziato sarà soggetto a un regime
inflessibile che gli imporrà qualunque genere di disponibilità pena incorrere
nei rigori di un sistema sanzionatorio (sì, proprio questo è stato introdotto)
che lo porterà, se non alla seconda infrazione, sicuramente alla terza, alla
perdita del sussidio.
Cosa particolarmente odiosa è che le somme “risparmiate”
in questo modo, per il 50% saranno rigirate al centro per l’impiego, pubblico o
privato, che lo ha segnalato ed a favore dei suoi operatori.
Il Decreto introduce una nuova figura, il “disoccupato
parziale”.
In questa nuova categoria rientra chi
percepisce un reddito annuo inferiore ai limiti della tassabilità e chi ha un
contratto part-time inferiore al 70% dell’orario intero.
Ma in questa nuova categoria rientra anche
il lavoratore occupato che usufruisce della cassa integrazione.
Con questo Decreto il cassintegrato viene
sottoposto al medesimo regime del disoccupato e allo stesso sistema
sanzionatorio. Ovvero per poter percepire la cassa dovrà sottostare alle
pretese del suo tutor, comprese le eventuali offerte di lavoro “congrue”.
E sulla congruità di un’offerta di lavoro
pesa tra le altre cose il fatto che sarà considerata “congrua” un’offerta
superiore del 20% all’ultima mensilità del sussidio percepita.
Ora, se consideriamo un lavoratore con la
retribuzione di 1.195 euro (quella a base nel 2015 per la NASpI), per effetto
della decurtazione progressiva del sussidio al 24° mese quello che è divenuto
un disoccupato avrà un sussidio di 487 euro, sarà quindi per lui “congrua” un’offerta
di lavoro, magari a 50 km da casa, per una retribuzione lorda di 585 euro.
Ancora, il Decreto generalizza il sistema,
sperimentato per gli esuberi Alitalia e introdotto a marzo per i licenziamenti
senza giusta causa o giustificato motivo nel 2015, del cartellino che fissa il
prezzo del lavoratore.
Il disoccupato dovrà farsi “profilare”,
cioè valutare in base alla difficoltà di trovare un lavoro.
Sulla base di questa valutazione sarà “dotato”
di un “assegno di ricollocazione” che sarà libero di consegnare a una qualunque
agenzia perché provi a collocarlo.
La norma dice che “tendenzialmente” (solo
tendenzialmente) l’agenzia potrà riscuotere l’assegno a servizio fornito,
ovvero a lavoro “congruo” assegnato.
Se in questo quadro il diritto
costituzionale al reddito in caso di perdita involontaria del lavoro è
derubricata in colpa da espiare per ingrassare corsifici, agenzie di lavoro
interinale e quant’altro, il Decreto contiene un’ulteriore perla che chiarisce
la nozione stessa di lavoro di Renzi e dei suoi accoliti.
Lo stesso Governo che con lo “sbloccaitalia”
ha massacrato la Pubblica Amministrazione, con il nuovo codice degli appalti,
il Civic Act, cancella i diritti sociali e di cittadinanza smantellando i
servizi pubblici che li garantiscono, e riducendoli a bisogni che lavoratori,
disoccupati, pensionati e le loro famiglie devono soddisfare acquistandoli sul
mercato per il profitto del privato; lo stesso Governo che trasforma in profit
il no-profit, svaluta i servizi utili e necessari alle persone, ma che non
producono entrate, cioè possibili utili per un eventuale gestore privato,
negando la stessa dignità di lavoro alla fornitura di questi servizi.
Il Decreto prevede infatti una nuova sorta
di lavori di pubblica utilità, eventualmente obbligatori per i lavoratori in
cassa integrazione e per gli ultrasessantenni senza reddito e senza pensione
che potranno così accedere al sussidio di povertà.
Questo è il quadro che si para dinanzi a
chi lavora e a chi non lavora.
Un quadro che richiede una risposta forte e
determinata che coinvolga tutti, occupati o disoccupati, per un futuro che
riconosca diritti e dignità a ciascuno.
Ora, adesso, ribellarsi non è solo giusto,
è necessario.
