martedì 1 marzo 2016

1 marzo - SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! “LETTERE DAL FRONTE” DEL 29/02/16 di M. Spezia



INDICE

Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario mfpr.naz@gmail.com
VERSO L’8 MARZO

Muglia la Furia fmuglia@tin.it
LA RABBIA PER LE PAROLE VENUTE DAI VERTICI DELL’ASSESSORATO AL LAVORO ALTOATESINE

SlaiCobas per il Sindacato di classe slaicobasta@gmail.com
“ILVA LA TEMPESTA PERFETTA”: IL LIBRO SULL’ILVA

Clash City Workers cityworkers@gmail.com
LE LACRIME DI CONFINDUSTRIA (E IL SUDORE NOSTRO)

Clash City Workers cityworkers@gmail.com
TORINO: PRESIDIO CONTRO L’ALTERNANZA SCUOLA-LAVORO

L’ISTAT AVVERTE: MINORE ASPETTATIVA DI VITA

Muglia la Furia fmuglia@tin.it

Posta Resistenze posta@resistenze.org
LOTTA PER LA LIMITAZIONE DELLA GIORNATA DI LAVORO

Marco Caldiroli marcocaldiroli@alice.it
ESTREMI NELL’AMBITO DELLA SICUREZZA SUL LAVORO

Riccardo Antonini erreemmea@libero.it
VIAREGGIO: SUL PROCESSO IN CORSO...

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From: Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario mfpr.naz@gmail.com
To:
Sent: Saturday, February 20, 2016 12:54 PM
Subject: VERSO L’8 MARZO

8 MARZO: PERCHE’ UN NUOVO SCIOPERO DELLE DONNE
La condizione delle operaie, delle lavoratrici più sfruttate viene taciuta, non se ne parla, al massimo compare in qualche statistica di inserti dei giornali, o in qualche inchiesta scoop, che resta appunto solo uno scoop (normalmente, devono morire le lavoratrici perchè appaiano sui giornali, o entrino in qualche reportage). Eppure le lavoratrici stanno subendo attacchi come non mai, sono le prime vittime delle politiche del padronato, del Jobs Act del governo Renzi.
Ma non se ne deve parlare. Perchè la loro condizione mette a nudo tutto il sistema di sfruttamento e oppressione, sul luogo di lavoro e fuori, fatto di attacchi alle condizioni di lavoro, discriminazioni, fino ai ricatti sessuali.
Gli stessi sindacati confederali, tacciono o parlano solo quando la condizione delle donne esplode, spesso tragicamente, come le braccianti quest’estate; non organizzano le lotte, anzi le impediscono. La Fiom al massimo esce ogni tanto con qualche utile inchiesta, ma poi frenano le lavoratrici che agiscono, come alla Sata di Melfi, e fa di una questione di dignità, un misero punto di una inutile piattaforma.
MA LE LAVORATRICI NON NE POSSONO PIU’!
Le operaie della Sata di Melfi, come degli altri stabilimenti FCA, sono stanche dopo poche ore di lavoro, esaurite dalla fatica. Nelle brevi pause di 10 minuti devono decidere se andare nei bagni lontani, dove devono sbrigarsi anche nei giorni del ciclo, o mangiare un panino; i turni stressanti, i ritmi e i carichi di lavoro attaccano anche la loro salute riproduttiva; gli ultramoderni sistemi di intensificazione del lavoro di Marchionne (ERGO UAS) portano per le operaie a una condizione da medioevo. Devono poi sentirsi anche offese, umiliate, se chiedono una tuta blu per evitare l’imbarazzo di macchie nel periodo delle mestruazioni. Quando escono sfinite dalla fabbrica, nei giorni di riposo non possono riposarsi, perché a casa ricominciano con le faccende domestiche, i figli, ecc.
Le braccianti dicono: “Ci sentiamo le schiave del terzo millennio”. Sono pagate poco più di venti euro al giorno, per dieci, dodici ore di lavoro, anche quindici nei magazzini; sono a nero o con una busta paga falsa, per un lavoro massacrante, in piedi sotto tendoni dove d’estate si arriva a 50 gradi, respirando prodotti tossici, o piegate per ore e ore. Sono selezionate come schiave dai caporali o dal moderno e “legale” caporalato delle agenzie interinali, per i superprofitti delle grandi aziende; devono lavorare sotto gli occhi di una “kapò” che decide anche quando possono andare a fare pipì, ma dietro un albero; le più giovani subiscono anche i ricatti, molestie, fino alle violenze sessuali di caporali e padroni. E poi, stanno morendo di fatica, come Paola e le altre di quest’estate.
Le lavoratrici delle Coop, sempre sotto la mannaia del licenziamento, con salari sempre più tagliati, che non possono ammalarsi. Ricattate, molestate e costrette a lavorare con ritmi disumani per aziende con milioni di fatturato; sempre rimproverate, minacciate di trasferimento per punizione. Lavoratrici/madri discriminate e lasciate a casa senza paga perché non servono più (colpevoli di avere figli piccoli). Dove le operaie vengono molestate sessualmente e licenziate se si ribellano (come le operaie della cooperativa della logistica Yoox Mr Job di Bologna).
Ci sono le ultraprecarie lavoratrici delle pulizie, dal nord al sud, sempre a rischio licenziamento, da appalti ad appalti sempre più al massimo ribasso, lavorano per misere ore e ancor più miseri salari, troppo spesso neanche pagati
E c’è l’ultimo “anello della catena”, le migranti, le “schiave della monnezza”, come le lavoratrici di Monselice (PD) licenziate dalla coop perché protestano per le condizioni inumane di lavoro. Donne marocchine, piegate otto ore sui rifiuti a caccia della plastica riciclabile. Un business ecologico fondato sullo sfruttamento selvaggio delle donne migranti. E devono sopportare anche insulti razzisti e ricatti brutali.
ECC, ECC, ECC.
Sono solo alcune delle tante realtà simbolo della condizione delle donne lavoratrici, in cui è in atto da parte dei padroni, a volte multinazionali, un “moderno medioevo”, che ogni giorno mostra l’intreccio tra attacchi di classe e attacchi schifosi in quanto donne. Una condizione che non ha respiro, perchè la pesantezza, il ricatto della condizione sui posti di lavoro viene portato in casa e la pesantezza in casa, i problemi della maternità, dei figli, della mancanza di servizi sociali, ecc. pesano come altrettanti macigni sulle condizioni e le stesse possibilità di lavoro per le donne.
Una condizione che il governo Renzi ha peggiorato due volte: con il Jobs Act ha istituzionalizzato la precarietà a vita, il libero licenziamento che per prima colpisce proprio le donne, spesso con la scusa della maternità; poi con la miseria dei bonus, ha scaricato ancora di più sulle donne il peso/mancanza dei servizi sociali.
Ma in alcune delle realtà che abbiamo riportato, vi è anche altro. Vi è la ribellione, a volte lotte, scioperi, proteste delle lavoratrici: dalla battaglia contro le tute bianche a Melfi delle operaie, alla denuncia coraggiosa delle braccianti, alla protesta delle operaie di Bologna contro i licenziamenti e i porci padroni, alla forte lotta delle immigrate.
Ma queste lotte e tante altre delle donne ancora non hanno vinto.
Le lotte delle operaie, delle lavoratrici più sfruttate non escono dall’isolamento, le donne operaie, le lavoratrici non sono unite, autorganizzate in una battaglia nazionale, che deve porre con forza la condizione delle donne, di doppio sfruttamento e di oppressione, che sta in ogni lotta singola ma va oltre le singole lotte, perchè richiede un cambiamento a 360°.
L’ARMA CHE ABBIAMO E DOBBIAMO USARE E’ LO SCIOPERO DELLE DONNE!
La situazione oggettiva mostra con mille fatti che è tempo di dire “Basta”, che è tempo di un nuovo forte sciopero delle donne. Ancora non c’è una altrettanta coscienza soggettiva, ma occorre cominciare.
Questo sciopero delle donne, il secondo dopo quello del 25 novembre del 2013, ha al centro proprio le operaie, le lavoratrici più sfruttate e oppresse. Che tutte le altre donne si uniscano!
In primo luogo le lavoratrici della scuola che hanno fatto grandi lotte e nello sciopero del 2013 furono grandi, scendendo in lotta in 12.000.
Ma sono le lavoratrici delle fabbriche, delle campagne, dei luoghi di lavoro più “neri”, le immigrate schiavizzate quelle che mostrano fino a che punto arriva il moderno medioevo del sistema del capitale che si prende e distrugge tutta la vita, a 360°, e che è il capintesta del maschilismo/sessismo organizzato, istituzionalizzato.
L’8 marzo cominciamo la marcia dello sciopero delle donne. Esso deve continuare anche dopo l’8 marzo, perchè via via diventi grande e si estenda dappertutto. Costruendo insieme, nello sciopero, una rete delle realtà di lavoro delle donne, delle lotte, e una piattaforma dal basso.
L’8 MARZO NON MIMOSE MA SCIOPERO!

Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario

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From: Muglia la Furia fmuglia@tin.it
To:
Sent: Saturday, February 20, 2016 4:51 PM
Subject: LA RABBIA PER LE PAROLE VENUTE DAI VERTICI DELL’ASSESSORATO AL LAVORO ALTOATESINE

COMMOZIONE E SDEGNO PER I DUE INFORTUNI MORTALI SUL LAVORO
Il tema della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro periodicamente appassiona e indigna l’opinione pubblica ogniqualvolta la cronaca registri un infortunio sul lavoro grave o mortale.
Spesso, travolti dall’emozione e dallo sdegno, ci si dimentica di riflettere su ciò che sta dietro lo stesso fenomeno infortunistico, le sue ragioni, gli strumenti della prevenzione, la vigilanza, la formazione ecc.
L’unico dato che spesso interessa mettere in evidenza è quello relativo al numero degli infortuni e ai settori maggiormente coinvolti. Poi, una volta cessato il clamore, ci si dimentica un po’ tutto, almeno fino al prossimo infortunio.
Così è accaduto anche in occasione dei due infortuni mortali registrati alcuni giorni fa e in cui hanno perso la vita due lavoratori: il primo in un magazzino di frutta in Bassa Atesina, l’altro in un cantiere edile in Val Venosta.
Tra i due eventi luttuosi si è tenuta l’annuale conferenza stampa dei vertici dell’Ispettorato del lavoro, l’organismo di vigilanza che fa capo all’assessora provinciale Martha Stocker, in cui sono stati presentati i dati relativi agli infortuni del 2015, numero di ispezioni, violazioni rilevate e relative sanzioni.
Non mi soffermerò sui dati illustrati e commentati un po’ da tutti gli organi di stampa e che, ancora una volta, hanno messo in luce in maniera inequivocabile alcuni elementi di problematicità riguardanti il fenomeno in Alto Adige se messo a confronto con altre regioni e con il vicino Trentino in particolare, sia per quanto riguarda il numero degli infortuni mortali, 15 nel 2015, i settori maggiormente colpiti, 7 in agricoltura, ma anche per il numero di ispezioni effettuate nonché per il numero degli ispettori dell’organismo di vigilanza, la metà di quello operante in trentino.
Come ovvio gran parte delle domande formulate nella conferenza stampa hanno riguardato l’infortunio mortale accaduto il giorno precedente in Bassa Atesina e sono rimasto colpito per come, a sole 24 ore di distanza dall’accaduto, ci si sia buttati a ipotizzare profili di responsabilità. In particolare il fatto che l’impianto fosse stato manomesso e che la vittima pare essere stato il responsabile della sicurezza che avrebbe dovuto essere a conoscenza della manomissione dei dispositivi di sicurezza.
Le responsabilità andranno accertate dalla Procura della Repubblica che ritengo dovrebbe richiamare il direttore della Ripartizione lavoro e la stessa assessora Stocker per le dichiarazioni fatte in conferenza e nei giorni seguenti, per violazione del segreto istruttorio e per la mancanza di rispetto per chi è rimasto vittima di un infortunio mortale e per i suoi familiari.
L’assessora Stocker non si è trattenuta dal farci la solita morale ribadendo che (e qui il virgolettato è dovuto al fatto di aver ripreso il passaggio da quanto pubblicato dal quotidiano Alto Adige): “Spesso sono gli stessi lavoratori a voler fare più in fretta e ciò può causare infortuni più o meno seri. Quello di Termeno, probabilmente, non è un caso isolato. Penso agli operai che lavorano su un’impalcatura e non sempre hanno il casco, le scarpe adatte o preferiscono non essere agganciati”.
Tutto chiaro. Trovata la causa, l’impianto manomesso; trovato il colpevole, il responsabile della sicurezza cioè lo stesso lavoratore morto; analizzato il contesto, quello di ambienti di lavoro in cui sono i lavoratori con i loro comportamenti la principale causa degli infortuni di cui sono le vittime. Non l’organizzazione aziendale, non la mancata valutazione dei rischi, non la mancata formazione dei lavoratori, non il mancato controllo delle procedure aziendali da parte del datore di lavoro e dei dirigenti e, per rimanere nella sfera di competenza dell’assessora Stocker, non per l’insufficiente vigilanza nelle aziende altoatesine, siano esse magazzini di frutta, impianti industriali, officine o cantieri, campi e boschi.
Da tempo denuncio (in verità non da solo) il fatto che l’assessora Stocker sia impegnata, a fianco delle associazioni imprenditoriali altoatesine, quelle che pensano che la prevenzione sia solo inutile burocrazia, a far approvare con norma provinciale una regolamentazione tesa a ridurre la vigilanza a mera consulenza.
Ed è la stessa assessora che ha anticipato l’ipotesi di “depotenziamento” della vigilanza per far sì che le ispezioni interferiscano il meno possibile con l’attività lavorativa e, soprattutto, per stabilire con regolamento provinciale, quali sanzioni comminare a fronte di un elenco di violazioni appositamente individuate. Voi tutti penserete, quelle previste dalle norme di prevenzione. E invece no, il disegno di Legge cosiddetto “omnibus sociale”, di prossima presentazione, recita testualmente: “Con regolamento sono emanate le ipotesi di violazioni amministrative e penali che non danno luogo a danni irreversibili (omissis) per le quali l’irrogazione della sanzione amministrativa e penale è condizionata all’inosservanza, anche parziale, delle prescrizioni”.
Si sta parlando di modificare il sistema penale per l’individuazione e la sanzione delle violazioni delle norme contro gli infortuni sul lavoro (D.Lgs. 81/08 e non solo) che si configurano quali reati (penali) contravvenzionali punibili, nella maggior parte dei casi, con la pena alternativa dell’ammenda e dell’arresto. E sappiamo anche che la materia penale è già oggi sottratta alla competenza concorrente di regioni e province autonome che possono organizzare l’attività di vigilanza, ma non stabilire per quali reati e con quali modalità. Neanche a fronte dell’ipotizzata convenzione tra la Provincia e il Governo della quale pare si stia occupando il presidente Kompatscher.
Questo è quello sul quale saremo chiamati tutti a vigilare (organi di informazione, esponenti politici di maggioranza ed opposizione, associazioni sindacali) per impedire che la filosofia espressa nella norma citata possa avvalorare le affermazioni rilasciate dall’assessora Stocker su ciò che dovrà essere sanzionato e ciò che non dovrà esserlo, con l’introduzione di un sistema ispettivo provinciale “a chiamata” e gli ispettori ridotti a fare da “consulenti” alle imprese. D’altro canto, se la responsabilità degli infortuni è dei lavoratori, perché sanzionare i datori di lavoro?

