NEWSLETTER PER LA TUTELA DELLA SALUTE
E DELLA
SICUREZZA DEI LAVORATORI
INDICE
JOBS ACT: IN VIGORE I DECRETI
ATTUATIVI E LE MODIFICHE AL D.LGS. 81/08
|
1
|
INAIL: GUIDA PER
MALATTIE PROFESSIONALI E INFORTUNI SUL LAVORO
|
4
|
CASSAZIONE:
LEGITTIME LE DIMISSIONI DEL DIPENDENTE PER RITMI TROPPO STRESSANTI
|
8
|
SULLA POSIZIONE DI GARANZIA DEL PREPOSTO “DI DIRITTO”
E “DI FATTO”
|
9
|
I RISCHI BIOLOGICI NEL SETTORE
SANITARIO E LE FERITA DA PUNTA E DA TAGLIO
|
11
|
MOVIMENTAZIONE MANUALE DEI
CARICHI: FATTORI DI RISCHIO E PREVENZIONE
|
14
|
ACCORDO SULL’AMIANTO IN PIEMONTE
TRA CGIL, CISL E UIL E ANCI
|
17
|
INAIL: IL RISCHIO BIOLOGICO
NEGLI AMBULATORI “PRIME CURE”
|
18
|
JOBS ACT: IN VIGORE I DECRETI
ATTUATIVI E LE MODIFICHE AL D.LGS. 81/08
Da:
PuntoSicuro
25 settembre
2015
di Tiziano
Menduto
Pubblicati
in Gazzetta Ufficiale gli ultimi quattro Decreti Legislativi in attuazione del
“Jobs Act”.
Focus sul
Decreto Legislativo 14 settembre 2015, n. 151 e sulle modifiche al D.Lgs. 81/08
in vigore dal 25 settembre 2015.
Sono stati
finalmente pubblicati ieri [26 settembre] in Gazzetta Ufficiale, dopo lunga
attesa, gli ultimi quattro Decreti Legislativi in attuazione del “Jobs Act”, la
legge 10 dicembre 2014, n. 183, recante le “Deleghe al Governo in materia di
riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle
politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti
di lavoro e dell’attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze
di cura, di vita e di lavoro”.
Questi i
quattro decreti secondo la numerazione progressiva assegnata:
-
Decreto
Legislativo 14 settembre 2015, n. 148 “Disposizioni per il riordino della
normativa in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di
lavoro”;
-
Decreto
Legislativo 14 settembre 2015, n. 149 “Disposizioni per la razionalizzazione e
la semplificazione dell’attività ispettiva in materia di lavoro e legislazione
sociale”;
-
Decreto
Legislativo 14 settembre 2015, n. 150 “Disposizioni per il riordino della
normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive”;
-
Decreto
Legislativo 14 settembre 2015, n. 151 “Disposizioni di razionalizzazione e
semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e
imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari
opportunità”.
Relativamente
a queste normative, PuntoSicuro ha riportato in questi mesi le bozze, le
indiscrezioni e i vari schemi di Decreto approvati dal Consiglio dei Ministri e
sottoposti ai pareri parlamentari.
Siamo ora
arrivati ai testi definitivi, che, almeno per quanto riguarda i due temi citati
non sembrano avere avuto variazioni sostanziali rispetto a quanto già
preannunciato nei giorni scorsi.
Rimandando a
futuri approfondimenti e commenti dettagliati, riprendiamo brevemente invece
oggi la struttura del Decreto che riguarda le modifiche apportate al D.Lgs.
81/08 in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.
Modifiche che, con riferimento a quanto contenuto al comma 15 dell’articolo 1
della Legge 183/14, entrano in vigore il giorno successivo a quello della loro
pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, cioè il 24 settembre 2015.
Il Decreto
Legislativo 14 settembre 2015, n. 151 recante “Disposizioni di
razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a
carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di
lavoro e pari opportunità” ha un Capo III dedicato espressamente alla
“Razionalizzazione e semplificazione in materia di salute e sicurezza sul
lavoro”.
Al di là
delle semplificazioni in materia di adempimenti formali concernenti gli
infortuni sul lavoro e le malattie professionali (articolo 21), è l’articolo 20
a riportare le modifiche al D.Lgs. 81/08.
Abbiamo già
evidenziato, in precedenti articoli, che le modifiche riguardano il Decreto in
diversi punti.
Ad esempio
riguardano il lavoro accessorio, la revisione della composizione del Comitato
per l’indirizzo e la valutazione delle politiche attive e per il coordinamento
nazionale delle attività di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro
e della Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro.
Riprendiamo,
ad esempio, dal testo del Decreto, la nuova composizione della Commissione
Consultiva che, al di là dei rappresentanti ministeriali, ora prevede anche:
-
sei rappresentanti
delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, designati dalla
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province
autonome di Trento e di Bolzano;
-
sei esperti
designati delle organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente piu’
rappresentative a livello nazionale;
-
sei esperti
designati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro comparativamente
piu’ rappresentative a livello nazionale;
-
tre esperti
in medicina del lavoro, igiene industriale e impiantistica industriale;
-
un
rappresentante dell’ANMIL.
Altre
modifiche riguardano poi l’invio dei quesiti di ordine generale
sull’applicazione della normativa in materia di salute e sicurezza del lavoro,
che ora possano essere presentati alla Commissione per gli interpelli anche
dalle Regioni e dalle Province autonome, e la possibilità di avere, ai fini
della valutazione dei rischi, strumenti tecnici, specialistici e di supporto.
Riprendiamo
il testo relativo alle modifiche al D.Lgs. 81/08 relative a questi ausili per
le aziende:
-
e)
all’articolo 28, dopo il comma 3-bis è inserito il seguente:
“3-ter. Ai fini della valutazione di
cui al comma 1 [valutazione del rischio], l’INAIL, anche in collaborazione con
le aziende sanitarie locali per il tramite del Coordinamento Tecnico delle
Regioni e i soggetti di cui all’articolo 2, comma 1, lettera ee), rende
disponibili al datore di lavoro strumenti tecnici e specialistici per la
riduzione dei livelli di rischio. L’INAIL e le aziende sanitarie locali svolgono
la predetta attività con le risorse umane, strumentali e finanziarie
disponibili a legislazione vigente”;
-
f)
all’articolo 29, il comma 6-quater e’ sostituito dal seguente:
“6-quater. Con Decreto del Ministro
del lavoro e delle politiche sociali, da adottarsi previo parere della
Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro, sono
individuati strumenti di supporto per la valutazione dei rischi di cui agli
articoli 17 e 28 e al presente articolo, tra i quali gli strumenti informatizzati
secondo il prototipo europeo OIRA (Online Interactive Risk Assessment)”.
Altre
modifiche riguardano lo svolgimento diretto da parte del datore di lavoro dei
compiti di prevenzione e protezione dai rischi, l’abrogazione di alcuni
riferimenti al registro infortuni e in materia di sanzioni per il datore di
lavoro e il dirigente.
Per queste
modifiche non ci sono particolari variazioni rispetto a quanto già indicato in
precedenti articoli da PuntoSicuro.
Stessa cosa
per le modifiche nelle definizioni del D.Lgs.81/08 in relazione al Titolo III
relativo ad attrezzature e DPI (articolo 69), in tema di generatori di vapore
(articolo 73-bis) e con riferimento ad alcune necessarie correzioni di
disposizioni sanzionatorie (articolo 87).
