lunedì 6 ottobre 2014

3 ottobre: PERCHE' IL GOVERNO VUOLE ELIMINARE L'ART. 18 E PERCHE' LO DOBBIAMO DIFENDERE - DA DUE COMMENTI

Da: Articolo 21 - di Domenico Gallo
L’ABROGAZIONE DELL’ARTICOLO 18 INDEBOLISCE LA LEGALITA’

"Il progetto di abolire le tutele previste dall’articolo 18 non rappresenta un’innovazione che apre la strada al futuro, ma una regressione a un’epoca in cui le relazioni industriali erano regolate esclusivamente dai rapporti di forza a prescindere dal diritto.
Di fronte alle mistificazioni con le quali si tenta di ingannare l’opinione pubblica, occorre precisare che l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori non interviene sulla libertà di licenziamento, che resta regolata dal principio della giusta causa o del giustificato motivo; si tratta di una norma-sanzione che reprime il licenziamento ingiustificato, cioè illegale, eliminandone gli effetti.

L’abolizione dell’articolo 18, quindi, non incide sulla libertà di licenziamento (che resta regolata dalla legge), bensì sulla repressione del licenziamento illegale, consentendo ai forti e ai furbi di sottrarsi all’osservanza delle regole. Tale sanzione rappresenta l’architrave per la tenuta di tutto l’edificio dei diritti, sancito dallo Statuto dei diritti dei lavoratori, che tutela la dignità del cittadino lavoratore nei confronti del potere privato.
Infatti da lungo tempo la giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione hanno rilevato che i diritti nascenti dal rapporto di lavoro possono essere esercitati, in costanza di rapporto, soltanto in presenza di un regime di stabilità reale. Il riconoscimento della dignità del cittadino lavoratore impone che sia assicurata la tutela contro il licenziamento ingiustificato come richiede l’articolo 30 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

L’eliminazione della norma che sancisce la tenuta dello Statuto, consegna ai poteri privati la libertà di sottrarsi all’osservanza delle leggi e dei principi costituzionali e trasforma la prestazione di lavoro in una merce, consentendo che venga calpestata al massimo grado la dignità dei cittadini-lavoratori, e insidiata la libertà delle organizzazioni sindacali sgradite al potere privato, che potranno essere messe fuori dai cancelli della fabbrica, sbarazzandosi dei lavoratori sindacalizzati, come avveniva negli anni 50 del secolo scorso.
Che non si tratti di un pericolo puramente teorico è dimostrato dall’esperienza di questi ultimi anni che ci hanno fatto assistere al tentativo di un potere privato di sbarazzarsi del più forte sindacato metalmeccanico europeo; tentativo che è stato bloccato soltanto per l’intervento del potere giudiziario, che adesso si cerca disarmare, smantellando le sanzioni per i comportamenti illegali...."



Da: Clash City Workers
"...PARTIAMO DALL’INIZIO: COSA E’ L’ARTICOLO 18?
L’articolo 18 è un articolo dello “Statuto dei lavoratori”, la Legge che regola le norme sul lavoro, approvata nel 1970, in un momento in cui i lavoratori erano abbastanza forti da imporre ai padroni ed allo Stato il rispetto di alcuni loro diritti. L’articolo 18 regola la “reintegrazione sul posto di lavoro”: nelle aziende con più di 15 dipendenti, in caso di licenziamento illegittimo (cioè ingiustificato, effettuato senza comunicazione dei motivi o per discriminazione), si può fare causa al proprio datore di lavoro. Se viene appurato che si è stati licenziati senza “giusta causa”, l’articolo dispone che il lavoratore sia reintegrato nel posto di lavoro e recuperi le mensilità perse (cioè i soldi dello stipendio che avrebbe ricevuto se non fosse stato licenziato)...

QUANTI LAVORATORI TUTELA?
Al momento attuale l’articolo 18 copre circa il 65,5% dei lavoratori dipendenti. Ovvero, su quasi 12 milioni di operai e impiegati presenti in Italia, quasi 7,8 milioni possono beneficiare di questa tutela. E’ ancora poco, se si pensa che altri milioni di lavoratori (in particolare immigrati e giovani) non beneficiano di questa tutela, perché lavorando a nero, con contratti precari, ricattati fino a firmare le “dimissioni in bianco” al momento dell’assunzione, sono esposti all’arbitrio del datore di lavoro che li licenzia quando vuole. Ma è una misura importante, di civiltà, che riguarda la maggior parte dei lavoratori italiani e dovrebbe semmai essere estesa a quelli che non ce l’hanno, perché ancora più sfruttati.

