Amianto all'Enel di Turbigo:
dirigenti assolti perché gli operai erano già ammalati
Decisivo per
l'assoluzione degli ex manager il fatto che assunsero posizioni di
responsabilità quando i lavoratori avevano già contratto la malattia:
"Impossibile provare la loro colpevolezza"
25 maggio
2015
Gli ex
manager Enel accusati di omicidio colposo in relazione alla morte per mesotelioma
pleurico di otto operai della centrale di Turbigo, in provincia di Milano, sono stati assolti perché hanno assunto posizioni di
vertice in azienda quando i lavoratori erano già stati esposti da anni
all'amianto. Lo scrive il giudice Beatrice Secchi nelle motivazioni della
sentenza. Per il giudice è "certo che le persone offese si sono ammalate
di mesotelioma a causa dell'inalazione di fibre di amianto". Mancherebbe
però, in sostanza, una prova sulle responsabilità degli ex dirigenti.
Il giudice sottolinea, quindi, che "l'affermazione della responsabilità penale" degli ex manager che "hanno assunto una posizione di garanzia quando il lavoratore era già stato esposto all'amianto per un certo numero di anni", è "estremamente problematica in quanto non può essere ancorata a solide basi scientifiche". Lo scorso 28 febbraio il giudice aveva assolto "per non aver commesso il fatto" quattro ex dirigenti Enel ed ex responsabili della centrale dall'accusa di omicidio colposo. Altri due imputati, l'ex presidente di Enel Francesco Corbellini e l'ex direttore di compartimento Aldo Velcich, entrambi ultranovantenni, sono morti prima della sentenza.
Il giudice sottolinea, quindi, che "l'affermazione della responsabilità penale" degli ex manager che "hanno assunto una posizione di garanzia quando il lavoratore era già stato esposto all'amianto per un certo numero di anni", è "estremamente problematica in quanto non può essere ancorata a solide basi scientifiche". Lo scorso 28 febbraio il giudice aveva assolto "per non aver commesso il fatto" quattro ex dirigenti Enel ed ex responsabili della centrale dall'accusa di omicidio colposo. Altri due imputati, l'ex presidente di Enel Francesco Corbellini e l'ex direttore di compartimento Aldo Velcich, entrambi ultranovantenni, sono morti prima della sentenza.
Al centro
del processo, il decesso di otto lavoratori colpiti da mesotelioma pleurico
che, secondo l'accusa, sarebbe stato provocato dalle polveri di amianto respirate
tra gli anni '70 e '80 nella centrale. Secondo il giudice, "deve ritenersi dimostrata
l'origine lavorativa della patologia contratta dalle persone offese",
esposte alla sostanza in anni in cui "l'amianto era ampiamente utilizzato
e si era ben lontani dall'introduzione del divieto del suo uso". Beatrice
Secchi, però, sottolinea che "l'istruttoria dibattimentale non ha
consentito di pervenire a conclusioni di 'logica certezza' nella risoluzione di
una serie di interrogativi". In particolare negli anni '80, quando i
quattro imputati iniziarono a ricoprire ruoli dirigenziali nella centrale
termoelettrica, "l'iniziazione del processo carcinogenetico era
sicuramente già avvenuta per tutte le persone offese", che iniziarono a
lavorare negli anni '70. Un periodo in cui "le cautele adottate in
centrale erano gravemente lacunose".
"L'istruttoria dibattimentale - si legge nelle motivazioni della sentenza - non ha fornito le prove della sussistenza di una legge scientifica che comprovi l'esistenza del cosiddetto effetto acceleratore della protrazione dell'esposizione. Il sapere scientifico non è in grado di indicare con certezza quale sia la durata del periodo di induzione - spiega il giudice - e se non è nota la durata del periodo di induzione e se si discute della responsabilità penale di soggetti che hanno assunto posizioni di garanzia quando già il lavoratore era stato esposto per anni, è estremamente problematico (se non impossibile) stabilire se l'esposizione patita dal lavoratore nel periodo di tempo nel quale l'imputato rivestiva il ruolo di garante sia stata causalmente rilevante nel determinare la malattia".
Il pm di Milano Maurizio Ascione, che aveva chiesto la condanna degli imputati, sta valutando un ricorso in appello contro la sentenza. Ricorso che potrebbe essere presentato anche dalle parti civili, tra cui l'Associazione italiana esposti amianto.
"L'istruttoria dibattimentale - si legge nelle motivazioni della sentenza - non ha fornito le prove della sussistenza di una legge scientifica che comprovi l'esistenza del cosiddetto effetto acceleratore della protrazione dell'esposizione. Il sapere scientifico non è in grado di indicare con certezza quale sia la durata del periodo di induzione - spiega il giudice - e se non è nota la durata del periodo di induzione e se si discute della responsabilità penale di soggetti che hanno assunto posizioni di garanzia quando già il lavoratore era stato esposto per anni, è estremamente problematico (se non impossibile) stabilire se l'esposizione patita dal lavoratore nel periodo di tempo nel quale l'imputato rivestiva il ruolo di garante sia stata causalmente rilevante nel determinare la malattia".
Il pm di Milano Maurizio Ascione, che aveva chiesto la condanna degli imputati, sta valutando un ricorso in appello contro la sentenza. Ricorso che potrebbe essere presentato anche dalle parti civili, tra cui l'Associazione italiana esposti amianto.
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