Riportiamo
invece interamente il testo relativo a una modifica in materia di formazione
dei coordinatori, con riferimento alla modifica dell’articolo 98 relativo ai
requisiti professionali del coordinatore per la progettazione, del coordinatore
per l’esecuzione dei lavori; modifica che permette ai coordinatori di
utilizzare, per il modulo giuridico e l’aggiornamento, la modalità e-learning:
-
o)
all’articolo 98, comma 3, sono inseriti, infine, i seguenti periodi:
-
“L’allegato
XIV è aggiornato con accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti
tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. I corsi
di cui all’allegato XIV, solo per il modulo giuridico (28 ore), e i corsi di
aggiornamento possono svolgersi in modalità e-learning nel rispetto di quanto
previsto dall’allegato I dell’Accordo in sede di Conferenza permanente per i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano
del 21 dicembre 2011 emanato per la formazione dei lavoratori ai sensi
dell’articolo 37, comma 2”.
Una modifica
riguarda poi l’articolo 190 (Valutazione del rischio) in relazione alla
protezione dei lavoratori contro i rischi di esposizione al rumore.
Viene
sostituito il comma 5-bis, introducendo in questo modo la possibilità di
stimare in fase preventiva l’emissione sonora di attrezzature di lavoro,
macchine e impianti facendo riferimento alle banche dati sul rumore approvate
dalla Commissione consultiva permanente e riportando la fonte documentale cui
si è fatto riferimento.
Il testo
definitivo del Decreto Legislativo 14 settembre 2015, n. 148 “Disposizioni per
il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in costanza di
rapporto di lavoro”, come pubblicato in Gazzetta Ufficiale è scaricabile
all’indirizzo:
Il testo
definitivo del Decreto Legislativo 14 settembre 2015, n. 149 “Disposizioni per
la razionalizzazione e la semplificazione dell’attività ispettiva in materia di
lavoro e legislazione sociale”, come pubblicato in Gazzetta Ufficiale è
scaricabile all’indirizzo:
Il testo
definitivo del Decreto Legislativo 14 settembre 2015, n. 150 “Disposizioni per
il riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche
attive” , come pubblicato in Gazzetta Ufficiale è scaricabile all’indirizzo:
Il testo
definitivo del Decreto Legislativo 14 settembre 2015, n. 151 “Disposizioni di
razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a
carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di
lavoro e pari opportunità”, come pubblicato in Gazzetta Ufficiale è scaricabile
all’indirizzo:
INAIL: GUIDA PER
MALATTIE PROFESSIONALI E INFORTUNI SUL LAVORO
Da
Studio Cataldi
28/09/15
Avvocato
Valeria Zeppilli
LE
MALATTIE PROFESSIONALI
Per
malattia professionale si intende quella che il lavoratore contrae a causa
dello svolgimento di un’attività lavorativa.
Essa
va tenuta distinta dall’infortunio sul lavoro, innanzitutto perché per ottenere
le prestazioni per malattia non è sufficiente la mera occasione di lavoro ma è
necessario che essa sia in rapporto causale diretto con l’attività lavorativa;
inoltre mentre l’infortunio è imputabile a una causa violenta, intensa e
concentrata nel tempo (vedi dopo), la malattia è imputabile a una causa lenta e
si manifesta in maniera graduale e progressiva.
La
causa che genera una malattia professionale, peraltro, deve essere in grado di
produrre l’infermità in maniera esclusiva o prevalente, con la conseguenza che
eventuali cause extra professionali possono solo concorrere a dar luogo alla
malattia, ma non devono essere idonee da sole a generarla.
LE
MALATTIE TABELLATE
Alcune
particolari malattie, per la precisione 85 per il settore dell’industria e 24
per il settore agricolo, sono considerate presuntivamente collegate allo
svolgimento di un’attività lavorativa e, in quanto tali, ricomprese
automaticamente, al loro palesarsi, nella tutela assicurativa offerta
dall’INAIL (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul
Lavoro) per le malattie professionali.
In
sostanza, il lavoratore che sia affetto da una di tali malattie (cosiddette
“tabellate”) non deve dimostrare di averla contratta in occasione di lavoro per
poter beneficiare delle prestazioni dell’istituto nazionale per l’assicurazione
contro gli infortuni sul lavoro, in quanto tale circostanza è presunta.
LE
MALATTIE NON TABELLATE
La
tutela dei lavoratori rispetto alle malattie professionali, tuttavia, non è
limitata a quelle che il legislatore ha inserito nelle apposite tabelle.
Per
queste opera solo una presunzione di dipendenza dal rapporto di lavoro, ma
tutte le malattie possono dare luogo alla tutela INAIL.
Nel
caso in cui il lavoratore abbia contratto una malattia non comprese tra quelle
tabellate (malattia cosiddetta appunto “non tabellata”), sarà però suo onere
dimostrare che essa sia in rapporto causale con le condizioni di lavoro.
Solo
fornita questa prova, egli potrà ottenere le relative prestazioni assistenziali
di carattere economico, sanitario e riabilitativo.
COME
OTTENERE LE PRESTAZIONI INAIL
Il
lavoratore che abbia contratto una malattia professionale è tenuto a farne
denuncia entro 15 giorni al datore di lavoro. Sarà poi quest’ultimo che, nei
successivi 5 giorni, provvederà ad informarne l’INAIL.
Nella
denuncia devono essere indicati sia la tipologia di malattia che il lavoratore
ha contratto, che il momento in cui essa si è manifestata. Alla denuncia deve
essere poi allegato il certificato medico in cui sia specificato il domicilio
del lavoratore, il luogo di eventuale ricovero e la relazione dei sintomi della
malattia.
Tuttavia,
se il datore di lavoro effettua la denuncia per via telematica, il certificato
medico deve essere inviato solo su espressa richiesta dell’istituto.
Una
volta ricevuta la richiesta, l’INAIL avvia il procedimento amministrativo volto
a verificare l’effettiva sussistenza della malattia e dei presupposti per
concedere le prestazioni assistenziali, che sono le medesime previste per gli
infortuni sul lavoro.
L’AGGRAVAMENTO
DELLA MALATTIA
Può
ben accadere che a seguito di accertamento della malattia da parte dell’INAIL,
il lavoratore si aggravi.
In
tal caso, egli ha la possibilità di effettuare una domanda di revisione ed
essere così nuovamente sottoposto a visita.
La
stessa facoltà è concessa all’INAIL, nei casi in cui abbia motivo di dubitare
che la malattia si sia invece alleviata.
La
revisione dell’indennizzo in capitale, in ogni caso, può avvenire una sola
volta.
Ciò
non toglie, tuttavia, che le domande di revisione possono essere presentate
anche più volte, ma nel rispetto di termini determinati. Nel dettaglio, la
prima domanda può essere presentata solo decorsi sei mesi dal termine
dell’eventuale inabilità temporanea assoluta o un anno dal manifestarsi della
malattia, mentre le domande successive sono proponibili a distanza di almeno un
anno dalle precedenti.
In
ogni caso, le domande di revisione possono essere presentate al massimo decorsi
quindici anni dalla data di decorrenza della rendita, a eccezione delle rendite
fruite dai medici e dai tecnici di radiologia per le malattie provocate
dall’azione dei raggi X e delle sostanze radioattive, che possono essere sempre
revisionate.
IL
PRINCIPIO DI AUTOMATICITÀ DELLE PRESTAZIONI
Occorre
da ultimo precisare che nel nostro ordinamento vige il principio di
automaticità delle prestazioni in forza del quale il lavoratore, in caso di
malattia professionale, ha diritto alle prestazioni assistenziali predisposte
dall’INAIL, anche se il datore di lavoro non lo ha assicurato o non è in regola
con i contributi.
