giovedì 3 dicembre 2015

3 dicembre - SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! NEWSLETTER N. 235 DEL 02/12/15



NEWSLETTER PER LA TUTELA DELLA SALUTE
E DELLA SICUREZZA DEI LAVORATORI
(a cura di Marco Spezia - sp-mail@libero.it)

INDICE

I PARERI DELLA COMMISSIONE DEGLI INTERPELLI - N.3
1
LO SFRUTTAMENTO SUL POSTO DI LAVORO PEGGIORA VITA E SALUTE
5
MOBBING: IL DANNO ESISTENZIALE VA RISARCITO SOLO SE È PROVATO IL PEGGIORAMENTO DI VITA DEL LAVORATORE
7
PRESENTE E FUTURO DELLA NORMATIVA: JOBS ACT, ACCORDI RSPP E SINP
8
D.LGS.151/15: I COMPITI DI PRIMO SOCCORSO E PREVENZIONE INCENDI
11
IL FUMO PASSIVO NEGLI AMBIENTI DI LAVORO
14


I PARERI DELLA COMMISSIONE DEGLI INTERPELLI - N.3

L’articolo 12 del D.Lgs.81/08 (Testo Unico sulla sicurezza) ha previsto la costituzione della Commissione degli Interpelli, composta da rappresentanti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, del Ministero della salute, della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome con lo scopo di rispondere a “quesiti di ordine generale sull’applicazione della normativa in materia di salute e sicurezza del lavoro” posti da Organismi associativi, Enti pubblici, Organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori, Consigli nazionali degli ordini.
La Commissione degli Interpelli è stata effettivamente costituita con Decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 28 settembre 2011.
Secondo il comma 3 dell’articolo 12 del D.Lgs.81/08 “Le indicazioni fornite nelle risposte ai quesiti di cui al comma 1 [quelli posti alla Commissione] costituiscono criteri interpretativi e direttivi per l’esercizio delle attività di vigilanza”.
Riporto pertanto in una nuova rubrica della mia newsletter tali pareri con il link per scaricare il testo completo del quesito e del parere della Commissione.
Marco Spezia


OBBLIGO VISITA MEDICA PREVENTIVA PER STAGISTA MINORENNE
Interpello in materia di sicurezza n.1 del 2 maggio 2013

RICHIEDENTE
Federcasse e Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro

QUESITO
L’interpello è relativo alla corretta interpretazione della norma di cui all’articolo 41 del D.Lgs.81/08, con particolare riferimento all’obbligo di effettuare la visita medica preventiva nei confronti dei soggetti minori di età, i quali, in veste di partecipanti ai corsi di istruzione/formazione scolastica (stage), siano coinvolti in momenti di alternanza scuola/lavoro ovvero effettuino un periodo di tirocinio formativo e di orientamento presso le aziende.
In particolare l’interpello pone i seguenti quesiti alla Commissione:
-         se una banca che impegni in stage o tirocini formativi, i soggetti minori di età sia tenuta a sottoporre tali soggetti a visita medica preventiva ai sensi dell’articolo 41 del D.Lgs.81/08;
-         se agli allievi che seguono corsi di formazione professionale nei quali si fa uso di laboratori, attrezzature di lavoro in genere, agenti chimici e fisici, ivi comprese le apparecchiature fornite di videoterminali (dato che ai sensi dell’articolo 2 comma 1, lettera a), del D.Lgs.81/08, limitatamente ai periodi in cui gli allievi sono effettivamente applicati alla strumentazione o ai laboratori in questione, essi sono equiparati ai lavoratori) sia applicabile la normativa sul lavoro minorile (Legge 977/67) in particolar modo l’articolo 8;
-         se, anche alla luce del D.Lgs.81/08, lo stagista minorenne deve essere sottoposto a visita medica preventiva, premesso che ai sensi e per gli effetti della Legge 977/67, lo studente minorenne di un istituto scolastico in nessun caso acquista la qualifica giuridica di “lavoratore minore”, tanto è che nel campo di applicazione di tale normativa rientrano esclusivamente “i minori di diciotto anni che hanno un contratto o un rapporto di lavoro, anche speciale, disciplinato dalle norme vigenti”; contemplandosi, quindi, tutti i rapporti di lavoro, anche di natura autonoma, inclusi quelli speciali dell’apprendistato, il lavoro a domicilio, ecc., ma non i rapporti didattici che coinvolgono gli studenti quand’anche partecipanti a stage formativi presso imprese terze rispetto all’Istituto scolastico.

CHIARIMENTO
Riguardo agli interpelli posti la Commissione ha ritenuto formulare un’unica risposta in considerazione della circostanza che le questioni poste hanno caratteristiche analoghe.
Lo stage, o tirocinio formativo e di orientamento, rappresenta una forma d’inserimento temporaneo all’interno dell’azienda, non costituente rapporto di lavoro, finalizzato a consentire ai soggetti coinvolti di conoscere e di sperimentare in modo concreto il mondo del lavoro, attraverso una formazione e un addestramento pratico direttamente in azienda.
Il rapporto, regolato da un’apposita convenzione, coinvolge tre soggetti:
-         il soggetto promotore che procede all’attivazione dello stage;
-         il tirocinante che, di fatto, è il soggetto beneficiario dell’esperienza di stage;
-         azienda ospitante.
La Legge 977/67 si applica ai minori di 18 anni che hanno un contratto o un rapporto di lavoro, anche speciale (come ad esempio, l’apprendistato e il lavoro a domicilio).
Ai sensi dell’articolo 8 della Legge 977/67, gli adolescenti possono essere ammessi al lavoro a condizione che venga riconosciuta, mediante una visita medica preassuntiva, l’idoneità degli stessi all’attività lavorativa cui saranno adibiti. Tale idoneità deve essere accertata, in seguito, con visite periodiche da effettuare almeno una volta l’anno. I minori che sono inidonei a un determinato lavoro non possono esser ulteriormente adibiti allo stesso.
Ai sensi dell’articolo 2 del D.Lgs.81/08, i soggetti beneficiari delle iniziative di tirocini formativi e di orientamento, nonché gli allievi degli istituti di istruzione e universitari e i partecipanti ai corsi di formazione professionale nei quali si faccia uso di laboratori, attrezzature di lavoro in genere, agenti chimici, fisici e biologici, ivi comprese le apparecchiature fornite di videoterminali limitatamente ai periodi in cui l’allievo sia effettivamente applicato alla strumentazioni o ai laboratori in questione, sono equiparati ai lavoratori ai fini e agli effetti delle disposizioni di cui al D.Lgs.81/08.
L’equiparazione fatta dall’articolo 2 del D.Lgs.81/08, tra i soggetti anzidetti e i lavoratori che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolgono un’attività lavorativa, ha valenza solo e unicamente per le misure di salute e sicurezza previste dal D.Lgs.81/08, misure che devono pertanto essere attuate anche nei confronti di coloro che sono equiparati ai lavoratori.
Al riguardo si osserva che, a norma dell’articolo 41 del D.Lgs.81/08, l’obbligo di attivazione della sorveglianza sanitaria sussiste, nei casi previsti dalla normativa vigente, anche nei riguardi dei soggetti equiparati ai lavoratori quali i tirocinanti, di cui all’articolo 18 della Legge 196/97, gli allievi degli istituti di istruzione e universitari e i partecipanti ai corsi di formazione professionale nei quali si faccia uso di laboratori, attrezzature di lavoro in genere, agenti chimici, fisici e biologici, ivi comprese le apparecchiature fornite di videoterminali limitatamente ai periodi in cui l’allievo sia effettivamente applicato alla strumentazioni o ai laboratori in questione.
Da quanto richiamato si evince che l’obbligatorietà della visita di cui all’articolo 8 della legge 977/67 vige solo nei casi in cui vi sia un rapporto di lavoro, anche speciale, circostanza che non sussiste per “l’adolescente stagista” e “lo studente minorenne” che dovranno pertanto essere sottoposti a sorveglianza sanitaria solo nei casi previsti dalla normativa vigente.

