Assunti, ma esclusi dal sito
«La questura non ci dà il pass»
«La questura non ci dà il pass»
È polemica sui permessi d’ingresso: «Troppi vincoli e
restrizioni». Regole severe, motivi di sicurezza e banche dati
di Elisabetta Soglio, Gianni Santucci
Era stato assunto ma, tre settimane dopo, è stato
licenziato. Motivo? La società che ha in appalto la gestione dei pass per
entrare in Expo, acquisito il parere della questura, non ha dato il via libera.
Perché? Impossibile saperlo (le banche dati delle forze dell’ordine contengono
informazioni sensibili). La storia di questo 28enne milanese è identica a
quella di decine di persone (qualcuno dice di più) rimaste fuori dai cancelli,
senza il lavoro concordato. Una questione su cui la Cgil ha lanciato l’allarme
chiedendo alla prefettura di convocare una riunione con i sindacati e
osservatorio Expo. L’iter per la concessione dei permessi è disciplinato dal
fatto che Expo è un obiettivo sensibile al massimo livello. Su ogni richiesta
si fa una verifica e la questura fornisce un parere dopo aver interrogato le
proprie banche dati. In quegli archivi non sono contenute soltanto le condanne
in Cassazione, ma qualsiasi contatto avuto con le forze dell’ordine: si può
trattare di arresti, denunce, condanne non definitive. Ma c’è di più: se ad
esempio una persona non è mai stata denunciata, ma è stata fermata in macchina
con pregiudicati, o con persone in possesso di armi, i dati restano
immagazzinati. È la base del «controllo del territorio». Quei dati non
influiranno mai nella vita lavorativa di una persona (che siano aziende private
o enti pubblici), a meno che non si tratti di impieghi in «obiettivi
sensibili». In quel caso l’autorità di pubblica sicurezza esamina tutti gli
elementi e fa una valutazione. Il parere della questura non è vincolante per la
società Expo. Ma di fronte ad un parere negativo, nessuno si assume la
responsabilità di decidere il contrario.
La storia
La storia di Marco, nome di fantasia, è una delle
tante. «Sono stato assunto il 9 aprile da Coop Lombardia per lavorare al
Supermercato del Futuro, in Expo». Contratto a termine di tre mesi, nel reparto
forneria, Marco fa tutta la formazione e l’addestramento. Senza problemi, anzi
con i superiori soddisfatti per l’impegno. «Verso fine aprile, molti di noi non
avevano ricevuto il pass, ma dicevano che si trattava di ritardi». Fino al 30
aprile: «Vengo convocato dalla direzione del personale. A tutti viene detta la
stessa cosa e cioè che il rapporto di lavoro va considerato concluso perché la
questura non ha autorizzato il pass». Marco chiede qualcosa di scritto e gli
viene mostrata solo la stampata della piattaforma online con la dicitura
«respinto». A differenza di altri, Marco si è rivolto ad un avvocato del
Collettivo di San Precario per fare ricorso: «Non ho carichi pendenti e al
casellario non risulta nulla. Perché non posso lavorare?». Marco frequenta un
centro sociale e in passato ha partecipato a manifestazioni studentesche: «Ma
non sono un terrorista e neppure un black block». E mentre Coop precisa che «ad
oggi Expo ha accreditato più di 800 persone tra tecnici, responsabili ed
addetti alla vendita che hanno contribuito alla realizzazione del Supermercato
del Futuro e dell’area ristoro del Future Food District», Antonio Lareno della
Cgil insiste: «Questo metodo di selezione è discriminatorio. Alleggeriscono i
criteri sui politici per l’accesso alle liste elettorali e li appesantiscono
sui lavoratori».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
23 maggio
2015 | 08:51
DI SEGUITO LA POSIZIONE DI SAN PRECARIO
Lavoro anch’io. No, tu no. Ma
come..la Coop non ero io?