Franco Mugliari alias Muglia La Furia

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From: SlaiCobas per il Sindacato di classe slaicobasta@gmail.com
To:
Sent: Sunday, February 21, 2016 11:24 AM
Subject: “ILVA LA TEMPESTA PERFETTA”: IL LIBRO SULL’ILVA

Cari compagni e amici,
vorremmo presentare negli spazi cittadini disponibili il nuovo libro sull’ILVA realizzato a Taranto.
Lo vorremmo fare nella settimana 14-21 marzo o 10-17 aprile, dato che dei compagni di Taranto hanno analoghe presentazioni in varie città italiane.
A seguire la presentazione del libro.
In attesa, un saluto militante.

Info per libro
SlaiCobas per il Sindacato di classe
cellulare: 347 11 02 638

* * * * *

Certo sono usciti tanti libri sull’ILVA, alcuni utili altri meno. Ma quasi tutti partono da analisi sbagliate sul sistema del capitale, sull’industria e da una incomprensione di fondo che potremmo sintetizzare nella frase: “Nocivo è il capitale non la fabbrica”.
Il libro “ILVA la tempesta perfetta” vuole “riequilibrare” il punto di vista, affermando una visione scientifica e dal punto di vista della classe operaia. Attraverso il racconto dei due anni “caldi” (2013/2013) vuole riportare come realmente è andata e di cosa si tratta e deve trattarsi all’ILVA: una “guerra di classe” in cui si scontrano due opzioni, quella del potere capitalista e quella della classe proletaria e delle masse popolari.
E’ un libro di fatti, in cui le opinioni sono legati ai fatti, ai settori sociali che li esprimono. Il libro attraverso il racconto dei fatti vuole mostrare la lotta, particolarmente chiara in quei due anni, tra concezioni materialistico storico dialettiche e concezioni idealiste. Ma questo libro vuole rivalutare anche ciò che è accaduto a Taranto, contro tutte le visioni lamentose, populiste, di una città e dei suoi abitanti schiacciati e “morenti”.
A Taranto in realtà vi è stata una rivolta, prima di tutto degli operai, una sorta di “biennio rosso” da tutti negato e subito dimenticato. Certo, una rivolta non limpida, a volte ambigua soprattutto all’inizio, ma è stata una rivolta, in cui anche tutti si sono schierati: nel male (il libro l’abbiamo intitolato “La tempesta perfetta” per dire che tutti hanno contribuito a devastare uomini e cose) e nel bene, mostrando quello che può essere la lotta di classe nel nostro paese.
Una rivolta che purtroppo finora ha perso; ha mostrato le sue potenzialità, ma il loro sviluppo è mancato. Ma l’ILVA e Taranto sono il centro di una contraddizione epocale, mostrano dove arriva in termine di distruzione il sistema del capitale.
Per questo Taranto è importante, e non è una realtà su cui solo denunciare e “piangere”, ma una realtà da capire subito e ricominciare.
E il libro vuole dare un contributo a questo.

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From: Clash City Workers cityworkers@gmail.com
To:
Sent: Sunday, February 21, 2016 10:36 PM
Subject: LE LACRIME DI CONFINDUSTRIA (E IL SUDORE NOSTRO)