Il testo completo dell’Interpello in materia di sicurezza n.1 del 2 maggio 2013 è scaricabile al link:


REQUISITI PROFESSIONALI DEL COORDINATORE PER LA PROGETTAZIONE E PER L’ESECUZIONE DEI LAVORI
Interpello in materia di sicurezza n.2 del 2 maggio 2013

RICHIEDENTE
Consiglio Nazionale degli Ingegneri

QUESITO
Il Consiglio Nazionale degli Ingegneri ha avanzato istanza di interpello per conoscere il parere della Commissione in merito alla documentazione che il coordinatore per la progettazione o l’esecuzione dei lavori deve possedere per comprovare il periodo di attività lavorativa nel settore delle costruzioni, ai sensi dell’articolo 98, comma 1, lettere a), b) e c) del D.Lgs.81/08.
In particolare l’interpellante ha prodotto un elenco esemplificativo e non esaustivo delle attività svolte con riferimento a cantieri temporanei o mobili, come definiti dall’articolo 89, comma 1, lettera a) del D.Lgs.81/08, atte a integrare il requisito in questione.
L’elenco è il seguente:
-         attività di direttore di cantiere;
-         attività di capo cantiere;
-         attività di capo squadra;
-         attività di direttore dei lavori;
-         attività di direttore operativo di cantiere;
-         attività di assistente ai soggetti di cui ai punti precedenti con mansioni che comportino precipuamente la frequentazione del cantiere;
-         attività di responsabile d’azienda per la sicurezza in lavorazioni di cantiere anche specifiche;
-         attività di responsabile dei lavori;
-         attività di datore di lavoro di impresa operante nel settore delle costruzioni;
-         attività di progettazione nel settore delle costruzioni, in aggiunta ad altre attività di cui ai punti precedenti.

CHIARIMENTO
L’articolo 98, comma 1, lettere a), b) e c), del D.Lgs.81/08 definisce i requisiti professionali del coordinatore per la progettazione e del coordinatore per l’esecuzione dei lavori.
In particolare questi soggetti devono essere in possesso di una laurea magistrale o specialistica o di una laurea, conseguite in una delle classi indicate nel citato articolo 98, oppure di un diploma di geometra o perito industriale o perito agrario o agrotecnico, nonché documentare l’espletamento di attività lavorativa nel settore delle costruzioni.
Ai fini della individuazione delle attività lavorative, nel settore delle costruzioni, atte a soddisfare il requisito previsto dall’articolo 98, comma 1, si ritiene che tutte le attività indicate nell’elenco presentato dall’interpellante, pur non esaustivo, siano coerenti con le finalità normative.
Le attività svolte devono fare riferimento ai cantieri temporanei e mobili, cosi come definiti dell’articolo 89, comma 1, lettera a), del D.Lgs.81/08.

Il testo completo dell’Interpello in materia di sicurezza n.2 del 2 maggio 2013 è scaricabile al link:


OBBLIGO DI REDAZIONE DEL PSC E LAVORAZIONI URGENTI
Interpello in materia di sicurezza n.3 del 2 maggio 2013

RICHIEDENTE
Federazione delle Imprese Energetiche e Idriche

QUESITO
La Federazione delle Imprese Energetiche e Idriche ha chiesto alla Commissione di pronunciarsi riguardo alla corretta interpretazione dell’articolo 100, comma 6, del D.Lgs.81/08, laddove prevede che le disposizioni sul Piano di Sicurezza e Coordinamento (di seguito, PSC), ove previsto, non si applicano ai lavori la cui esecuzione immediata è necessaria per prevenire incidenti imminenti o per organizzare urgenti misure di salvataggio o per garantire la continuità in condizioni di emergenza nell’erogazione di servizi essenziali per la popolazione quali corrente elettrica, acqua, gas, reti di comunicazione”.
Al riguardo, la richiedente ha evidenziato che:
-         le aziende “multiutility” (aziende di servizi pubblici locali che operano nei settori dell’energia elettrica, del gas, dell’acqua e dei servizi funerari) che si occupano della erogazione di servizi “a rete” sul territorio, provvedono anche al pronto intervento per garantire la continuità nell’erogazione dei servizi e per garantire la sicurezza delle persone;
-         in territori anche ampi (si pensi ad una Provincia) a possibile che simili interventi siano anche migliaia in un anno;
-         i lavori di pronto intervento sono caratterizzati da una grande ripetitività consistendo spesso in attività di poche ore e di limitata entità (anche in termini di uomini-giorno);
-         a titolo esemplificativo, i lavori di pronto intervento sono relativi ai seguenti servizi: acqua potabile; acque reflue; gas (metano e GPL); teleriscaldamento; energia elettrica; telecomunicazioni; reti informatiche;
-         i suddetti lavori di pronto intervento tesi a garantire la continuità dei servizi essenziali per la popolazione si compongono di attività sequenziali quali: ricerca e individuazione del guasto; apertura e/o sezionamento tratto guasto; alimentazione di emergenza; accesso e scavo; riparazione e sostituzione del tratto di rete; ripristino normale configurazione di rete ripristino e collaudo di reti di comunicazione;
-         in relazione a tali lavori le aziende “multiutility” sono solite predisporre singole procedure operative per ogni tipologia di lavori, che comprendono la redazione di PSC per ogni singola tipologia di attività, e applicano tutte le disposizioni di cui al Titolo IV del D.Lgs.81/08 (quali, ad esempio, quelle relative alla notifica preliminare di cui all’articolo 99 e alla verifica della redazione del Piano Operativo di Sicurezza di cui all’articolo 89, comma 1, lettera h) da parte dei datori di lavoro delle imprese affidatarie ed esecutrici).