Le
tabelle INAIL per le menomazioni, la tabella per l’indennizzo del danno
biologico, la tabella dei coefficienti sono consultabili all’indirizzo:
GLI
INFORTUNI SUL LAVORO
L’infortunio
sul lavoro è quello che si verifica per causa violenta in occasione di lavoro,
comportando, per il lavoratore, la morte, l’inabilità permanente assoluta o
parziale al lavoro, l’inabilità temporanea totale per più di 3 giorni o un
danno biologico.
LA
CAUSA VIOLENTA E L’OCCASIONE DI LAVORO
Come
accennato, un infortunio è indennizzabile dall’INAIL anzitutto se imputabile a
una causa violenta. Si tratta, nei fatti, di un’aggressione esterna
all’indennità psico-fisica del lavoratore, intensa e concentrata nel tempo. Non
sono, invece, indispensabili i requisiti della straordinarietà,
dell’accidentalità o dell’imprevedibilità del fatto lesivo.
Proprio
le caratteristiche della causa violenta permettono di distinguere l’infortunio
dalla malattia, caratterizzata, invece, da una causa lenta (vedi sopra).
La
causa violenta deve, poi, verificarsi in occasione di lavoro. Ciò vuol dire che
tra l’attività lavorativa e l’infortunio deve sussistere un rapporto, diretto o
indiretto, di causa-effetto, senza che sia sufficiente che l’evento si
verifichi durante il lavoro.
Se
l’infortunio è connesso a una condotta riconducibile all’attività lavorativa,
l’indennizzabilità non è compromessa dal comportamento imprudente, negligente o
privo di perizia del lavoratore, mentre restano esclusi dalla tutela gli
infortuni le cui conseguenze siano dolosamente aggravate dal lavoratore o che
derivino dall’abuso di sostanze alcoliche e di psicofarmaci, dall’uso non
terapeutico di stupefacenti e allucinogeni o dalla mancanza della patente di
guida.
L’INFORTUNIO
IN ITINERE
Si
considera verificatosi durante il lavoro anche il cosiddetto infortunio “in
itinere”, ovverosia quello che avviene durante il tragitto compiuto per
raggiungere, dalla propria abitazione, il luogo di lavoro o quello compiuto per
recarsi da un luogo di lavoro a un altro o, infine, quello necessario per la
consumazione dei pasti in assenza di mensa aziendale.
Se
l’infortunio si verifica durante eventuali deviazioni rispetto ai predetti
tragitti, esso è risarcibile dall’INAIL solo se tali deviazioni siano
necessarie per accompagnare i figli a scuola, conseguenza di una direttiva del
datore di lavoro o dovute a causa di forza maggiore, ad esigenze assistenziali
improrogabili o ad obblighi penalmente rilevanti. In caso di sosta il
risarcimento è riconosciuto solo se essa sia breve e non alteri le condizioni
di rischio.
Occorre
tuttavia chiarire che il tragitto percorso con l’utilizzo di un mezzo privato è
coperto dall’assicurazione solo se tale uso sia indispensabile, come ad esempio
nel caso in cui il mezzo sia fornito o prescritto dal datore di lavoro per
esigenze lavorative o nel caso in cui il luogo di lavoro non possa essere
raggiunto, o non possa essere raggiunto in tempo utile, con l’utilizzo dei
mezzi pubblici.
L’INDENNIZZABILITA’
DEL DANNO
Il
danno derivante dall’infortunio sul lavoro è indennizzabile solo laddove sia di
particolare rilevo e comporti, quindi, una riduzione della capacità lavorativa
di almeno il 16%, un danno biologico quantificato in minimo 6 punti
percentuali, un’inabilità assoluta temporanea al lavoro.
In
particolare, se il danno permanente è:
-
inferiore
al 6%, non si ha diritto ad alcun indennizzo;
-
di
entità compresa tra il 6% e il 15%, si ha diritto all’indennizzo in capitale
del danno biologico;
-
di
entità compresa tra il 16% e il 100%, si ha diritto a una rendita a titolo di
indennizzo, sia del danno biologico, sia del danno patrimoniale.
L’INDENNITA’
GIORNALIERA PER LA INABILITA’ TEMPORANEA
Nel
caso in cui dall’infortunio sia derivata al lavoratore un’inabilità al lavoro
temporanea e assoluta, egli avrà diritto a un’indennità giornaliera corrisposta
dall’INAIL a partire dal quarto giorno (i primi tre giorni sono a carico del
datore di lavoro) e pari al 60% della retribuzione per i primi 90 giorni e al
75% dal novantunesimo giorno in poi.
Terminato
il periodo di inabilità temporanea, il lavoratore è sottoposto a visita
medico-legale dall’INAIL al fine di valutare la presenza di eventuali postumi.
LA
RENDITA DIRETTA
Nel
caso in cui dall’infortunio sia derivata al lavoratore un’inabilità permanente,
assoluta o parziale, fino al 25 luglio 2000 egli aveva diritto ad una rendita
corrisposta mensilmente.
Essa
spetta ancora oggi ai lavoratori che abbiano subito un infortunio prima di tale
data ed è subordinata alla circostanza che l’inabilità derivata fosse almeno
pari all’11%.
La
rendita è incompatibile con le pensioni di inabilità e gli assegni di
invalidità erogati per il medesimo evento invalidante, ma è cumulabile con le
pensioni di vecchiaia e di anzianità.
IL
RISARCIMENTO DEL DANNO BIOLOGICO
Per
gli infortuni avvenuti a partire dal 25 luglio 2000 è previsto il risarcimento,
da parte dell’INAIL, del danno biologico subito dal lavoratore a seguito di
infortunio sul lavoro.
Esso
è influenzato nel suo ammontare dal tipo e dalla percentuale di menomazione che
ne è derivata e soggiace alle stesse incompatibilità previste per la rendita
diretta.
Bisogna
quindi fare riferimento, congiuntamente, alla tabella delle menomazioni e alla
tabella di indennizzo del danno biologico.
In
particolare:
-
se
la menomazione è inferiore al 6% il danno biologico, come visto, non è
riconosciuto;
-
se
la menomazione è compresa tra il 6% e il 15%, essa comporta l’erogazione di una
somma in capitale, una tantum, influenzata anche dal sesso e dall’età del
danneggiato;
-
se
la menomazione è superiore al 16% essa dà luogo a una rendita corrisposta
tramite l’INPS e influenzata, nel suo ammontare, oltre che dalla percentuale di
invalidità, anche dallo stipendio e da un coefficiente di maggiorazione.
In
tale ultime ipotesi il lavoratore può anche ottenere il risarcimento del danno
patrimoniale subito, calcolato riferendosi alla cosiddetta tabella dei
coefficienti.
LA
DENUNCIA DI INFORTUNIO
Il
lavoratore è tenuto a denunciare immediatamente l’infortunio al datore di
lavoro, il quale deve a sua volta denunciarlo all’INAIL entro due giorni.
In
ogni caso per poter ottenere l’erogazione delle prestazioni, il lavoratore deve
fare espressa domanda all’INAIL entro tre anni e centocinquanta giorni
dall’evento dannoso, compilando un modulo scaricabile online o recandosi presso
le sedi dell’istituto.
ALTRE
PRESTAZIONI.
La
tutela previdenziale prevede ulteriori prestazioni oltre a quelle fondamentali
sopra analizzate.
Ad
esempio, al lavoratore che benefici della rendita e, invalido al 100%, non sia
in grado di far fronte autonomamente alle esigenze di vita quotidiana, spetta
anche un assegno per l’assistenza personale continuativa.
E’
previsto, poi, un assegno di incollocabilità corrisposto al lavoratore che, a
causa delle conseguenze riportate a seguito dell’infortunio, stimate in almeno
il 34% di invalidità, non possa usufruire del sistema di collocamento
obbligatorio.