LE MENZOGNE CHE CI STANNO RACCONTANDO
In questi mesi padroni, giornalisti interessati e politici hanno sostenuto che il problema dell’Italia è la “rigidità”, ovvero che non si può licenziare facilmente... Il licenziamento per “motivi economici” esiste dal 1966. Un’azienda in crisi può sempre licenziare il lavoratore. Anche un’azienda che tramite l’acquisto di macchinari ha bisogno di meno lavoratori, li può licenziare. Si chiama “giustificato motivo oggettivo”, ma deve essere dimostrato dal datore di lavoro davanti ad un giudice. Questo per evitare imbrogli delle aziende, già frequentissimi (“finte” crisi, cessione di rami di impresa, “scatole cinesi” ecc.).
Esiste poi anche il “giustificato motivo soggettivo”, ovvero la possibilità del padrone di licenziare un lavoratore perché assenteista (cioè se non si presenta al lavoro senza fondati motivi medici) o insubordinato (se si rifiuta sistematicamente di seguire le mansioni per cui è stato assunto). Quindi i datori di lavoro già hanno tutti gli strumenti di cui dispongono per fare funzionare bene le proprie imprese...

IL NON-DETTO DEI PADRONI E DI CGIL-CISL-UIL: PERCHE’ VOGLIONO TOGLIERE L’ARTICOLO 18?
…il primo motivo per cui i padroni vogliono abolire l’articolo 18 è tutto materiale. La sua abolizione inciderebbe tantissimo sulla produttività. Se posso licenziarti, quando diventi vecchio o non produci come io ti dico di fare, ti ricatterò: se non vuoi essere cacciato accetterai qualsiasi condizione. Anche perché la maggior parte dei lavori di oggi non necessita di chissà quale formazione particolare (sia in fabbrica che negli uffici, che nella logistica o in un call center). E la gente è disposta a tutto pur di lavorare. L’unico limite oggi trovato dai padroni è nella Contrattazione Nazionale, nelle forme del diritto e nelle leggi strappate quando i lavoratori erano più forti. Ma quello che è stato fatto in questi anni sui giovani che entravano nel mercato del lavoro andava già nel senso di abbassare il costo del lavoro per le aziende, e proprio con la complicità dei sindacati!
...Renzi, Confindustria e gli altri borghesi hanno ragione a dire che bisogna “levare le rigidità” per attrarre investimenti e dare lavoro. Solo che quello che non dicono è che il prezzo da pagare è lo schiavismo! Una volta che in giro ci sono gli schiavi, pagati nulla e cacciati fuori in qualsiasi momento, non sorprende affatto che qualche indice di occupazione possa aumentare!
Oggi le controversie legate all’articolo 18 non sono molte. Secondo gli ultimi dati forniti dall’ISTAT, riferiti al 2006, parliamo di circa 8.651, di cui circa la metà (dopo anni di spese) si concludevano a favore del lavoratore, il quale peraltro non rientrava quasi mai in fabbrica, perché sapeva che il datore di lavoro avrebbe cercato di ostacolarlo in ogni modo. Ma se l’articolo 18 venisse abolito, gli scrupoli dei padroni ad imbarcarsi in una lunga causa e in spese di avvocati scomparirebbero subito.

L’ALTRO MOTIVO: QUELLO IDEOLOGICO
Esiste anche un altro motivo per cui si vuole abolire l’articolo 18, ed è ideologico. Il Governo e la borghesia italiana vogliono dimostrare all’Unione europea ed ai capitalisti stranieri che in Italia si può venire a investire, perché oramai i lavoratori non contano nulla, non fanno più paura, sono più mansueti delle pecore. Vogliono anche intimorirci per le battaglie future...
Inoltre l’abolizione dell’articolo 18 risponde ad un’altra necessità padronale: eliminare dalle aziende ogni personalità ribelle e ogni avanguardia di lotta. Il messaggio deve essere semplice: appena rompi le palle, su orari, condizioni di lavoro, diritti, ecc., sei fuori..."

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