mercoledì 30 settembre 2015

30 settembre - SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! NEWSLETTER N. 227 DEL 30/09/15



NEWSLETTER PER LA TUTELA DELLA SALUTE
E DELLA SICUREZZA DEI LAVORATORI
(a cura di Marco Spezia - sp-mail@libero.it)

INDICE


JOBS ACT: IN VIGORE I DECRETI ATTUATIVI E LE MODIFICHE AL D.LGS. 81/08
1
INAIL: GUIDA PER MALATTIE PROFESSIONALI E INFORTUNI SUL LAVORO
4
CASSAZIONE: LEGITTIME LE DIMISSIONI DEL DIPENDENTE PER RITMI TROPPO STRESSANTI
8
SULLA POSIZIONE DI GARANZIA DEL PREPOSTO “DI DIRITTO” E “DI FATTO”
9
I RISCHI BIOLOGICI NEL SETTORE SANITARIO E LE FERITA DA PUNTA E DA TAGLIO
11
MOVIMENTAZIONE MANUALE DEI CARICHI: FATTORI DI RISCHIO E PREVENZIONE
14
ACCORDO SULL’AMIANTO IN PIEMONTE TRA CGIL, CISL E UIL E ANCI
17
INAIL: IL RISCHIO BIOLOGICO NEGLI AMBULATORI “PRIME CURE”
18



JOBS ACT: IN VIGORE I DECRETI ATTUATIVI E LE MODIFICHE AL D.LGS. 81/08

Da: PuntoSicuro
25 settembre 2015
di Tiziano Menduto

Pubblicati in Gazzetta Ufficiale gli ultimi quattro Decreti Legislativi in attuazione del “Jobs Act”.
Focus sul Decreto Legislativo 14 settembre 2015, n. 151 e sulle modifiche al D.Lgs. 81/08 in vigore dal 25 settembre 2015.

Sono stati finalmente pubblicati ieri [26 settembre] in Gazzetta Ufficiale, dopo lunga attesa, gli ultimi quattro Decreti Legislativi in attuazione del “Jobs Act”, la legge 10 dicembre 2014, n. 183, recante le “Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell’attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro”.

Questi i quattro decreti secondo la numerazione progressiva assegnata:
-         Decreto Legislativo 14 settembre 2015, n. 148 “Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro”;
-         Decreto Legislativo 14 settembre 2015, n. 149 “Disposizioni per la razionalizzazione e la semplificazione dell’attività ispettiva in materia di lavoro e legislazione sociale”;
-         Decreto Legislativo 14 settembre 2015, n. 150 “Disposizioni per il riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive”;
-         Decreto Legislativo 14 settembre 2015, n. 151 “Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità”.

Relativamente a queste normative, PuntoSicuro ha riportato in questi mesi le bozze, le indiscrezioni e i vari schemi di Decreto approvati dal Consiglio dei Ministri e sottoposti ai pareri parlamentari.
Siamo ora arrivati ai testi definitivi, che, almeno per quanto riguarda i due temi citati non sembrano avere avuto variazioni sostanziali rispetto a quanto già preannunciato nei giorni scorsi.

Rimandando a futuri approfondimenti e commenti dettagliati, riprendiamo brevemente invece oggi la struttura del Decreto che riguarda le modifiche apportate al D.Lgs. 81/08 in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Modifiche che, con riferimento a quanto contenuto al comma 15 dell’articolo 1 della Legge 183/14, entrano in vigore il giorno successivo a quello della loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, cioè il 24 settembre 2015.

Il Decreto Legislativo 14 settembre 2015, n. 151 recante “Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità” ha un Capo III dedicato espressamente alla “Razionalizzazione e semplificazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro”.
Al di là delle semplificazioni in materia di adempimenti formali concernenti gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali (articolo 21), è l’articolo 20 a riportare le modifiche al D.Lgs. 81/08.
Abbiamo già evidenziato, in precedenti articoli, che le modifiche riguardano il Decreto in diversi punti.

Ad esempio riguardano il lavoro accessorio, la revisione della composizione del Comitato per l’indirizzo e la valutazione delle politiche attive e per il coordinamento nazionale delle attività di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro e della Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro.
Riprendiamo, ad esempio, dal testo del Decreto, la nuova composizione della Commissione Consultiva che, al di là dei rappresentanti ministeriali, ora prevede anche:
-         sei rappresentanti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, designati dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano;
-         sei esperti designati delle organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente piu’ rappresentative a livello nazionale;
-         sei esperti designati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro comparativamente piu’ rappresentative a livello nazionale;
-         tre esperti in medicina del lavoro, igiene industriale e impiantistica industriale;
-         un rappresentante dell’ANMIL.

Altre modifiche riguardano poi l’invio dei quesiti di ordine generale sull’applicazione della normativa in materia di salute e sicurezza del lavoro, che ora possano essere presentati alla Commissione per gli interpelli anche dalle Regioni e dalle Province autonome, e la possibilità di avere, ai fini della valutazione dei rischi, strumenti tecnici, specialistici e di supporto.

Riprendiamo il testo relativo alle modifiche al D.Lgs. 81/08 relative a questi ausili per le aziende:
-         e) all’articolo 28, dopo il comma 3-bis è inserito il seguente:
“3-ter. Ai fini della valutazione di cui al comma 1 [valutazione del rischio], l’INAIL, anche in collaborazione con le aziende sanitarie locali per il tramite del Coordinamento Tecnico delle Regioni e i soggetti di cui all’articolo 2, comma 1, lettera ee), rende disponibili al datore di lavoro strumenti tecnici e specialistici per la riduzione dei livelli di rischio. L’INAIL e le aziende sanitarie locali svolgono la predetta attività con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente”;
-         f) all’articolo 29, il comma 6-quater e’ sostituito dal seguente:
“6-quater. Con Decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da adottarsi previo parere della Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro, sono individuati strumenti di supporto per la valutazione dei rischi di cui agli articoli 17 e 28 e al presente articolo, tra i quali gli strumenti informatizzati secondo il prototipo europeo OIRA (Online Interactive Risk Assessment)”.

Altre modifiche riguardano lo svolgimento diretto da parte del datore di lavoro dei compiti di prevenzione e protezione dai rischi, l’abrogazione di alcuni riferimenti al registro infortuni e in materia di sanzioni per il datore di lavoro e il dirigente.
Per queste modifiche non ci sono particolari variazioni rispetto a quanto già indicato in precedenti articoli da PuntoSicuro.

Stessa cosa per le modifiche nelle definizioni del D.Lgs.81/08 in relazione al Titolo III relativo ad attrezzature e DPI (articolo 69), in tema di generatori di vapore (articolo 73-bis) e con riferimento ad alcune necessarie correzioni di disposizioni sanzionatorie (articolo 87).

Riportiamo invece interamente il testo relativo a una modifica in materia di formazione dei coordinatori, con riferimento alla modifica dell’articolo 98 relativo ai requisiti professionali del coordinatore per la progettazione, del coordinatore per l’esecuzione dei lavori; modifica che permette ai coordinatori di utilizzare, per il modulo giuridico e l’aggiornamento, la modalità e-learning:
-         o) all’articolo 98, comma 3, sono inseriti, infine, i seguenti periodi:
-         “L’allegato XIV è aggiornato con accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. I corsi di cui all’allegato XIV, solo per il modulo giuridico (28 ore), e i corsi di aggiornamento possono svolgersi in modalità e-learning nel rispetto di quanto previsto dall’allegato I dell’Accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano del 21 dicembre 2011 emanato per la formazione dei lavoratori ai sensi dell’articolo 37, comma 2”.