E’
prevista infine la rendita corrisposta ai superstiti nel caso in cui
dall’infortunio sia derivata la morte del lavoratore, da dividersi pro quota
tra il coniuge e i figli, in mancanza tra gli ascendenti se a carico del
defunto o, in subordine, a fratelli e sorelle conviventi e a carico del defunto.
Le
tabelle INAIL per le menomazioni, la tabella per l’indennizzo del danno
biologico, la tabella dei coefficienti.
CASSAZIONE:
LEGITTIME LE DIMISSIONI DEL DIPENDENTE PER RITMI TROPPO STRESSANTI
Da
Studio Cataldi
28/09/15
Avvocato
Valeria Zeppilli
CASSAZIONE:
LEGITTIME LE DIMISSIONI DEL DIPENDENTE PER RITMI TROPPO STRESSANTI
E
IL DATORE DI LAVORO E’ TENUTO A PAGARE L’INDENNITA’ SOSTITUTIVA DEL PREAVVISO
Con
la Sentenza numero 18429/2015, depositata il 18 settembre la Corte di
Cassazione ha ritenuto logiche e fondate le dimissioni rassegnate dal
lavoratore a causa dell’assoggettamento a ritmi di lavoro improponibili.
Nel
dettaglio, il dipendente lamentava di essere ormai esasperato dalla mole di
lavoro insostenibile della quale la società datrice di lavoro lo caricava e che
gli aveva addirittura causato conseguenze alla salute, sfociate in una sindrome
ansiosa da stress per iperattività lavorativa, come da certificato medico del
servizio di medicina fiscale e legale prodotto.
La
mole di lavoro, peraltro, risultava agli atti, oltre che dal carteggio relativo
alle dimissioni, anche dai prospetti riepilogativi del lavoro svolto dal
ricorrente e dai fogli presenze.
Alla
luce delle congrue motivazioni della Corte di appello in merito, la Cassazione
non ha potuto far altro che confermare l’adeguatezza della decisione.
Così,
ad avallo della sentenza emessa dal giudice del merito, la società datrice di
lavoro è stata condannata a pagare in favore dell’ex dipendente una somma pari
ad euro 84.637,34, a titolo di differenze retributive e TFR e, soprattutto,
alla corresponsione dell’indennità sostitutiva del preavviso giustificata dalla
legittimità delle dimissioni per “ritmi lavorativi insostenibili”.
All’azienda,
ora, non resta altro che pagare.
SULLA POSIZIONE DI GARANZIA DEL
PREPOSTO “DI DIRITTO” E “DI FATTO”
Da:
PuntoSicuro
21 settembre
2015
di Gerardo
Porreca
Il
capocantiere, impartendo ordini ai lavoratori per lo svolgimento delle attività
di loro competenza e ricoprendo una posizione sovraordinata agli stessi, assume
di fatto una posizione di garanzia assimilabile a quella del preposto.
Sono forniti
sostanzialmente dalla Corte di Cassazione in questa Sentenza dei chiarimenti
sulla applicazione dell’articolo 299 del D.Lgs. 81/08 con riferimento in
particolare alla posizione di garanzia del preposto in quanto vengono precisati
quelli che sono gli elementi di distinzione fra il “preposto di diritto” e il
“preposto di fatto”.
La Sentenza riguarda in particolare la
individuazione della responsabilità o meno di un capocantiere per l’infortunio
occorso a un lavoratore nel mentre operava su di una macchina per la mancanza
dei presidi di sicurezza previsti dalle disposizioni di legge vigenti in
materia.
Il
capocantiere, ha sostenuto la suprema Corte, nel momento in cui impartisce
ordini e direttive ai lavoratori per lo svolgimento delle attività di loro
competenza, ricoprendo una posizione sovraordinata agli stessi, assume di fatto
una posizione di garanzia assimilabile a quella del preposto e quindi risponde
degli obblighi di sicurezza che il legislatore ha posto a carico di
quest’ultimo.
Il Tribunale
ha affermata la penale responsabilità di un capocantiere in ordine al reato di
cui agli articoli 113 e 590 comma secondo e terzo del Codice Penale (in
relazione agli articoli 71, comma 1 e 97, comma 1 del D.Lgs. 81/08), perché in
cooperazione colposa con il rappresentante legale dell’impresa affidataria dei
lavori di costruzione di una villa e datore di lavoro di fatto, giudicato con
separato procedimento, cagionava lesioni gravi per colpa, in violazione di
specifiche norme antinfortunistiche, a un lavoratore cittadino straniero
irregolare sul territorio nazionale.
Era
accaduto, infatti, che il predetto operaio, assunto in nero una settimana prima
dell’infortunio con le mansioni di manovale per lo svolgimento di lavori di
edilizia, mentre tagliava nel cantiere sopracitato, su ordine del capocantiere,
un pezzo di legno con la sega circolare messagli a disposizione, nonostante
avesse la cuffia bloccata, rimaneva incastrato con il guanto tra la lama e il
legno, così subendo uno schiacciamento della mano sinistra e una grave lesione
giudicata guaribile in un tempo superiore a quaranta giorni con conseguente
indebolimento permanente dell’organo.
Il giudice
di primo grado ha fondato il convincimento di colpevolezza sulla deposizione
della funzionaria dell’ASL intervenuta a seguito dell’incidente, dell’agente
della Polizia Locale che aveva proceduto al sequestro del macchinario e del
Coordinatore della Sicurezza nonché sull’esame dell’imputato e sulle
dichiarazioni rese sia dalla persona offesa che da un dipendente dell’impresa.
Alla stregua
di tali fonti di prova il Tribunale, accertato che effettivamente la sega
circolare descritta non risultava in regola in quanto la cuffia di protezione,
anche quando veniva alzata, non attivava l’immediato fermo della lama rotante,
era pervenuto alla conclusione che il capocantiere ricoprisse in fatto
un’attività di coordinamento delle attività svolte nell’ambito del cantiere che
concretamente si realizzava nell’impartire ordini e direttive ai diversi
lavoratori che materialmente vi operavano per realizzare le attività
differenziate di loro competenza, in una posizione certamente sovraordinata in
quanto ricopriva di fatto una posizione di garanzia sul piano della prevenzione
e che in ragione di tale posizione, pertanto, nonostante fosse al corrente
della circostanza che la sega circolare di cui trattasi non era a norma, ne
consentiva l’uso da parte della persona offesa.
La
competente Corte d’Appello, adita dall’imputato, ha riformato parzialmente la Sentenza del Tribunale
rideterminando la pena inflitta, ritenendo infondati i motivi relativi al
merito del procedimento posti a base del gravame di merito.
L’imputato
ha fatto ricorso per Cassazione adducendo varie motivazioni. Con riferimento in
particolare alla posizione di garanzia assimilabile a quella di preposto in
base alla quale era stato ritenuto responsabile del reato ascritto
attribuitagli sulla base delle dichiarazioni testimoniali indicate in Sentenza,
l’imputato ha fatto presente che nella sentenza era stato omesso di considerare
che il funzionario dell’ASL aveva escluso che lui fosse capocantiere, che un
teste aveva riconosciuto che il capocantiere indicato nel Piano di Sicurezza e
Coordinamento fosse un altro soggetto. Un altro teste, inoltre, aveva affermato
che lui non aveva mai dato direttive ai lavoratori.
