SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! “LETTERE
DAL FRONTE” DEL 16/09/15
Invio a seguire e/o in allegato le “Lettere
dal fronte”, cioè una raccolta di mail o messaggi in rete che, tra i tanti che
ricevo, hanno come tema comune la tutela della salute e della sicurezza dei
lavoratori e dei cittadini e la tutela del diritto e della dignità del lavoro.
Il mio vuole essere un contributo a
diffondere commenti, iniziative, appelli relativamente ai temi del diritto a un
lavoro dignitoso, sicuro e salubre.
Invito tutti i compagni e gli amici della
mia mailing list che riceveranno queste notizie a diffonderle in tutti i modi.
Marco Spezia
ingegnere e tecnico della salute e della
sicurezza sul lavoro
Medicina Democratica
Progetto “Sicurezza sul lavoro: Know Your
Rights!”
e-mail: sp-mail@libero.it
Web Medicina Democratica: http://www.medicinademocratica.org/wp/?cat=210
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INDICE
Posta Resistenza posta@resistenze.org
LA CRIMINALIZZAZIONE CHE NON SI ARRESTA MAI
Posta Resistenza posta@resistenze.org
Claudio Grassi blog@claudiograssi.org
LAVORARE MENO, LAVORARE TUTTI
Franco Mugliari fmuglia@tin.it
“SENZA PAROLE” IN POWER POINT
Gian Luca Garetti glucagaretti@gmail.com
L’INCENERITORE DI MONTALE, DIFFONDE
BENEFICHE DIOSSINE E FURANI
Maria Nanni mariananni1@gmail.com
COORDINAMENTO AUTORGANIZZATO TRASPORTI:
COMUNICATO STAMPA SCIOPERO
SpeziaPolis info@speziapolis.org
19 SETTEMBRE 2015: PARIGI CHIAMA LA SPEZIA:
SALVARE IL CLIMA, CHIUDERE CON IL CARBONE, APRIRE A NUOVE OPPORTUNITA’
Assemblea 29 Giugno assemblea29giugno@gmail.com
IL 17 SETTEMBRE A MONTECITORIO: NO ALLA
PRESCRIZIONE PER VIAREGGIO!
Medicina Democratica segreteria@medicinademocratica.org
MEDICINA DEMOCRATICA - CONGRESSO NAZIONALE
FIRENZE 19-21 NOVEMBRE 2015
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From: Posta Resistenza posta@resistenze.org
To:
Sent: Thursday, September 10, 2015 2:46 AM
Subject: LA CRIMINALIZZAZIONE CHE NON SI
ARRESTA MAI
La notizia degli arresti agli otto
manifestanti No TAV è stata come d’abitudine data su scala nazionale nei
principali mezzi di comunicazione “mainstream”: TG Rai Nazionali, Reti
Mediaset, La 7, oltre ad una serie di “militanti” telegiornali locali, primo
fra tutti il TG3 Regione Piemonte, da sempre oggettivamente vicino alle
posizioni Pro TAV e agli interessi della Società LTF (Lyon Turin Ferroviaire)
che gestisce la costruzione dell’opera.
Il tono e le parole utilizzate hanno
descritto un “attacco al cantiere” che ha messo in crisi la sicurezza delle
strutture ed ha visto l’utilizzo di “bombe carta”, “pietre” anche contro le
forze dell’ordine.
In realtà le condotte asseritamente poste
in essere si sono limitate come al solito alla “rappresentazione” di una lotta,
dimostrando la contrarietà a uno stupro ambientale ed economico, in barba ad
ogni regola democratica.
Gli agricoltori a Bruxelles hanno inscenato
in questi giorni un falò davanti alle truppe antisommossa schierate, hanno
bloccato l’intera capitale belga, provocato 200 km di code nel paese. In
passato avevano bloccato autostrade, bombardato con lo sterco, acceso fuochi di
protesta.
Se fossero stati No TAV si sarebbe chiesto
il carcere per attentato terroristico.
Ma non lo sono, pertanto nessuno si è
sognato di portare in cella in catene i manifestanti dei trattori.
Anche nel caso degli otto arresti, non solo
in sede di propaganda mediatica, si è continuato ad avere mano pesante
chiedendo la carcerazione preventiva, venendo, ancora una volta, smentiti dalle
decisioni del GIP, il quale, pur dando alla Procura il contentino di una misura
coercitiva, non se l’è sentita di assecondare l’overcharging consueto nei
confronti dei No TAV, disponendone la scarcerazione e la sola misura dell’obbligo
di dimora.
La Stampa di Torino, altro noto quotidiano
vicino agli interessi del TAV, anche dopo le scarcerazioni, non si rassegna e
indispettita commenta in questo modo “Escono dal carcere gli otto No TAV
arrestati dopo l’attacco al cantiere di Chiomonte di sabato scorso. I Pubblici
Ministeri Antonio Rinaudo e Marco Gianoglio avevano chiesto la carcerazione, ma
il GIP Ambra Cerabona ha convalidato gli otto fermi, ma ha disposto per uno di
loro (?il minorenne) gli arresti domiciliari e per gli altri sette la misura
dell’obbligo di dimora”.