Forse qualcuno si ricorda la boutade di quest’autunno del presidente di Confindustria Squinzi, secondo il quale le richieste dei sindacati alla vigilia del rinnovo dei contratti collettivi nazionali erano inaccettabili, dato che chiedevano aumenti delle retribuzioni “insostenibili” e addirittura “fuori dalla realtà”. Un attacco frontale alla contrattazione nazionale, dato che in realtà i nostri timidi sindacati chiedevano i soliti minimi aumenti salariali che si prevedono a ogni rinnovo dei CCNL, appena sufficienti a star dietro all’aumento del costo della vita, dei servizi, a quello che tutti noi chiamiamo “arrivare a fine mese”.
Sappiamo poi com’è andata a finire: i sindacati confederali hanno facilmente ceduto alle richieste degli imprenditori in quasi tutti i casi, e quest’ultimi sono riusciti addirittura a ottenere soldi indietro dai lavoratori del settore della chimica e sono in procinto di fare altrettanto con i metalmeccanici.
Dietro le considerazioni di Squinzi c’era una famigerata nota del centro studi di Confindustria:
In tale nota si sosteneva che “La quota del valore aggiunto che va al lavoro è ai massimi storici”. Tradotto: quella parte della ricchezza prodotta in un anno nel paese, che finisce in tasca ai lavoratori è alta come mai lo è stata prima. Potrà sembrare molto strano a chi abbia la sfortuna di lavorare in questo paese, ma secondo Confindustria al lavoro dipendente va una quota di PIL che supera “il picco di metà anni Settanta, quando il sindacato dei lavoratori era all’apice del potere rivendicativo”. Per questo i sindacati dovrebbero smettere con le loro anacronistiche pretese!
A noi i conti non tornavano e allora ci siamo messi a rivedere un po’ di numeri (e a vedere tra di essi), aiutando nei calcoli la professoressa di economia Antonella Stirati, che si è spesso occupata di distribuzione “funzionale” del reddito (cioè la quota di reddito che spetta ai diversi “fattori” della produzione: capitale e lavoro, che diventano profitti e salari) e che è tornata sull’argomento rispondendo a Confindustria. Beh, quello che ne esce è un quadro molto diverso da quello dipinto dall’associazione datoriale e purtroppo conforme non solo all’esperienza comune di tanti lavoratori, ma anche alla arcinota crescita delle diseguaglianze a cui abbiamo assistito negli ultimi trent’anni: si rivelano, infatti, tre decenni di abbassamento della quota dei salari sul PIL. Un dato che poi andrebbe probabilmente ulteriormente corretto al ribasso visto che la quota del lavoro include anche i salari dei manager che nello stesso periodo sono aumentati, accaparrandosi percentuali sempre più alte di ricchezza.
Da dove spuntino i dati di Confindustria è poi un mistero e rimandiamo all’articolo della Stirati pubblicato su Economia e Politica per le note più tecniche:
Quello che è certo è quello che pretendono i padroni: tornare a guadagnare abbastanza perché siano stimolati a fare gli investimenti di cui “il paese ha bisogno”, ottenendo le stesse condizioni dei loro equivalenti degli altri paesi “concorrenti”, che a detta loro sanno sfruttare maggiormente i propri dipendenti. Secondo Confindustria, infatti, “l’andamento delle quote distributive in Italia risulta in controtendenza rispetto all’Eurozona e, in particolare, ad alcuni grandi paesi competitor”.
E quindi via con le solite richieste: dopo aver strappato la possibilità di licenziare quando gli pare con il Jobs Act, ora vogliono un “sistema di istruzione maggiormente integrato col sistema produttivo”, cioè manodopera gratis che gli viene direttamente dalle scuole, come prevede l’alternanza scuola-lavoro. E poi una “dinamica salariale correlata a quella della produttività”, cioè lo svuotamento della contrattazione nazionale a cui stiamo tristemente assistendo. E infine (perché no?) “rimuovere le restrizioni alla concorrenza nei servizi” che non significa altro che privatizzazioni.
Insomma ai padroni non basta veramente mai. E chiaramente le loro pretese si ammantano della solita retorica sulla “crescita del sistema paese”, che come sempre è crescita innanzitutto dei loro profitti, alle cui sorti saremmo noi tutti subordinati da bravi lavoratori dipendenti.
Ma con “l’uscita dalla crisi” in realtà tutto questo c’entra poco. O meglio c’entra con l’uscita dalla crisi per loro: come si può vedere dai grafici dell’articolo, effettivamente la quota dei salari sul PIL è aumentata molto negli ultimi anni della crisi. Cioè, i profitti sono calati. Attenzione: questo non perché i lavoratori abbiano guadagnato di più, anzi. Come si Legge nel rapporto annuale dell’ISTAT 2015 sulla situazione del paese (pagine 155-158), dal 2007 al 2014 le retribuzioni reali sono calate del 1,5% in agricoltura e del 4,2% nei servizi. Se nella manifattura sono invece cresciute ben del 8,4%, questo secondo l’ISTAT è perché “giocano un ruolo preponderante la maggiore contrazione delle posizioni lavorative a qualifiche più basse e anzianità minore”, cioè il fatto che con la crisi sono stati licenziati principalmente i lavoratori giovani e/o scarsamente qualificati, facendo crescere artificiosamente la media delle retribuzioni:
Dicevamo quindi che i profitti sono calati e che questo non c’entra con le retribuzioni. C’entra innanzitutto col fatto che, se la crisi ha un immediato impatto negativo sui guadagni delle imprese, a queste non risulta ancora così facile licenziare istantaneamente i propri dipendenti e tagliare gli stipendi quanto vorrebbero, così da scaricare su di loro i costi della crisi; anche perché in alcuni casi dette imprese perderebbero della manodopera faticosamente formata.
Così come il calo della produttività si può spiegare col fatto che la recessione dissuade le imprese a compiere quegli investimenti necessari ad aumentarla. E infatti, come rivelano le elaborazioni di Stefano Perri sui dati Eurostat-AMECO, dal 2007 al 2014 lo stock di capitale fisso lordo è diminuito mediamente del 3,93% l’anno, mentre quello netto è cresciuto di un misero 0,43%:
Per questo il fatto che la quota dei salari sul PIL cresca durante le crisi, cioè sia “anticiclica”, non stupisce. Così come non deve stupire che di converso, quindi, calino i profitti.
I padroni vogliono però uscire dalla crisi (dalla loro crisi!) e tornare a fare bei guadagni. Dopo aver smesso di investire pretendono adesso un prezzo della manodopera adeguato al calo della produttività, cioè vogliono bassi salari e totale flessibilità da parte dei lavoratori. A costo, paradossalmente, di aggravarla, la crisi. Dopo anni di politiche di austerità e di una mai raggiunta “luce in fondo al tunnel”, dovremmo, infatti, ancora credere che tutto questo serva al bene comune? Ancora dovremmo dar credito alla retorica dei “sacrifici necessari”? Se è vero che nel capitalismo crescita significa sfruttamento, e più si sfrutta più si fanno profitti, è anche vero che la miseria che dilaga tra le masse restringe il mercato in cui realizzarli questi benedetti profitti. Si tratta di una delle tante vecchie e ben note contraddizioni di un sistema che non produce beni per soddisfare i bisogni delle persone, ma merci che gli permettano di valorizzarsi indefinitamente.
E allora queste richieste avanzate da Confindustria, fedelmente eseguite dal governo Renzi, non rappresentano altro che il tentativo dei padroni di guadagnare il più possibile da questa situazione, costi quello che costi ai lavoratori, al “paese” e ai concorrenti che non ce la faranno.
Esprimono anche la loro capacità di far valere le proprie priorità sull’agenda politica approfittando della confusione e dello scoraggiamento che regna tra le classi popolari, costrette dalla crisi a una concorrenza al ribasso che assume sempre più i tratti di una guerra tra poveri. E’ in questo modo che i padroni riescono a trasformare ogni loro fallimento in un nuovo ricatto che possa giustificare ulteriori sacrifici (i nostri) a loro esclusivissimo vantaggio. E’ una spirale perversa, ma anche piena di contraddizioni. E soprattutto contraria all’interesse di milioni di persone. È a queste ultime che ci dobbiamo rivolgere per interromperla.

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From: Clash City Workers cityworkers@gmail.com
To:
Sent: Sunday, February 21, 2016 10:36 PM
Subject: TORINO: PRESIDIO CONTRO L’ALTERNANZA SCUOLA-LAVORO

Al termine di un’assemblea tenutasi giovedì scorso alla Cavallerizza Occupata il “Coordinamento contro la Buona Scuola Torino” ha deciso di organizzare un presidio per il 22 febbraio in concomitanza con la manifestazione di Milano in cui studenti e insegnanti contesteranno la presenza del ministro dell’istruzione Giannini al convegno promosso da Assolombarda Confindustria Milano Monza e Brianza insieme all’Università Statale ed all’ufficio Scolastico Regionale dal sinistro titolo: “Sapere e fare: insieme è possibile”. Un incontro, quello tra l’associazione padronale Confidustria e il ministro dell’istruzione, che conferma quanto diciamo da tempo: la riforma della “Buona Scuola”, fortemente voluta da Renzi, è stata completamente ispirata dai padroni che vogliono definitivamente piegare l’intero mondo della formazione ai propri fini.
Il coordinamento torinese, partecipato da studenti e insegnanti, ha deciso di organizzare questo presidio informativo per mettere in luce in modo particolare un aspetto della riforma spesso trascurato, ma a nostro avviso assolutamente centrale nell’impianto pratico e ideologico della riforma: l’alternanza scuola-lavoro, un fenomeno che abbiamo diffusamente già analizzato:
Di seguito riportiamo il comunicato del “Coordinamento contro la Buona Scuola Torino”.