Una modifica riguarda poi l’articolo 190 (Valutazione del rischio) in relazione alla protezione dei lavoratori contro i rischi di esposizione al rumore.
Viene sostituito il comma 5-bis, introducendo in questo modo la possibilità di stimare in fase preventiva l’emissione sonora di attrezzature di lavoro, macchine e impianti facendo riferimento alle banche dati sul rumore approvate dalla Commissione consultiva permanente e riportando la fonte documentale cui si è fatto riferimento.

Il testo definitivo del Decreto Legislativo 14 settembre 2015, n. 148 “Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro”, come pubblicato in Gazzetta Ufficiale è scaricabile all’indirizzo:

Il testo definitivo del Decreto Legislativo 14 settembre 2015, n. 149 “Disposizioni per la razionalizzazione e la semplificazione dell’attività ispettiva in materia di lavoro e legislazione sociale”, come pubblicato in Gazzetta Ufficiale è scaricabile all’indirizzo:

Il testo definitivo del Decreto Legislativo 14 settembre 2015, n. 150 “Disposizioni per il riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive” , come pubblicato in Gazzetta Ufficiale è scaricabile all’indirizzo:

Il testo definitivo del Decreto Legislativo 14 settembre 2015, n. 151 “Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità”, come pubblicato in Gazzetta Ufficiale è scaricabile all’indirizzo:



INAIL: GUIDA PER MALATTIE PROFESSIONALI E INFORTUNI SUL LAVORO

Da Studio Cataldi
28/09/15
Avvocato Valeria Zeppilli

LE MALATTIE PROFESSIONALI
Per malattia professionale si intende quella che il lavoratore contrae a causa dello svolgimento di un’attività lavorativa.
Essa va tenuta distinta dall’infortunio sul lavoro, innanzitutto perché per ottenere le prestazioni per malattia non è sufficiente la mera occasione di lavoro ma è necessario che essa sia in rapporto causale diretto con l’attività lavorativa; inoltre mentre l’infortunio è imputabile a una causa violenta, intensa e concentrata nel tempo (vedi dopo), la malattia è imputabile a una causa lenta e si manifesta in maniera graduale e progressiva.
La causa che genera una malattia professionale, peraltro, deve essere in grado di produrre l’infermità in maniera esclusiva o prevalente, con la conseguenza che eventuali cause extra professionali possono solo concorrere a dar luogo alla malattia, ma non devono essere idonee da sole a generarla.

LE MALATTIE TABELLATE
Alcune particolari malattie, per la precisione 85 per il settore dell’industria e 24 per il settore agricolo, sono considerate presuntivamente collegate allo svolgimento di un’attività lavorativa e, in quanto tali, ricomprese automaticamente, al loro palesarsi, nella tutela assicurativa offerta dall’INAIL (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro) per le malattie professionali.
In sostanza, il lavoratore che sia affetto da una di tali malattie (cosiddette “tabellate”) non deve dimostrare di averla contratta in occasione di lavoro per poter beneficiare delle prestazioni dell’istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, in quanto tale circostanza è presunta.

LE MALATTIE NON TABELLATE
La tutela dei lavoratori rispetto alle malattie professionali, tuttavia, non è limitata a quelle che il legislatore ha inserito nelle apposite tabelle.
Per queste opera solo una presunzione di dipendenza dal rapporto di lavoro, ma tutte le malattie possono dare luogo alla tutela INAIL.
Nel caso in cui il lavoratore abbia contratto una malattia non comprese tra quelle tabellate (malattia cosiddetta appunto “non tabellata”), sarà però suo onere dimostrare che essa sia in rapporto causale con le condizioni di lavoro.
Solo fornita questa prova, egli potrà ottenere le relative prestazioni assistenziali di carattere economico, sanitario e riabilitativo.

COME OTTENERE LE PRESTAZIONI INAIL
Il lavoratore che abbia contratto una malattia professionale è tenuto a farne denuncia entro 15 giorni al datore di lavoro. Sarà poi quest’ultimo che, nei successivi 5 giorni, provvederà ad informarne l’INAIL.
Nella denuncia devono essere indicati sia la tipologia di malattia che il lavoratore ha contratto, che il momento in cui essa si è manifestata. Alla denuncia deve essere poi allegato il certificato medico in cui sia specificato il domicilio del lavoratore, il luogo di eventuale ricovero e la relazione dei sintomi della malattia.
Tuttavia, se il datore di lavoro effettua la denuncia per via telematica, il certificato medico deve essere inviato solo su espressa richiesta dell’istituto.
Una volta ricevuta la richiesta, l’INAIL avvia il procedimento amministrativo volto a verificare l’effettiva sussistenza della malattia e dei presupposti per concedere le prestazioni assistenziali, che sono le medesime previste per gli infortuni sul lavoro.

L’AGGRAVAMENTO DELLA MALATTIA
Può ben accadere che a seguito di accertamento della malattia da parte dell’INAIL, il lavoratore si aggravi.
In tal caso, egli ha la possibilità di effettuare una domanda di revisione ed essere così nuovamente sottoposto a visita.
La stessa facoltà è concessa all’INAIL, nei casi in cui abbia motivo di dubitare che la malattia si sia invece alleviata.
La revisione dell’indennizzo in capitale, in ogni caso, può avvenire una sola volta.
Ciò non toglie, tuttavia, che le domande di revisione possono essere presentate anche più volte, ma nel rispetto di termini determinati. Nel dettaglio, la prima domanda può essere presentata solo decorsi sei mesi dal termine dell’eventuale inabilità temporanea assoluta o un anno dal manifestarsi della malattia, mentre le domande successive sono proponibili a distanza di almeno un anno dalle precedenti.
In ogni caso, le domande di revisione possono essere presentate al massimo decorsi quindici anni dalla data di decorrenza della rendita, a eccezione delle rendite fruite dai medici e dai tecnici di radiologia per le malattie provocate dall’azione dei raggi X e delle sostanze radioattive, che possono essere sempre revisionate.

IL PRINCIPIO DI AUTOMATICITÀ DELLE PRESTAZIONI
Occorre da ultimo precisare che nel nostro ordinamento vige il principio di automaticità delle prestazioni in forza del quale il lavoratore, in caso di malattia professionale, ha diritto alle prestazioni assistenziali predisposte dall’INAIL, anche se il datore di lavoro non lo ha assicurato o non è in regola con i contributi.

Le tabelle INAIL per le menomazioni, la tabella per l’indennizzo del danno biologico, la tabella dei coefficienti sono consultabili all’indirizzo:


GLI INFORTUNI SUL LAVORO
L’infortunio sul lavoro è quello che si verifica per causa violenta in occasione di lavoro, comportando, per il lavoratore, la morte, l’inabilità permanente assoluta o parziale al lavoro, l’inabilità temporanea totale per più di 3 giorni o un danno biologico.