Da OffTopic
Un giovane lavoratore firma per un contratto
trimestrale con Coop Lombardia all’interno del sito Expo 2015. Arriva il 30
Aprile. A un giorno dall’ingresso in servizio, e a seguito da un brevissimo
percorso di formazione, viene convocato dal datore che gli dice “salta tutto,
grazie comunque”. A nessuno piace la precarietà ma immaginatevi nei panni di
chi, incensurato, viene
lasciato a casa a 24 ore dall’ingresso in servizio senza alcuna spiegazione. Zero
tempo per cercare un’altra “opportunità di lavoro”, zero proposte per una
sistemazione altrettanto temporanea nel carrozzone cooperativo. L’ordine arriva
dalla Questura di Milano che, dopo oltre cento interdizioni dai cantieri (tra
padiglioni commissariati, corrotti, tangentisti e criminalità organizzata)
decide che il “nulla osta sicurezza” mai scomodato in anni e anni di cantieri
colabrodo, si applica segretamente agli operatori dei padiglioni. Non un
commento a mezzo stampa (con la sola eccezione di un articolo di Pucciarelli
che paventa decine di casi analoghi, non un dato pubblico in tempi di retorica
openexpo, non parliamo dell’eloquente silenzio della politica.
Ma io devo lavorare: no, tu no. Ma perché? Perché lo
dice la Questura. E cosa ho fatto di male? Non sono informazioni in nostro
possesso, buona giornata.
Ora che la sbornia da apertura dei cancelli sta
scendendo, ora che i nodi vengono al pettine, che i comunicati ufficiali
vengono percepiti come ridondanti e che la nebbia è scesa definitivamente sul
sito Expo e sui suoi numeri (e dire che in genere da queste parti non è facile
trovarla di primavera…) è forse possibile ricominciare a ripercorrere gli assi
che ci hanno orientato negli anni che hanno preceduto Expo, ovvero debito,
cemento e precarietà, gli effetti nocivi del mega-evento occultati dai
massmedia più seguiti (e più pagati da Expo2015 SpA).
Partendo questa volta, per una volta, dall’ambito del lavoro, su cui è stato ratificato un accordo, nel luglio 2013, firmato dalle compagini sindacali non aderenti alla rete NoExpo, all’interno del quale si norma la relazione con una buona parte dei lavoratori interni al sito Expo. A questo segue un accordo Expo interno al Comune di Milano, nel giugno 2014, con cui si definisce il contributo dell’ente più coinvolto nell’operazione (in quanto “responsabile del territorio”), accordo finalizzato a 10 giorni dall’apertura dei cancelli e tuttora sotto monitoraggio. Infine prendiamo atto dell’accordo del 15 maggio scorso avvenuto ad expo iniziato ed a lavoratori già assunti ed operanti, dopo numerose critiche che ne hanno rinviato la firma dovute all’eccessivo ribasso dei salari offerti (confermato in realtà dall’accordo che però riesce ad aggiungere un interessante percorso di formazione in modalità “e-learning”) che pone paletti (evidentemente troppo fragili) in merito all’assunzione del personale dei diversi padiglioni. Premesso che gli ulteriori passaggi, quelli più tecnici, dell’iniziale accordo non hanno avuto grossa pubblicità da parte di chi vi ha partecipato, constatiamo come questa eccessiva artificiosità, prossima al modello matrioska in cui però ogni componente pare avere una vita propria indipendente dalle altre componenti, difficilmente può costruire un quadro leggibile della situazione. L’ideale per l’azienda insomma.