PRESIDIO CONTRO LA BUONA SCUOLA E ALTERNANZA SCUOLA-LAVORO
Lunedi 22 Febbraio, l’Unione Industriale di Torino e l’Ufficio Scolastico Regionale per il Piemonte, hanno organizzato un Congresso, che ha come tema la “piena dignità formativa al lavoro” riconosciuta dalla Legge 107/15 “La Buona Scuola”.
La tavola rotonda era formata dal Presidente dell’Unione Industriale di Torino, dal Vice Presidente di Confindustria e Presidente di Unioncamere, dal Presidente IREN, e dal Presidente della Camera di commercio di Torino.
L’invito e’ stato rivolto ai Dirigenti Scolastici e agli insegnanti che si occupano di Alternanza Scuola/Lavoro, al fine di sottoscrivere un Protocollo d’Intesa, così come specificato: “L’Unione Industriale di Torino, da sempre attiva in questa direzione, e l’Ufficio Scolastico Regionale per il Piemonte, da sempre aperto al mondo del lavoro, hanno ritenuto fondamentale definire un Protocollo d’Intesa per la collaborazione tra Scuole e Imprese del territorio, concordando obiettivi, iniziative, strumenti e metodi di lavoro comuni”.
Nello stesso giorno, il Ministro dell’Istruzione Giannini era a Milano per partecipare a un Convegno promosso da Assolombarda, “Confindustria Milano, Monza e Brianza”, insieme all’Università Statale ed all’Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia, dal nome: “Sapere e fare: insieme è possibile”.
E’ chiaro ed evidente che Confindustria, attraverso l’Alternanza Scuola/Lavoro e con il lasciapassare degli Uffici Scolastici Regionali, sta entrando nelle nostre scuole pubbliche per “adeguare la funzione educativa all’etica del lavoro e delle Imprese” (citazione dal Convegno del 13 ottobre 2015 dedicato all’istruzione, in cui Confindustria ha indicato gli obiettivi della riforma scolastica, approvata in luglio 2015).
Il Governo, in ossequio alle richieste di Confindustria (sindacato dei grandi imprenditori italiani), concederà incentivi e sgravi fiscali alle imprese che ospiteranno gli studenti, mentre la disoccupazione giovanile continua ad aumentare per effetto dell’altrettanto nefasto Jobs Act. Sono stati stanziati 100 milioni di euro per dare copertura finanziaria alle imprese che offrono gli stage: quei soldi devono essere invece destinati agli istituti scolastici per l’arricchimento di percorsi didattici culturali di qualità.
Questo stesso Governo è artefice di un becero e pericoloso modello di sperimentazione di lavoro gratuito, attraverso il quale 18.500 studenti di tutta Italia hanno lavorato gratuitamente per Expo 2015.
L’Alternanza Scuola/Lavoro, così come proposta, sarà solamente la seconda sperimentazione di sfruttamento gratuito del lavoro giovanile e un addestramento alla precarietà, in nome del profitto dei padroni, oltre che l’ulteriore dequalificazione della scuola pubblica e del suo mandato culturale.
Studenti e lavoratori della scuola diciamo a gran voce il nostro no all’Alternanza Scuola/Sfruttamento e chiediamo che gli stage:
-         non siano obbligatori, tanto da pregiudicare l’ammissione all’esame finale di Stato, ma piuttosto venga data agli studenti la libertà di scelta;
-         vengano retribuiti

Assemblea studenti e lavoratori della scuola di Torino contro la Legge 107/15 e il Jobs Act

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From: Aldo Arpe arpe_aldo@yahoo.it
To:
Sent: Monday, February 22, 2016 11:44 PM
Subject: L’ISTAT AVVERTE: MINORE ASPETTATIVA DI VITA

Claudio Conti
Da Contropiano

Abbiamo passato il punto di non ritorno? Vogliamo dire: il declino del “sistema paese” è già arrivato a sorpassare quel livello oltre cui non è più possibile riprendere in mano il proprio destino?
Noi speriamo di no, naturalmente. Ma non c’è un solo dato statistico che ci supporti minimamente in questo senso.
Prendiamo i dati ISTAT, pubblicati oggi, sulla popolazione alla fine del 2015. “Al 1° gennaio 2016 la popolazione in Italia è di 60 milioni 656 mila residenti (-139 mila unità). Gli stranieri sono 5 milioni 54 mila e rappresentano l’8,3% della popolazione totale (+39 mila unità). La popolazione di cittadinanza italiana scende a 55,6 milioni, conseguendo una perdita di 179 mila residenti”. La “invasione” dei migranti non esiste e non riesce neanche a compensare la diminuzione netta di popolazione autoctona. Significa che l’Italia non è un traguardo attraente neanche per chi viene dalla guerra o dalla fame. Con buona pace di Salvini e di tutti gli idioti che si nutrono a quella fonte di cazzate.
Buonismo sinistrese? Non è quello che ci anima. Il secondo dato conferma (con numeri appena un po’ inferiori a quelli stimati tre mesi fa) una tendenza drammatica. Secondo l’ISTAT:
“I morti sono stati 653 mila nel 2015 (+54 mila). Il tasso di mortalità, pari al 10,7 per mille, è il più alto tra quelli misurati dal secondo dopoguerra in poi. L’aumento di mortalità risulta concentrato nelle classi di età molto anziane (75-95 anni). Il picco è in parte dovuto a effetti strutturali connessi all’invecchiamento e in parte al posticipo delle morti non avvenute nel biennio 2013-2014, più favorevole per la sopravvivenza”.
All’ISTAT devono usare, obbligatoriamente, un profilo scientifico e un linguaggio asettico. Ne va della credibilità dell’istituto. Ma questo aumento della mortalità tra gli anziani (già monitorato attentamente qualche mese fa) ”è il più alto tra quelli misurati dal secondo dopoguerra in poi”. La traduzione è semplice: è dal 1943, mentre la guerra infuriava su questo territorio, i soldati spediti su fronti lontani morivano come mosche e la popolazione rimasta sopravviveva tra resistenza, bombardamenti e rappresaglie, che non si vedeva una moria simile. Effettivamente, i due anni precedenti erano stati “più favorevoli per la sopravvivenza”.
Da cosa dipenda questa mortalità esplosiva non è dato sapere, in attesa di dati disaggregati. Ma è inevitabile pensare ai tagli alla sanità pubblica, che hanno “persuaso” molti anziani a curarsi di meno, saltare alcuni cicli di cure, evitare una serie di analisi (dal ticket costoso) col risultato di trovarsi un “clima meno favorevole alla sopravvivenza”.
Bene, si potrebbe pensare con un pelo di cinismo orripilante. Qualche vecchio in meno significa più spazio per i giovani, afflitti da una disoccupazione al 40% e bloccati in attesa di entrare stabilmente nel novero delle “forze di lavoro”.
Purtroppo non è che i giovani ci guadagnino alcunché, da una situazione del genere. Dice infatti l’ISTAT: “Nel 2015 le nascite sono state 488 mila (-15 mila), nuovo minimo storico dall’Unità d’Italia. Il 2015 è il quinto anno consecutivo di riduzione della fecondità, giunta a 1,35 figli per donna. L’età media delle madri al parto sale a 31,6 anni”.
Vi serve ancora una traduzione? Eccola: Dal 1860 (anno di partenza dell’Italia unitaria) non ci sono mai stati così pochi neonati. Da allora ad oggi, però, la popolazione è addirittura raddoppiata, se non qualcosa di più. In teoria, la natalità (anche considerando il drastico cambiamento nelle abitudini sociali) dovrebbe essere ben oltre quei livelli. Peccato che i giovani in età giusta per fare figli (tra i 20 e i 45 anni, diciamo) sono un tantinello penalizzati sul piano reddituale. Sono precari, quando va bene, o addirittura disoccupati. Con salari reali oscillanti, quando va bene, tra i 400 e i 1.000 euro al mese. Anche volendo farlo, un figlio, non se lo possono permettere. Al contrario di 150 anni fa, infatti, oggi farne crescere uno è quasi un lusso.
Dunque, come sottolineerebbe subito il contestatissimo presidente dell’INPS, Tito Boeri, c’è un “grande problema demografico”, perché gli over 65 “sono 13,4 milioni, il 22% del totale”. Il che porta la platea delle “forze in età da lavoro”, tra i 15 ai 64 anni, a un altro minimo storico, sia in totale (39 milioni, il 64,3% del totale), sia nella parte che ancora non può essere considerata tale (fino a 14 anni di età: 8,3 milioni, il 13,7%).
Questo è insomma un paese dove si muore molto di più e si nasce sempre di meno. Vi serve un pallottoliere per vedere dove andrà a finire?
Ma come sempre la notizia vera, il veleno statistico, sta nella coda: “Diminuisce la speranza di vita alla nascita. Per gli uomini si attesta a 80,1 anni (da 80,3 del 2014), per le donne a 84,7 anni (da 85)”. L’avevano scritto poco tempo fa: le politiche di austerità hanno un codice genocida. L’ordine che spira dalla Troika, realizzato con convinzione da tutti i governi degli ultimi 25 anni, è sempre stato “dovete morire prima”. Il che distrugge anche, di conseguenza, l’argomento principale con cui si sostiene ancora la necessità di alzare l’età pensionabile per raccordarla alle “aspettative di vita”. Problemi seri, quando bisognerà procedere al ricalcolo periodico...
Ora l’ISTAT registra che l’ordine è stato eseguito. Scende la speranza di vita, diminuisce la popolazione, fuggono i giovani. Se non ci sbrighiamo a rovesciare il tavolo e “licenziare” integralmente l’attuale classe dirigente (non solo “i politici”, ma soprattutto il funzionariato “europeista”, l’imprenditoria nazionale, il personale lecchinesco che popola i media di regime) rischiamo seriamente di trovarci al di là di ogni possibile tentativo di “resurrezione”.

