FORMAZIONE OPERAIA 2° CORSO - APPUNTI SULLA CRISI
Questo nuovo
corso di formazione operaia è centrato sulla crisi: cos'è la crisi, perchè le
crisi sono inevitabili nel sistema capitalista, chi ci perde e chi ci
guadagna... Perchè l'unica vera risposta alla crisi non è trovare
"soluzioni" per superarle ma rovesciare il sistema capitalistico che
le produce...
Lo faremo
utilizzando un testo che raccoglie appunti sulla crisi dai vari scritti di
Marx.
Ancora una
volta invitiamo gli operai, i lavoratori, le donne, i giovani a scriverci,
commentare, esporre dubbi, domande, richieste di approfondimento, ecc.
Questo è
molto importante per fare effettivamente di questa formazione on line un'arma
di crescita della coscienza di classe, perchè i proletari non siano succubi
delle (false) idee dominanti.
APPUNTI DI STUDIO SU MARX E LA CRISI
stralci da “il capitalismo e la crisi”. Scritti scelti
(di Marx)
a cura di Vladimiro Giacchè.
(I pezzi in corsivo segnalati da (ndr) sono brevi
note
di Proletari comunisti)
Alle radici delle crisi: limiti e contraddizioni del capitale
Per Marx la radice ultima delle crisi consiste nella contraddizione tra lo sviluppo delle forze produttive sociali e i rapporti di produzione capitalistici. Il modo di produzione capitalistico da un lato tende verso il massimo sviluppo delle forze produttive. D'altro lato, i rapporti di produzione e di proprietà che lo contraddistinguono (ossia il lavoro salariato, l'appropriazione privata della ricchezza
prodotta, e l'orientamento della produzione al profitto anzichè al soddisfacimento dei bisogni sociali) inceppano periodicamente lo sviluppo delle stesse forze produttive, creando sovrapproduzione di capitale (un accumulo di capitale che non riesce a trovare adeguata valorizzazione) e sovrapproduzione di merci (un accumulo di merci che non riescono ad essere vendute a un prezzo tale da remunerare adeguatamente il capitatale impiegato per produrle).
(ndr) Per il capitale la produzione ha come solo e unico scopo il plusvalore e quindi il profitto, non gli interessa il soddisfacimento dei bisogni sociali ma neanche il soddisfacimento dei bisogni individuali, non gli interessa la produzione di valori d'uso se non come mezzo dalla cui vendita realizzare il profitto, che sua volta è determinato dal plusvalore contenuto nelle merci prodotte.
Chiaramente parliamo di sovrapproduzione relativa di merci, perchè esse non sono affatto sovrabbondanti rispetto ai bisogni sociali, ma lo sono rispetto alla remunerazione del capitale investito. Per il capitale questa è la crisi, non nel senso che non può più produrre e/o non può più vendere, ma nel senso che quanto può realizzare dal capitale investito e dalla vendita delle merci non è per lui conveniente per mantenere e anche aumentare i suoi profitti.
Quindi quando noi diciamo, banalmente, che per es. l'Ilva non è vero che è in crisi, diciamo da un lato una cosa vera secondo criteri logici, dall'altra diciamo una cosa falsa secondo le leggi del capitale.
Scrive Marx: nel sistema capitalista “non vengono prodotti troppi mezzi di sussistenza in rapporto alla popolazione esistente. Al contrario. Se ne producono troppo pochi per soddisfare in modo decente e umano la massa della popolazione” Il punto è un altro: “vengono prodotte troppe merci per potere, nelle condizioni di distribuzione e nei rapporti di consumo propri della produzione capitalistica, realizzare il valore e plusvalore in esse contenuti e riconvertirli in nuovo capitale”.
Sono insomma i rapporti di produzione (e quindi quelli di distribuzione e di consumo) che caratterizzano la società capitalistica a rappresentare il principale ostacolo allo sviluppo delle forze produttive.
La crisi è il momento in cui tale contraddizione tra forze produttive e rapporti di produzione si manifesta, e al tempo stesso, il mezzo brutale attraverso cui si ripristinano le condizioni di accumulazione del capitale: “le crisi sono sempre soluzioni violente soltanto temporanee delle contraddizioni esistenti ed eruzioni violente che servono a ristabilire l'equilibrio turbato” (Marx). Profitto e accumulazioni vengono ripristinati per mezzo della distruzione di capitale e di forze
produttive: aumento della disoccupazione e quindi abbassamento dei salari, fallimenti e quindi concentrazioni di imprese, deprezzamento di beni capitali, macchinari e materie prime e quindi miglioramento dei margini di profitto per chi li mette in opera.