16/06/15
Proletari resistenti http://www.resistenze.org
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From: Lorena Tacco lorenatacco@fastwebnet.it
To:
Sent: Thursday, June 18, 2015 8:07 PM
Subject: SENTENZA DI APPELLO DEL PROCESSO
EURECO
Buonasera,
vi inoltro il Comunicato Stampa del
Comitato a sostegno dei familiari delle vittime e dei lavoratori Eureco, in
merito alla sentenza di appello del processo contro il titolare dell’azienda
Merlino emesso ieri.
Saluti
Lorena Tacco
COMUNICATO STAMPA
Oggi, 17 giugno 2015, alle ore 15.00, la
Quinta Corte di Assise di Milano ha pronunciato la sentenza di Appello contro
Giovanni Merlino e l’Eureco, nella quale sostanzialmente sono state confermate
le decisioni espresse in primo grado!
Rimane quindi la condanna del Merlino a 5
anni di carcere e al pagamento delle provvisionali a tutte le parti civili
interessate, compresa la CGIL ed il Comune di Paterno Dugnano.
Questa Sentenza, in attesa di un possibile
pronunciamento in Cassazione, ci conforta e ci rincuora, in particolare dopo
aver sentito gli avvocati della difesa che hanno descritto l’imputato come un “benemerito
dell’ecologia”, disponibile a investimenti per la salute nel luogo di lavoro,
generoso nel demandare incarichi alle sue persone al punto tale che la
responsabilità dell’incendio è da attribuirsi a uno dei quattro lavoratori
morti!
Purtroppo rimane insoluto, con riflessi preoccupanti
per le famiglie coinvolte, l’aspetto dei mancati risarcimenti a quasi cinque
anni di distanza dalla tragedia e a oltre due anni dalla sentenza di primo
grado (23/04/13), questo perché sia l’imputato, che Carige, con cui il Merlino
aveva stipulato un’assicurazione, si rifiutano di risarcire quelle parti lese
non direttamente dipendenti dell’azienda, nonostante fossero però appartenenti
ad una cooperativa esclusivista Eureco.
Ci è doveroso segnalare che a causa di
questi mancati risarcimenti, per alcuni di loro, rimangono irrisolti i problemi
occupazionali e le situazioni di sfratto in essere.
Ora l’intento è quello di procedere
rapidamente ad avviare l’azione civile nei confronti del Merlino per
richiamarlo a responsabilità che tenta di eludere, accampando indisponibilità
economiche.
Disponibilità che pare ci siano quando
viene però richiesta una autorizzazione all’insediamento nello stesso luogo di
una nuova azienda.
Il Comitato confida nella responsabilità
delle Istituzioni a tutti i livelli nell’impedire che ciò avvenga per il bene
dei lavoratori e della popolazione padernese.
Paderno Dugnano
17/06/15
COMITATO A SOSTEGNO DEI FAMILIARI DELLE
VITTIME E DEI LAVORATORI EURECO
cellulare 335 68 63 489
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From: Assemblea 29 Giugno assemblea29giugno@gmail.com
To:
Sent: Friday, June 19, 2015 8:42 AM
Subject: VIAREGGIO: LUNEDI’ 29 GIUGNO:
GIORNATA DELLA MEMORIA E DELLA SOLIDARIETA’
A seguire il volantino che diffonderemo
lunedì 22 giugno di fronte al Tribunale di Firenze.
PER IL SESTO ANNIVERSARIO DELLA STRAGE
ANNUNCIATA
Del 29 giugno 2009 siamo ancora qui a
ricordarvi...
Il 20 maggio scorso avevamo invitato il
Giudice del lavoro Nannipieri e quelli di Firenze (Giovanni Bronzini, Gaetano
Schiavone e Simonetta Liscio), all’udienza per la strage ferroviaria di
Viareggio, in cui è stato ascoltato come testimone Marco Piagentini (che ha
perso i figli Luca e Lorenzo di 2 e 4 anni e la moglie Stefania).
L’udienza è stata l’occasione per ascoltare
dalla voce di Marco cosa accadde quella maledetta notte. Marco, ustionato nel 90%
del corpo, è rimasto sotto le macerie per ore e ricoverato per 6 mesi a Padova,
in fin di vita per settimane.