LA CAUSA VIOLENTA E L’OCCASIONE DI LAVORO
Come accennato, un infortunio è indennizzabile dall’INAIL anzitutto se imputabile a una causa violenta. Si tratta, nei fatti, di un’aggressione esterna all’indennità psico-fisica del lavoratore, intensa e concentrata nel tempo. Non sono, invece, indispensabili i requisiti della straordinarietà, dell’accidentalità o dell’imprevedibilità del fatto lesivo.
Proprio le caratteristiche della causa violenta permettono di distinguere l’infortunio dalla malattia, caratterizzata, invece, da una causa lenta (vedi sopra).
La causa violenta deve, poi, verificarsi in occasione di lavoro. Ciò vuol dire che tra l’attività lavorativa e l’infortunio deve sussistere un rapporto, diretto o indiretto, di causa-effetto, senza che sia sufficiente che l’evento si verifichi durante il lavoro.
Se l’infortunio è connesso a una condotta riconducibile all’attività lavorativa, l’indennizzabilità non è compromessa dal comportamento imprudente, negligente o privo di perizia del lavoratore, mentre restano esclusi dalla tutela gli infortuni le cui conseguenze siano dolosamente aggravate dal lavoratore o che derivino dall’abuso di sostanze alcoliche e di psicofarmaci, dall’uso non terapeutico di stupefacenti e allucinogeni o dalla mancanza della patente di guida.

L’INFORTUNIO IN ITINERE
Si considera verificatosi durante il lavoro anche il cosiddetto infortunio “in itinere”, ovverosia quello che avviene durante il tragitto compiuto per raggiungere, dalla propria abitazione, il luogo di lavoro o quello compiuto per recarsi da un luogo di lavoro a un altro o, infine, quello necessario per la consumazione dei pasti in assenza di mensa aziendale.
Se l’infortunio si verifica durante eventuali deviazioni rispetto ai predetti tragitti, esso è risarcibile dall’INAIL solo se tali deviazioni siano necessarie per accompagnare i figli a scuola, conseguenza di una direttiva del datore di lavoro o dovute a causa di forza maggiore, ad esigenze assistenziali improrogabili o ad obblighi penalmente rilevanti. In caso di sosta il risarcimento è riconosciuto solo se essa sia breve e non alteri le condizioni di rischio.
Occorre tuttavia chiarire che il tragitto percorso con l’utilizzo di un mezzo privato è coperto dall’assicurazione solo se tale uso sia indispensabile, come ad esempio nel caso in cui il mezzo sia fornito o prescritto dal datore di lavoro per esigenze lavorative o nel caso in cui il luogo di lavoro non possa essere raggiunto, o non possa essere raggiunto in tempo utile, con l’utilizzo dei mezzi pubblici.

L’INDENNIZZABILITA’ DEL DANNO
Il danno derivante dall’infortunio sul lavoro è indennizzabile solo laddove sia di particolare rilevo e comporti, quindi, una riduzione della capacità lavorativa di almeno il 16%, un danno biologico quantificato in minimo 6 punti percentuali, un’inabilità assoluta temporanea al lavoro.
In particolare, se il danno permanente è:
-         inferiore al 6%, non si ha diritto ad alcun indennizzo;
-         di entità compresa tra il 6% e il 15%, si ha diritto all’indennizzo in capitale del danno biologico;
-         di entità compresa tra il 16% e il 100%, si ha diritto a una rendita a titolo di indennizzo, sia del danno biologico, sia del danno patrimoniale.

L’INDENNITA’ GIORNALIERA PER LA INABILITA’ TEMPORANEA
Nel caso in cui dall’infortunio sia derivata al lavoratore un’inabilità al lavoro temporanea e assoluta, egli avrà diritto a un’indennità giornaliera corrisposta dall’INAIL a partire dal quarto giorno (i primi tre giorni sono a carico del datore di lavoro) e pari al 60% della retribuzione per i primi 90 giorni e al 75% dal novantunesimo giorno in poi.
Terminato il periodo di inabilità temporanea, il lavoratore è sottoposto a visita medico-legale dall’INAIL al fine di valutare la presenza di eventuali postumi.

LA RENDITA DIRETTA
Nel caso in cui dall’infortunio sia derivata al lavoratore un’inabilità permanente, assoluta o parziale, fino al 25 luglio 2000 egli aveva diritto ad una rendita corrisposta mensilmente.
Essa spetta ancora oggi ai lavoratori che abbiano subito un infortunio prima di tale data ed è subordinata alla circostanza che l’inabilità derivata fosse almeno pari all’11%.
La rendita è incompatibile con le pensioni di inabilità e gli assegni di invalidità erogati per il medesimo evento invalidante, ma è cumulabile con le pensioni di vecchiaia e di anzianità.

IL RISARCIMENTO DEL DANNO BIOLOGICO
Per gli infortuni avvenuti a partire dal 25 luglio 2000 è previsto il risarcimento, da parte dell’INAIL, del danno biologico subito dal lavoratore a seguito di infortunio sul lavoro.
Esso è influenzato nel suo ammontare dal tipo e dalla percentuale di menomazione che ne è derivata e soggiace alle stesse incompatibilità previste per la rendita diretta.
Bisogna quindi fare riferimento, congiuntamente, alla tabella delle menomazioni e alla tabella di indennizzo del danno biologico.
In particolare:
-         se la menomazione è inferiore al 6% il danno biologico, come visto, non è riconosciuto;
-         se la menomazione è compresa tra il 6% e il 15%, essa comporta l’erogazione di una somma in capitale, una tantum, influenzata anche dal sesso e dall’età del danneggiato;
-         se la menomazione è superiore al 16% essa dà luogo a una rendita corrisposta tramite l’INPS e influenzata, nel suo ammontare, oltre che dalla percentuale di invalidità, anche dallo stipendio e da un coefficiente di maggiorazione.
In tale ultime ipotesi il lavoratore può anche ottenere il risarcimento del danno patrimoniale subito, calcolato riferendosi alla cosiddetta tabella dei coefficienti.

LA DENUNCIA DI INFORTUNIO
Il lavoratore è tenuto a denunciare immediatamente l’infortunio al datore di lavoro, il quale deve a sua volta denunciarlo all’INAIL entro due giorni.
In ogni caso per poter ottenere l’erogazione delle prestazioni, il lavoratore deve fare espressa domanda all’INAIL entro tre anni e centocinquanta giorni dall’evento dannoso, compilando un modulo scaricabile online o recandosi presso le sedi dell’istituto.

ALTRE PRESTAZIONI.
La tutela previdenziale prevede ulteriori prestazioni oltre a quelle fondamentali sopra analizzate.
Ad esempio, al lavoratore che benefici della rendita e, invalido al 100%, non sia in grado di far fronte autonomamente alle esigenze di vita quotidiana, spetta anche un assegno per l’assistenza personale continuativa.
E’ previsto, poi, un assegno di incollocabilità corrisposto al lavoratore che, a causa delle conseguenze riportate a seguito dell’infortunio, stimate in almeno il 34% di invalidità, non possa usufruire del sistema di collocamento obbligatorio.
E’ prevista infine la rendita corrisposta ai superstiti nel caso in cui dall’infortunio sia derivata la morte del lavoratore, da dividersi pro quota tra il coniuge e i figli, in mancanza tra gli ascendenti se a carico del defunto o, in subordine, a fratelli e sorelle conviventi e a carico del defunto.