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From: Muglia la Furia fmuglia@tin.it
To:
Sent: Wednesday, February 24, 2016 4:41 PM

Oggi il prodotto in gara per essere dichiarato il peggiore del 2016 è sicuramente il Decreto Legge 30 dicembre 2015, n. 210, la cui conversione in Legge è già stata approvata alla Camera e che nel giro di 10 giorni dovrà essere approvato al Senato a pena di decadenza.
PRODOTTO: PROROGA PROGATA
Sto parlando del Disegno di Legge presentato dal Presidente del Consiglio dei ministri (Renzi) di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze (Padoan) approvato dalla Camera dei Deputati il 10 febbraio 2016, trasmesso dal Presidente della Camera dei Deputati alla Presidenza l’11 febbraio 2016: “Conversione in Legge, con modificazioni, del Decreto Legge 30/12/2015, n. 210, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative”
Tra le proroghe più significative vi è certamente quella, denunciata da Marco Bazzoni, che riguarda l’adeguamento antincendio nelle strutture alberghiere con oltre 25 letti e che ha spinto il nostro intraprendente RLS toscano a denunciare alla Commissione Europea l’ennesima violazione delle direttive 89/391/CE e 89/654/CE al fine di aprire una procedura di infrazione contro l’Italia per un’inadempienza che dura da ben 22 anni (in pratica dall’entrata in vigore del D.Lgs. 626/94).
La parte proposta in gara per il peggior prodotto del 2016 è presto detta. Basta Leggere l’impressionante sequenza di date.
Per un approfondimento della questione sotto il profilo tecnico-giuridico, rinvio all’articolo scritto da Marco Bazzoni sul sito di “Articolo 21” all’indirizzo: 
che riporta per intero la lettera inviata alla Commissione Europea e le motivazioni per la richiesta di avvio della procedura di infrazione. 
L’articolo è riportato per intero anche in calce a questo post.
Aggiungo solo che tra le “proroghe prorogate” troviamo quella relativa alla revisione delle macchine agricole (al 30 giugno 2016). Idem per quanto riguarda la Legge sulla bonifica degli ordigni bellici inesplosi. 
Sulla revisione delle macchine agricole (scadenze e adempimenti) vi consiglio il post di Luca Badonni che potete Leggere all’indirizzo:
che vi aiuterà a prepararvi per la scadenza del 3° giugno 2016, sempreché...
ULTIMISSIMA: l’approvazione del Disegno di Legge al Senato è prevista stasera con voto di fiducia...tanto per aumentare le probabilità di vittoria nel concorso. 
Ma per sapere di che si tratta vedi:

Franco Mugliari alias Muglia La Furia

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ENNESIMA PROROGA ADEGUAMENTO ANTINCENDIO PER LE STRUTTURE ALBERGHIERE
 E NESSUNO NE PARLA