CHIARIMENTO
Al riguardo, va evidenziato che l’articolo 100, comma 6 del D.Lgs.81/08 dispone che: Le disposizioni del presente articolo non si applicano ai lavori la cui esecuzione immediata è necessaria per prevenire incidenti imminenti o per organizzare urgenti misure di salvataggio o per garantire la continuità in condizioni di emergenza dell’erogazione dei servizi pubblici essenziali per la popolazione quali corrente elettrica, gas, reti di comunicazione”.
Tale disposizione è quella risultante all’esito della modifica introdotta dal D.Lgs.106/09, in ordine alla quale, in sede di Relazione illustrativa del provvedimento è dato leggere quanto segue: L’articolo 100 viene modificato in modo che non sia necessaria la redazione del Piano di Sicurezza e Coordinamento quando sia necessario garantire la continuità essenziali per la popolazione”.
La Commissione ritiene opportuno rimarcare come la previsione del comma 6 dell’articolo 100 del D.Lgs.n.81/08 si riferisca anche a ipotesi nelle quali è necessario contemperare tra loro esigenze di livello costituzionale, quali la tutela della salute e sicurezza sul lavoro e l’erogazione (o la continuità nella erogazione) di servizi pubblici essenziali per la popolazione.
In simili situazioni, il Legislatore ha ritenuto opportuno favorire la rapidità nello svolgimento dei lavori prevedendo che i medesimi lavori si possano svolgere anche senza la redazione di un PSC.
Ciò, beninteso, ferma restando la necessità di applicare, senza altre eccezioni, ogni altra disposizione del D.Lgs.81/08 in particolare, del Titolo IV, che regolamenta i lavori nei “cantieri temporanei e mobili” del medesimo Decreto.
In relazione a tale regolamentazione legislativa, la Commissione ritiene che i lavori necessari a garantire la continuità nell’erogazione di servizi essenziali per la popolazione (quali, ad esempio, quelli relativi alla erogazione di acqua, energia elettrica, gas o alla funzionalità delle reti informatiche) possano essere effettuati senza necessità di redazione del PSC a condizione che essi siano lavori necessari a fronteggiare una emergenza nella erogazione o comunque garantire la continuità della erogazione dei servizi essenziali per la popolazione, la cui interruzione determina in ogni caso l’insorgere di un’emergenza. In questo senso l’articolo 100, comma 6 del predetto D.Lgs.81/08 prevede che il PSC possa non essere redatto per quei lavori la cui esecuzione immediata è necessaria per prevenire incidenti imminenti.

Il testo completo dell’Interpello in materia di sicurezza n.3 del 2 maggio 2013 è scaricabile al link:



LO SFRUTTAMENTO SUL POSTO DI LAVORO PEGGIORA VITA E SALUTE

Da Cortocircuito

LO SFRUTTAMENTO SUL POSTO DI LAVORO PEGGIORA VITA E SALUTE: UN INTERVENTO DEI DELEGATI FIOM AL CONGRESSO NAZIONALE DI MEDICINA DEMOCRATICA

Sono una delegata RSU e RLS in Piaggio, azienda con circa 3.000 dipendenti di cui 2.000 operai.
Insieme ad altri lavoratori e delegati (della RSU FIOM) provo a dare il mio contributo a una linea sindacale, nata in Piaggio a metà anni ‘90, di contrasto alle pretese aziendali, ma anche a quella pratica sindacale, che ha una maggioranza praticamente assoluta nelle dirigenze sindacali, e che ha contribuito fortemente al nostro indebolimento di operai.
Accordi che hanno accettato lavoro precario, aumento della produttività e flessibilità, sono stati passaggi determinanti che hanno peggiorato notevolmente la nostra vita e la nostra salute, e segnato un distacco tra sindacato e lavoratori.

Spesso, anche all’interno della CGIL ci accusano di non firmare gli accordi.
Sì in questi anni non abbiamo firmato questi tipi di accordi e lo rivendichiamo, lo consideriamo l’unica cosa da fare per tenere aperta una prospettiva che porti verso accordi migliorativi, una resistenza necessaria da parte dei delegati di fabbrica che negli ultimi anni sono riusciti a metterla a tacere in tante realtà, spingendo queste forze essenziali nello scoraggiamento.
Pensiamo sia quindi utile tenere un rapporto di confronto e sostegno soprattutto con chi svolge tutti i giorni questa attività di resistenza e verità nei posti di lavoro per ristabilire una vera contrattazione tra padroni e lavoratori rispettando alcuni punti fermi consolidati dalle lotte di chi ci ha preceduto.

In questo senso diventa dirimente rendere veramente partecipi i lavoratori delle piattaforme rivendicative da presentare alla controparte e renderli protagonisti delle vertenze con la discussione e la lotta. Solo per questa via è possibile ritrovare un rapporto di forza più favorevole.

Oggi, invece il sindacato viene di fatto utilizzato, dalle aziende per ottenere, da un lato ammortizzatori sociali e licenziamenti mascherati e, dall’altro, aumento della flessibilità e della produttività. Questo fino a prima della crisi avveniva con uno scambio a perdere per il lavoratore, ora invece questi accordi si basano solamente sulla paura della perdita del lavoro.
Anche sugli aspetti specifici della sicurezza abbiamo imparato sulle nostre braccia che non possiamo affidarci a una legge, buona o cattiva che sia, perché un’azienda medio grande è in grado di organizzarsi e far apparire migliorata una situazione che migliorata non è.

Ad esempio sui rischi da movimenti ripetitivi in catena, di fronte alle nostre denuncie, la Piaggio ha pensato di mettersi al sicuro pagando dei consulenti che attraverso l’applicazione di un metodo riconosciuto, l’OCRA, sono riusciti a far diventare sicure, a costo 0, postazioni di lavoro senza interventi significativi.
Questo è stato possibile, nonostante l’alto numero di malattie professionali e di operai che hanno conseguito, per il lavoro che fanno, ridotte capacità lavorative, grazie al fatto che queste valutazioni non sono verificabili da noi e spesso gli organi di sorveglianza si accontentano di una valutazione del rischio solamente formale senza andare a fondo dei problemi.

