martedì 21 ottobre 2014

19 ottobre: Torino dopo gli scontri - Lettera aperta alle operaie e agli operai della Fiom

Sabato 18 Ottobre 2014 11:43

 Lettera aperta alle operaie e agli operai della Fiom
Scriviamo queste poche righe senza sapere esattamente a chi indirizzarle. A quelli tra voi che difendono le poche certezze accumulate a fatica dopo una vita di sfruttamento? A quelli che hanno una famiglia numerosa, o devono pagare l’Università ai figli, che poi restano disoccupati? A quelli che abitano i quartieri sempre più degradati, perché i sindaci sono troppo occupati a costruire vetrine, ZTL e lusso nel centro? A chi è in cassa integrazione, a chi vede la propria fabbrica chiudere, a chi ormai sa che la cassa sta per finire? A chi vuole scendere in piazza, perché ha scelto l’unica organizzazione sindacale di massa che è sembrata, in alcuni frangenti, sapersi contrapporre alla propaganda dei governi e di Confindustria? A chi tra voi, quando scende in piazza, è felice di trovare al proprio fianco l’altra parte del mondo del lavoro, quella precaria, sottopagata, senza statuto dei lavoratori e senza le conquiste delle passate generazioni, ma con un futuro tutto da conquistare? A chi tra voi, invece, è preoccupato ogni volta che vede nel corteo dei ragazzi, gente che urla la propria rabbia, che parla linguaggi diversi e attraversa diversamente le stesse contraddizioni sociali?
Dovremmo indirizzare questa lettera agli operai che, ieri, si sono schierati in cordone contro di noi, dicendo poi ipocritamente che intendevano fronteggiare la polizia? O a quelli che hanno subito avuto da ridire su questo atteggiamento, creando discussione anche dentro al vostro servizio d’ordine? A chi ha avvicinato chi si scontrava con la polizia dicendo che avevamo “rotto il cazzo” con il nostro “casino'? A chi ha testimoniato la propria approvazione per la rabbia della piazza contro il vertice dell’ipocrisia? Dovremmo rivolgerci a chi, tra voi, è capace soltanto di ripetere a macchinetta ciò che i funzionari del sindacato gli infilano nelle orecchie da vent’anni, o a chi ragiona e guarda la nudità dei propri interessi di classe, ammettendo che – di fronte agli attacchi del padronato in questi vent’anni – il sindacato, e spesso gli stessi operai come corpo sociale, “non hanno fatto nulla”, “non abbiamo espresso che mezze reazioni” o “parole”, “comizi”, “cortei senza risultato”, mentre le vostre e le nostre vite vanivano piano piano distrutte?
Ci rivolgiamo a tutti voi, naturalmente, ma soprattutto a chi, tra voi, la pensa diversamente da noi. Con un’eccezione: Maurizio Landini. Troppo sfacciato è stato il suo comportamento ieri mattina, troppo indifferente, menefreghista, ipocrita, calcolato. Ha avuto l’atteggiamento di chi non vuole vedere la realtà, anzi dalla realtà sociale odierna è completamente alienato, capace di vedere in ogni scena che si pari davanti ai suoi occhi soltanto un flash-back o un dejà vu. Un atteggiamento arrogante e ignorante a un tempo. Non si è chiesto perché la polizia avesse caricato gli studenti e i precari. Non si è chiesto perché studenti e precari avessero tentato di divellere le barriere tra loro e il vertice. Ci ha immediatamente “condannati”, manco fosse Gesù Cristo, perché avevamo osato “turbare” il centro durante il suo comizio: per questo saremmo stati degli “sciocchi”. Impossibile che la rabbia di quei giovani possedesse un retroterra di pensiero, convinzioni, analisi magari diverse dalle sue sul conflitto sociale, sul vertice e sul ruolo dei “lavoratori della polizia” in un’epoca di crisi economica e tensioni sociali. Impossibile che le emozioni e la rabbia della nostra piazza avessero una motivazione di classe altrettanto legittima di quella dei metalmeccanici. Siamo stati soltanto degli stupidi, degli sciocchi; forse perché non abbiamo ascoltato con la dovuta attenzione le sue illuminanti parole?
Eppure quelle parole le abbiamo ascoltate, mentre la celere cercava di colpirci alla testa o al petto con decine di granate lacrimogene (che, usate in questo modo, possono essere letali) come ha fatto negli ultimi tre anni in Val di Susa. Sentivamo la nenia delle sue parole mentre ragazzi di sedici anni venivano pestati da otto agenti contemporaneamente, ammanettati dalla Digos, portati in questura e poi denunciati, trattenuti ai domiciliari o in carcere. Le abbiamo lette su Internet subito dopo quando il segretario, non contento di tutto questo, ha criticato la polizia non per aver difeso il vertice e attaccato gli studenti, ma per non averlo difeso abbastanza bene e non aver attaccato abbastanza efficacemente (forse “preventivamente”) gli “antagonisti”. (Per poi andare a protestare in questura e farsi pure fare il culo dal questore nei suoi uffici).