Spett.le Segretatariato Generale della Commissione Europea,
una lunga serie di proroghe si sono susseguite a partire dal 1994 per quanto riguarda l’adeguamento antincendio per le strutture ricettive turistico-alberghiere alla data del 9 Aprile 1994 con oltre 25 posti letto. Cercando di sintetizzare, ma senza essere probabilmente esaustivi, queste sono le proroghe che si sono succedute nel tempo:
-         la Legge 463/01 ha spostato la proroga dal 31/12/01 al 31/12/05;
-         il Decreto Legge 300/06 al 30/04/07;
-         la sua Legge di conversione (17/07) al 31/12/07;
-         il Decreto Legge 97/08 al 30/06/08;
-         la sua Legge di conversione (129/08) al 30/06/08;
-         il Decreto Legge 78/09, convertito dalla Legge 102/09, al 31/12/10;
-         il Decreto Legge 225/2010 al 31/03/11,
-         la sua Legge di conversione (10/11) al 31/03/11;
-         il Decreto delò Presidente del Consiglio dei Ministri del 25/03/11 al 31/12/11;
-         il Decreto Legge 216/11 al 31/12/12;
-         la sua Legge di conversione (14/12) al 31/12/12;
-         il Decreto Legge 150/2013 al 31/12/14;
-         la sua Legge di conversione (15/14) al 31/12/14;
-         il Decreto Legge 192/14 al 30/04/15;
-         la sua Legge di conversione (11/15) al 31/10/15.
Questa successione sta a significare una volontà da parte del legislatore italiano di procrastinare all’infinito l’applicabilità delle disposizioni antincendio per le strutture ricettive turistico-alberghiere con più di 25 posti letto.
Il termine prorogato si riferisce alla gran parte delle disposizioni dell’Allegato al Decreto Ministeriale del 9 aprile 1994, che costituisce la summenzionata “Regola tecnica di prevenzione incendi”, e in particolare a quanto previsto nei punti b) e c) dell’articolo 21 dell’Allegato stesso, che qui si riporta (si veda l’articolo 3bis del Legge 411/01):
“Articolo 21 – Altre disposizioni
21.2 Disposizioni transitorie
Le attività ricettive esistenti devono adeguarsi alle disposizioni del presente Decreto, a decorrere dall’entrata in vigore dello stesso, entro i seguenti termini:
a) due anni per quanto riguarda le disposizioni gestionali di cui ai punti 14, 15 e 16;
b) al 31 dicembre 1999 [cinque anni] per quanto riguarda l’adeguamento alle restanti prescrizioni, con esclusione di quanto previsto alla successiva lettera c);
c) otto anni per l’adeguamento, all’interno delle camere per ospiti, dei materiali di rivestimento, dei tendaggi e dei materassi a quanto previsto dal punto 19.2. 
Entro un anno dall’entrata in vigore del Decreto dovrà essere presentato ai Comandi provinciali dei Vigili del Fuoco, un piano programmato degli eventuali lavori di adeguamento a firma del responsabile dell’attività”.
Il Disegno di Legge 2237 (conversione in Legge del Decreto Legge 210/15, “Decreto Milleproroghe 2016”), approvato dalla Camera dei Deputati il 10 Febbraio 2016 ha inserito all’articolo 4, comma 2, un nuovo comma, cioè il 2-bis, che dice:
“All’articolo 11, comma 1, del Decreto Legge 30 dicembre 2013, n. 150, convertito, con modificazioni, dalla Legge 27 febbraio 2014, n. 15, le parole: 31 ottobre 2015 sono sostituite dalle seguenti: 31 dicembre 2016”
Il Governo ha messo la fiducia su tale Disegno di Legge di conversione in Legge del Decreto Legge 210/15, quindi, questa modifica diverrà Legge tra meno di una settimana e gli alberghi per il 22esimo anno di fila, avranno, nuovamente, la proroga dell’adeguamento antincendio: una vergogna tutta italiana.
Io ancora mi domando e sono anni che lo faccio, quanto ancora, la Commissione Europea possa essere paziente e sopportare questa ennesima presa in giro del Governo Italiano e una grave violazione della sicurezza sul lavoro.
Cosa aspettate ancora ad aprire una procedura d’infrazione contro l’Italia per questa violazione?
Il Decreto Ministeriale del 9 aprile 1994, al Titolo II ”Disposizioni relative alle attività
ricettive con capacità superiore a venticinque posti letto” 
contiene norme su l’ubicazione, le caratteristiche costruttive, misure per l’evacuazione in caso di emergenza, aree e impianti a rischio specifico, impianti elettrici, sistemi di allarme, mezzi e impianti di estinzione degli incendi, impianti di rilevazione e segnalazione degli incendi, segnaletica di sicurezza, gestione della sicurezza, addestramento del personale, registro dei controlli e istruzioni di sicurezza. Tutte queste norme non sono ancora in vigore in Italia a causa delle numerose proroghe.
Questa serie di proroghe, insieme all’ultima introdotta dal Decreto Legge 210/15 implicando una mancata applicazione di un numero consistente di norme antincendio, è in contrasto con la normativa dell’UE ed in particolare con la Direttiva 89/391/CE, che prevede che vi sia un obbligo generale per il datore di lavoro di garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori in tutti gli aspetti connessi con il lavoro (si veda l’articolo 5, comma 1).
La Direttiva 89/391/CE stabilisce, in particolare all’articolo 8, rubricato “Pronto soccorso, lotta antincendio, evacuazione dei lavoratori e pericolo grave e immediato” ai commi 1 e 2 che:
“1. Il datore di lavoro deve:
prendere, in materia di pronto soccorso, di lotta antincendio e di evacuazione dei lavoratori, le misure necessarie, adeguate alla natura delle attività e alle dimensioni dell’impresa e/o dello stabilimento, tenendo conto di altre persone presenti e organizzare i necessari rapporti con servizi esterni, in particolare in materia di pronto soccorso, di assistenza medica di emergenza, di salvataggio e di lotta antincendio.
2. In applicazione del paragrafo 1, il datore di lavoro deve in particolare designare per il pronto soccorso, per la lotta antincendio e per l’evacuazione dei lavoratori, i lavoratori incaricati di applicare queste misure. Questi lavoratori devono essere formati, essere in numero sufficiente e disporre di attrezzatura adeguata, tenendo conto delle dimensioni e/o dei rischi specifici dell’impresa e/o dello stabilimento”.
Inoltre, la Direttiva 89/654/CE del 30 novembre 1989, relativa alle prescrizioni minime di sicurezza e di salute per i luoghi di lavoro, prevede norme antincendio sia per quanto riguarda gli impianti elettrici e i dispositivi di rivelazione e lotta antincendio, sia riguardo ai luoghi di lavoro utilizzati per la prima volta successivamente al 31 dicembre 1992 (articoli 3 e 5 dell’Allegato I) sia quelli utilizzati per la prima volta in una data successiva (articoli 3 e 5 dell’Allegato II).
Qui c’è una violazione evidente sia della Direttiva europea 89/391/CE, che della Direttiva europea 89/654/CE.
Chiedo quindi a codesta Commissione Europea, di protocollare quanto prima questa mia denuncia e di aprire quanto prima una procedura d’infrazione contro l’Italia, che è inadempiente da ben 22 anni. Quanto ancora la Commissione Europea vuole sopportare tutto ciò?
Il Governo Italiano in tutti questi anni ha assunto un atteggiamento di sfida verso Bruxelles, facendovi credere che c’era un adeguamento biennale, qui a me sembra che c’è piuttosto una proroga annuale, che è il segno evidente di una cosa: molti alberghi italiani non sono a norma con la normativa antincendio, come previsto dalle Direttive europee 89/391/CE e 89/654/CE.

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From: Posta Resistenze posta@resistenze.org
To:
Sent: Thursday, February 25, 2016 12:52 AM
Subject: LOTTA PER LA LIMITAZIONE DELLA GIORNATA DI LAVORO

Nel 1866 la Prima internazionale, al Congresso di Ginevra, stabilì la rivendicazione delle 8 ore di lavoro quotidiane. Il Congresso operaio americano, che si svolse nello stesso anno, avanzò una richiesta identica.
Una richiesta pienamente attuale. Più che attuale, permanente: un nodo centrale nella lotta di classe, sempre sotto il fuoco, sempre nella necessità di essere sostenuto e difeso.
L’incredibile sviluppo delle forze produttive e dei mezzi di produzione in questi 150 anni giustifica non solo una radicale riduzione dell’orario di lavoro (quotidiano e nel limite delle 35 ore settimanali), ma anche condizioni di produzione in grado di liberare l’umanità da ogni costrizione economica e mancanza di benessere.
Ma quanto sta accadendo va nel verso opposto e l’impoverimento dei lavoratori è ovunque accompagnato dallo sfruttamento intensivo del lavoro. Solo per citare il nostro Paese, secondo i dati OCSE, ogni lavoratore ha lavorato in Portogallo 1.857 ore nel 2014, contro le 1.849 del 2012 (in Italia, 1.734 nel 2014 e 1.733 nel 2013).
La limitazione dell’orario di lavoro è presente in ogni svolta storica. E ad ogni contraccolpo reazionario essa è uno dei primi obiettivi da distruggere. Per intensificare lo sfruttamento, senza dubbio. Ma più ancora per indebolire la forza dei lavoratori, per ritardare, interrompere e bloccare la loro consapevolezza e organizzazione di classe. Ciascuna delle “tre otto” storiche (otto ore di lavoro, otto ore di riposo, otto ore di tempo libero) è una minaccia per il capitale, la cui offensiva si concentra sia sul tempo di lavoro che su quello restante.
Disarticolando gli orari in modo arbitrario e anarchico, “flessibilizzando” le mansioni, intromettendo le imprese nel tempo libero, promuovendo e massificando il consumo dei mezzi d’informazione e di intrattenimento ideologicamente formattati. Ampliando ai rapporti sociali generali l’alienazione del processo di produzione.
La lotta per la riduzione delle ore di lavoro è la lotta dei lavoratori per il loro tempo. Il tempo dello studio, della conoscenza, della cultura, dell’organizzazione. Della comprensione del movimento della storia e del proprio inserirsi in esso. Otto ore creano tutta la ricchezza. Le altre 8 + 8 creeranno le condizioni perché essa sia equamente distribuita.