I motivi
esposti dal ricorrente sono stati ritenuti infondati dalla Corte di Cassazione
che ha quindi rigettato il ricorso. Con riferimento, in particolare, alla
posizione di garanzia riconosciutagli dalla Corte di Appello la suprema Corte
ha condiviso il richiamo dalla stessa operato alla giurisprudenza costante
secondo cui, ai fini della prova della funzione di preposto, o comunque di
supremazia rispetto al lavoratore, non è richiesto un elemento probatorio
documentale o formale, potendo il Giudice del merito fondare il proprio
convincimento, così come è avvenuto nella concreta fattispecie, anche su un
compendio probatorio costituito da testimonianze e/o accertamenti fattuali,
così come precisato nella giurisprudenza.
E’ stato
altresì affermato in passato dalla Suprema Corte che la qualifica di preposto
deve essere riconosciuta con riferimento alle mansioni effettivamente svolte
nell’impresa, a prescindere da formali qualificazioni giuridiche (Corte di
Cassazione, Sentenza n. 38691 del 28/09/10).
Secondo la Suprema Corte,
quindi, il ricorrente ha sovrapposto la figura del preposto “di diritto”,
corrispondente alla definizione normativa di cui all’articolo 2 del D.Lgs.
81/08, a quella del “preposto di fatto”.
Se per la
prima, ha precisato la
Cassazione, è necessario, tra l’altro, che egli abbia
ricevuto un incarico dal datore di lavoro e che abbia ricevuto direttive per
l’esecuzione dei lavori, nel caso di assunzione di fatto la posizione di
garanzia deriva dal concreto espletamento dei poteri tipici del preposto senza
che vi sia una preliminare investitura da parte del datore di lavoro.
Quanto sopra
si ricava, oltre che da una analisi strutturale del fenomeno, dalla lettura
dell’articolo 299 del D.Lgs. 81/08 in base al quale “le posizioni di garanzia
relative ai soggetti di cui all’articolo 2, comma 1, lettere b), d) ed e),
gravano altresì su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura,
eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi
definiti”.
Né, per gli
stessi motivi, ha sostenuto ancora la Suprema Corte, sarebbe stato pertinente il
richiamo alla disciplina della delega di funzioni di cui all’articolo 16 del
D.Lgs. 81/08 perché occorre tenere distinta la tematica della delega di
funzioni prevenzionistiche, la quale richiede per la sua efficacia la
ricorrenza dei requisiti esplicitamente elencati dal menzionato articolo 16, da
quella evocata dal “principio di effettività”.
Infatti, ha
così proseguito la Suprema
Corte, in tema di tutela della sicurezza e della salute dei
lavoratori può affermarsi che il principio di effettività, se vale a elevare a
garante colui che di fatto assume e svolge i poteri del datore di lavoro, del
dirigente o del preposto, non vale a rendere efficace una delega priva dei
requisiti di legge e se nonostante tale carenza il delegato verrà chiamato a
rispondere del proprio operato sarà in quanto egli ha assunto di fatto i
compiti propri del datore, del dirigente o del preposto, e non per la esistenza
di una delega strutturalmente difforme dal modello normativo.
Di
conseguenza il delegante “imperfetto” manterrà su di sé tutte le funzioni
prevenzionistiche che l’atto non è valso a trasferire ad altri e i suoi doveri
non si ridurranno all’obbligo di vigilanza di cui all’articolo 16 del citato
D.Lgs. 81/08.
La Corte di Cassazione ha condiviso quindi
le conclusioni alle quali era pervenuta la Corte territoriale la quale, facendo proprio
l’impianto motivazionale del primo Giudice, aveva precisato analiticamente le
ragioni per le quali aveva ritenuto che l’imputato, nello svolgere le funzioni
di capocantiere, avesse assunto di fatto il ruolo di preposto del datore di
lavoro e avesse assunto in concreto le sue responsabilità.
La Sentenza n. 34299 del 6 agosto 2015 della
Corte di Cassazione Penale Sezione IV è scaricabile all’indirizzo:
I RISCHI BIOLOGICI NEL SETTORE
SANITARIO E LE FERITA DA PUNTA E DA TAGLIO
Da: PuntoSicuro
22 settembre
2015
di Tiziano
Menduto
Nel settore
sanitario molti operatori sono esposti ai rischi derivanti dall’uso di
strumenti taglienti o appuntiti. La normativa europea e nazionale, i
dispositivi con meccanismo di protezione e di sicurezza e le buone prassi.
Se
consideriamo che nell’Unione Europea gli addetti alla sanità rappresentano uno
dei più estesi settori d’impiego con circa il 10% della popolazione lavorativa
(il 77% sono donne) e che solo in Italia gli operatori sanitari alle dipendenze
dal Servizio Sanitario Nazionale sono circa 450.000 (di cui 276.000 infermieri
e 111.000 medici), si può capire quanti possano essere i soggetti esposti ai
rischi derivanti dall’uso di strumenti taglienti o appuntiti nel corso di varie
procedure (quali iniezione intramuscolare o sottocutanea, prelievo di campioni
di sangue, cateterismo endovenoso, ecc.) nel settore sanitario.
In questo
settore il rischio biologico occupazionale di natura infettiva, allergica,
tossica e cancerogena dovrebbe dunque essere evidente e correttamente percepito
come rischio negli ambienti sanitari. Invece una recente indagine realizzata in
Italia ha sorprendentemente messo in evidenza che tale rischio è conosciuto
meno dai professionisti sanitari piuttosto che dalle altre categorie di
lavoratori prese in considerazione: alimentazione, catering, servizi,
agricoltura e allevamento ecc.
Di questa
indagine, di altri studi e delle problematiche del rischio biologico nel
settore sanitario parla un breve saggio, un Working Paper, pubblicato da
Olympus il 15 settembre 2015 e dal titolo “Il rischio biologico nel comparto
sanitario. Le infezioni occupazionali”.
Il
documento, a cura di Maurizio Sisti (ricercatore di Igiene generale e applicata
presso il Dipartimento di Scienze Biomolecolari dell’Università di Urbino Carlo
Bo), si propone dunque di affrontare la problematica del rischio biologico nel
comparto sanitario con particolare riferimento alle infezioni occupazionali
degli operatori sanitari in seguito a esposizioni mucocutanee o accidentali con
sangue, liquidi biologici o materiale contaminato. Problematica rilevante anche
in relazione all’alta percentuale dei tassi di mancata notifica per le
esposizioni percutanee.
Il Working
paper si sofferma anche sulle criticità del D.Lgs. 19/14, recepimento della
Direttiva 2010/32/UE, che ha integrato il D.Lgs. 81/08 “Testo Unico sulla
sicurezza” aggiungendo integralmente il Titolo X-bis “Protezione dalle ferite
da taglio e da punta nel settore ospedaliero e sanitario”, in merito alla
prevenzione delle ferite da taglio o da punta, ponendo in risalto gli aspetti
positivi e le criticità. E si evidenzia anche il ruolo che svolgono le
istituzioni e le parti sociali a livello nazionale, regionale e territoriale
nell’implementare la prevenzione delle infezioni occupazionali.
Ci
soffermiamo oggi in particolare sulla Direttiva 2010/32/UE del Consiglio del 10
maggio 2010 che attua l’accordo quadro, concluso da HOSPEEM (Associazione europea
datori di lavoro del settore ospedaliero e sanitario) e FSESP (Federazione
sindacale europea dei servizi pubblici), in materia di prevenzione delle ferite
da taglio o da punta nel settore ospedaliero e sanitario.
In
particolare si ricorda che il testo dell’accordo quadro è costituito da cinque
articoli e un allegato; è diviso in preambolo, considerazioni generali e undici
clausole. E particolare importanza assumono le finalità, come la definizione di
un approccio integrato che deve includere la valutazione e prevenzione dei
rischi, la formazione, l’informazione, la sensibilizzazione, il monitoraggio,
l’azione di risposta e di follow-up dell’evento e la definizione di “luoghi di
lavoro interessati” (sono organizzazioni/servizi sanitari del settore pubblico
e privato, nonché ogni altro luogo in cui si svolgono attività e sono prestati
servizi sanitari sotto l’autorità e la supervisione del datore di lavoro).