Anche il metodo per la valutazione dello stress-termico, dopo una denuncia che facemmo alla USL, la USL inviò la denuncia alla Procura della Repubblica e la Procura della Repubblica incaricò un tecnico che impose all’azienda la valutazione del rischio caldo con un calcolo WGBT che non ha portato nessun risultato ai lavoratori che operano in reparti non climatizzati, anzi con questo sistema di calcolo l’azienda risulta in regola ed è stata anche premiata per buona prassi e i lavoratori continuano a lavorare in reparti dove la temperatura in estate supera anche 40° in alcune ore giornaliere.

Ci chiediamo spesso a chi sono utili questi metodi utilizzati da alcune aziende per le valutazioni dei rischi? Se in questi anni con una valutazione OCRA, o NIOSH o WBGT le condizioni di lavoro dei lavoratori sono peggiorate!

Per questo siamo convinti che il cambiamento possa ripartire solamente dai lavoratori e dalla loro ritrovata consapevolezza.

Adriana Tecce RLS e RSU FIOM
con la condivisione di:
Massimo Cappellini RSU FIOM
Massimiliano Malventi RSU FIOM
Rossella Porticati RSU FIOM
Giorgio Guezze RSU FIOM
Antonella Bellagamba Direttivo FIOM



MOBBING: IL DANNO ESISTENZIALE VA RISARCITO SOLO SE È PROVATO IL PEGGIORAMENTO DI VITA DEL LAVORATORE

Da Studio Cataldi
30 novembre 2015
di Lucia Izzo

Per la Cassazione, non basta l’isolamento, il demansionamento o la forzata inoperosità: deve provarsi l’alterazione dello stile di vita.

In caso di condotte persecutorie da parte del datore di lavoro (cosiddetto mobbing) il danno esistenziale al lavoratore non può essere liquidato laddove manchino concreti elementi indicativi di un peggioramento del suo stile di vita.
Il danno esistenziale, infatti, essendo legato indissolubilmente alla persona, necessita imprescindibilmente di precise indicazioni che solo il soggetto danneggiato può fornire, indicando le circostanze comprovanti l’alterazione delle sue abitudini di vita.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, nella sentenza n. 23837/2015 nel decidere una controversia in tema di “mobbing” e circa il risarcimento del cosiddetto danno esistenziale che, nel caso di specie, era stato prima riconosciuto dal giudice di prime cure e poi escluso dalla Corte d’Appello.

Palese la condotta “mobbizzante” posta in essere dal datore, per non aver il ricorrente avuto accesso ad alcun corso di qualificazione istituito per i dipendenti, restando così emarginato dal contesto della ristrutturazione e ammodernamento dell’azienda; a ciò si aggiungono le pretestuose iniziative disciplinari di cui il lavoratore è stato oggetto, oltre che le condotte di ferma resistenza alle pronunce giudiziali che ne imponevano il tangibile riconoscimento professionale.

Ciò non era bastato ai giudici per accogliere la pretesa attinente al danno cosiddetto esistenziale, stante la mancata allegazione e prova di episodi attestanti l’effettiva mutazione “in peius” del trend di vita.
Dello stesso avviso anche gli Ermellini: non è sufficiente la prova della dequalificazione, dell’isolamento, della forzata inoperosità, dell’assegnazione a mansioni diverse e inferiori a quelle proprie, perché questi elementi integrano l’inadempimento del datore, ma, dimostrata questa premessa, è poi necessario dare la prova che tutto ciò, concretamente, ha inciso in senso negativo nella sfera del lavoratore, alterandone l’equilibrio e le abitudini di vita.

Il danno esistenziale, strettamente collegato alla persona, non è passabile di determinazione secondo il sistema tabellare come avviene per il danno biologico, in cui si manifesta l’uniformità dei criteri medico legali applicabili in relazione alla lesione dell’indennità psicofisica.

D’altronde, non può escludersi che la lesione degli interessi relazionali, connessi al rapporto di lavoro, resti sostanzialmente priva di effetti, cioè non provochi alcuna conseguenza pregiudizievole nella sfera soggettiva del lavoratore, essendo garantito l’interesse prettamente patrimoniale alla prestazione retributiva.
In pratica, pur esistendo l’inadempimento, non necessariamente emergerebbe un pregiudizio, quindi non vi sarebbe nulla da risarcire.

Mancando, nel caso di specie, la necessaria prova della sussistenza del danno cosiddetto esistenziale, il ricorso no può essere accolto.

La Sentenza numero 23837/2015 della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro è scaricabile (previa registrazione gratuita) all’indirizzo:



PRESENTE E FUTURO DELLA NORMATIVA: JOBS ACT, ACCORDI RSPP E SINP

Da: PuntoSicuro
20 novembre 2015
Di Tiziano Menduto

Indicazioni e anticipazioni sul presente e futuro della normativa a partire dalle conseguenze delle modifiche sul D.Lgs.81/08.
Ne parliamo con Cinzia Frascheri, Responsabile Nazionale CISL salute e sicurezza sul lavoro.

Le interviste che PuntoSicuro ha fatto in questi anni a Cinzia Frascheri, Responsabile Nazionale CISL di salute e sicurezza sul lavoro e di responsabilità sociale delle imprese, ci hanno sempre permesso di avere informazioni non solo sulle normative in attesa di approvazione, ma anche sui temi in materia di salute e sicurezza in via di discussione nella Commissione Consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro.

Il problema è che la Commissione Consultiva sta affrontando con difficoltà le novità delle modifiche apportate al D.Lgs.81/08 dal D.Lgs.151/15 attuativo del Jobs Act.
Per questo motivo nella nuova intervista a Cinzia Frascheri (raccolta il 15 ottobre scorso durante la 16a edizione della manifestazione “Ambiente Lavoro” che si è tenuta a Bologna) partiamo proprio dalle difficoltà della Commissione.

Cosa sta accadendo in Commissione Consultiva Permanente? Le modifiche del D.Lgs. 151/2015 che conseguenza hanno sulle attività attuali della Commissione?
Ricordiamo, a questo proposito, che il 4 novembre scorso si è tenuta una nuova riunione della Commissione Consultiva. Nella riunione si è deciso con il Ministero del Lavoro di andare avanti con il lavori, i compiti della Commissione finché sarà emanato il Decreto richiesto dal comma 5 dell’articolo 6 del Testo Unico, come modificato dal D.Lgs.151/15.

Non potevamo poi non arrivare a parlare delle deleghe in materia di semplificazioni del Jobs Act: di quella “montagna” di anticipazioni e intenti che sembra, in realtà, aver “partorito un topolino”...
Quali sono gli effetti del D.Lgs.151/15 e delle nuove modifiche al Testo Unico?

