domenica 24 maggio 2015

24 maggio - Expo: il lavoro che verrà! Sei di sinistra, frequenti centri sociali o altro che metta in discussione questo sistema: ALLORA NON LAVORI!



Assunti, ma esclusi dal sito
«La questura non ci dà il pass»
È polemica sui permessi d’ingresso: «Troppi vincoli e restrizioni». Regole severe, motivi di sicurezza e banche dati
di Elisabetta Soglio, Gianni Santucci
Era stato assunto ma, tre settimane dopo, è stato licenziato. Motivo? La società che ha in appalto la gestione dei pass per entrare in Expo, acquisito il parere della questura, non ha dato il via libera. Perché? Impossibile saperlo (le banche dati delle forze dell’ordine contengono informazioni sensibili). La storia di questo 28enne milanese è identica a quella di decine di persone (qualcuno dice di più) rimaste fuori dai cancelli, senza il lavoro concordato. Una questione su cui la Cgil ha lanciato l’allarme chiedendo alla prefettura di convocare una riunione con i sindacati e osservatorio Expo. L’iter per la concessione dei permessi è disciplinato dal fatto che Expo è un obiettivo sensibile al massimo livello. Su ogni richiesta si fa una verifica e la questura fornisce un parere dopo aver interrogato le proprie banche dati. In quegli archivi non sono contenute soltanto le condanne in Cassazione, ma qualsiasi contatto avuto con le forze dell’ordine: si può trattare di arresti, denunce, condanne non definitive. Ma c’è di più: se ad esempio una persona non è mai stata denunciata, ma è stata fermata in macchina con pregiudicati, o con persone in possesso di armi, i dati restano immagazzinati. È la base del «controllo del territorio». Quei dati non influiranno mai nella vita lavorativa di una persona (che siano aziende private o enti pubblici), a meno che non si tratti di impieghi in «obiettivi sensibili». In quel caso l’autorità di pubblica sicurezza esamina tutti gli elementi e fa una valutazione. Il parere della questura non è vincolante per la società Expo. Ma di fronte ad un parere negativo, nessuno si assume la responsabilità di decidere il contrario.
La storia
La storia di Marco, nome di fantasia, è una delle tante. «Sono stato assunto il 9 aprile da Coop Lombardia per lavorare al Supermercato del Futuro, in Expo». Contratto a termine di tre mesi, nel reparto forneria, Marco fa tutta la formazione e l’addestramento. Senza problemi, anzi con i superiori soddisfatti per l’impegno. «Verso fine aprile, molti di noi non avevano ricevuto il pass, ma dicevano che si trattava di ritardi». Fino al 30 aprile: «Vengo convocato dalla direzione del personale. A tutti viene detta la stessa cosa e cioè che il rapporto di lavoro va considerato concluso perché la questura non ha autorizzato il pass». Marco chiede qualcosa di scritto e gli viene mostrata solo la stampata della piattaforma online con la dicitura «respinto». A differenza di altri, Marco si è rivolto ad un avvocato del Collettivo di San Precario per fare ricorso: «Non ho carichi pendenti e al casellario non risulta nulla. Perché non posso lavorare?». Marco frequenta un centro sociale e in passato ha partecipato a manifestazioni studentesche: «Ma non sono un terrorista e neppure un black block». E mentre Coop precisa che «ad oggi Expo ha accreditato più di 800 persone tra tecnici, responsabili ed addetti alla vendita che hanno contribuito alla realizzazione del Supermercato del Futuro e dell’area ristoro del Future Food District», Antonio Lareno della Cgil insiste: «Questo metodo di selezione è discriminatorio. Alleggeriscono i criteri sui politici per l’accesso alle liste elettorali e li appesantiscono sui lavoratori».
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23 maggio 2015 | 08:51

DI SEGUITO LA POSIZIONE DI SAN PRECARIO


Lavoro anch’io. No, tu no. Ma come..la Coop non ero io?
Da OffTopic 



 
Un giovane lavoratore firma per un contratto trimestrale con Coop Lombardia all’interno del sito Expo 2015. Arriva il 30 Aprile. A un giorno dall’ingresso in servizio, e a seguito da un brevissimo percorso di formazione, viene convocato dal datore che gli dice “salta tutto, grazie comunque”. A nessuno piace la precarietà ma immaginatevi nei panni di chi, incensurato, viene lasciato a casa a 24 ore dall’ingresso in servizio senza alcuna spiegazione. Zero tempo per cercare un’altra “opportunità di lavoro”, zero proposte per una sistemazione altrettanto temporanea nel carrozzone cooperativo. L’ordine arriva dalla Questura di Milano che, dopo oltre cento interdizioni dai cantieri (tra padiglioni commissariati, corrotti, tangentisti e criminalità organizzata) decide che il “nulla osta sicurezza” mai scomodato in anni e anni di cantieri colabrodo, si applica segretamente agli operatori dei padiglioni. Non un commento a mezzo stampa (con la sola eccezione di un articolo di Pucciarelli che paventa decine di casi analoghi, non un dato pubblico in tempi di retorica openexpo, non parliamo dell’eloquente silenzio della politica.