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From: Marco Caldiroli marcocaldiroli@alice.it
To:
Sent: Thursday, February 25, 2016 9:41 AM
Subject: ESTREMI NELL’AMBITO DELLA SICUREZZA SUL LAVORO

Le condizioni di lavoro rimangono schifose per la maggioranza, ma la tecnologia evolve...
Saluti
Marco Caldiroli

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VIBRA SULLA PELLE E TI SALVA LA VITA È L’SMS PER CHI LAVORA IN CANTIERE
Gilet, magliette e scarpe di nuova generazione, prototipi sensibili agli umori della pelle e ai vapori ambientali. Una tecnologia integrata collegata a una centrale intelligente, studiata per la sicurezza dei lavoratori in raffineria
La tecnologia evolve rapidamente e chi lavora in azienda lo sa bene: piccoli miglioramenti tecnologici sono costanti e portano sempre più cambiamenti significativi. Si chiama Health & Safety Ecosystem e viene definito suggestivamente “un ecosistema di tecnologie da indossare”. Ci sono luoghi di lavoro pericolosi non solo per la presenza di sostanze esplosive o tossiche, ma anche perché le condizioni ambientali (cuffie alle orecchie, maschere sul viso), rendono difficile la percezione del pericolo o la semplice comunicazione verbale. In una raffineria di petrolio o in determinati cantieri la capacità di percepire in tempo un pericolo è essenziale per la sopravvivenza.
Ecco dunque il ricorso al primo degli elementi che compongono l’ecosistema sicuro, messo a punto dai centri di ricerca dell’ENI, quello che una premurosa mamma del futuro raccomanderebbe con frasi del tipo “tesoro, l’hai messa la supercanotta?”, ovvero l’undershirt, una guaina in tessuto elastico da indossare a pelle con sedici sensori, a loro volta collegati con la centrale Safety. In questo caso l’allarme viene comunicato attraverso il più grande e diffuso organo del corpo umano: la pelle. In caso di emergenza il lavoratore sentirà una pressione sotto la gabbia toracica, oppure intorno alle spalle, un segnale percepibile anche in condizioni estreme, che lo farà schizzare via dalla sua postazione, nel caso indossando il proprio autorespiratore.
E’ accaduto che la centrale Safety ha ricevuto il segnale di allarme e ha rispedito una sorta di SMS tattile attraverso minuscoli motori incorporati nell’undershirt, secondo codici che i lavoratori hanno imparato a decodificare con un breve corso di addestramento.
Undershirt, però, non è soltanto un ricevitore di messaggi. Attraverso i biosensori misura la frequenza cardiaca di chi la indossa, la respirazione, la risposta galvanica della pelle e in quale posizione si trova il soggetto. Dati che vengono trasmessi alla centrale e possono determinare il soccorso immediato del lavoratore oppure una sua sosta precauzionale.
E veniamo al jacket (anche in questo caso, come per gli altri, siamo a un livello avanzato di prototipo), progettato per rilevare fughe di gas, di monossido di carbonio o di anidride solforica. I sensori sono incorporati nella parte superiore delle maniche del giacchetto. In presenza di questi elementi, un SMS tattile, sempre attraverso l’undershirt, verrà inviato a tutti gli operatori nella area interessata. L’avviso sarà inoltrato alla sala controllo, agevolando così i soccorsi.
Non solo: vista la difficoltà di valutare i rumori ambientali, un sensore di volume integrato nel jacket misurerà il livello dei decibel e la dannosità per l’udito umano, un dispositivo molto utile in quei luoghi di lavoro dove le condizioni mutano anche a poca distanza.
Sicurezza vuol dire anche applicare in maniera corretta le procedure di sicurezza. A tal scopo è stato progettato una sorta di moschettone elettronico per aiutare gli operatori di impianto che lavorano in quota a rispettare le procedure di sicurezza. Per verificare che il dispositivo sia correttamente agganciato, sono stati introdotti dei sensori di pressione all’interno del moschettone stesso che ne misurano la pressione applicata. Se il moschettone non è agganciato, il sistema lo ricorderà all’operatore attraverso l’undershirt.
Non potevano, infine, mancare le scarpe: in realtà sono un paio di solette da infilare dentro qualsiasi calzatura antinfortunistica, capaci di percepire se il peso che si sta sollevando è eccessivo e può procurare danni alla colonna e alle articolazioni. Utile non solo per alcuni sforzi isolati ma anche per sollevamenti prolungati e ripetuti nel tempo.
La ricerca ENI si ferma rigorosamente qui, ma è impossibile non pensare al giovamento che potrebbero trarre da questi studi alcune componenti essenziali della nostra società, a cominciare dai vigili del fuoco o dagli artificieri, solo per fare un esempio. Con i tempi che corrono non basta salvare la pelle. E’ la pelle che deve salvarti.

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From: Riccardo Antonini erreemmea@libero.it
To:
Sent: Friday, February 26, 2016 8:25 AM
Subject: VIAREGGIO: SUL PROCESSO IN CORSO...

DALL’ASSOCIAZIONE DEI FAMILIARI DELLA STRAGE FERROVIARIA (ANNUNCIATA) DEL 29 GIUGNO 2009 A VIAREGGIO.
80ESIMA UDIENZA: POSSIAMO ALMENO DIRE LA NOSTRA?
Ieri, 24 febbraio, abbiamo assistito all’ennesima “udienza-vergogna” per quanto riguarda consulenti e testimoni degli imputati. E’ stato detto, ancora e con forza, che i nostri familiari li hanno uccisi e a noi non rimane che aggiungere...consapevolmente!
Come ripetiamo da 6 anni e mezzo, non c’era niente da inventarsi per rendere sicuro quel treno-bomba: bastava applicare lo studio fatto dalle ferrovie nel 2005, dotando i treni di sensori antisvio; bastava controllare ciò che proveniva dall’estero; bastava pensare alla sicurezza e non al profitto ed al mercato. Moretti fece la sua “riflessione” e scelse!
Il cavalier Moretti ha licenziato il ferroviere Riccardo Antonini, perché la mattina del 1° luglio 2009, a poche ore dalla strage ferroviaria, rilasciò una dichiarazione alla stampa sulla presenza di Moretti a Viareggio il 30 giugno 2009. Alle ore 13.15 di fronte alla sala montata spezzata si rivolse a un suo attendente con queste parole: “D’ora in avanti dobbiamo controllare tutto ciò che viene dall’estero!” E questo sarebbe il “conflitto d’interessi” per cui è stato licenziato Riccardo?!
Niente vale più della vita umana, NIENTE!!!
Giudice Nannipieri (che ha confermato questo licenziamento) legga i quotidiani locali di oggi e rifletta...per non sbagliare mai più.
E la professoressa Torchia? (solo per citarne una).
Che possiamo dire? Le Ferrovie “amano” contornarsi di “imputati”, consulenti, testimoni...e li premiano...li promuovono...tutto a norma...tutto sempre regolare nel “sistema ferroviario”!
“Consapevolmente”, l’Associazione dei familiari “Il Mondo Che Vorrei” onlus con tanto dolore attende la verità, la giustizia e la sicurezza in quell’aula di Tribunale; non accetta e respinge al mittente i racconti inauditi e offensivi per ogni essere umano che ogni mercoledì il nostro udito e la nostra dignità sono costretti a subire per difendere i nostri bambini, le nostre ragazze, i nostri figli, i nostri familiari, ma mai e poi MAI accetteremo la prescrizione su questa immane tragedia.
NO alla PRESCRIZIONE per Viareggio e tutte le altre stragi!
IL NOSTRO DOLORE MAI CADRA’ IN PRESCRIZIONE!

Per l’associazione
Il presidente
Marco Piagentini

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