Le tabelle INAIL per le menomazioni, la tabella per l’indennizzo del danno biologico, la tabella dei coefficienti.



CASSAZIONE: LEGITTIME LE DIMISSIONI DEL DIPENDENTE PER RITMI TROPPO STRESSANTI

Da Studio Cataldi
28/09/15
Avvocato Valeria Zeppilli

CASSAZIONE: LEGITTIME LE DIMISSIONI DEL DIPENDENTE PER RITMI TROPPO STRESSANTI
E IL DATORE DI LAVORO E’ TENUTO A PAGARE L’INDENNITA’ SOSTITUTIVA DEL PREAVVISO

Con la Sentenza numero 18429/2015, depositata il 18 settembre la Corte di Cassazione ha ritenuto logiche e fondate le dimissioni rassegnate dal lavoratore a causa dell’assoggettamento a ritmi di lavoro improponibili.

Nel dettaglio, il dipendente lamentava di essere ormai esasperato dalla mole di lavoro insostenibile della quale la società datrice di lavoro lo caricava e che gli aveva addirittura causato conseguenze alla salute, sfociate in una sindrome ansiosa da stress per iperattività lavorativa, come da certificato medico del servizio di medicina fiscale e legale prodotto.

La mole di lavoro, peraltro, risultava agli atti, oltre che dal carteggio relativo alle dimissioni, anche dai prospetti riepilogativi del lavoro svolto dal ricorrente e dai fogli presenze.

Alla luce delle congrue motivazioni della Corte di appello in merito, la Cassazione non ha potuto far altro che confermare l’adeguatezza della decisione.

Così, ad avallo della sentenza emessa dal giudice del merito, la società datrice di lavoro è stata condannata a pagare in favore dell’ex dipendente una somma pari ad euro 84.637,34, a titolo di differenze retributive e TFR e, soprattutto, alla corresponsione dell’indennità sostitutiva del preavviso giustificata dalla legittimità delle dimissioni per “ritmi lavorativi insostenibili”.
All’azienda, ora, non resta altro che pagare.



SULLA POSIZIONE DI GARANZIA DEL PREPOSTO “DI DIRITTO” E “DI FATTO”

Da: PuntoSicuro
21 settembre 2015
di Gerardo Porreca

Il capocantiere, impartendo ordini ai lavoratori per lo svolgimento delle attività di loro competenza e ricoprendo una posizione sovraordinata agli stessi, assume di fatto una posizione di garanzia assimilabile a quella del preposto.

Sono forniti sostanzialmente dalla Corte di Cassazione in questa Sentenza dei chiarimenti sulla applicazione dell’articolo 299 del D.Lgs. 81/08 con riferimento in particolare alla posizione di garanzia del preposto in quanto vengono precisati quelli che sono gli elementi di distinzione fra il “preposto di diritto” e il “preposto di fatto”.
La Sentenza riguarda in particolare la individuazione della responsabilità o meno di un capocantiere per l’infortunio occorso a un lavoratore nel mentre operava su di una macchina per la mancanza dei presidi di sicurezza previsti dalle disposizioni di legge vigenti in materia.
Il capocantiere, ha sostenuto la suprema Corte, nel momento in cui impartisce ordini e direttive ai lavoratori per lo svolgimento delle attività di loro competenza, ricoprendo una posizione sovraordinata agli stessi, assume di fatto una posizione di garanzia assimilabile a quella del preposto e quindi risponde degli obblighi di sicurezza che il legislatore ha posto a carico di quest’ultimo.

Il Tribunale ha affermata la penale responsabilità di un capocantiere in ordine al reato di cui agli articoli 113 e 590 comma secondo e terzo del Codice Penale (in relazione agli articoli 71, comma 1 e 97, comma 1 del D.Lgs. 81/08), perché in cooperazione colposa con il rappresentante legale dell’impresa affidataria dei lavori di costruzione di una villa e datore di lavoro di fatto, giudicato con separato procedimento, cagionava lesioni gravi per colpa, in violazione di specifiche norme antinfortunistiche, a un lavoratore cittadino straniero irregolare sul territorio nazionale.

Era accaduto, infatti, che il predetto operaio, assunto in nero una settimana prima dell’infortunio con le mansioni di manovale per lo svolgimento di lavori di edilizia, mentre tagliava nel cantiere sopracitato, su ordine del capocantiere, un pezzo di legno con la sega circolare messagli a disposizione, nonostante avesse la cuffia bloccata, rimaneva incastrato con il guanto tra la lama e il legno, così subendo uno schiacciamento della mano sinistra e una grave lesione giudicata guaribile in un tempo superiore a quaranta giorni con conseguente indebolimento permanente dell’organo.

Il giudice di primo grado ha fondato il convincimento di colpevolezza sulla deposizione della funzionaria dell’ASL intervenuta a seguito dell’incidente, dell’agente della Polizia Locale che aveva proceduto al sequestro del macchinario e del Coordinatore della Sicurezza nonché sull’esame dell’imputato e sulle dichiarazioni rese sia dalla persona offesa che da un dipendente dell’impresa.
Alla stregua di tali fonti di prova il Tribunale, accertato che effettivamente la sega circolare descritta non risultava in regola in quanto la cuffia di protezione, anche quando veniva alzata, non attivava l’immediato fermo della lama rotante, era pervenuto alla conclusione che il capocantiere ricoprisse in fatto un’attività di coordinamento delle attività svolte nell’ambito del cantiere che concretamente si realizzava nell’impartire ordini e direttive ai diversi lavoratori che materialmente vi operavano per realizzare le attività differenziate di loro competenza, in una posizione certamente sovraordinata in quanto ricopriva di fatto una posizione di garanzia sul piano della prevenzione e che in ragione di tale posizione, pertanto, nonostante fosse al corrente della circostanza che la sega circolare di cui trattasi non era a norma, ne consentiva l’uso da parte della persona offesa.

La competente Corte d’Appello, adita dall’imputato, ha riformato parzialmente la Sentenza del Tribunale rideterminando la pena inflitta, ritenendo infondati i motivi relativi al merito del procedimento posti a base del gravame di merito.

L’imputato ha fatto ricorso per Cassazione adducendo varie motivazioni. Con riferimento in particolare alla posizione di garanzia assimilabile a quella di preposto in base alla quale era stato ritenuto responsabile del reato ascritto attribuitagli sulla base delle dichiarazioni testimoniali indicate in Sentenza, l’imputato ha fatto presente che nella sentenza era stato omesso di considerare che il funzionario dell’ASL aveva escluso che lui fosse capocantiere, che un teste aveva riconosciuto che il capocantiere indicato nel Piano di Sicurezza e Coordinamento fosse un altro soggetto. Un altro teste, inoltre, aveva affermato che lui non aveva mai dato direttive ai lavoratori.

I motivi esposti dal ricorrente sono stati ritenuti infondati dalla Corte di Cassazione che ha quindi rigettato il ricorso. Con riferimento, in particolare, alla posizione di garanzia riconosciutagli dalla Corte di Appello la suprema Corte ha condiviso il richiamo dalla stessa operato alla giurisprudenza costante secondo cui, ai fini della prova della funzione di preposto, o comunque di supremazia rispetto al lavoratore, non è richiesto un elemento probatorio documentale o formale, potendo il Giudice del merito fondare il proprio convincimento, così come è avvenuto nella concreta fattispecie, anche su un compendio probatorio costituito da testimonianze e/o accertamenti fattuali, così come precisato nella giurisprudenza.
E’ stato altresì affermato in passato dalla Suprema Corte che la qualifica di preposto deve essere riconosciuta con riferimento alle mansioni effettivamente svolte nell’impresa, a prescindere da formali qualificazioni giuridiche (Corte di Cassazione, Sentenza n. 38691 del 28/09/10).