Al di là della non felice sintassi, (ben
due “ma” all’inizio della frase, freudianamente sintomo della disapprovazione)
e del marchiano errore di attribuire al GIP del Tribunale ordinario anche la
decisione sull’indagato minorenne, di competenza invece del Giudice minorile,
la domanda rimane sempre la medesima: come mai le azioni del movimento No TAV
beneficiano sempre di una speciale misura di criminalizzazione?
“Ripetete una bugia cento, mille, un
milione di volte e diventerà una verità” è una frase attribuita a Joseph
Goebbels. Al di là di questo concetto a effetto, chi scrive ha sempre ritenuto
preferibile spiegare la generazione di quella che viene impropriamente chiamata
“pubblica opinione” attraverso le più adeguate riflessioni di Gramsci intorno
al concetto di “egemonia culturale”.
Per Gramsci, egemonia culturale significava
la capacità di un gruppo sociale o di una determinata classe sociale di
esercitare sui propri componenti e su quelli di altri gruppi o classi sociali
una “direzione intellettuale e morale” attraverso pratiche sociali quotidiane e
condivise attraverso le quali si impongono i propri punti di vista fino alla
loro interiorizzazione.
Fin dagli inizi, il ceto economicamente
dominante che ha interessi nella grande opera ha riservato al movimento No TAV
un’etichetta di violenza e illegalità. Ciò è potuto avvenire attraverso il
richiamo alla santificazione del concetto di “legalità”, finendo coll’equipararlo
erroneamente col concetto di “giustizia”, passaggio che è potuto avvenire solo
attraverso l’esercizio di un’egemonia culturale in grado di deformare
percezioni, concetti ed idee.
Secondo questo schema concettuale, tutto
ciò che si oppone a determinazioni legislative viene dipinto come sintomo
criminale, al di là del concreto contenuto di quella legalità che si vuole
santificare, anche quando la medesima promana da procedimenti decisionali tutt’altro
che democratici, oppure da interessi economici tutt’altro che conformi all’interesse
comune che l’istituzione dovrebbe perseguire.
Proprio questo aspetto si dimentica sempre
nella vicenda del TAV valsusino e forse dell’intera vicenda Alta Velocità in
Italia.
Le decisioni sono state prese tutt’altro
che in modo democratico, tutt’altro che conformemente all’interesse comune.
Per le varie illegittimità compiute all’interno
del progetto Alta Velocità in Italia, è utile la lettura del volume di Ivan
Cicconi dal titolo emblematico: “Il libro nero dell’alta velocità” nel quale
vengono raccontate “le scelte tecniche e finanziarie note e occulte, le bugie
consapevoli e inconsapevoli, la truffa ai danni dello Stato e dell’Unione europea,
la clamorosa bugia del finanziamento privato di una delle opere più controverse
degli ultimi decenni”.
Roba che col concetto di giustizia e
interesse collettivo non ha nulla a che fare.
Roba che poco a che fare con lo stesso
concetto di legalità.
Per la storia del TAV valsusino, parlando
di decisioni prese democraticamente, è sufficiente ricordare cosa avvenne dopo
le manifestazioni di Venaus.
Nella notte tra il 5 e il 6 dicembre 2005
le forze dell’ordine riservarono un trattamento violento ai manifestanti del
presidio di Venaus. Per porre fine all’occupazione dei terreni su cui doveva
essere allestito il cantiere, fecero irruzione nella notte ferendo una ventina
di manifestanti lì accampati.
L’orgogliosa reazione popolare portò ad una
manifestazione di oltre 30.000 persone che si riappropriarono nuovamente dei
prati. Il progetto insano naufragò e venne sostituito da un altro.
A seguito di questi fatti i vari governi
succedutisi vararono una serie di iniziative volte a dipingere il
coinvolgimento della popolazione nel progetto. Ma in tutti questi scenari sono
sempre stati accuratamente tenuti fuori i rappresentanti dei comuni contrari
all’opera, accettando di parlare solo con quelli che erano comunque favorevoli
alla realizzazione.
Addirittura, all’interno del celebrato e
celeberrimo “Osservatorio”, alla fine del 2009 una norma governativa decise di
escludere dall’Osservatorio le amministrazioni comunali che non dichiarassero a
priori di accettare l’opera. A tal proposito riportiamo a seguire la lunga
lettera al Presidente Monti del professor Angelo Tartaglia esperto del
Politecnico di Torino.
Il concetto di democrazia, nei confronti
dei No TAV ha avuto una singolare applicazione: si discute solo con chi è
favorevole. Gli altri vanno bollati come eversivi nel tritacarne mediatico.
Queste considerazioni, sapute e risapute da
chi da anni milita nel movimento, servono per spiegare quanto efficace sia l’azione
di egemonia culturale, quando gli interessi vicini ai TAV sono in grado di
condizionare le leve di direzione dell’intera società.
Di fronte a ciò, non si può non rilevare
come la solidificazione di questo status quo politico-sociale e l’incrostazione
degli interessi del cantiere TAV parta da lontano. La subordinazione della
sinistra e della destra italiana ai monopoli finanziari e industriali europei è
parte importante di esso e si è formato con la complicità, l’indecisione, la
miopia e l’opportunismo di numerosi attori politici. L’analisi storica va però
esercitata non solo sui fenomeni lontani nel tempo, ma anche su quelli vicini:
essa ci potrebbe dire perché la saldatura istituzionale è oggi totalmente
nemica del popolo resistente che si batte contro un’operazione economica
palesemente gestita sulla pelle delle persone, lasciando libera la stampa di
regime di dipingere una fiera e umana resistenza, non dissimile da quella di
Gaza, del Chapas, di Rojawa, come attacco terroristico.