Parlando poi delle deleghe del Jobs Act, non si può non fare cenno anche al D.Lgs.81/15 recante “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183”. Il D.Lgs.81/15 ha o meno un impatto sul mondo della salute e sicurezza sul lavoro?
Secondo Cinzia Frascheri è importante leggere il D.Lgs.81/15 anche sotto l’ottica della salute e sicurezza perché pur trattando di contratti di lavoro e di mansioni ha tutte una serie di ricadute sugli aspetti che attengono alla salute e sicurezza di non poco conto. E’ importante che si legga tra le righe del D.Lgs.81/15 per comprendere quali sono anche i punti di caduta e i maggior rischi che si potrebbero venire a creare con la sua applicazione.

Non può mancare una domanda sul tema delle competenze in materia di salute e sicurezza. Quale saranno il futuro e le conseguenze della riforma costituzionale e della cosiddetta “Agenzia unica per le ispezioni”?

E’ atteso, da diversi anni, Decreto per il (Sistema Informativo Nazionale per la Prevenzione (SINP)? Che fine ha fatto il Decreto che dovrebbe rendere operativo il SINP? C’è la possibilità che venga reso operativo una sorta di SINP ridotto?

Infine abbiamo chiesto qualche anticipazione sui testi e le normative sul tavolo della Commissione.
Di cosa si deve parlare in Commissione? Quali sono le possibili normative che potrebbero diventare entrare in vigore nel prossimo futuro?

In particolare Cinzia Frascheri si sofferma nelle sue risposte sulla revisione degli Accordi sulla formazione degli RSPP e ASPP del 26 gennaio 2006 e sui testi relativi alla regolamentazione della sorveglianza sanitaria relativa alla assunzione di alcol e droga.

Articolo e intervista a cura di Tiziano Menduto

CERCHIAMO DI CAPIRE COSA STA ACCADENDO IN COMMISSIONE CONSULTIVA PERMANENTE. MI PARE CHE LE ATTIVITA’ DELLA COMMISSIONE STIANO RISCHIANDO DI FERMARSI...
Prima delle modifiche al Decreto 81, che hanno coinvolto l’articolo 6 che riguarda la Commissione Consultiva, noi eravamo arrivati ad aver varato finalmente il regolamento interno e si era pronti per partire con i Comitati tecnici per affrontare i vari temi. A questo punto è intervenuto il Decreto 151/15. Una delle modifiche riguarda la composizione della Commissione Consultiva Permanente. Composizione, non gli obiettivi.
Potrebbe sembrare un aspetto di poco conto per chi sul territorio opera, ma non è così secondario perché nell’ambito della Commissione Consultiva Permanente andare a modificare l’assetto incide sulla riduzione dei numeri dei componenti. La Commissione Consultiva Permanente aveva effettivamente dei numeri pletorici. Ma questo nuovo assetto incide sulla perdita del cosiddetto tripartitismo perfetto, come indicato anche da una Direttiva Europea. Cosa è successo con la riduzione? Nella riduzione non ci sono più le tre compagini datoriali, sindacali e ministeri e istituzioni con le Regioni, ma si è inserito un quarto polo che non è neanche rappresentativo, perché diversi componenti sono esperti tecnici che nella Commissione Consultiva, seppur tratta di temi tecnici, non hanno quel ruolo di rappresentatività e rappresentanza che invece gli altri hanno.

PARLIAMO DELLE DELEGHE IN MATERIA DI SEMPLIFICAZIONI DEL JOBS ACT...COSA NE PENSA LA CISL DEL DECRETO 151/15?
Concentrandoci sul Decreto 151/15, noi non possiamo che essere contenti del fatto che gli interventi di semplificazione sono stati minimi sul piano della quantità e non hanno potuto essere dirompenti sugli assetti di tutela. D’altra parte gli interventi previsti non sono così leggeri, inefficaci su un piano più strutturale. Per questo motivo noi abbiamo fatto le nostre rimostranze, sia prima dell’approvazione del Decreto che dopo...
Anche se ora bisognerà operare ad assetto dato...

FACCIAMO UN BREVE COMMENTO SULLA RIFORMA COSTITUZIONALE CHE ANDRA’ A RIPORTARE ALLO STATO LE COMPETENZE IN MATERIA DI SALUTE E SICUREZZA.
LEI HA SPESSO DIFESO IL RUOLO DELLE REGIONI IN QUESTA MATERIA.
E COSA NE PENSA DELLA COSIDDETTA AGENZIA UNICA PER LE ISPEZIONI?
Intanto va sottolineato che l’Agenzia comunque non coinvolge le ASL come soggetti. Questa Agenzia collaborerà con il sistema delle ASL.
Ormai è certo che, tra un anno o più tardi, ci sarà la modifica dell’articolo 117 della Costituzione. Modifica che andrà a togliere la materia concorrente della salute e sicurezza e a riportarla allo Stato.
Questo aspetto come CISL noi l’abbiamo considerato un passo indietro proprio perché si va necessariamente a perdere quella che è stata l’esperienza di questi anni. Abbiamo però al contempo sempre ribadito che a oggi il sistema delle Regioni non era più sostenibile. Un intervento era utile e necessario. Bisogna trovare un “fil rouge” che passi tra le due situazioni e che tenga conto e valorizzi la presenza sul territorio di esperienza e compenetrazione con il sistema produttivo, e al contempo che vada ad uniformare il tutto. A oggi le Regioni stanno rappresentando un campo di mille fiori e in questo modo è complicato poter avere uniche regole e sapere quale può essere la risposta degli organi di vigilanza su determinati tipi di prescrizioni.

CERCHIAMO DI SAPERE QUALCOSA SULL’ETERNO ATTESO SINP, IL SISTEMA INFORMATIVO NAZIONALE PER LA PREVENZIONE NEI LUOGHI DI LAVORO.
IN TEORIA UN DECRETO INTERMINISTERIALE DOVEVA ESSERE EMANATO SEI MESI DOPO L’ENTRATA IN VIGORE DEL D.LGS.81/08.
SONO PASSATI SETTE ANNI...
Intanto vorrei puntualizzare che ancora oggi manca una strategia nazionale di prevenzione. Può sembrare qualcosa di lontano dall’immediatezza delle necessità, delle urgenze delle imprese, del lavoro, ma non è così. Avere una strategia nazionale di prevenzione servirebbe anche per avere un unico percorso di armonizzazione del lavoro che fanno le Regioni in confronto alle istituzioni e alle parti sociali.
Il SINP (questa banca dati che va a mettere in relazione tutta una serie di flussi informativi che provengono dalla ASL, dal sistema produttivo, da diverse fonti informative, creando un terreno fertile per le attività di prevenzione) era una delle novità più importanti del Decreto 81.
E per rimarcare ancor più il ritardo del SINP si può dire che non si hanno a oggi informazioni certe su quando uscirà.
A un convegno di Ambiente Lavoro organizzato dal sistema paritetico nazionale del settore artigiano, avevamo come relatore Giuseppe Monterastelli, che ricordo che oltre ad essere l’espressione della prevenzione in Emilia Romagna, oggi ha preso anche il ruolo di coordinatore, attraverso la Regione Emilia Romagna, del sistema di Coordinamento interregionale.
Monterastelli diceva che non si hanno segnali che il SINP verrà reso operativo, ma parlava di un SINP ridotto su cui però neanche lui ha voluto esprimersi.
C’è poi anche il problema che nelle modifiche si fa riferimento al registro degli infortuni, che in questo caso non è stato messo in collegamento con il SINP. Aspetto che nell’ambito dell’articolato è anche molto confuso nella sua espressione di dettato normativo.