Secondo la Suprema Corte, quindi, il ricorrente ha sovrapposto la figura del preposto “di diritto”, corrispondente alla definizione normativa di cui all’articolo 2 del D.Lgs. 81/08, a quella del “preposto di fatto”.
Se per la prima, ha precisato la Cassazione, è necessario, tra l’altro, che egli abbia ricevuto un incarico dal datore di lavoro e che abbia ricevuto direttive per l’esecuzione dei lavori, nel caso di assunzione di fatto la posizione di garanzia deriva dal concreto espletamento dei poteri tipici del preposto senza che vi sia una preliminare investitura da parte del datore di lavoro.

Quanto sopra si ricava, oltre che da una analisi strutturale del fenomeno, dalla lettura dell’articolo 299 del D.Lgs. 81/08 in base al quale “le posizioni di garanzia relative ai soggetti di cui all’articolo 2, comma 1, lettere b), d) ed e), gravano altresì su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti”.
Né, per gli stessi motivi, ha sostenuto ancora la Suprema Corte, sarebbe stato pertinente il richiamo alla disciplina della delega di funzioni di cui all’articolo 16 del D.Lgs. 81/08 perché occorre tenere distinta la tematica della delega di funzioni prevenzionistiche, la quale richiede per la sua efficacia la ricorrenza dei requisiti esplicitamente elencati dal menzionato articolo 16, da quella evocata dal “principio di effettività”.

Infatti, ha così proseguito la Suprema Corte, in tema di tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori può affermarsi che il principio di effettività, se vale a elevare a garante colui che di fatto assume e svolge i poteri del datore di lavoro, del dirigente o del preposto, non vale a rendere efficace una delega priva dei requisiti di legge e se nonostante tale carenza il delegato verrà chiamato a rispondere del proprio operato sarà in quanto egli ha assunto di fatto i compiti propri del datore, del dirigente o del preposto, e non per la esistenza di una delega strutturalmente difforme dal modello normativo.
Di conseguenza il delegante “imperfetto” manterrà su di sé tutte le funzioni prevenzionistiche che l’atto non è valso a trasferire ad altri e i suoi doveri non si ridurranno all’obbligo di vigilanza di cui all’articolo 16 del citato D.Lgs. 81/08.

La Corte di Cassazione ha condiviso quindi le conclusioni alle quali era pervenuta la Corte territoriale la quale, facendo proprio l’impianto motivazionale del primo Giudice, aveva precisato analiticamente le ragioni per le quali aveva ritenuto che l’imputato, nello svolgere le funzioni di capocantiere, avesse assunto di fatto il ruolo di preposto del datore di lavoro e avesse assunto in concreto le sue responsabilità.

La Sentenza n. 34299 del 6 agosto 2015 della Corte di Cassazione Penale Sezione IV è scaricabile all’indirizzo:

I RISCHI BIOLOGICI NEL SETTORE SANITARIO E LE FERITA DA PUNTA E DA TAGLIO

Da: PuntoSicuro
22 settembre 2015
di Tiziano Menduto

Nel settore sanitario molti operatori sono esposti ai rischi derivanti dall’uso di strumenti taglienti o appuntiti. La normativa europea e nazionale, i dispositivi con meccanismo di protezione e di sicurezza e le buone prassi.

Se consideriamo che nell’Unione Europea gli addetti alla sanità rappresentano uno dei più estesi settori d’impiego con circa il 10% della popolazione lavorativa (il 77% sono donne) e che solo in Italia gli operatori sanitari alle dipendenze dal Servizio Sanitario Nazionale sono circa 450.000 (di cui 276.000 infermieri e 111.000 medici), si può capire quanti possano essere i soggetti esposti ai rischi derivanti dall’uso di strumenti taglienti o appuntiti nel corso di varie procedure (quali iniezione intramuscolare o sottocutanea, prelievo di campioni di sangue, cateterismo endovenoso, ecc.) nel settore sanitario.

In questo settore il rischio biologico occupazionale di natura infettiva, allergica, tossica e cancerogena dovrebbe dunque essere evidente e correttamente percepito come rischio negli ambienti sanitari. Invece una recente indagine realizzata in Italia ha sorprendentemente messo in evidenza che tale rischio è conosciuto meno dai professionisti sanitari piuttosto che dalle altre categorie di lavoratori prese in considerazione: alimentazione, catering, servizi, agricoltura e allevamento ecc.

Di questa indagine, di altri studi e delle problematiche del rischio biologico nel settore sanitario parla un breve saggio, un Working Paper, pubblicato da Olympus il 15 settembre 2015 e dal titolo “Il rischio biologico nel comparto sanitario. Le infezioni occupazionali”.

Il documento, a cura di Maurizio Sisti (ricercatore di Igiene generale e applicata presso il Dipartimento di Scienze Biomolecolari dell’Università di Urbino Carlo Bo), si propone dunque di affrontare la problematica del rischio biologico nel comparto sanitario con particolare riferimento alle infezioni occupazionali degli operatori sanitari in seguito a esposizioni mucocutanee o accidentali con sangue, liquidi biologici o materiale contaminato. Problematica rilevante anche in relazione all’alta percentuale dei tassi di mancata notifica per le esposizioni percutanee.
Il Working paper si sofferma anche sulle criticità del D.Lgs. 19/14, recepimento della Direttiva 2010/32/UE, che ha integrato il D.Lgs. 81/08 “Testo Unico sulla sicurezza” aggiungendo integralmente il Titolo X-bis “Protezione dalle ferite da taglio e da punta nel settore ospedaliero e sanitario”, in merito alla prevenzione delle ferite da taglio o da punta, ponendo in risalto gli aspetti positivi e le criticità. E si evidenzia anche il ruolo che svolgono le istituzioni e le parti sociali a livello nazionale, regionale e territoriale nell’implementare la prevenzione delle infezioni occupazionali.

Ci soffermiamo oggi in particolare sulla Direttiva 2010/32/UE del Consiglio del 10 maggio 2010 che attua l’accordo quadro, concluso da HOSPEEM (Associazione europea datori di lavoro del settore ospedaliero e sanitario) e FSESP (Federazione sindacale europea dei servizi pubblici), in materia di prevenzione delle ferite da taglio o da punta nel settore ospedaliero e sanitario.

In particolare si ricorda che il testo dell’accordo quadro è costituito da cinque articoli e un allegato; è diviso in preambolo, considerazioni generali e undici clausole. E particolare importanza assumono le finalità, come la definizione di un approccio integrato che deve includere la valutazione e prevenzione dei rischi, la formazione, l’informazione, la sensibilizzazione, il monitoraggio, l’azione di risposta e di follow-up dell’evento e la definizione di “luoghi di lavoro interessati” (sono organizzazioni/servizi sanitari del settore pubblico e privato, nonché ogni altro luogo in cui si svolgono attività e sono prestati servizi sanitari sotto l’autorità e la supervisione del datore di lavoro).
Altra importante definizione è quella data per i “dispositivi medici taglienti” indicati come oggetti o strumenti necessari all’esercizio di attività specifiche nel quadro dell’assistenza sanitaria che possono tagliare, pungere, ferire e/o infettare. E gli oggetti taglienti o acuminati sono considerati “attrezzature di lavoro” ai sensi della Direttiva 89/655/CEE relativa appunto alle attrezzature di lavoro.