Anche per questo prevedibilissimo motivo oggi ci troviamo davanti al “caso” dei choosy che non han voglia di lavorare, salvo poi scoprire importanti difetti nei meccanismi di assunzione di manpower. E’ il turno poi del padiglione belga (o forse è meglio chiamarli “stand”?) luogo in pratica del primo sciopero ad Expo culminato col ritiro di ben 20 lavoratori. Infine (per il momento) la spiacevole vicenda dei lavoratori licenziati per aver manifestato critiche al padrone ad Expo2015, prendendo spunto da una tendenza sempre più in voga in questo paese. Vicenda su cui in queste ore si susseguono aggiornamenti. E’ il far west del sito Expo, un far west tutelato da permessi di accesso al sito rilasciati dalla Questura, tanto poco sensibile durante il periodo di costruzione dell’evento quanto attenta e scrupolosa oggi nel negare la possibilità di accedere al sito a giovani incensurati ma con velleità (così forse vengono definite) critiche nei confronti del vertice. Un far west esteso all’intera area metropolitana in cui non solo i padroni ma anche importanti sindacati tacciano i disoccupati d’aver poca voglia di lavorare. A tutto ciò potremmo aggiungere la difficoltà di reperimento del personale interno del Comune di Milano da disporre nella struttura di controllo di Expo in Via Drago, lo sciopero precettato dei dipendenti ATM ed il mondo molto “fuoriSalone” (e molto freejobs) dell’Expoincittà, ma ci pare che la situazione sia già sufficientemente problematica se restringiamo il fuoco sul sito Expo.
Partendo questa volta, per una volta, dall’ambito del lavoro, su cui è stato ratificato un accordo, nel luglio 2013, firmato dalle compagini sindacali non aderenti alla rete NoExpo, all’interno del quale si norma la relazione con una buona parte dei lavoratori interni al sito Expo. A questo segue un accordo Expo interno al Comune di Milano, nel giugno 2014, con cui si definisce il contributo dell’ente più coinvolto nell’operazione (in quanto “responsabile del territorio”), accordo finalizzato a 10 giorni dall’apertura dei cancelli e tuttora sotto monitoraggio. Infine prendiamo atto dell’accordo del 15 maggio scorso avvenuto ad expo iniziato ed a lavoratori già assunti ed operanti, dopo numerose critiche che ne hanno rinviato la firma dovute all’eccessivo ribasso dei salari offerti (confermato in realtà dall’accordo che però riesce ad aggiungere un interessante percorso di formazione in modalità “e-learning”) che pone paletti (evidentemente troppo fragili) in merito all’assunzione del personale dei diversi padiglioni. Premesso che gli ulteriori passaggi, quelli più tecnici, dell’iniziale accordo non hanno avuto grossa pubblicità da parte di chi vi ha partecipato, constatiamo come questa eccessiva artificiosità, prossima al modello matrioska in cui però ogni componente pare avere una vita propria indipendente dalle altre componenti, difficilmente può costruire un quadro leggibile della situazione. L’ideale per l’azienda insomma.
Anche per questo prevedibilissimo motivo oggi ci troviamo davanti al “caso” dei choosy che non han voglia di lavorare, salvo poi scoprire importanti difetti nei meccanismi di assunzione di manpower. E’ il turno poi del padiglione belga (o forse è meglio chiamarli “stand”?) luogo in pratica del primo sciopero ad Expo culminato col ritiro di ben 20 lavoratori. Infine (per il momento) la spiacevole vicenda dei lavoratori licenziati per aver manifestato critiche al padrone ad Expo2015, prendendo spunto da una tendenza sempre più in voga in questo paese. Vicenda su cui in queste ore si susseguono aggiornamenti. E’ il far west del sito Expo, un far west tutelato da permessi di accesso al sito rilasciati dalla Questura, tanto poco sensibile durante il periodo di costruzione dell’evento quanto attenta e scrupolosa oggi nel negare la possibilità di accedere al sito a giovani incensurati ma con velleità (così forse vengono definite) critiche nei confronti del vertice. Un far west esteso all’intera area metropolitana in cui non solo i padroni ma anche importanti sindacati tacciano i disoccupati d’aver poca voglia di lavorare. A tutto ciò potremmo aggiungere la difficoltà di reperimento del personale interno del Comune di Milano da disporre nella struttura di controllo di Expo in Via Drago, lo sciopero precettato dei dipendenti ATM ed il mondo molto “fuoriSalone” (e molto freejobs) dell’Expoincittà, ma ci pare che la situazione sia già sufficientemente problematica se restringiamo il fuoco sul sito Expo.
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