(ndr) Dal superamento delle crisi – ma diremmo anche dalla crisi stessa – il capitale nel suo complesso ci guadagna: ha stabilito un livello salariale più basso e che fa rimanere tale anche passata la crisi; per la crisi e in nome della crisi ha aumentato lo sfruttamento della forza lavoro (aumento dei carichi di lavoro, aumento dell'orario di lavoro, e quindi aumento del tempo di lavoro gratis per il capitale, licenziamento dei lavoratori, ma anche attacco alle tutele dei lavoratori: Fiat insegna, ecc.). Questo livello non sarà riportato ai livelli precedenti anche una volta superata la crisi, ma farà attestare ad un nuovo livello di sfruttamento e di salari che farà da “guida” per tutti.
Certo se il capitale nel suo complesso ci guadagna, al suo interno vi è una distinzione, i grandi capitali ci guadagnano, i piccoli o medi possono perdere, vengono o distrutti o assorbiti dalla concentrazione del grande capitale.
Il capitale nello stesso tempo è fattore di sviluppo delle forze produttive ma anche il loro principale ostacolo
(Marx) “La tendenza a creare il mercato mondiale è data immediatamente nel concetto del capitale stesso... il capitale tende a trascendere sia le barriere e i pregiudizi nazionali, sia l'idolatria della natura, sia il soddisfacimento tradizionale, modestamente chiuso entro limiti determinati, dei bisogni esistenti, e la tradizionale riproduzione di un vecchio modo di vivere. Nei confronti di tutto ciò esso è
distruttivo e agisce nel senso di un perenne rivoluzionamento, abbattendo tutte le barriere che ostacolano lo sviluppo delle forze produttive, l'espansione dei bisogni, la molteplicità della produzione e lo sfruttamento e lo scambio delle forze della natura e dello spirito”.
Ma l'universalità alla quale il capitale tende irresistibilmente “trova nella sua stessa natura ostacoli che ad un certo livello del suo sviluppo metteranno in luce che esso stesso è l'ostacolo massimo che si oppone a questa tendenza e perciò spingono al suo superamento”. “Il vero limite della produzione capitalistica è il capitale stesso, è il fatto che il capitale e la sua autovalorizzazione appaiono come punto di partenza e punto d'arrivo, come fine della produzione” (Marx)
La crisi è il momento in cui si manifestano le contraddizioni del capitalismo e i limiti allo sviluppo del capitale che sono connaturati al capitale stesso.
(ndr) Da questo ne viene: primo, che i fautori del “mercato” (anche nel campo della sinistra) come risolutore/regolatore della crisi arrivano quanto meno in ritardo: il capitale ci ha pensato prima di loro, espandendolo a livello mondiale; secondo che il mercato creato dal capitale, poichè è in funzione sempre della realizzazione del profitto e non della soddisfazione dei bisogni delle popolazioni, ha esso stesso un limite, che quindi accompagna le crisi non le risolve.
Terzo, il capitale per sua necessità è internazionale, è mondiale; questo fa sì che proprio i capitalisti siano quelli che non guardano in faccia a “nessun colore della pelle”, ma nel senso che distrugge barriere e pregiudizi nazionali solo in quanto ostacoli davanti alla sua espansione.
Quarto, nello stesso tempo il capitale mette in ridicolo ogni tentativo di riproduzione di un vecchio modo di vivere, di “soddisfacimento tradizionale”. Distrugge tutte le illusorie e stupide idee dei critici moralisti del capitale, perchè ogni “vecchio modo di vivere” è già rivoluzionato e la ruota della storia non può andare indietro, dato che i settori che vengono proposti come alternativi alla disumanità del capitale nel momento in cui il capitale ci mette i suoi tentacoli, ne fa fonte di profitto e non di soddisfazione di bisogni e anzi se la soddisfazione dei bisogni si presenta incompatibile con il suo profitto, distrugge i bisogni.
Queste stupidaggini che si rinnovano soprattutto nella crisi, si presentano in ultima analisi anche reazionarie, nel senso che sono conservatrici perchè vogliono contrastare non il limite del capitale ma il suo “merito storico”, lo sviluppo delle forze produttive.
(continua giovedì prossimo)
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