VEDIAMO INFINE DI COMPRENDERE QUALI SONO I TESTI, GLI ACCORDI, LE NUOVE NORMATIVE CHE DOVREBBERO ESSERE DISCUSSE IN COMMISSIONE E CHE POTREBBERO USCIRE A BREVE.
Ad esempio sul tavolo della Commissione c’è il testo relativo alla formazione del RSPP, un testo che poi non andrà a riguardare la sola formazione di RSPP, ma che arriva a modificare anche l’Accordo del 21 dicembre 2011 relativo alla formazione.
Su questo testo come organizzazioni sindacali ci siamo mossi in maniera molto, molto critica. E’ un testo scritto, in realtà, in maniera non chiara, è un testo che va a modificare quello che stava cominciando a diventare consolidato in materia di formazione degli attori principali aziendali. Non sappiamo tuttavia se questo testo (anche nell’eventuale fase di stand-by della Commissione Consultiva) verrà portato avanti da parte del Coordinamento delle Regioni che sono i titolari del testo.
Un altro testo è quello che dovrebbe prendere il posto della regolamentazione che riguarda l’uso e abuso di sostanze psicotrope e stupefacenti e il consumo di alcol. Anche questo testo ha subito, da parte sindacale e datoriale, grosse critiche per come è stato scritto, per come maldestramente incide sulle altre normative.
Segnalo il fatto che abbiamo scritto congiuntamente (Confindustria, CGIL, CISL e UIL) una proposta articolata non solo per criticare, ma anche proporre un articolato autoconsistente e puntuale in grado di suggerire le possibili e concrete vie per intervenire in questo ambito, anche in relazione all’aumento straordinario dell’uso e abuso di sostanze stupefacenti e di alcol.



D.LGS.151/15: I COMPITI DI PRIMO SOCCORSO E PREVENZIONE INCENDI

Da: PuntoSicuro
24 novembre 2015
di Tiziano Menduto
        
Una modifica al Testo Unico rende possibile lo svolgimento diretto da parte del datore di lavoro dei compiti di primo soccorso, nonché di prevenzione degli incendi e di evacuazione, anche nelle imprese o unità produttive che superano i cinque lavoratori.

Riprendiamo ad analizzare le modifiche che, in attuazione delle deleghe del “Jobs Act”, il D.Lgs.151/15 ha apportato al Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (D.Lgs.81/08).

Parliamo oggi di una delle modifiche di maggior peso in relazione alle deleghe per la semplificazione e razionalizzazione di procedure e adempimenti in materia di sicurezza e salute: la possibilità di svolgimento diretto da parte del datore di lavoro dei compiti di primo soccorso, nonché di prevenzione degli incendi e di evacuazione, anche nelle imprese o unità produttive che superano i cinque lavoratori.

Per parlarne riportiamo innanzitutto il testo dell’articolo 34 del D.Lgs. 81/08 prima delle modifiche del D.Lgs. 151/15, modifiche entrate in vigore lo scorso 24 settembre:
Articolo 34 - Svolgimento diretto da parte del datore di lavoro dei compiti di prevenzione e protezione dai rischi
1. Salvo che nei casi di cui all’articolo 31, comma 6, il datore di lavoro può svolgere direttamente i compiti propri del servizio di prevenzione e protezione dai rischi, di primo soccorso, nonché di prevenzione incendi e di evacuazione, nelle ipotesi previste nell’Allegato II dandone preventiva informazione al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza ed alle condizioni di cui ai commi successivi.
1- bis. Salvo che nei casi di cui all’articolo 31, comma 6, nelle imprese o unità produttive fino a cinque lavoratori il datore di lavoro può svolgere direttamente i compiti di primo soccorso, nonché di prevenzione degli incendi e di evacuazione, anche in caso di affidamento dell’incarico di responsabile del servizio di prevenzione e protezione a persone interne all’azienda o all’unità produttiva o a servizi esterni così come previsto all’articolo 31, dandone preventiva informazione al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza ed alle condizioni di cui al comma 2-bis;
2. Il datore di lavoro che intende svolgere i compiti di cui al comma 1, deve frequentare corsi di formazione, di durata minima di 16 ore e massima di 48 ore, adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative, nel rispetto dei contenuti e delle articolazioni definiti mediante Accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, entro il termine di dodici mesi dall’entrata in vigore del presente decreto legislativo. Fino alla pubblicazione dell’Accordo di cui al periodo precedente, conserva validità la formazione effettuata ai sensi dell’articolo 3 del decreto ministeriale 16 gennaio 1997, il cui contenuto è riconosciuto dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano in sede di definizione dell’Accordo di cui al periodo precedente.
2-bis. Il datore di lavoro che svolge direttamente i compiti di cui al comma 1-bis deve frequentare gli specifici corsi formazione previsti agli articoli 45 e 46.

L’articolo era stato già modificato in passato rispetto al testo originale del D.Lgs.81/08: il comma 1-bis e il comma 2-bis erano stato introdotti dal D.Lgs.106/09. Si indicava esplicitamente la possibilità per il datore di lavoro, nelle imprese o unità produttive fino a cinque lavoratori (e dunque non oltre questo limite), di svolgere direttamente i compiti di primo soccorso, nonché di prevenzione degli incendi e di evacuazione, anche in caso di affidamento dell’incarico di responsabile del servizio di prevenzione e protezione a persone interne all’azienda o all’unità produttiva o a servizi esterni.