Ma io devo lavorare: no, tu no. Ma perché? Perché lo dice la Questura. E cosa ho fatto di male? Non sono informazioni in nostro possesso, buona giornata.
Ora che la sbornia da apertura dei cancelli sta scendendo, ora che i nodi vengono al pettine, che i comunicati ufficiali vengono percepiti come ridondanti e che la nebbia è scesa definitivamente sul sito Expo e sui suoi numeri (e dire che in genere da queste parti non è facile trovarla di primavera…) è forse possibile ricominciare a ripercorrere gli assi che ci hanno orientato negli anni che hanno preceduto Expo, ovvero debito, cemento e precarietà, gli effetti nocivi del mega-evento occultati dai massmedia più seguiti (e più pagati da Expo2015 SpA).
Partendo questa volta, per una volta, dall’ambito del lavoro, su cui è stato ratificato un accordo, nel luglio 2013, firmato dalle compagini sindacali non aderenti alla rete NoExpo, all’interno del quale si norma la relazione con una buona parte dei lavoratori interni al sito Expo. A questo segue un accordo Expo interno al Comune di Milano, nel giugno 2014, con cui si definisce il contributo dell’ente più coinvolto nell’operazione (in quanto “responsabile del territorio”), accordo finalizzato a 10 giorni dall’apertura dei cancelli e tuttora sotto monitoraggio. Infine prendiamo atto dell’
accordo del 15 maggio scorso avvenuto ad expo iniziato ed a lavoratori già assunti ed operanti, dopo numerose critiche che ne hanno rinviato la firma dovute all’eccessivo ribasso dei salari offerti (confermato in realtà dall’accordo che però riesce ad aggiungere un interessante percorso di formazione in modalità “e-learning”) che pone paletti (evidentemente troppo fragili) in merito all’assunzione del personale dei diversi padiglioni. Premesso che gli ulteriori passaggi, quelli più tecnici, dell’iniziale accordo non hanno avuto grossa pubblicità da parte di chi vi ha partecipato, constatiamo come questa eccessiva artificiosità, prossima al modello matrioska in cui però ogni componente pare avere una vita propria indipendente dalle altre componenti, difficilmente può costruire un quadro leggibile della situazione. L’ideale per l’azienda insomma.
Anche per questo prevedibilissimo motivo oggi ci troviamo davanti al “caso” dei choosy che non han voglia di lavorare, salvo poi scoprire importanti difetti nei meccanismi di assunzione di manpower. E’ il turno poi del padiglione belga (o forse è meglio chiamarli “stand”?) luogo in pratica del primo sciopero ad Expo culminato col
ritiro di ben 20 lavoratori. Infine (per il momento) la spiacevole vicenda dei lavoratori licenziati per aver manifestato critiche al padrone ad Expo2015, prendendo spunto da una tendenza sempre più in voga in questo paese. Vicenda su cui in queste ore si susseguono aggiornamenti. E’ il far west del sito Expo, un far west tutelato da permessi di accesso al sito rilasciati dalla Questura, tanto poco sensibile durante il periodo di costruzione dell’evento quanto attenta e scrupolosa oggi nel negare la possibilità di accedere al sito a giovani incensurati ma con velleità (così forse vengono definite) critiche nei confronti del vertice. Un far west esteso all’intera area metropolitana in cui non solo i padroni ma anche importanti sindacati tacciano i disoccupati d’aver poca voglia di lavorare. A tutto ciò potremmo aggiungere la difficoltà di reperimento del personale interno del Comune di Milano da disporre nella struttura di controllo di Expo in Via Drago, lo sciopero precettato dei dipendenti ATM ed il mondo molto “fuoriSalone” (e molto freejobs) dell’Expoincittà, ma ci pare che la situazione sia già sufficientemente problematica se restringiamo il fuoco sul sito Expo.

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