Il Working Paper si sofferma tuttavia, sia in relazione alla Direttiva che al D.Lgs. 19/14 di recepimento, sul fatto che la nuova normativa pur fornendo una serie di precise definizioni, non chiarisca che cosa si debba intendere per “dispositivi con meccanismo di protezione e di sicurezza” quali possono essere ad esempio i cosiddetti “Needlestick Prevention Devices” (NPDs).
Nonostante questa mancanza di chiarezza, in Italia diverse strutture, in particolare quelle pubbliche del SSN, hanno introdotto gli NPDs ancor prima dell’applicazione del D.Lgs. 19/14. E secondo alcuni dati disponibili (aggiornati al 2010) circa il 40% dei prelievi ematici, il 20% dei prelievi arteriosi e il 24% dei posizionamenti dei cateteri avvengono tramite l’impiego di presidi quali gli NPDs. Questo, unitamente all’adozione di pratiche operative più sicure, ha contribuito ad una forte riduzione delle punture accidentali mediamente di oltre l’80%, valore paragonabile a quello ottenuto in altri Paesi europei, con una punta ragguardevole del 93% osservata in Spagna.

E dunque (come riportato in un documento prodotto nel 2012 dal Gruppo di Studio PHASE) si è dimostrato come l’adozione di dispositivi medici dotati di meccanismi di protezione e sicurezza, come ad esempio gli NPDs, parallelamente a un’adeguata informazione/formazione del personale sanitario sul loro corretto impiego, abbia comportato una drastica riduzione delle esposizioni a rischio biologico derivanti dalle lesioni percutanee accidentali quali ferite, taglio e puntura.

Gli NPDs, continua il documento, rappresentano dunque una misura di protezione collettiva atta a eliminare o contenere al massimo un rischio biologico specifico rappresentato da oggetti taglienti o pungenti contaminati con sangue infetto, in linea con l’art. 286-quater, comma 1, lettera b) del D.Lgs. 81/08, che recita: “Il datore di lavoro è tenuto ad adottare misure idonee ad eliminare o contenere al massimo il rischio di ferite ed infezioni sul lavoro attraverso l’elaborazione di una politica globale di prevenzione che tenga conto delle tecnologie più avanzate, dell’organizzazione e delle condizioni di lavoro, dei fattori psicosociali legati all’esercizio della professione e dell’influenza esercitata sui lavoratori dall’ambiente di lavoro”.

L’autore ricorda inoltre che nella seduta del 25 settembre 2013 la Commissione consultiva permanente per la sicurezza sul lavoro ha validato la buona prassi: “Applicazione sistemi con aghi di sicurezza”, sviluppata dal Servizio Prevenzione e Protezione dell’Ospedale San Martino di Genova, uno dei più vasti complessi ospedalieri d’Europa, con l’intento di prevenire o ridurre in modo significativo le punture accidentali da aghi impiegati nelle pratiche mediche e infermieristiche.

Riguardo poi alla Direttiva e alla possibilità dell’impiego di vaccini efficaci, dispensati gratuitamente, qualora la valutazione (clausola 5) riveli la presenza di un rischio per la sicurezza e la salute dei lavoratori a causa della loro esposizione ad agenti biologici, il documento segnala che il D.Lgs. 19/14 non sembra aver fatto definitivamente luce sul tema delle vaccinazioni, sia obbligatorie per legge, sia suggerite per specifiche tipologie di occupazione lavorativa, qualora possa essere ravvisato il rischio biologico. Problematica che emerge in particolare nel caso in cui un lavoratore esprima il rifiuto al trattamento immunitario obbligatorio.

Il saggio rileva inoltre un’altra criticità del D.Lgs. 19/14. Il Decreto, riguardo alle disposizioni finanziarie per l’attivazione di quanto riportato nell’articolo 1, precisa “che non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, provvedendo le stesse amministrazioni competenti agli adempimenti del presente Decreto con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente”. Tuttavia è difficile pensare che gli adempimenti degli interventi, volti alla prevenzione delle ferite da taglio o da punta e alla successiva messa in sicurezza in caso di tali eventi, descritti nella normativa, e in particolar modo l’impiego di dispositivi sicuri come ad esempio gli NPDs, non possano comportare aggravi nella spesa sanitaria.

Comunque, alla luce dei dati riguardanti le sole proporzioni economiche del fenomeno, si può concludere che il costo per gli adempimenti degli interventi, descritti nel D.Lgs. 19/14, può sicuramente essere sostenibile, tenuto conto anche che sul mercato la maggior richiesta di “dispositivi sicuri” potrebbe determinare una sensibile riduzione dei loro costi.

Ricordiamo infine che il documento si sofferma anche sulla valutazione del rischio biologico, sui modelli organizzativi e sulla sorveglianza sanitaria.

Il documento di Olympus - Osservatorio per il monitoraggio permanente della legislazione e giurisprudenza sulla sicurezza del lavoro “Il rischio biologico nel comparto sanitario. Le infezioni occupazionali”, a cura di Maurizio Sisti è scaricabile all’indirizzo:


MOVIMENTAZIONE MANUALE DEI CARICHI: FATTORI DI RISCHIO E PREVENZIONE

Da: PuntoSicuro
18 settembre 2015

Un documento sulla prevenzione dei rischi nelle aziende metalmeccaniche riporta utili indicazioni sulla Movimentazione Manuale dei Carichi (MMC).
I fattori di rischio, la prevenzione, la meccanizzazione e l’organizzazione di lavoro.

La MMC, nel caso di condizioni di lavoro disagevoli, pesi eccessivi e procedure di sollevamento errate, può comportare rischi di lesioni alla schiena. Più frequenti sono quelle al tratto dorso-lombare, ma non sono da sottovalutare i danni a carico del tratto cervicale e degli arti superiori, oltre che altri tipi di rischi, quali quelli di infortunio.
E i danni alla colonna vertebrale causati da attività che comportano MMC possono essere di lieve entità (piccoli traumi), o di rilevante importanza (qualora vengano a crearsi affezioni degenerative croniche, quali ernie o protuberanze discali). Detti danni possono presentarsi sia a breve, sia a lungo termine; i danni a breve termine includono gli infortuni traumatici e la fatica, e quelli a lungo termine le patologie degenerative della colonna vertebrale.

A parlare in questi termini della MMC, con particolare riferimento alla movimentazione nelle aziende del comparto metalmeccanico, è il documento “Labor Tutor - Un percorso formativo sulla prevenzione dei fattori di rischio tipici del settore metalmeccanico”, un opuscolo realizzato dall’ INAIL in collaborazione con ENFEA (Ente Nazionale per la Formazione E l’Ambiente).

Nel documento si ricorda che nella MMC l’annullamento del rischio potrebbe consistere nell’eliminazione delle manovre di sollevamento e/o trasporto manuale da parte dei lavoratori, attuabile solo attraverso una meccanizzazione o automazione delle fasi di lavoro stesse.