Limite che ora viene superato con le modifiche operate con il punto g), del comma 1 dell’articolo 20 del D.Lgs. 151/2015:
Articolo 20 - Modificazioni al Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81
1. Al Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, sono apportate le seguenti modificazioni:
(...)
g) all’articolo 34 sono apportate le seguenti modificazioni:
1) il comma 1-bis è abrogato;
2) al comma 2-bis le parole “di cui al comma 1-bis” sono sostituite dalle seguenti: “di primo soccorso nonché di prevenzione incendi e di evacuazione”;
(...)

Vediamo come risulta ora l’articolo 34 con le nuove modifiche:
Articolo 34 - Svolgimento diretto da parte del datore di lavoro dei compiti di prevenzione e protezione dai rischi
1. Salvo che nei casi di cui all’articolo 31, comma 6, il datore di lavoro può svolgere direttamente i compiti propri del servizio di prevenzione e protezione dai rischi, di primo soccorso, nonché di prevenzione incendi e di evacuazione, nelle ipotesi previste nell’Allegato II dandone preventiva informazione al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza ed alle condizioni di cui ai commi successivi.
2. Il datore di lavoro che intende svolgere i compiti di cui al comma 1, deve frequentare corsi di formazione, di durata minima di 16 ore e massima di 48 ore, adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative, nel rispetto dei contenuti e delle articolazioni definiti mediante Accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, entro il termine di dodici mesi dall’entrata in vigore del presente decreto legislativo. Fino alla pubblicazione dell’Accordo di cui al periodo precedente, conserva validità la formazione effettuata ai sensi dell’articolo 3 del decreto ministeriale 16 gennaio 1997, il cui contenuto è riconosciuto dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano in sede di definizione dell’Accordo di cui al periodo precedente.
2-bis. Il datore di lavoro che svolge direttamente i compiti di primo soccorso nonché di prevenzione incendi e di evacuazione deve frequentare gli specifici corsi formazione previsti agli articoli 45 e 46.

E per comprendere gli obiettivi del legislatore, possiamo fare riferimento alla relazione illustrativa del D.Lgs.151/15: “il comma 1, lettera g) modifica l’articolo 34 del Testo Unico. Si prevede che lo svolgimento diretto da parte del datore di lavoro dei compiti di primo soccorso, nonché di prevenzione degli incendi e di evacuazione, viene consentita anche nelle imprese o unità produttive che superano i cinque lavoratori. La formazione specifica per svolgere tali compiti viene comunque assicurata al comma 2-bis”.

Ricordiamo ora alcuni riferimenti normativi dell’articolo 34.

Innanzitutto il contenuto dell’Allegato II del Testo Unico riguarda i casi in cui è consentito lo svolgimento diretto da parte del datore di lavoro dei compiti di prevenzione e protezione dei rischi:
Allegato II
Casi in cui e’ consentito lo svolgimento diretto da parte del datore di lavoro dei compiti di prevenzione e protezione dei rischi (articolo 34)
1. Aziende artigiane e industriali fino a 30 lavoratori
2. Aziende agricole e zootecniche fino a 30 lavoratori
3. Aziende della pesca fino a 20 lavoratori
4. Altre aziende fino a 200 lavoratori

Questi invece sono i casi (elencati al comma 6 dell’articolo 31 del D.Lgs.81/08) in cui il comma 1 dell’articolo 34 non può essere applicato:
Articolo 31 - Servizio di prevenzione e protezione
(...)
6. L’istituzione del servizio di prevenzione e protezione all’interno dell’azienda, ovvero dell’unità produttiva, è comunque obbligatoria nei seguenti casi:
a) nelle aziende industriali di cui all’articolo 2 del Decreto Legislativo 17 agosto 1999, n. 334, e successive modificazioni, soggette all’obbligo di notifica o rapporto, ai sensi degli articoli 6 e 8 del medesimo decreto;
b) nelle centrali termoelettriche;
c) negli impianti e installazioni di cui agli articoli 7, 28 e 33 del Decreto Legislativo 17 marzo 1995, n. 230, e successive modificazioni;
d) nelle aziende per la fabbricazione e il deposito separato di esplosivi, polveri e munizioni;
e) nelle aziende industriali con oltre 200 lavoratori;
f) nelle industrie estrattive con oltre 50 lavoratori;
g) nelle strutture di ricovero e cura pubbliche e private con oltre 50 lavoratori.
(...)

Dunque siamo sì di fronte ad una modifica probabilmente rilevante ma che, riguardo perlomeno alla chiarezza e alla sua interpretazione, sconta le difficoltà che si hanno quando si cambia una norma attraverso abrogazioni di articoli e commi.

Per confermare comunque gli obiettivi del Ministero possiamo concludere riprendendo le parole dette ai nostri microfoni da Giuseppe Piegari, del Segretariato Generale del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, all’indomani dell’ approvazione da parte del Consiglio dei Ministri in via definitiva del D.Lgs. 151/15 (approvazione avvenuta il 4 settembre scorso).
In relazione alla modifica dell’articolo 34, il dottor Piegari fa presente che inizialmente “l’articolo prevedeva che i datori di lavoro che intendono svolgere i compiti di prevenzione e protezione dei rischi potevano svolgere anche i compiti di primo soccorso e prevenzione incendi soltanto nelle imprese e unità produttive soltanto fino a 5 lavoratori”. Con la modifica “abbiamo eliminato questo limite. E quindi il datore di lavoro potrà svolgere i anche i compiti di primo soccorso e prevenzione incendi senza il limite dei cinque lavoratori, ma dovrà frequentare gli specifici corsi di formazione”.

Il Decreto Legislativo 14 settembre 2015, n. 151 “Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183” è scaricabile all’indirizzo:

Il documento “Conferenza Permanente per i Rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e di Bolzano - Accordo del 22 febbraio 2012 concernente l’individuazione delle attrezzature di lavoro per le quali è richiesta una specifica abilitazione degli operatori, nonché le modalità per il riconoscimento di tale abilitazione, i soggetti formatori, la durata, gli indirizzi ed i requisiti minimi di validità della formazione, in attuazione dell’articolo 73, comma 5, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modifiche e integrazioni” è scaricabile all’indirizzo:



IL FUMO PASSIVO NEGLI AMBIENTI DI LAVORO

Da: PuntoSicuro
24 novembre 2015

La valutazione del rischio da fumo passivo negli ambienti di lavoro: classificazione e lavoratori a rischio esposizione.

E’ stato stimato che nell’Unione europea circa 7.300 adulti, di cui 2.800 non fumatori, sono deceduti nel 2002 a seguito dell’esposizione al fumo di tabacco presente negli ambienti di lavoro; per i lavoratori del settore della ristorazione che lavoravano in locali in cui era possibile fumare, il rischio di carcinoma polmonare risultava superiore del 50% rispetto ai lavoratori che non erano esposti.