Questi signori Giudici, partecipando all’udienza,
avrebbero capito cosa è stato il 29 giugno 2009 e si sarebbero posti l’elementare
domanda: “Ma cosa ho combinato? Cosa abbiamo fatto!” per aver emesso la “sentenza-reato”
nei confronti di Riccardo Antonini; una sentenza di inchino ai poteri forti
come al cavaliere Moretti e agli altri rinviati a giudizio.
La “colpa” di Riccardo è aver denunciato la
mancanza di sicurezza in ferrovia ed essersi schierato pubblicamente e
apertamente a fianco dei familiari delle 32 Vittime nella battaglia per la
sicurezza, la verità, la giustizia.
Anche questi signori Giudici “del lavoro”
dovrebbero sapere quali immense responsabilità hanno gli imputati della strage
ferroviaria. Infatti, da ogni udienza emerge chiaramente la verità: una
politica di abbandono della sicurezza a danno della collettività per il
profitto di pochi. Una logica criminale che ha ucciso bambini, ragazze, uomini
e donne e che, se fossero esplose altre cisterne, ne avrebbe uccise a
centinaia.
Se Moretti & company avessero adottato
misure di prevenzione e protezione necessarie ed elementari, rivendicate dai
ferrovieri per anni, e oggetto pure nel dibattimento processuale, l’immane
tragedia di Viareggio non sarebbe accaduta.
Come possiamo pensare che questi signori
Giudici del lavoro non siano consapevoli di ciò? Come possiamo accettare una
sentenza che impedisce al cittadino, al lavoratore, al ferroviere, di esprimere
giudizi su un fatto di tale gravità e che cancella l’impegno per la sicurezza?
Lo stipendio (solo quello ferroviario) di
877.000 euro del cavalier Moretti, una volta promosso a Finmeccanica, è passato
a un milione e 400 mila euro. Poi, con la (s)vendita della Breda di Pistoia ha
incassato altri 700.000 euro.
Le minacce e i ricatti contro Riccardo
(documentati e testimoniati) sono caduti nel vuoto, come deve essere. Le
minacce e i ricatti di Moretti nei confronti del Governo Renzi (se mi abbassi
lo stipendio me ne vado) sono state, invece, accolte.
Il cavalier Moretti santificato da poteri
forti (cavalierato, nomine e rinomine, promozioni, ecc.) è stato graziato anche
con le sentenze di questi Giudici, e istigato a continuare a intimidire e
minacciare ferrovieri e lavoratori impegnati sulla sicurezza. Moretti ha anche
preteso che a sostituirlo alle ferrovie fosse Michele Elia, il braccio destro,
anch’esso rinviato a giudizio.
Signori Giudici, non avete avuto il
coraggio di opporvi allo strapotere di Moretti e di sentenziare l’unica verità:
il licenziamento di Riccardo Antonini è di natuta politica e quindi
DISCRIMINATORIO.
E non possiamo che ribadire una sola cosa:
VER-GO-GNA!
Lunedì 29 giugno: giornata della Memoria e
della Solidarietà
ore 17:00: Incontro-dibattito in Comune a
Viareggio
ore 20:30: appuntamento in via Ponchielli
(luogo della strage) per la manifestazione cittadina.
Viareggio, 22 giugno 2015
Assemblea 29 giugno
Associazione dei familiari “Il mondo che
vorrei”
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From: Teoria & Prassi teoriaeprassi@yahoo.it
To:
Sent: Friday, June 19, 2015 9:52 AM
Subject: UN NUOVO, INFAME “COLPO DI MANO”
DI RENZI E DEL SUO GOVERNO!
In base ad uno dei “Decreti attuativi” del
Jobs Act, le informazioni raccolte dalle imprese attraverso le telecamere di
sorveglianza, ma anche per il tramite di telefonini cellulari, smartphone,
tablet, PC portatili, badge in dotazione al lavoratore, potranno essere
utilizzate dal padrone per controllare da lontano il proprio dipendente. Tutto
questo senza accordo con i sindacati: basterà che il lavoratore sia “informato”
del controllo a distanza a cui viene sottoposto. Così la direzione dell’impresa
avrebbe mani libere sull’uso a posteriori dei dati raccolti, anche a fini
disciplinari.