Altra
importante definizione è quella data per i “dispositivi medici taglienti”
indicati come oggetti o strumenti necessari all’esercizio di attività
specifiche nel quadro dell’assistenza sanitaria che possono tagliare, pungere,
ferire e/o infettare. E gli oggetti taglienti o acuminati sono considerati
“attrezzature di lavoro” ai sensi della Direttiva 89/655/CEE relativa appunto
alle attrezzature di lavoro.
Il Working
Paper si sofferma tuttavia, sia in relazione alla Direttiva che al D.Lgs. 19/14
di recepimento, sul fatto che la nuova normativa pur fornendo una serie di
precise definizioni, non chiarisca che cosa si debba intendere per “dispositivi
con meccanismo di protezione e di sicurezza” quali possono essere ad esempio i
cosiddetti “Needlestick Prevention Devices” (NPDs).
Nonostante
questa mancanza di chiarezza, in Italia diverse strutture, in particolare
quelle pubbliche del SSN, hanno introdotto gli NPDs ancor prima
dell’applicazione del D.Lgs. 19/14. E secondo alcuni dati disponibili
(aggiornati al 2010) circa il 40% dei prelievi ematici, il 20% dei prelievi
arteriosi e il 24% dei posizionamenti dei cateteri avvengono tramite l’impiego
di presidi quali gli NPDs. Questo, unitamente all’adozione di pratiche
operative più sicure, ha contribuito ad una forte riduzione delle punture
accidentali mediamente di oltre l’80%, valore paragonabile a quello ottenuto in
altri Paesi europei, con una punta ragguardevole del 93% osservata in Spagna.
E dunque
(come riportato in un documento prodotto nel 2012 dal Gruppo di Studio PHASE)
si è dimostrato come l’adozione di dispositivi medici dotati di meccanismi di
protezione e sicurezza, come ad esempio gli NPDs, parallelamente a un’adeguata
informazione/formazione del personale sanitario sul loro corretto impiego,
abbia comportato una drastica riduzione delle esposizioni a rischio biologico
derivanti dalle lesioni percutanee accidentali quali ferite, taglio e puntura.
Gli NPDs,
continua il documento, rappresentano dunque una misura di protezione collettiva
atta a eliminare o contenere al massimo un rischio biologico specifico
rappresentato da oggetti taglienti o pungenti contaminati con sangue infetto,
in linea con l’art. 286-quater, comma 1, lettera b) del D.Lgs. 81/08, che
recita: “Il datore di lavoro è tenuto ad adottare misure idonee ad eliminare o
contenere al massimo il rischio di ferite ed infezioni sul lavoro attraverso
l’elaborazione di una politica globale di prevenzione che tenga conto delle
tecnologie più avanzate, dell’organizzazione e delle condizioni di lavoro, dei
fattori psicosociali legati all’esercizio della professione e dell’influenza
esercitata sui lavoratori dall’ambiente di lavoro”.
L’autore
ricorda inoltre che nella seduta del 25 settembre 2013 la Commissione
consultiva permanente per la sicurezza sul lavoro ha validato la buona prassi:
“Applicazione sistemi con aghi di sicurezza”, sviluppata dal Servizio
Prevenzione e Protezione dell’Ospedale San Martino di Genova, uno dei più vasti
complessi ospedalieri d’Europa, con l’intento di prevenire o ridurre in modo
significativo le punture accidentali da aghi impiegati nelle pratiche mediche e
infermieristiche.
Riguardo poi
alla Direttiva e alla possibilità dell’impiego di vaccini efficaci, dispensati
gratuitamente, qualora la valutazione (clausola 5) riveli la presenza di un
rischio per la sicurezza e la salute dei lavoratori a causa della loro
esposizione ad agenti biologici, il documento segnala che il D.Lgs. 19/14 non
sembra aver fatto definitivamente luce sul tema delle vaccinazioni, sia
obbligatorie per legge, sia suggerite per specifiche tipologie di occupazione
lavorativa, qualora possa essere ravvisato il rischio biologico. Problematica
che emerge in particolare nel caso in cui un lavoratore esprima il rifiuto al
trattamento immunitario obbligatorio.
Il saggio
rileva inoltre un’altra criticità del D.Lgs. 19/14. Il Decreto, riguardo alle
disposizioni finanziarie per l’attivazione di quanto riportato nell’articolo 1,
precisa “che non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza
pubblica, provvedendo le stesse amministrazioni competenti agli adempimenti del
presente Decreto con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a
legislazione vigente”. Tuttavia è difficile pensare che gli adempimenti degli
interventi, volti alla prevenzione delle ferite da taglio o da punta e alla
successiva messa in sicurezza in caso di tali eventi, descritti nella
normativa, e in particolar modo l’impiego di dispositivi sicuri come ad esempio
gli NPDs, non possano comportare aggravi nella spesa sanitaria.
Comunque,
alla luce dei dati riguardanti le sole proporzioni economiche del fenomeno, si
può concludere che il costo per gli adempimenti degli interventi, descritti nel
D.Lgs. 19/14, può sicuramente essere sostenibile, tenuto conto anche che sul
mercato la maggior richiesta di “dispositivi sicuri” potrebbe determinare una
sensibile riduzione dei loro costi.
Ricordiamo
infine che il documento si sofferma anche sulla valutazione del rischio
biologico, sui modelli organizzativi e sulla sorveglianza sanitaria.
Il documento
di Olympus - Osservatorio per il monitoraggio permanente della legislazione e
giurisprudenza sulla sicurezza del lavoro “Il rischio biologico nel comparto
sanitario. Le infezioni occupazionali”, a cura di Maurizio Sisti è scaricabile
all’indirizzo:
MOVIMENTAZIONE MANUALE DEI CARICHI:
FATTORI DI RISCHIO E PREVENZIONE
Da:
PuntoSicuro
18 settembre
2015
Un documento
sulla prevenzione dei rischi nelle aziende metalmeccaniche riporta utili
indicazioni sulla Movimentazione Manuale dei Carichi (MMC).
I fattori di
rischio, la prevenzione, la meccanizzazione e l’organizzazione di lavoro.
La MMC, nel caso di condizioni di lavoro
disagevoli, pesi eccessivi e procedure di sollevamento errate, può comportare
rischi di lesioni alla schiena. Più frequenti sono quelle al tratto
dorso-lombare, ma non sono da sottovalutare i danni a carico del tratto
cervicale e degli arti superiori, oltre che altri tipi di rischi, quali quelli
di infortunio.
E i danni
alla colonna vertebrale causati da attività che comportano MMC possono essere
di lieve entità (piccoli traumi), o di rilevante importanza (qualora vengano a
crearsi affezioni degenerative croniche, quali ernie o protuberanze discali).
Detti danni possono presentarsi sia a breve, sia a lungo termine; i danni a
breve termine includono gli infortuni traumatici e la fatica, e quelli a lungo
termine le patologie degenerative della colonna vertebrale.
A parlare in
questi termini della MMC, con particolare riferimento alla movimentazione nelle
aziende del comparto metalmeccanico, è il documento “Labor Tutor - Un percorso
formativo sulla prevenzione dei fattori di rischio tipici del settore
metalmeccanico”, un opuscolo realizzato dall’ INAIL in collaborazione con ENFEA
(Ente Nazionale per la Formazione E
l’Ambiente).