La storia passata e recente potrebbe anche
aiutarci a chiarire perché ogni elemento di opposizione che pianta radici nelle
istituzioni si rivela o completamente inutile e ininfluente, oppure addirittura
dannoso nei confronti dei resistenti. Della mera solidarietà o di inutili
interrogazioni parlamentari son spesso piene le celle. C’è bisogno invece di un’azione
che scardini una diversa solidarietà, quella degli oppressori. Per un’azione di
tal genere occorrerebbe mettere in gioco ciò che gli opportunisti o gli
specialisti dell’opposizione istituzionale non sono mai disposti a lanciare,
perché li separerebbe dal gioco e dal giogo cui sono sempre abituati: l’accettazione
della legalità e del suo snaturato concetto come un intoccabile moloch,
indipendentemente dalla natura criminale della legalità stessa. La salvaguardia
del consenso elettorale costringe spesso a nuotare nella corrente egemonica con
quelli che oggi sono vergognosi oppressori.
Se è ancora permesso ricordare che vi è
stata una legalità e una giustizia diversa e opposta, nata dalla lotta
Resistenziale e cristallizzatasi nei valori Costituzionali della carta del
1948, non sembra azzardato ventilare un’evidenza storica: chi, anche in minima
parte, conservi dentro di sé un minimo di valori trasmessi dall’esperienza
della Resistenza, sia che appartenga all’area liberale, a quella cattolica, a
quella socialista, a quella comunista o a quella anarchica (per questi ultimi
immagino più del solito), non può che provare una profonda riprovazione nei
confronti dell’attuale regime di condotta delle istituzioni, nessuna esclusa,
con poche individuali eccezioni, tutte al di fuori della politica.
Ritrovare il coraggio di dichiarare
criminale questa legalità oppressiva è compito difficile, ma va ogni giorno
condotto in solidarietà con tutti coloro che la contestano.
Il popolo valsusino non è meno di quello di
Derry, Belfast, Gaza, Rojava, Baltimora, Città del Messico, del Chapas, del
Kurdistan, del Donbass.
Enzo Pellegrin
09/09/2015
* * * * *
LETTERA AL PRESIDENTE MONTI DAL PROFESSOR
ANGELO TARTAGLIA
Illustrissimo Presidente del Consiglio,
ho ascoltato e poi letto le sue
dichiarazioni riguardo al problema TAV tra Torino e Lione e vorrei provare a
scriverle pubblicamente, come pubbliche sono state le sue parole. Io sono stato
membro dell’Osservatorio Tecnico sulla Torino-Lione fino alla fine del 2009.
Dopo tale data il governo decise di
escludere dall’Osservatorio le amministrazioni comunali che non dichiarassero a
priori di accettare l’opera. Fino ad allora l’Osservatorio aveva raccolto una
considerevole mole di documentazione, valsa tra l’altro a sfatare la leggenda
dell’imminente saturazione della linea storica, ma non aveva mai discusso l’utilità
e la rilevanza economica della nuova ferrovia. La motivazione addotta allora
dal presidente dell’Osservatorio per questa mancata discussione era che l’analisi
costi-benefici sarebbe stata fatta in seguito, in presenza di una progetto
esecutivo.
Dall’inizio del 2010 il compito del nuovo
Osservatorio, depurato delle voci critiche, è stato esclusivamente quello di
occuparsi del come fare la nuova linea e non dell’accertarne l’utilità.
Peraltro il Commissario di Governo e
Presidente dell’Osservatorio ha anche affermato in televisione qualche giorno
fa che i comuni interessati dalla nuova opera sono solo due, omettendo di dire
che nel nuovo Osservatorio ce ne sono molti di più e anche del tutto estranei a
qualsiasi versione della costruenda linea. La sua affermazione, inoltre, si
riferisce esclusivamente allo sbocco del tunnel internazionale.
Ora è chiaro che se l’intervento dovesse
limitarsi al solo tunnel di base la capacità complessiva della linea resterebbe
esattamente quella di oggi in quanto la portata di un condotto è determinata
dalla sua sezione più stretta, non dalla più ampia.
Torno al problema dei vantaggi e degli
svantaggi. Nel luglio del 2009, in occasione di un incontro con i sindaci della
valle, svoltosi presso la prefettura di Torino, l’allora Ministro Matteoli
affermò che sulla base di studi in suo possesso la linea storica si sarebbe
prestissimo saturata. Non essendo in quella sede consentito ai tecnici di
prendere la parola gli scrissi subito dopo pregandolo di far pervenire all’Osservatorio
gli studi su cui si basavano le sue affermazioni, visto che l’Osservatorio
stesso non ne era a conoscenza e anzi era arrivato a conclusioni opposte. Dopo
alcune settimane mi arrivò una risposta burocratica di poche righe, ma nessuno
studio o documento.
Il 4 novembre 2011 si svolse, al
Politecnico di Torino, un seminario pubblico sull’utilità o meno del TAV
Torino-Lione. In quella sede due esponenti dell’Osservatorio (di cui ormai non
facevo più parte) fecero affermazioni in merito all’economicità dell’opera che
sarebbe stata comprovata dall’analisi costi-benefici effettuata da quell’organo
tecnico. Sollecitati o a rendere esplicite le loro argomentazioni o a produrre
lo studio cui si riferivano, dissero che non lo facevano per correttezza in
quanto l’analisi costi-benefici aveva avuto qualche ritardo tecnico, ma stava
per essere resa pubblica.