“La direzione capitalistica” - scrive Marx
nel Capitale - “è, quanto alla forma, dispotica. Questo dispotismo sviluppa poi
le sue forme particolari[...]. Allo stesso modo che un esercito ha bisogno di
ufficiali e sottufficiali militari, una massa di operai operanti sotto il
comando dello stesso capitale ha bisogno di ufficiali superiori (dirigenti,
managers) e di sottufficiali (sorveglianti) [...]. La subordinazione tecnica
dell’operaio all’andamento del mezzo di lavoro e la peculiare composizione del
corpo lavorativo, fatto di individui di ambo i sessi e di diversissimi gradi di
età, creano una disciplina da caserma che si perfeziona e diviene un regime di
fabbrica completo e porta al suo pieno sviluppo il lavoro di sorveglianza”.
Contro “il codice della fabbrica in cui il
capitalista formula come privato legislatore e arbitrariamente la sua
autocrazia sugli operai”, gli operai hanno condotto per lunghi decenni e in
ogni paese del mondo durissime lotte, ottenendo anche parziali vittorie e
strappando alcune misure di legislazione sociale che attenuassero il dispotismo
padronale in fabbrica.
Una di queste misure legislative è stato,
in Italia, lo “Statuto dei Lavoratori”, approvato nel maggio 1970 e tuttora
vigente, frutto del lungo ciclo di lotte operaie degli anni ‘60 del secolo
scorso.
L’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori
stabilisce: “E’ vietato l’uso di impianti audiovisivi e di altre
apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei
lavoratori. Gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richiesti
da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma
dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei
lavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con le
rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con la
commissione interna”.
Il nuovo Decreto abrogherebbe queste, sia
pur minime, garanzie e l’operaio vedrebbe ancor più ribadita la sua condizione
di schiavo salariato.
Operai, lavoratrici e lavoratori!
Ribellatevi contro l’infame progetto predisposto dal Governo Renzi e dalla
burocrazia ministeriale al suo servizio. Agite direttamente, manifestate con
forza nelle fabbriche e in tutti luoghi di lavoro, nelle strade e nelle piazze,
per far fallire il progetto governativo!
Fate pressione con ogni mezzo sui dirigenti
delle organizzazioni sindacali a cui aderite, affinché RIFIUTINO OGNI ACCORDO
con i padroni e con il Governo Renzi, espressione organica della volontà
reazionaria della Confindustria, e impediscano l’attuazione del Decreto!
VIA IL GOVERNO RENZI!
Giugno 2015
Piattaforma Comunista per il Partito
Comunista del Proletariato d’Italia
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From: Lavoro & Politica lavoro&politica@partito-lavoro.it
To:
Sent: Friday, June 19, 2015 6:13 PM
Subject: LA TROIKA E I DIRITTI UMANI
“La gestione delle crisi nell’Unione
Europea ha condotto a massicce violazioni di diritti umani. Inoltre il modo in
cui le crisi sono state gestite ha esposto una serie di buchi neri quando si
tratta di individuare le responsabilità per la violazione di diritti umani”: lo
ha scritto di recente una giurista del Centro per lo Studio dei Diritti umani
della London School of Economics, Margot Salomon.
Il suo saggio è uno dei più approfonditi
finora apparsi sul tema, dopo quello del 2014 di Andreas Fischer-Lescano,
docente a Brema (“Diritti umani ai tempi delle politiche di austerità”). I
tagli a sanità, pensioni, stipendi, diritti del lavoro, istruzione, servizi
pubblici imposti da Commissione Europea, FMI e BCE a Grecia, Spagna,
Portogallo, Irlanda, Italia e altri paesi hanno inflitto gravi privazioni a
milioni di persone.
E’ sempre più evidente che le istituzioni
UE e il FMI non avevano il diritto di compiere azioni del genere. Non soltanto:
si può sostenere che compiendole hanno violato dozzine di articoli di patti,
trattati, carte e convenzioni sottoscritti da esse medesime, a cominciare dal
Trattato fondativo dell’Unione. Vediamo qualche caso.