Per questo non ci rivolgiamo a Landini, ma agli operai che lo ascoltavano, magari infastiditi dai rumori degli scontri cento metri alle loro spalle. A voi chiediamo: per quanto ancora vorrete crederete all’idea che soltanto sfilando e mostrando i vostri numeri, una volta ogni tanto, fermerete l’assalto dei padroni alle vostre vite? Per quanto ancora continuerete a pensare che ascoltare i comizi dei vostri dirigenti è un buon corrispettivo per aver rinunciato a un giorno di salario? Per quanto ancora continuerete a credere alla favoletta che raccontano tutti i sindacalisti, cioè che i giovani sono “provocatori” usati dalla polizia, che dietro di noi c’è il governo, c’è il complotto e la strategia della tensione? Per quanto ancora vi farete prendere in giro da queste cazzate? Sappiamo che per molti di voi l’organizzazione è importante, ha incarnato molto in termini di esperienze, lotte e speranza. Noi di questo abbiamo rispetto, nonostante le differenze che possono esserci tra i nostri modi di intendere una strategia e un’organizzazione. Ma soltanto avendo per noi lo stesso rispetto mostrereste di possedere ancora il senso di una lotta che sia di classe. Lo sapete che uno degli arrestati è operaio di fabbrica? Del resto: anche se così non fosse? Ci auguriamo voi non crediate che gli sfruttati esistono solo in fabbrica: sareste rimasti un po’ indietro.
Sappiamo bene, abitando a Torino, quanto per voi sia insolito ricevere critiche. Sappiamo quanto siete abituati ad essere coccolati: dal sindaco, da sindacalisti di ogni risma e pedigrì, moltissimo dai giornalisti, puntualmente dai politici. Chi non ha a cuore il destino dei “poveri operai” dell’arcipelago industriale piemontese? Chi non ha, per voi, una buona parola? Chi non è pronto a darvi solidarietà, a parole e anche accettando le vostre contestazioni, dicendo di “capire” i vostri “problemi”? Ebbene, ci spiace dirvelo, ma tutti questi signori che vi coccolano a parole o sulla carta stampata sono quelli che ve lo stanno mettendo nel culo da un bel po’ di tempo a questa parte. Ci spiace davvero dirvelo così francamente, ma è la verità, e la maggior parte di voi, in cuor suo, lo sa. Allora noi ci permettiamo di rivolgervi a voi in modo diretto, restando su un piano politico da pari a pari, da sfruttati a sfruttati (che è quello che a noi interessa, lasciamo ad altri la propaganda) perché non siamo ipocriti come il vostro segretario.
Sappiate, anche per il futuro, che non abbiamo nessuna soggezione psicologica nei vostri confronti. Siamo operai nella grande catena di montaggio della metropoli. Siamo quello che vi sporgono il caffè al bar la mattina. Siamo quelli che hanno disegnato il sito del vostro sindacato o del locale dove, una volta ogni tanto, vi prendete una birra. Abbiamo cucinato la pizza o il toast che Chiamparino e Marchionne vi hanno lasciato come elemosina. Abbiamo scaricato le merci che trovate al mercato, dal tabaccaio. Ci siamo presi cura di vostra cugina quando è uscita fuori di testa. Faciamo ripetizioni ai vostri figli. Trasportiamo nei supermercati i giornali dove coccolano voi e insultano noi. Cerchiamo i nostri prossimi lavori per la maggior parte del nostro tempo “libero”. Non abbiamo grandi contratti o garanzie (quelli li ha conquistati una classe operaia che, a Landini, ieri, lo avrebbe preso a calci nel sedere); non abbiamo cassa integrazione quando ci licenziano e guadagniamo la metà o un terzo di voi.
Per tutto questo, dite al vostro segretario che quando si rivolge a noi in piazza, deve sciacquarsi la bocca; perché siamo incazzati neri, non vogliamo fare i lavori socialmente utili come vaneggia lui, vogliamo dignità e rispetto, siamo proletari e vogliamo far saltare in aria questa società di merda. Magari voi non l’avete ancora capito (la polizia l’ha capito benissimo): siamo gli unici alleati che avete in Italia. Sì, proprio noi, quelli che tirano i pomodori contro chi difende il ministro Poletti al Regio. Solo noi. Volete continuare ad ascoltare i comizi, a sfilare senza mettere in discussione nulla? Accomodatevi. Noi non siamo cristiani: a noi gli oppressi interessano quando si ribellano, in caso contrario se ne occupino i missionari. Volete confinare la pratica dello sciopero entro i parametri che il sindacato ha concordato con i padroni? Guardate i facchini in questi giorni, guardate quel che hanno fatto in questi anni autotrasportatori, gli autoferrotramvieri, e tante altre categorie di lavoratori che non lavorano in fabbrica. Non dovete insegnare niente a nessuno, al massimo, come tutti noi, imparare un sacco e una sporta. Volete difendere il posto, il salario, la vostra famiglia? Siate pronti a scontrarvi con ben più che soltanto la polizia. Non volete? Addio salario, addio famiglia.
Confrontiamoci, da compagni, ma a partire da pratiche reali di conflitto, non della pantomima di sindcalisti che devono poi candidarsi alle europee; e non veniteci a dire che ci siamo fatti scudo di voi, perché ieri voi siete stati al totale riparo dagli scontri, le cariche le abbiamo subite (e respinte al mittente) noi. Non ripetete le cazzate che dice Landini sul fatto che noi abbiamo “usato” il vostro corteo, perché il nostro noi l’avevamo organizzato molto prima e l’avremmo fatto comunque, con o senza di voi. Come abbiamo fatto e faremo mille altre volte. Quindi non preoccupatevi. Non preoccupatevi se ci sono gli studenti e i precari in piazza; preoccupatevi se la Camusso dice, in mezzo migliaia di famiglie

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