Quattro mesi dopo (venerdì scorso) lei ha
dichiarato che l’analisi costi-benefici mostra l’utilità dell’opera e che sarà
presto pubblicata.
Capirà che un osservatore neutrale potrebbe
trovare singolare che per un’opera proposta ormai più di vent’anni fa, e con
tutto quello che sta succedendo, una analisi costi-benefici non sia ancora
stata resa pubblica.
Molti trovano anche curioso che per un’opera
di tale rilevanza l’analisi tecnico-scientifica circa vantaggi e svantaggi
venga fatta dopo aver assunto la decisione e non prima di assumerla.
Io vorrei vivissimamente pregarla di
utilizzare tutta l’autorità di cui dispone per far sì che effettivamente l’analisi
costi-benefici venga pubblicata in tempi brevissimi e naturalmente anche che
possa essere sottoposta ad esame critico tra pari, come è uso che avvenga negli
ambienti scientifici. Lei ha il vantaggio di non aver bisogno di ricorrere a
fiumi di parole roboanti e vaghe, come è vizio della politica corrente, e ha le
competenze per cogliere la rilevanza e fondatezza delle argomentazioni che le
vengono prospettate.
D’altra parte credo che si renda perfettamente
conto che, data la storia e le premesse di questo problema, non è possibile
venirne a capo in termini di ordine pubblico.
La prego, consenta a tutti di riportare
questa vicenda sui binari della razionalità, senza sconti e senza presupposti.
Grazie
Distinti saluti
Torino, 04/03/2012
professor Angelo Tartaglia
Dipartimento di Scienza Applicata e
Tecnologia
Politecnico di Torino
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From: Posta Resistenza posta@resistenze.org
To:
Sent: Thursday, September 10, 2015 2:46 AM
Subject: BRACCIANTI E SFRUTTAMENTO. TUTTA COLPA DEI CAPORALI?
Come spesso accade, c’è bisogno che ci
scappi il morto affinché di un problema se ne cominci a parlare, e ovviamente
se ne parla e basta, giusto quei due tre giorni a ridosso del fatto. Poi tutto
rifluisce, tutto ritorna esattamente al proprio posto, come se nulla fosse mai
accaduto, come se quel problema non fosse mai esistito, come se nessuno ci
avesse mai davvero rimesso la pelle.
Di morti questa volta ce ne sono voluti ben
quattro, di quelli assurti all’onore delle cronache, Mohamed, Paola, il
tunisino di Polignano e il ragazzo trentenne del Mali. Poi c’è quella dozzina
di invisibili, che pure si spegne sotto il sole cocente, o nella cappa
soffocante delle serre, ma di cui nessuno dice nulla e di cui a volte nessuno
sa molto, sepolti in fretta in mezzo a qualche campo per disfarsi di corpi
ormai ‘inutili’. Un bollettino da brividi che si ripete ormai ogni stagione di
raccolta che si rispetti.
Se ne fa un gran parlare in questi giorni,
di loro, di caporalato, di Mafia. Ne parlano personaggi di rilievo come
Saviano, che si sente ovviamente chiamato in causa, questo sembrerebbe il suo
campo. E infatti non si fa sfuggire l’occasione e ci rifila la sua lezioncina
sulla criminalità organizzata, sui legami storici tra caporalato e mafia, oltre
a dirci che per risolvere il problema bisognerebbe introdurre nuove condizioni
di lavoro e di contratto, assicurando “flessibilità” per esempio, proprio come
accade nel modello californiano per la produzione di pomodoro, quello sì che è
un modello “vincente”...peccato che proprio in quella parte di mondo sia stato
collaudato ed esportato un po’ ovunque, giungendo già sino a noi, uno dei più
sofisticati e atroci sistemi di sfruttamento, principalmente di forza lavoro
migrante, proveniente dalle zone più povere del Messico, e che negli ultimi
tempi ha dato vita a una delle più grandi mobilitazioni di braccianti contro lo
sfruttamento che la storia recente abbia mai conosciuto, la lotta de “Los
Jornaleros” che abbiamo provato a documentare.
Poi ci sono le parti sociali. C’è la CGIL
ad esempio, che è già al suo secondo rapporto su Agromafie e Caporalato, “uno
studio sull’illegalità e sull’infiltrazione mafiosa nell’intera filiera agroalimentare”,
come si legge dall’introduzione. Secondo la CGIL bisognerebbe invece potenziare
le filiere capaci di puntare su qualità e legalità, come leve per la
valorizzazione del nostro Made in Italy agroalimentare.
E poi le istituzioni, il Ministro Martina
ad esempio, che intervenendo in questi giorni sui drammatici fatti avvenuti
recentemente, ci dice che “esiste una profonda contiguità con la criminalità
organizzata” per cui “il caporalato va combattuto come la Mafia”.
Ecco, noi vorremmo fare una piccola
riflessione su tutto questo gran dire su caporalato e mafia, una piccola
riflessione stimolata da alcune chiacchierate avute con alcuni lavoratori
agricoli, per la maggior parte immigrati provenienti dall’India e dall’Africa.