Tra i diritti legalmente sanciti dalla
Carta Sociale Europea (versione riveduta del 1996) figurano i seguenti: “Tutti
i lavoratori hanno diritto a un’equa retribuzione che assicuri a loro e alle
loro famiglie un livello di vita soddisfacente” (articolo 4); “I bambini e gli
adolescenti hanno diritto a una speciale tutela contro i pericoli fisici e
morali cui sono esposti” (articolo 7); “Ogni persona ha diritto di usufruire di
tutte le misure che le consentano di godere del migliore stato di salute
ottenibile” (articolo 11); “Tutti i lavoratori e i loro aventi diritto hanno
diritto alla sicurezza sociale” (articolo 12); “Ogni persona sprovvista di
risorse sufficienti ha diritto all’assistenza sociale e medica” (articolo 13); “Ogni
persona anziana ha diritto ad una protezione sociale” (articolo 23); “Tutti i
lavoratori hanno diritto ad una tutela in caso di licenziamento” (articolo 24);
“Ogni persona ha diritto alla protezione dalla povertà e dall’emarginazione
sociale” (articolo 30).
Si potrebbe continuare citando articoli
analoghi del Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali
(New York 1966); della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea; di
una mezza dozzina almeno di Convenzioni dell’Organizzazione Internazionale del
Lavoro, dal 1948 in avanti.
Per finire magari con l’articolo 7 dello
Statuto di Roma della Corte penale internazionale, intitolato “Crimini contro l’umanità”,
che al comma “k” recita: “Altri atti inumani di carattere simile che causano
intenzionalmente grande sofferenza, o seria menomazione al corpo o alla salute
mentale o fisica”.
Allo scopo di portare la Commissione, la
BCE e il FMI davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, o alla Corte
penale internazionale, e perché no qualche Governo europeo, affinché rispondano
delle violazioni dei diritti umani delineate sopra, vi sarebbero diversi punti
critici da affrontare.
I rapporti menzionati all’inizio scartano
subito l’argomento principe dei fautori dell’austerità: le ristrettezze
inflitte alle popolazioni UE sarebbero state necessarie a causa della crisi
finanziaria, l’urgenza di migliorare lo stato dei bilanci pubblici, il dovere
degli stati debitori di ripagare i creditori. Le violazioni dei diritti umani,
anche se comprovate, sarebbero quindi giustificate dalla situazione di
emergenza, ovvero dallo “stato di eccezione” in cui versa o versava l’intera
UE. Tuttavia, se si accetta questo punto di vista, ha scritto un altro giurista
(Paul Kirchhof), l’Europa intera, quale comunità fondata sul primato della
legge, sarebbe privata della sua ragion d’essere.
L’effetto sarebbe che nessun Capo di Stato
o Ministro o membro del parlamento potrebbe intraprendere azioni vincolanti che
riguardassero i cittadini, poiché il loro mandato ha una base legale: però la
legge non esisterebbe più. Per cui il sistema legale europeo non può cedere il
passo dinanzi a un presunto stato di emergenza, conclude il rapporto di Brema,
ovvero non può che un sistema di competenze legali sia soppiantato da pratiche
considerazioni politiche.
Un secondo punto critico riguarda l’individuazione
dei soggetti responsabili delle violazioni dei diritti umani. Il principale
strumento utilizzato nella UE per imporre a un paese dure politiche di
austerità ha preso in genere forma di un “Memorandum di intesa” (sigla inglese
MOU), un documento che elenca in modo ossessivamente dettagliato le
decurtazioni che un paese deve effettuare alla propria spesa pubblica per
potere ottenere determinate concessioni dalla Troika.
Su un piano affine ai MOU si collocano le
lettere-diktat inviate da istituzioni europee a stati membri. Sia nella
formulazione che nell’esecuzione, i MOU e affini sono opera di diversi
soggetti, le cui rispettive responsabilità sarebbero da accertare. Tra di essi
non rientra la Troika, poiché non ha personalità giuridica.
Vi rientrano invece gli stati membri con i
loro Governi, il FMI, la BCE, la Commissione Europea. Si aggiunga che la
responsabilità di tali soggetti nell’infliggere sofferenze a milioni di
cittadini, violando i diritti umani riconosciuti dalla stessa UE, è aggravata
dal fatto che le politiche di austerità che hanno veicolato le violazioni si
sono rivelate un fallimento totale. Dopo cinque anni, nei paesi destinatari dei
MOU e delle lettere stile militare della BCE la disoccupazione è cresciuta a
dismisura, la povertà assoluta e relativa anche, il PIL è diminuito di decine
di punti, la struttura industriale è stata compromessa (vedi il caso Italia) e
a una intera generazione di giovani è stato rubato in gran parte il futuro. Per
cui le suddette politiche non possono venire invocate come circostanze
attenuanti.