Il fumo passivo è stato classificato come “agente cancerogeno noto per l’uomo” dall’Agenzia per la protezione dell’ambiente degli Stati Uniti nel 1993, dal Dipartimento della sanità e i servizi sociali degli Stati Uniti nel 2000 e dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell’OMS nel 2002. Recentemente, l’Agenzia per la protezione dell’ambiente della California ha classificato il fumo di tabacco un “inquinante tossico dell’aria”.
Inoltre, è stato classificato come agente cancerogeno sul luogo di lavoro dai governi finlandese (2000) e tedesco (2001).
A livello europeo ancora oggi, però, il fumo passivo (assimilabile a una miscela di più sostanze) non è classificato come preparato cancerogeno, in base alla Direttiva sui preparati pericolosi (1999/45/CE), nonostante il Parlamento Europeo abbia invitato nel 2005 la Commissione delle Comunità Europee a presentare una proposta di modifica del quadro legislativo vigente al fine di classificare il fumo ambientale da tabacco come cancerogeno sui luoghi di lavoro.
Nel Libro Verde della Commissione delle Comunità Europee si asserisce che i locali per fumatori chiusi, con impianti di aerazione separati, riducono solo in misura marginale l’inquinamento da fumo ambientale negli esercizi di ristorazione e in altri ambienti interni.

Quindi il solo modo efficace di eliminare i rischi per la salute derivanti dall’esposizione al fumo passivo sarebbe quello di vietare il fumo negli ambienti interni, come affermato dall’OMS e dall’ASHRAE nel 2005 e anche con il documento del 2010. Tra l’altro i locali riservati ai fumatori sono costosi, richiedono una complessa infrastruttura di ispezione e controllo, sono difficilmente realizzabili dai piccoli esercizi e quando sono in funzione spesso non rispondono ai requisiti stabiliti dalla legge, esponendo a sostanze nocive i lavoratori che in essi prestano opera.

Il Datore di Lavoro è tenuto ad assicurare la salubrità degli ambienti di lavoro e a proteggere la salute dei lavoratori prevenendo l’insorgere di patologie da lavoro, quindi la valutazione dei rischi in azienda deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori (articolo 28, comma 1 del D.Lgs.81/08), compresi quelli che non derivano dai soli processi produttivi (in questo caso presenza di fumo di tabacco).
In base all’articolo 15 del D.Lgs.81/08, le misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro, riguardano innanzitutto:
-         l’eliminazione dei rischi e, ove ciò non sia possibile, la loro riduzione al minimo in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico;
-         la riduzione dei rischi alla fonte;
-         la limitazione al minimo del numero dei lavoratori che sono o che possono essere esposti al rischio;
-         la priorità delle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale;
-         l’informazione e formazione adeguate per i lavoratori;
-         l’uso di segnali di avvertimento e di sicurezza.

Il fumo passivo è formato da agenti chimici pericolosi e deve essere incluso nella valutazione dei rischi in base al Titolo IX, Capo I “Protezione da agenti chimici” del D.Lgs.81/08 e in particolare al comma 1, lettera b), punto 3 dell’articolo 222.
Appare evidente la necessità di valutare i rischi per la salute dei lavoratori che potrebbero trovarsi, anche per brevi periodi, a operare nei locali riservati ai fumatori, tenendo conto della capacità di abbattimento dei fumi da parte dei sistemi di ventilazione, del numero di fumatori presenti, della quantità di tabacco fumato, del periodo di esposizione del lavoratore, ecc.

Come agente cancerogeno il fumo passivo ancora non rientra nella classificazione europea delle sostanze cancerogene di categoria 1 e 2 (anche se dal 2002 è stato riconosciuto dalla IARC come cancerogeno certo per l’uomo), quindi l’applicazione del Titolo IX Capo II “Protezione da agenti cancerogeni e mutageni” del citato Decreto risulta non obbligatoria non essendo “il fumo passivo” neppure una sostanza prodotta durante un ciclo lavorativo o un preparato o un processo di cui all’Allegato XLII, o una sostanza o un preparato emessi durante un processo previsto dall’Allegato XLII dello stesso Decreto.

Tuttavia, è da considerare che dal 2008, sulla base della classificazione IARC, il tumore polmonare da esposizione a fumo passivo è stato incluso nella Lista I delle malattie professionali per le quali è obbligatoria la denuncia (malattie la cui origine è di elevata probabilità Gruppo 6: Tumori professionali) e che oggi è ancora incluso nel Decreto Ministeriale 10/06/14 (Approvazione dell’aggiornamento dell’elenco delle malattie per le quali e’ obbligatoria la denuncia).

Quindi il Datore di Lavoro, in modo cautelativo, potrà fare una valutazione mirata e prendere le dovute precauzioni assimilando il fumo passivo a un cancerogeno.
Infine, viste la normativa vigente che impone al Datore di Lavoro di ridurre al minimo l’esposizione ai rischi lavorativi, le evidenze della cancerogenicità del fumo di tabacco, la mancanza di livelli di esposizione sicuri, l’ingente spesa per i locali per fumatori (costruzione e manutenzione) e la politica europea, l’unica soluzione di tutela appare l’adozione di ambienti di lavoro liberi dal fumo al 100%, con il divieto di ingresso dei lavoratori nelle sale per fumatori finché i rischi per la salute non vengano abbattuti o ridotti a livelli irrilevanti per la salute.

Per lavoratori esposti a fumo passivo si intendono coloro che per la propria mansione o per lo svolgimento di un incarico sono costretti a lavorare in ambienti per fumatori a norma del D.P.C.M.23/12/03 dove sono presenti i prodotti della combustione di tabacco fumato da altri.
Un parere interpretativo del Ministero della Salute - Dipartimento della Prevenzione e della Comunicazione riguardo la sua Circolare del 17/12/04 in tema di disposizioni in materia di tutela dal fumo passivo nei luoghi di lavoro (locali chiusi pubblici e privati dove è possibile adibire sale per fumatori e dove possono prestare servizio i lavoratori) indica che “nei locali per fumatori, anche nelle situazioni sopra descritte che vedano la presenza temporanea di lavoratori, non possono in nessun caso essere previste attività che comportino la presenza continuativa di lavoratori, né che obblighino i clienti non fumatori all’accesso al fine di usufruire dei servizi offerti dalla struttura; la presenza di questi lavoratori deve essere temporanea e supportata dalla valutazione di tutti i rischi (in particolare di quello chimico) in base al D.Lgs.81/08, anche se i locali rispondono ai requisiti di legge”.

Il documento INAIL “La gestione del fumo di tabacco in azienda” è scaricabile all’indirizzo:



Nessun commento:

Posta un commento