E’ di certo un bene che di questo problema di intermediazione “illecita” di
manodopera, qui da noi rinominato “caporalato”, se ne parli, soprattutto
perché, come abbiamo imparato a conoscere, a volta sa essere davvero molto
feroce. Ma non è solo questo. E sopratutto, non è solo Mafia. Questo tentativo
di circoscrivere il problema del caporalato alla sfera dell’illegalità, il
cercare di incapsularlo in questo discorso che ha a che fare con e solo con la
Mafia o altre forme di criminalità organizzata ci sembra essere una bella
furbata, oltre che poco, davvero poco in grado di descrivere la realtà.
Cosa intendiamo? Non stiamo di certo
negando l’esistenza della Mafia, né la sua capacità di infiltrarsi nella
cosiddetta economia “legale” e fare loschi profitti sulla pelle delle persone. Ma
il caporalato è in primo luogo una forma di organizzazione e gestione della
forza lavoro, figlia proprio di quella economia “legale” che il Ministro
Martina e “compagni” stanno tentando di salvaguardare dalla pessima fama.
Ce lo dicono i lavoratori stessi, che
parlano di una sistema esteso oltre misura, presente nella quasi totalità delle
aziende agricole, da Nord a Sud del nostro paese. Un sistema a volte atroce,
come accennavamo prima. Il caporale può essere davvero una figura odiosa che
esercita un controllo totale sulla tua vita. Ma non è solo questo. E’ anche una
figura di riferimento per gli stessi lavoratori, in termini di opportunità di
lavoro, un lavoro avvilente, certo, ma pur sempre qualcosa rispetto al
desolante deserto lasciato da politiche scellerate adottate sinora dalla nostra
classe dirigente. Non solo. A volte sono gli stessi lavoratori a ritrovarsi ad
indossare per qualche tempo i panni di caporale, magari senza mangiarci su,
senza fare soldi sugli altri lavoratori, ma pur sempre organizzando parenti e
amici e assolvendo al bisogno delle aziende di avere una manodopera pronta all’uso
oltre che super flessibile.
Ce lo dicono studi e ricerche sulla
produzione agricola in altre parti del mondo, di cui vi forniamo sotto alcuni
link. Un sistema di gestione della manodopera presente nella produzione di mele
in Sud Africa, in quella di pomodori e patate negli Stati Uniti, nella
produzione orticola in Inghilterra. Stiamo quindi parlando di una pratica che
va ben oltre i confini del nostro paese.
Non è un’anomalia all’italiana. E’ un
sistema perfettamente integrato nell’attuale modello di produzione agricola, un
modello che guarda alla produzione in filiere, produzione principalmente
orientata all’esportazione, come l’ultima avanguardia nell’organizzazione
produttiva, governata dalla Grande Distribuzione che fa della flessibilità il
suo aspetto cardine...e se nei grandi discorsoni non si è ancora ben capito di
quale flessibilità si parli, noi lo abbiamo imparato a capire sulla nostra
pelle!
Tutto questo è esattamente lo stesso
modello tanto spinto e pubblicizzato all’EXPO, con il caro Made in Italy dell’agro-alimentare.
Perché parliamo allora di una bella
furbata? Perché confinare il problema del caporalato esclusivamente a un
discorso su Mafia e criminalità organizzata vuol dire non riconoscere alcuna
connessione tra questa pratica e l’attuale sistema di produzione, vuol dire non
mettere in discussione le politiche adottate sin ora, vuol dire non
interrogarsi sul modello promosso all’EXPO.
Qualche giorno fa c’è stato il vertice
nazionale sul caporalato. Martina e Poletti promettono un piano di azione
strategico entro 15 giorni...eppure anche qui le parole che girano intorno a
questi ragionamenti ci rivelano molto. Si parla di confisca dei beni “come avviene
per i mafiosi”, di una “risposta culturale al fenomeno, tenendo conto non solo
del danno alle persone ma anche del danno al sistema imprenditoriale” dice
Poletti. E ribadisce Martina “Non bisogna generalizzare la situazione e
dipingere tutto in negativo. La stragrande maggioranza delle imprese opera
nelle regole”. Ecco, è proprio questo ciò che intendevamo. Si continua ad
insistere sul fatto che si tratti di un problema circoscritto, lo si incapsula
in ragionamenti di comodo per fare le scarpe a questo o quel caporale, ma
intanto poi l’intero sistema, imprenditori, commercianti, Grande Distribuzione
Organizzata, continueranno con il loro infame “business...as usual”!
Clash City Workers
02/09/15
Link utili:
Encyclopedia Britannica - Migrant labour
‘Labour chains’: analysing the role of labour contractors in global
production networks
INTERNATIONAL LABOUR ORGANIZATION BUREAU FOR WORKERS’ ACTIVITIES -
Decent work in agriculture
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From: Claudio Grassi blog@claudiograssi.org
To:
Sent: Thursday, September 10, 2015 10:55 AM
Subject: LAVORARE MENO, LAVORARE TUTTI
9 settembre, 2015
di Giulio Di Donato e Giacomo Gabbuti
C’è un tema troppo trascurato nell’ambito
del dibattito pubblico e presente solo marginalmente all’interno delle varie
piattaforme rivendicative, ma che assume una centralità da cui non si sfugge.
Si tratta del grande tema della riduzione dell’orario di lavoro.