Nel
documento si ricorda che nella MMC l’annullamento del rischio potrebbe
consistere nell’eliminazione delle manovre di sollevamento e/o trasporto
manuale da parte dei lavoratori, attuabile solo attraverso una meccanizzazione
o automazione delle fasi di lavoro stesse.
In tutti i
casi in cui ciò non sia fattibile, si dovrà cercare di eliminare il più
possibile tutte le cause (o concause) di rischio che la MMC stessa può comportare.
Riportiamo a seguire alcuni dei fattori di rischio da ottimizzare.
Caduta del
carico (carico troppo pesante; carico ingombrante o difficile da afferrare;
carico in equilibrio instabile).
Le
principali cause di caduta di un carico durante la sua movimentazione manuale
(intesa come “perdita della presa” da parte del lavoratore) sono legate alle
caratteristiche dello stesso: tipo, forma, peso. L’elemento peso è una delle
componenti determinanti per la riuscita del sollevamento del carico da terra o
da altezze molto basse rispetto al baricentro del lavoratore; infatti, la forza
e la fatica esercitate dall’operatore per compiere l’azione aumentano con
l’aumentare del peso stesso. Quindi, più è pesante il carico, più forza devo
esercitare per il mantenimento della “presa”, che potrà esaurirsi nel giro di
breve tempo causandone la caduta. Inoltre, anche le dimensioni fisiche
dell’oggetto movimentato a mano, così come la sua stabilità/consistenza (carico
ingombrante, in equilibrio o con contenuto instabile), concorrono alla
possibilità di caduta del carico stesso. Infine, un carico difficile da
afferrare aumenta sicuramente il rischio di caduta dello stesso, laddove non
siano presenti adeguate maniglie per una “presa sicura”. Il rischio di caduta
di un carico può comportare infortuni agli arti e infortuni da schiacciamento.
Scivolamento/caduta
del lavoratore (spazio libero insufficiente per lo svolgimento dell’attività;
irregolarità e/o dislivelli della pavimentazione; urti contro ostacoli).
Le
caratteristiche ambientali del luogo di lavoro possono favorire rischi di
scivolamento o caduta del lavoratore, qualora lo spazio libero per lo
svolgimento dell’attività sia insufficiente (ambienti stretti o molto arredati,
con conseguente rischio di urti contro ostacoli e quindi possibili cadute del
lavoratore); qualora il pavimento presenti irregolarità (buche, piastrelle non
ben connesse, ecc.), o sia reso scivoloso dal deposito di sostanze oleose
presenti nel ciclo produttivo del reparto. Scivolamento e caduta sono rischi
presenti anche qualora le scarpe calzate dal lavoratore non siano idonee
(zoccoli, scarpe con tacchi, ecc.) o non abbiano un buon grado di attrito tra
suola e superficie di appoggio.
Sforzo
fisico (peso del carico; distanza del carico dal corpo; frequenza della
movimentazione del carico; distanze verticali di sollevamento e/o di trasporto
orizzontale; tempi di recupero insufficienti).
Lo sforzo
necessario per il sollevamento di un carico aumenta con l’aumentare del peso
del carico stesso. Normalmente, il lavoratore tende a sollevare manualmente un
carico e a trasportarlo tenendolo vicino al proprio corpo; in questo modo, si
facilita la distribuzione del peso del carico stesso, oltre che sulla schiena,
anche sui muscoli del bacino e delle gambe. Qualora il carico avesse
caratteristiche tali da poter causare rischi di ustione o ferite, lo stesso
verrà sollevato e trasportato a mano mantenendolo, però, lontano dal corpo.
Così facendo, lo sforzo fisico richiesto sarà maggiore come la forza
compressiva che viene a esercitarsi sul tratto lombo-sacrale della colonna
vertebrale, aumentando così la probabilità di provocare danni alla schiena.
Ovviamente, con l’aumentare della frequenza delle azioni sopra descritte, si
verificherà anche un aumento del carico energetico investito dall’organismo,
derivato dallo sforzo cui è sottoposto. Analogamente, lo stesso sforzo fisico
si riscontrerà per le distanze verticali di sollevamento (aumento degli spazi
verticali tra “piano di presa” del carico e “piano di appoggio” dello stesso) e
di trasporto su piani orizzontali (aumento delle lunghezze di trasporto manuale
di un carico). Di conseguenza, i tempi per recuperare l’energia fisica
necessaria alla continuazione dell’attività, senza porre l’organismo sotto
stress, dovranno essere adeguati.
Postura
scorretta del lavoratore (spazi inadeguati; mantenimento di postura fissa per
lungo tempo).
Per quanto
riguarda l’acquisizione di posizioni di lavoro scorrette e mantenute fisse per
lungo tempo, è possibile che queste vengano assunte necessariamente dai
lavoratori in presenza di postazioni di lavoro definite e non modificabili,
ovvero di un’inadeguata organizzazione del lavoro.
Il
documento, che si sofferma anche sulle eventuali conseguenze a breve o a lungo
termine di tutti gli elementi di rischio analizzati, presenta anche alcune
indicazioni per la prevenzione.
Premesso che
i lavoratori addetti alla MMC devono essere in possesso dell’idoneità fisica a
svolgere il compito in questione, indossare idonei indumenti e calzature,
essere adeguatamente formati e avere a disposizione procedure di sicurezza
scritte, il documento si sofferma sulle misure di prevenzione e sui comportamenti
corretti che devono essere messi in atto al fine di ridurre, o eliminare, i
rischi analizzati:
-
meccanizzazione
dei processi di sollevamento e/o trasporto carichi per eliminare il rischio;
-
ausiliazione
degli stessi processi per il contenimento del rischio;
-
elaborazione
e applicazione delle procedure di lavoro per la messa in sicurezza dei
lavoratori;
-
attuazione
dei comportamenti corretti da seguire durante i processi lavorativi.
La
meccanizzazione/automazione, dei processi lavorativi di sollevamento e/o
trasporto carichi è l’unico elemento valido al fine di eliminare il rischio
correlato alla MMC.
In
particolare per abbattere ogni tipo di rischio a carico della colonna
vertebrale si consiglia l’utilizzo di attrezzature meccaniche sia a spinta manuale
(carrelli, transpallet), sia dotati di motore (carrelli elevatori, altri
apparecchi di sollevamento). La scelta dei carrelli per il trasporto di carichi
su piani orizzontali dovrà essere conforme alla tipologia e al peso del carico
stesso. Inoltre, per quanto riguarda i carrelli manuali e i transpallet, è da
ricordare che la movimentazione dell’attrezzatura da parte del lavoratore viene
eseguita manualmente, esponendolo così ai rischi relativi alla forza imposta
per il traino e la spinta degli stessi.
Inoltre si
sottolinea che l’elaborazione di idonee procedure e l’attuazione dei
comportamenti corretti da parte dei lavoratori durante i processi lavorativi
sono un elemento fondamentale per il mantenimento costante del livello di
sicurezza. Senza dimenticare che i comportamenti corretti da attuare durante le
fasi di lavoro a rischio sono trasmessi ai lavoratori tramite l’informazione e
la formazione, momenti integranti della prevenzione.
Concludiamo
riportando alcune indicazioni relative all’organizzazione del lavoro.
E’
necessario organizzare gli spazi e gli arredi in modo tale che gli spostamenti
avvengano in ambienti non a rischio (urti contro ostacoli, scivolamenti o
cadute del carico e/o del lavoratore). Inoltre è bene fare in modo che il
bancale di prelievo e quello di deposito siano angolati fra loro al massimo di
90°, e che non presentino dislivelli di altezze. E molta importanza riveste,
inoltre, l’indicazione della massa in kg sul carico da movimentare; in questo
modo si facilita il lavoratore nella scelta del metodo per sollevare o
trasportare il carico stesso. Infine il datore di lavoro dovrà dare precise
indicazioni sulla necessità di effettuare sollevamenti e trasporti di carichi
in modo simmetrico e regolare, onde evitare dannose flessioni laterali della
colonna vertebrale.