Se le istituzioni della UE e i loro
dirigenti fossero riconosciuti responsabili dall’una o dall’altra Corte europea
di violazione dei diritti umani e delle estese sofferenze che hanno provocato,
non correrebbero certo il rischio di serie penalità. Ma sarebbe quanto meno un
riconoscimento ufficiale di un fatto inaudito: milioni di vittime della crisi
apertasi nel 2008 sono state chiamate, tramite le politiche di austerità, a
pagare i danni della crisi da quelli stessi che l’hanno provocata, a cominciare
dai loro governanti nazionali e internazionali.
Lunedì, 04 Maggio 2015
Luciano Gallino
La Repubblica
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From: Franco Mugliari fmuglia@tin.it
To:
Sent: Sunday, June 21, 2015 4:20 PM
Subject: TANTA LA CARNE AL FUOCO,
MA...TANTO FUMO E POCO ARROSTO
Dal blog Muglia la Furia
Tra Decreti attuativi del Jobs Act,
semplificazioni introdotte e altre cancellate, nuovo accordo sulla formazione
di RSPP (ma non solo), nuovo codice degli appalti con suoi intrecci con il
testo unico sicurezza, ce ne sarebbero di cose da commentare. E sono tanti
quelli che si stanno esercitando sul tema.
C’è però una questione sulla quale ho letto
molti interventi e rispetto alla quale posso affermare senza tema di smentita :”IO
L’AVEVO DETTO!”.
L’occasione per tale ambiziosa affermazione
mi è data dalla nota del Ministero del Lavoro n. 9483 dell’8 giugno 2015, sul
tema della “collaborazione” degli organismi paritetici alla formazione
obbligatoria di lavoratori e loro rappresentanti, che l’articolo 37, comma 12,
del D.Lgs. 81/08 pone come obbligo al datore di lavoro.
Ma se è vero che nel caso della nota in
questione, e l’argomento non avrebbe meritato tutta l’attenzione che gli è
stata dedicata, è anche vero che i più si sono accontentati, nei loro commenti,
a sottolineare come la mancata collaborazione con gli organismi paritetici non
sia sanzionabile alla luce dell’articolo 37, comma 12. Insomma si è preferito
limitarsi a esultare (e su questo i sindacati un pensierino sarebbe bene che lo
facessero) per il fatto che si sia semplicemente ribadito quanto scritto nella
legge.
Che poi il non essere sanzionati per la
violazione di una disposizione obbligatoria significhi aver cancellato un
obbligo ce ne passa.
Se si volessero davvero semplificare e
cancellare tutti i dubbi interpretativi che girano intorno agli organismi
paritetici, enti bilaterali (veri o presunti, inattivi o farlocchi) che dir si
voglia, si dovrebbe fare una sola cosa: abolire il comma 12 dell’articolo 37. E
allora si che sarebbe una festa!
Nella nota in questione ci sono infatti un
paio di sottolineature che avrebbero meritato maggior attenzione:
-
i
destinatari della nota in questione vengono individuati negli organi di
vigilanza, in particolare quelli che, alla luce dell’articolo 37, comma 1,
hanno ritenuto di sanzionare i datori di lavoro per aver erogato una formazione
giudicata “non sufficiente ed adeguata” visto il mancato coinvolgimento degli
Organismi Paritetici;
-
gli
Organismi Paritetici i cui requisiti, previsti dal D.Lgs. 81/08, DEVONO essere
verificati dal Datore di lavoro.
Io mi domando se qualche Giudice, valutando
la formazione erogata con riferimento a un infortunio accaduto in cui si
possano individuare nessi di causalità con una “insufficiente e non adeguata
formazione”, in presenza anche della violazione dell’articolo 37, comma 12, non
pensi di attribuirne la responsabilità al soggetto collocato in posizione di
garanzia (in primis il datore di lavoro quindi) proprio per il mancato
coinvolgimento, o la mancata verifica del possesso dei requisiti di legge, dell’
organismo paritetico. Perché in questo caso la mancata previsione di una
sanzione c’entra nulla.