Per contrastare la drammatica caduta delle
possibilità di lavoro, c’è bisogno di promuovere innanzitutto la
redistribuzione del lavoro che c’è. Redistribuzione quindi del reddito (quanto
mai necessaria in un paese dove il 10 % della popolazione detiene la metà della
ricchezza nazionale), ma anche dei tempi di lavoro (l’Italia è il paese in
Europa dove si lavora di più e più a lungo).
Oggi i progressi nel campo della robotica e
dell’intelligenza artificiale provocano una contrazione irreversibile e
permanente dell’occupazione, tanto fra i lavoratori che svolgono mansioni
esecutive, quanto fra i cosiddetti lavoratori della conoscenza. Un progresso
tecnologico concentrato in larga parte sulle tecnologie informatiche che non
riesce ad aprire la strada a nuove produzioni e a nuovi mestieri con la stessa
velocità con cui espelle la manodopera resa superflua dai processi di
automazione.
La rivoluzione industriale degli ultimi due
secoli ha camminato sulla base di innovazioni radicali (che hanno letteralmente
generato nuovi settori industriali) e sulla capacità di soddisfare nuovi
bisogni. La rivoluzione delle tecnologie digitali sta forse cambiando le nostre
vite in modo altrettanto radicale, ma i nuovi lavori che nascono dal mondo
delle applicazioni sono meno di quanto sarebbe necessario.
La produttività e lo sviluppo tecnologico
ci consentirebbero, tuttavia, di lavorare molte meno ore al giorno, così
assecondando l’antico motto “lavorare meno, lavorare tutti”.
Ma tutto questo entra in contrasto con le
logiche proprie del capitalismo che in questa fase di crisi reagisce aumentando
lo sfruttamento della forza lavoro residua e aggredendo salari e tutele. Come
ci insegna Marx, le crisi sono un mezzo attraverso il quale vengono
ripristinate le condizioni di accumulazione del capitale: “le crisi sono sempre
soluzioni violente soltanto temporanee delle contraddizioni esistenti ed
eruzioni violente che servono a ristabilire l’equilibrio turbato”. Momenti nei
quali profitto e accumulazione vengono ristabiliti per mezzo della distruzione
di capitale e di forze produttive: aumento della disoccupazione e quindi
abbassamento dei salari, fallimenti e quindi concentrazioni di imprese, ecc.
Ecco, dunque, che rivendicare la riduzione
dell’orario di lavoro diventa un meccanismo in grado di inceppare i meccanismi
di valorizzazione del capitale, che porta con sé la necessità di pensare alla
cosiddetta alternativa di sistema.
Tra l’altro, se da un lato la tecnologia
risparmia forza lavoro, dall’altro, i problemi della sostenibilità ambientale e
di un capitalismo stagnante incapace di produrre nuove e grandi innovazioni,
rendono sempre più difficile raggiungere la piena occupazione attraverso la
sola espansione della domanda.
Il problema diventa, allora, come
conciliare i progressi della tecnologia che garantiscono un’offerta quasi infinita
(limitata solo dalla finitezza delle risorse), con la continua espulsione di
lavoratori dalle produzioni esistenti e la conseguente diminuzione della
domanda aggregata. Domanda che potrebbe essere alimentata solo tramite la
creazione di nuovi lavori (soggetti anch’essi ai vincoli di riproducibilità
delle risorse) o da una seria politica redistributiva e incentivando forme
cooperative e partecipative.
Utile a questo punto fare un breve cenno ad
un noto scritto di Keynes, mai abbastanza considerato per l’importanza delle
sue implicazioni. Si tratta delle “Prospettive economiche per i nostri nipoti”,
un testo che in molti non hanno esitato a definire “visionario”, in cui l’economista,
guardando allo sviluppo straordinario e incessante del progresso tecnologico,
afferma: “Noi siamo colpiti da una nuova malattia di cui alcuni lettori possono
non conoscere ancora il nome, ma di cui sentiranno molto parlare nei prossimi
anni: vale a dire la disoccupazione tecnologica. Il che significa che la
disoccupazione dovuta alla scoperta di strumenti economizzatori di manodopera
procede con ritmo più rapido di quello con cui riusciamo a trovare nuovi
impieghi per la stessa manodopera”.
Le tecnologie, in quest’epoca, dovrebbero
servire a risparmiare lavoro (sempre Keynes: “turni di tre ore e settimana
lavorativa di quindici ore possono tenere a bada il problema per un buon
periodo di tempo. Tre ore di lavoro al giorno, infatti, sono più che
sufficienti per soddisfare il vecchio Adamo che è in ciascuno di noi”), anziché
forza lavoro. Si torna così a Marx, alle questioni dell’uso capitalistico delle
“macchine” e del cosiddetto esercito industriale di riserva, di quanto si
potrebbe fare usando al meglio quanto le forze produttive hanno saputo
produrre.
Da qui la necessità di tornare seriamente a
riflettere sulla prospettiva di un modello più giusto e razionale, quello
socialista.
Un diverso modello di sviluppo sostenibile
dal punto di vista sociale ed ecologico, che rimodelli le nostre vite, il modo
in cui ci relazioniamo con gli altri e con l’ambiente che ci circonda. Che
ripensi una crescita che non potrà che essere qualitativa, provando a innovare
con l’attenzione alla qualità di ciò che si produce, alla riproducibilità delle
risorse e all’ambiente: tutti fattori che costituiscono, altrimenti, i limiti
di uno sviluppo solo quantitativo.