In tutti i casi in cui ciò non sia fattibile, si dovrà cercare di eliminare il più possibile tutte le cause (o concause) di rischio che la MMC stessa può comportare. Riportiamo a seguire alcuni dei fattori di rischio da ottimizzare.

Caduta del carico (carico troppo pesante; carico ingombrante o difficile da afferrare; carico in equilibrio instabile).
Le principali cause di caduta di un carico durante la sua movimentazione manuale (intesa come “perdita della presa” da parte del lavoratore) sono legate alle caratteristiche dello stesso: tipo, forma, peso. L’elemento peso è una delle componenti determinanti per la riuscita del sollevamento del carico da terra o da altezze molto basse rispetto al baricentro del lavoratore; infatti, la forza e la fatica esercitate dall’operatore per compiere l’azione aumentano con l’aumentare del peso stesso. Quindi, più è pesante il carico, più forza devo esercitare per il mantenimento della “presa”, che potrà esaurirsi nel giro di breve tempo causandone la caduta. Inoltre, anche le dimensioni fisiche dell’oggetto movimentato a mano, così come la sua stabilità/consistenza (carico ingombrante, in equilibrio o con contenuto instabile), concorrono alla possibilità di caduta del carico stesso. Infine, un carico difficile da afferrare aumenta sicuramente il rischio di caduta dello stesso, laddove non siano presenti adeguate maniglie per una “presa sicura”. Il rischio di caduta di un carico può comportare infortuni agli arti e infortuni da schiacciamento.

Scivolamento/caduta del lavoratore (spazio libero insufficiente per lo svolgimento dell’attività; irregolarità e/o dislivelli della pavimentazione; urti contro ostacoli).
Le caratteristiche ambientali del luogo di lavoro possono favorire rischi di scivolamento o caduta del lavoratore, qualora lo spazio libero per lo svolgimento dell’attività sia insufficiente (ambienti stretti o molto arredati, con conseguente rischio di urti contro ostacoli e quindi possibili cadute del lavoratore); qualora il pavimento presenti irregolarità (buche, piastrelle non ben connesse, ecc.), o sia reso scivoloso dal deposito di sostanze oleose presenti nel ciclo produttivo del reparto. Scivolamento e caduta sono rischi presenti anche qualora le scarpe calzate dal lavoratore non siano idonee (zoccoli, scarpe con tacchi, ecc.) o non abbiano un buon grado di attrito tra suola e superficie di appoggio.

Sforzo fisico (peso del carico; distanza del carico dal corpo; frequenza della movimentazione del carico; distanze verticali di sollevamento e/o di trasporto orizzontale; tempi di recupero insufficienti).
Lo sforzo necessario per il sollevamento di un carico aumenta con l’aumentare del peso del carico stesso. Normalmente, il lavoratore tende a sollevare manualmente un carico e a trasportarlo tenendolo vicino al proprio corpo; in questo modo, si facilita la distribuzione del peso del carico stesso, oltre che sulla schiena, anche sui muscoli del bacino e delle gambe. Qualora il carico avesse caratteristiche tali da poter causare rischi di ustione o ferite, lo stesso verrà sollevato e trasportato a mano mantenendolo, però, lontano dal corpo. Così facendo, lo sforzo fisico richiesto sarà maggiore come la forza compressiva che viene a esercitarsi sul tratto lombo-sacrale della colonna vertebrale, aumentando così la probabilità di provocare danni alla schiena. Ovviamente, con l’aumentare della frequenza delle azioni sopra descritte, si verificherà anche un aumento del carico energetico investito dall’organismo, derivato dallo sforzo cui è sottoposto. Analogamente, lo stesso sforzo fisico si riscontrerà per le distanze verticali di sollevamento (aumento degli spazi verticali tra “piano di presa” del carico e “piano di appoggio” dello stesso) e di trasporto su piani orizzontali (aumento delle lunghezze di trasporto manuale di un carico). Di conseguenza, i tempi per recuperare l’energia fisica necessaria alla continuazione dell’attività, senza porre l’organismo sotto stress, dovranno essere adeguati.

Postura scorretta del lavoratore (spazi inadeguati; mantenimento di postura fissa per lungo tempo).
Per quanto riguarda l’acquisizione di posizioni di lavoro scorrette e mantenute fisse per lungo tempo, è possibile che queste vengano assunte necessariamente dai lavoratori in presenza di postazioni di lavoro definite e non modificabili, ovvero di un’inadeguata organizzazione del lavoro.

Il documento, che si sofferma anche sulle eventuali conseguenze a breve o a lungo termine di tutti gli elementi di rischio analizzati, presenta anche alcune indicazioni per la prevenzione.

Premesso che i lavoratori addetti alla MMC devono essere in possesso dell’idoneità fisica a svolgere il compito in questione, indossare idonei indumenti e calzature, essere adeguatamente formati e avere a disposizione procedure di sicurezza scritte, il documento si sofferma sulle misure di prevenzione e sui comportamenti corretti che devono essere messi in atto al fine di ridurre, o eliminare, i rischi analizzati:
-         meccanizzazione dei processi di sollevamento e/o trasporto carichi per eliminare il rischio;
-         ausiliazione degli stessi processi per il contenimento del rischio;
-         elaborazione e applicazione delle procedure di lavoro per la messa in sicurezza dei lavoratori;
-         attuazione dei comportamenti corretti da seguire durante i processi lavorativi.

La meccanizzazione/automazione, dei processi lavorativi di sollevamento e/o trasporto carichi è l’unico elemento valido al fine di eliminare il rischio correlato alla MMC.
In particolare per abbattere ogni tipo di rischio a carico della colonna vertebrale si consiglia l’utilizzo di attrezzature meccaniche sia a spinta manuale (carrelli, transpallet), sia dotati di motore (carrelli elevatori, altri apparecchi di sollevamento). La scelta dei carrelli per il trasporto di carichi su piani orizzontali dovrà essere conforme alla tipologia e al peso del carico stesso. Inoltre, per quanto riguarda i carrelli manuali e i transpallet, è da ricordare che la movimentazione dell’attrezzatura da parte del lavoratore viene eseguita manualmente, esponendolo così ai rischi relativi alla forza imposta per il traino e la spinta degli stessi.

Inoltre si sottolinea che l’elaborazione di idonee procedure e l’attuazione dei comportamenti corretti da parte dei lavoratori durante i processi lavorativi sono un elemento fondamentale per il mantenimento costante del livello di sicurezza. Senza dimenticare che i comportamenti corretti da attuare durante le fasi di lavoro a rischio sono trasmessi ai lavoratori tramite l’informazione e la formazione, momenti integranti della prevenzione.

Concludiamo riportando alcune indicazioni relative all’organizzazione del lavoro.
E’ necessario organizzare gli spazi e gli arredi in modo tale che gli spostamenti avvengano in ambienti non a rischio (urti contro ostacoli, scivolamenti o cadute del carico e/o del lavoratore). Inoltre è bene fare in modo che il bancale di prelievo e quello di deposito siano angolati fra loro al massimo di 90°, e che non presentino dislivelli di altezze. E molta importanza riveste, inoltre, l’indicazione della massa in kg sul carico da movimentare; in questo modo si facilita il lavoratore nella scelta del metodo per sollevare o trasportare il carico stesso. Infine il datore di lavoro dovrà dare precise indicazioni sulla necessità di effettuare sollevamenti e trasporti di carichi in modo simmetrico e regolare, onde evitare dannose flessioni laterali della colonna vertebrale.