E voglio fare un esempio.
Un lavoratore edile (settore in cui gli
organismi paritetici, veri, sono nati, attivi e spesso meritevoli di rispetto)
si dovesse infortunare in cantiere a seguito di una caduta dal ponteggio. Nel
verificare la formazione si scopre che il lavoratore aveva partecipato a un
corso di formazione in cui gli aspetti relativi al rischio (specifico) di
caduta dall’alto non erano stati trattati (o lo erano stati in maniera
insufficiente) perché si trattava di un corso “misto” con partecipanti di
diversi settori produttivi. Men che meno si era parlato di ponteggi.
Davvero possiamo pensare che la mancata
richiesta di collaborazione all’organismo paritetico non possa determinare l’individuazione
di una colpa specifica a carico del datore di lavoro?
A tal proposito mi soccorre una recente
sentenza della Cassazione Penale, 26 maggio 2014, n. 21242 (Necessaria
formazione sull’uso dell’attrezzatura di lavoro. Non basta l’esperienza
decennale del lavoratore sui macchinari) che nel confermare quanto deciso dalla
Corte di appello di Trieste, ha confermato la pronuncia del Tribunale di
Pordenone nei confronti di N.W., giudicato responsabile del reato di lesioni
colpose gravi commesse in danno di un dipendente, N.A. [...] per non aver
adeguatamente formato il lavoratore sull’uso della attrezzatura di lavoro e in
particolare sulla funzione del dispositivo di protezione rappresentato dal
vassoio del tritacarne e sulla pericolosità insita nell’utilizzo di guanti con
maglie di ferro nell’impiego del macchinario. [...] In particolare, per quel
che qui più interessa, dell’attività di formazione veniva scandito: a) l’oggetto,
dovendo aver attinenza specifica al posto di lavoro e alle mansioni assegnate
al lavoratore; b) la temporalità, essendo evidenziati per la sua
somministrazione i momenti dell’assunzione, del trasferimento o cambio di
mansioni, dell’introduzione di nuove attrezzature di lavoro o di nuove
tecnologie, di nuove sostanze e preparati pericolosi, nonché la modifica per evoluzione
o per innovazione del quadro dei rischi; c) il (mancato n.d.r.) coinvolgimento
degli organismi paritetici previsti dall’articolo 20 (ancora più dettagliato e
portatore di limitazioni alle scelte datoriali, quanto a contenuti e modalità
di somministrazione dell’attività di formazione, è l’articolo 37 D.Lgs. 81/08).
Interessante è anche notare, e lo voglio
sottolineare (vedi anche quanto scritto in http://muglialafuria.blogspot.it/2015/02/decalogo-per-la-prevenzione-casaclima.html)
che per la mancata formazione e informazione la sentenza fa riferimento a
quanto stabilito dall’articolo 15 del Testo Unico (Misure generali di tutela)
ancorché non sanzionate.
C’è poi anche il fatto, e la cosa mi fa
infuriare, che molte delle osservazioni circolate in queste settimane su questa
“nota” del Ministero, sono state scritte proprio da coloro i quali, a suo
tempo, hanno partecipato alla stesura della norma stessa o ai molti tentativi
di interpretarla ed applicarla.
E allora c’è da domandarsi se ci sia solo
incapacità dietro tutto questo.
Provate a seguire il mio ragionamento. Si
elabora la norma che rinvia ad un accordo e, passati pochi mesi, viene
elaborato un successivo accordo per interpretare e/o favorire l’applicazione di
quello precedente. Poi inizia il valzer degli interpelli, delle note
ministeriali e via fino al successivo accordo che rimette in gioco tutto (è
quello che sta succedendo con l’accordo 26 gennaio 2006 sulla formazione degli
RSPP). Davvero chi scrive per mesi, anzi per anni, gli accordi di cui trattasi,
è talmente incompetente da non capire quali falle sta aprendo nel sistema?
No. Non lo è. Tant’è vero che poi lo
chiamiamo nei convegni a chiarire i dubbi che il testo, da lui stesso
elaborato, ha generato.
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