Per tutto questo serve un governo
democratico dell’economia che fornisca un chiaro e nuovo quadro di riferimento,
assicuri cioè che “si lavora e si produce non più secondo la logica capitalista
(la logica dell’accumulazione per l’accumulazione, della produzione fine a se
stessa), ma si produce e si lavora per soddisfare i grandi bisogni dell’uomo, i
grandi bisogni della collettività.”
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From: Franco Mugliari fmuglia@tin.it
To:
Sent: Friday, September 11, 2015 1:23 PM
Subject: “SENZA PAROLE” IN POWER POINT
Proprio così, visto l’altissimo gradimento
riscontrato dalle vignette “Senza parole” ho deciso di renderle disponibili in
formato Power Point grazie alla collaborazione della “iCLhub”.
Le slide sono direttamente utilizzabili,
soprattutto quando i lavoratori siano stranieri o comunque con scarsa
conoscenza della lingua italiana, proprio per l’immediata comprensione del
messaggio che vogliono trasmettere.
Le slide sono scaricabili all’indirizzo:
Ricordo inoltre “L’infortunio in itinere
questo sconosciuto”, titolo del post dedicato al problema degli infortuni in
itinere e, in particolare a quelli accaduti con l’uso della bicicletta, al
link:
E infine, le solite raccomandazioni.
Diventate lettori assidui del blog iscrivendovi attraverso il sito.
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tale volontà con un semplice “no newsletter” dall’indirizzo da rimuovere.
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vigenti norme sulla riservatezza. Tutti i destinatari delle mail sono in copia
nascosta.
Grazie
Muglia La Furia
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From: Gian Luca Garetti glucagaretti@gmail.com
To:
Sent: Friday, September 11, 2015 3:20 PM
Subject: L’INCENERITORE DI MONTALE,
DIFFONDE BENEFICHE DIOSSINE E FURANI
IL PARADIGMA DELL’INCENERIMENTO: L’INCENERITORE
DI MONTALE
La retorica/propaganda dei sostenitori
degli inceneritori, dice che gli inceneritori, ufficialmente denominati impianti
insalubri di prima classe, non inquinano l’ambiente e non danneggiano la
salute.
Quelli nuovi, quelli con le BAT (Best
Available Technology), sono addirittura dis-inquinanti, dicono. In realtà dall’inceneritore
di Montale, che ha le BAT, e che quindi è molto simile a quello che vorrebbero
impiantare a Firenze, a Case Passerini, da anni fuoriescono diossine e furani
oltre i limiti: nel 2007, nel 2011 e questa estate, dal 15 luglio al 14 agosto,
questo almeno ufficialmente.
Li chiamano malfunzionamenti. Non a caso Il
Dipartimento di Prevenzione ASL 3 di Pistoia in una indagine relativa allo
stato di salute della popolazione residente (nel Convegno nazionale Impianti di
incenerimento Pistoia 2-3 dicembre 2011) ammise che “gli eccessi di mortalità
statisticamente significativi, l’elevata mortalità proporzionale neoplastica,
la consistente mortalità oncologica negli uomini di Agliana” e un profilo di
salute delle popolazioni residenti intorno all’inceneritore di Montale,
soprattutto da un punto di vista oncologico, richiede necessari sorveglianze e
ulteriori approfondimenti.
Di fronte a questi dati epidemiologici, di
cui è molto ben fornita la letteratura scientifica, si dà la colpa al traffico
o a non ancora ben identificate fonti di inquinamento o al Direttore degli
studi, come è successo recentemente all’ARPA Piemonte per lo studio sull’inceneritore
di Vercelli e lo si licenzia.
Nel documento di ARPAT “Indagine ambientale
e sanitaria nelle aree poste in prossimità dell’impianto di incenerimento RSU
di Montale 2008-2010”, nelle pagine conclusive (71-72), infatti si legge: “La
condizione ambientale riscontrata non appare quindi correlabile in via
esclusiva con la possibile deposizione di emissioni provenienti dall’impianto
di incenerimento di Montale il quale determina sicuramente un impatto
ambientale nel territorio a esso circostante, ma sullo stesso territorio, e in
più ampia scala territoriale, insistono altri fattori di pressione che
concorrono a determinarne le condizioni complessive. Alcune fra queste sorgenti
emissive possono essere quanto meno ipotizzate e fra queste la stessa
autostrada A11 e, più in generale, il traffico veicolare, ma certamente altre
fonti che, ad oggi, non è stato possibile individuare, meriterebbero un’attenta
valutazione”.
Quindi si rimanda a “ulteriori
approfondimenti” dice la ASL e ad “attenta valutazione” dice l’ARPAT e così
passa il tempo, le diossine e i furani lentamente si bio-accumulano nelle
matrici umane ed essendo cancerogeni certi, è intuitivo che tanto bene non
devono fare.
E poi c’è il grosso tema degli interferenti
endocrini, cioè di sostanze come le diossine, i furani che a dosi
infinitesimali, cioè in quelle quantità che dovrebbero fuoriuscire quando non
ci sono “anomalie”, mimano l’azione degli ormoni sregolando il sistema
endocrino e metabolico, con una lunga serie di patologie, che peraltro non
vengono mai considerate da chi fa gli studi.