Il documento di INAIL e ENFEA “Labor Tutor - Un percorso formativo sulla prevenzione dei fattori di rischio tipici del settore metalmeccanico”, pubblicato nel mese di marzo 2012, è scaricabile all’indirizzo:



ACCORDO SULL’AMIANTO IN PIEMONTE TRA CGIL, CISL E UIL E ANCI

Da Portale Consulenti
16 settembre 2015

PUBBLICATO IL TESTO DELL’ACCORDO TRA CGIL, CISL E UIL E ASSOCIAZIONE NAZIONALE COMUNI ITALIANI (ANCI)

A 23 anni dalla messa al bando dell’amianto con la Legge 257/92 l’amianto è ancora un grave problema da affrontare con determinazione e sollecitudine perché è ancora largamente diffuso su tutto il territorio nazionale e continua a uccidere non solo tra gli ex lavoratori, ma anche tra i cittadini.

In Piemonte l’ARPA ha individuato ben 87.000 siti contenenti amianto e alla luce della validazione circa il 70% degli stessi risulta contaminato dalla presenza del materiale killer. La stima in Italia delle vittime per neoplasie è di 4.000 decessi in Italia. Il Piemonte ha il primato negativo con l’apporto decisivo dell’Eternit (18,0 % per cento del totale nazionale con 2.849 casi di soli mesoteliomi), seguito dalla Lombardia (17,7 %) e dalla Liguria (12,0%).

Solo un minima parte dei siti è stata bonificata per molte ragioni, in primo luogo per carenza di risorse. Se non si compie un intervento massiccio e programmato stante il trend attuale occorreranno almeno 60 anni per liberare il nostro territorio.
Inoltre è urgente individuare in Piemonte idonee discariche per lo smaltimento tanto è vero che oltre il 60% dell’amianto bonificato viene esportato all’estero.

Per queste ragioni CGIL, CISL, UIL Piemonte e ANCI Piemonte hanno firmato un accordo in cui chiedono al Governo l’immediata applicazione del Piano Nazionale Amianto che prevede interventi sulle bonifiche e sugli aspetti sanitari e di tutela sociale.

Accordo sull’amianto tra CGIL, CISL, UIL Piemonte e ANCI Piemonte è scaricabile all’indirizzo:



INAIL: IL RISCHIO BIOLOGICO NEGLI AMBULATORI “PRIME CURE”

Da Portale Consulenti
24 settembre 2015
Marcello Parrella

Con il volume dell’INAIL “Il rischio biologico negli ambulatori Prime Cure. Proposta di valutazione attraverso una metodologia integrata”, edito nel 2013, la Consulenza Tecnica Accertamento Rischi e Prevenzione (CONTARP) dell’INAIL ha pubblicato l’impianto metodologico messo a punto per la valutazione del rischio biologico negli ambulatori “Prime Cure”, nell’ottica di rispondere alla necessità di uniformare all’interno dell’Istituto, su scala nazionale, le metodologie e le procedure di accertamento di tale rischio occupazionale.
Infatti, nonostante l’ampia disponibilità di linee guida, buone prassi, indicazioni operative ecc. per la prevenzione e il controllo del rischio biologico negli ambienti sanitari, a tutt’oggi manca una metodologia di riferimento validata per la valutazione.

L’attività è stata condotta in collaborazione con la Consulenza Statistico Attuariale, l’Unità Operativa Laboratorio del Dipartimento di Genova dell’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente Ligure (ARPAL) e il Laboratorio di Micologia del Dipartimento di Scienze della Terra e dell’Ambiente (DSTA) dell’Università degli Studi di Pavia.
La metodologia proposta, validata presso gli Ambulatori “Prime Cure” di Sedi INAIL delle regioni Lazio, Liguria, Umbria, Marche, Puglia e Toscana, dove non si fa utilizzo deliberato di agenti biologici, è stata sviluppata sulla base del metodo “Bio-ritmo”, elaborato da INAIL e ARPA Liguria per le attività dei laboratori chimici e biologici e successivamente generalizzato per permetterne l’applicazione in differenti settori lavorativi.

La metodologia si sviluppa attraverso tre fasi successive:
-         raccolta sistematica e organizzata di dati, relativi ad ambienti, attività e procedure di lavoro, aventi rilevanza ai fini dell’analisi delle fonti di pericolo nel contesto lavorativo vigente;
-         inserimento dei dati in un algoritmo di valutazione del rischio, che fa riferimento al metodo “a matrice”, ampiamente utilizzato in Igiene Industriale per la valutazione semi quantitativa dei rischi occupazionali;
-         individuazione e pianificazione degli interventi migliorativi da attuare.

La ricognizione dettagliata dell’attività lavorativa oggetto di valutazione, condotta attraverso la raccolta di informazioni distinte per i diversi ambulatori specialistici e le diverse mansioni, consente di attribuire un valore numerico ai diversi coefficienti di cui si compone l’algoritmo e di definire, di conseguenza, il livello complessivo del rischio biologico.

La somministrazione di un questionario sulla percezione dei rischi al personale interessato completa la valutazione del rischio, fornendo informazioni utili per la pianificazione o la modifica, nell’ottica del miglioramento continuo, degli interventi di formazione, informazione e addestramento ai fini della prevenzione del rischio di esposizione e anche per intervenire a livello di gestione della sicurezza e di modifica degli ambienti.
Qualsiasi fattore biologico in grado di alterare l’equilibrio ambientale può agire negativamente sulla qualità degli ambienti indoor sede di vita e di attività antropica. Così come per ogni altra sostanza aerodispersa che possa avere effetti sulla salute dell’uomo, anche la misura della presenza dei batteri e dei funghi nell’aria può essere utile per la valutazione del rischio biologico nell’ambiente confinato, sia esso inteso come indoor lavorativo che residenziale.

E’ previsto pertanto anche il monitoraggio della contaminazione microbiologica ambientale, avvalendosi di metodologie di campionamento e analisi standardizzate, per verificare lo stato igienico generale sotto il profilo dell’esposizione dei lavoratori ad agenti biologici per via inalatoria e/o per contatto diretto.

In questo volume gli autori intendono presentare i risultati dell’applicazione di tale metodologia integrata agli ambulatori ‘Prime cure’ delle Sedi INAIL coinvolte nell’attività.
Il lavoro è stato condotto con l’intento di fornire un ausilio alla valutazione del rischio biologico e alla conoscenza del livello di contaminazione microbiologica che differenzi l’ambiente salubre da quello insalubre, con opportuni riferimenti allo stato microbiologico dell’aria, al tipo di locale, di persone che lo frequentano e di attività di lavoro che vi si svolgono.
Per una panoramica sulle caratteristiche degli agenti biologici di più frequente riscontro in ambienti di lavoro assimilabili a quelli oggetto dello studio, si rimanda agli approfondimenti sulla componente microfungina e alle schede tecniche informative sui pericoli biologici.

Il documento dell’INAIL “Il rischio biologico negli ambulatori Prime Cure - Proposta di valutazione attraverso una metodologia integrata” è scaricabile all’indirizzo:


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