Il documento
di INAIL e ENFEA “Labor Tutor - Un percorso formativo sulla prevenzione dei
fattori di rischio tipici del settore metalmeccanico”, pubblicato nel mese di
marzo 2012, è scaricabile all’indirizzo:
ACCORDO SULL’AMIANTO IN PIEMONTE TRA
CGIL, CISL E UIL E ANCI
Da
Portale Consulenti
16 settembre
2015
PUBBLICATO
IL TESTO DELL’ACCORDO TRA CGIL, CISL E UIL E ASSOCIAZIONE NAZIONALE COMUNI
ITALIANI (ANCI)
A 23 anni
dalla messa al bando dell’amianto con la Legge 257/92 l’amianto è ancora un
grave problema da affrontare con determinazione e sollecitudine perché è ancora
largamente diffuso su tutto il territorio nazionale e continua a uccidere non
solo tra gli ex lavoratori, ma anche tra i cittadini.
In Piemonte
l’ARPA ha individuato ben 87.000 siti contenenti amianto e alla luce della
validazione circa il 70% degli stessi risulta contaminato dalla presenza del
materiale killer. La stima in Italia delle vittime per neoplasie è di 4.000
decessi in Italia. Il Piemonte ha il primato negativo con l’apporto decisivo
dell’Eternit (18,0 % per cento del totale nazionale con 2.849 casi di soli
mesoteliomi), seguito dalla Lombardia (17,7 %) e dalla Liguria (12,0%).
Solo un
minima parte dei siti è stata bonificata per molte ragioni, in primo luogo per
carenza di risorse. Se non si compie un intervento massiccio e programmato
stante il trend attuale occorreranno almeno 60 anni per liberare il nostro
territorio.
Inoltre è
urgente individuare in Piemonte idonee discariche per lo smaltimento tanto è
vero che oltre il 60% dell’amianto bonificato viene esportato all’estero.
Per queste
ragioni CGIL, CISL, UIL Piemonte e ANCI Piemonte hanno firmato un accordo in
cui chiedono al Governo l’immediata applicazione del Piano Nazionale Amianto
che prevede interventi sulle bonifiche e sugli aspetti sanitari e di tutela
sociale.
Accordo
sull’amianto tra CGIL, CISL, UIL Piemonte e ANCI Piemonte è scaricabile
all’indirizzo:
INAIL: IL RISCHIO
BIOLOGICO NEGLI AMBULATORI “PRIME CURE”
Da
Portale Consulenti
24 settembre
2015
Marcello
Parrella
Con
il volume dell’INAIL “Il rischio biologico negli ambulatori Prime Cure.
Proposta di valutazione attraverso una metodologia integrata”, edito nel 2013,
la Consulenza Tecnica Accertamento Rischi e Prevenzione (CONTARP) dell’INAIL ha
pubblicato l’impianto metodologico messo a punto per la valutazione del rischio
biologico negli ambulatori “Prime Cure”, nell’ottica di rispondere alla
necessità di uniformare all’interno dell’Istituto, su scala nazionale, le
metodologie e le procedure di accertamento di tale rischio occupazionale.
Infatti,
nonostante l’ampia disponibilità di linee guida, buone prassi, indicazioni
operative ecc. per la prevenzione e il controllo del rischio biologico negli
ambienti sanitari, a tutt’oggi manca una metodologia di riferimento validata
per la valutazione.
L’attività
è stata condotta in collaborazione con la Consulenza Statistico Attuariale,
l’Unità Operativa Laboratorio del Dipartimento di Genova dell’Agenzia Regionale
per la Protezione dell’Ambiente Ligure (ARPAL) e il Laboratorio di Micologia
del Dipartimento di Scienze della Terra e dell’Ambiente (DSTA) dell’Università
degli Studi di Pavia.
La
metodologia proposta, validata presso gli Ambulatori “Prime Cure” di Sedi INAIL
delle regioni Lazio, Liguria, Umbria, Marche, Puglia e Toscana, dove non si fa
utilizzo deliberato di agenti biologici, è stata sviluppata sulla base del
metodo “Bio-ritmo”, elaborato da INAIL e ARPA Liguria per le attività dei
laboratori chimici e biologici e successivamente generalizzato per permetterne
l’applicazione in differenti settori lavorativi.
La
metodologia si sviluppa attraverso tre fasi successive:
-
raccolta
sistematica e organizzata di dati, relativi ad ambienti, attività e procedure
di lavoro, aventi rilevanza ai fini dell’analisi delle fonti di pericolo nel
contesto lavorativo vigente;
-
inserimento
dei dati in un algoritmo di valutazione del rischio, che fa riferimento al
metodo “a matrice”, ampiamente utilizzato in Igiene Industriale per la
valutazione semi quantitativa dei rischi occupazionali;
-
individuazione
e pianificazione degli interventi migliorativi da attuare.
La
ricognizione dettagliata dell’attività lavorativa oggetto di valutazione,
condotta attraverso la raccolta di informazioni distinte per i diversi
ambulatori specialistici e le diverse mansioni, consente di attribuire un valore
numerico ai diversi coefficienti di cui si compone l’algoritmo e di definire,
di conseguenza, il livello complessivo del rischio biologico.
La
somministrazione di un questionario sulla percezione dei rischi al personale
interessato completa la valutazione del rischio, fornendo informazioni utili
per la pianificazione o la modifica, nell’ottica del miglioramento continuo,
degli interventi di formazione, informazione e addestramento ai fini della
prevenzione del rischio di esposizione e anche per intervenire a livello di
gestione della sicurezza e di modifica degli ambienti.
Qualsiasi
fattore biologico in grado di alterare l’equilibrio ambientale può agire
negativamente sulla qualità degli ambienti indoor sede di vita e di attività
antropica. Così come per ogni altra sostanza aerodispersa che possa avere
effetti sulla salute dell’uomo, anche la misura della presenza dei batteri e
dei funghi nell’aria può essere utile per la valutazione del rischio biologico
nell’ambiente confinato, sia esso inteso come indoor lavorativo che
residenziale.
E’
previsto pertanto anche il monitoraggio della contaminazione microbiologica
ambientale, avvalendosi di metodologie di campionamento e analisi
standardizzate, per verificare lo stato igienico generale sotto il profilo dell’esposizione
dei lavoratori ad agenti biologici per via inalatoria e/o per contatto diretto.
In
questo volume gli autori intendono presentare i risultati dell’applicazione di
tale metodologia integrata agli ambulatori ‘Prime cure’ delle Sedi INAIL coinvolte
nell’attività.
Il
lavoro è stato condotto con l’intento di fornire un ausilio alla valutazione
del rischio biologico e alla conoscenza del livello di contaminazione
microbiologica che differenzi l’ambiente salubre da quello insalubre, con
opportuni riferimenti allo stato microbiologico dell’aria, al tipo di locale,
di persone che lo frequentano e di attività di lavoro che vi si svolgono.
Per
una panoramica sulle caratteristiche degli agenti biologici di più frequente
riscontro in ambienti di lavoro assimilabili a quelli oggetto dello studio, si
rimanda agli approfondimenti sulla componente microfungina e alle schede
tecniche informative sui pericoli biologici.
Il
documento dell’INAIL “Il rischio biologico negli ambulatori Prime Cure -
Proposta di valutazione attraverso una metodologia integrata” è scaricabile
all’indirizzo:
Nessun commento:
Posta un commento