La colpa almeno a Montale è quasi sempre
nella qualità del carbone attivo, impianti che costano centinaia di milioni,
prodigi della scienza e della tecnica, smettono di funzionare per così poco! La
linea 1 di Montale è quella più disgraziata, in questo agosto viene accesa e
spenta più volte. Queste operazioni on/off, sono quelle in cui si emettono
enormi quantitativi di inquinanti.
“Fare chiarezza sulle anomalie dell’impianto”
dice, in un Comunicato Stampa del 04/09/15, Cristina Volpi responsabile servizi
pubblici locali di quel Partito Democratico, che vuol riempire la Toscana e l’Italia
di inceneritori.
Altro che chiarezza, quell’impianto di
Montale doveva essere già spento da tanto tempo e se davvero si avesse a cuore “la
tutela dell’ambiente e la salvaguardia della salute dei cittadini” la gestione
dei rifiuti passerebbe solo per la Strategia Rifiuti Zero.
Gian Luca Garetti
Medicina Democratica
Sezione Pietro Mirabelli Firenze
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From: Maria Nanni mariananni1@gmail.com
To:
Sent: Saturday, September 12, 2015 12:19 PM
Subject: COORDINAMENTO AUTORGANIZZATO
TRASPORTI: COMUNICATO STAMPA SCIOPERO
Stiamo assistendo all’abolizione del
diritto di sciopero. Uno dei capisaldi di qualsiasi democrazia viene ora a
mancare nel silenzio più assoluto. A fronte di dichiarazioni di sciopero datate
fine luglio prima la “commissione di garanzia antisciopero” e subito dopo le
istituzioni (anche queste “super partes”...) come la Prefettura di Milano
intervengono per limitare e impedire ai lavoratori di esercitare uno dei pochi
(ancora oggi esistenti)) diritti rimasti.
Qualsiasi voce al di fuori di quelle
consentite dal regime viene zittita.
E’ successo con l’accordo per le
rappresentanze sindacali che tentano di fatto di tagliare fuori tutti coloro
che vogliono dissentire dal sistema e ammettono solo quelle conniventi con il
sistema stesso, quelle che di fatto stanno dalla parte del potere e che
purtroppo hanno smesso di rappresentare i lavoratori.
Il panorama che abbiamo di fronte come
uomini, cittadini e lavoratori si tinge sempre più a tinte fosche. Il mondo del
lavoro è isolato, i lavoratori sono isolati. Il sindacato confederale sono anni
che non esercita più la funzione di tutela, la politica ha dimenticato che
dietro al successo di un paese c’è il lavoro e soprattutto i lavoratori, non
esistono più rappresentanti a ogni livello in grado di rappresentare le serie
istanze di un mondo sempre più precario, flessibile e senza certezze.
Ci ritroviamo quindi alle porte di uno
sciopero con motivazioni forti, condivise da tutti i lavoratori che viene
ridotto dalla Commissione di Garanzia tre giorni prima dello stesso e che
addirittura viene precettato dal prefetto di Milano per i treni che vanno o
vengono dall’area milanese.
Giochi di forza continui oggi in nome dell’Expo,
domani forse del Giubileo e dopodomani forse per il carnevale chissà...
Mai come oggi il bisogno di compattezza
risulta importante, mai come oggi il bisogno di gridare il nostro disagio è
indispensabile, mai come oggi bisogna sottolineare che questi giochi di forza
mirati a disintegrare un diritto inalienabile per i lavoratori come quello di
sciopero non troveranno terreno fertile.
L’importanza di aderire a questo sciopero è
massima, sia per le motivazioni, sia per sancire di fatto che anche se
fortemente minato il diritto a dissentire rimane per noi di vitale importanza,
sia per ritrovare la compattezza come lavoratori.
Perche’ SOLO la formazione di una massa di
individui che combatte compatta per i propri diritti può salvarci da questo
default.
Non limitiamoci a lamentarci in saletta
davanti a un pacchetto di schiacciatine.
Scioperiamo compatti.
Buon sciopero a tutti, nonostante tutto...
Roma, 11/09/15
Lavoratori a Difesa dei Lavoratori
Coordinamento Autorganizzato Trasporti
via dei Campani, 43 00185 Roma
cellulare: 329 45 55 203
fax 010 89 33 794
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From: SpeziaPolis info@speziapolis.org
To:
Sent: Saturday, September 12, 2015 12:36 PM
Subject: 19 SETTEMBRE 2015: PARIGI CHIAMA
LA SPEZIA: SALVARE IL CLIMA, CHIUDERE CON IL CARBONE, APRIRE A NUOVE
OPPORTUNITA’
Gentilissime/i,
a nome del Comitato SpeziaViaDalCarbone vi invito
a partecipare al Convegno in oggetto.
Insieme al WWF Italia abbiamo predisposto
la comunicazione e inoltrato gli inviti alla stampa; animato l’evento Facebook
e avviato la campagna sui social network.
L’evento è già molto presente online e la
settimana prossima uscirà su carta stampata e in TV (speriamo anche oltre la
sfera locale).
Speriamo in una partecipazione numerosa,
per un evento che nei contenuti va ben al di là della sfera locale ma che ci
serve per capire meglio ciò che succede nella sfera locale.
A questo proposito segnalo una interessante
ricerca condotta da CAN Europe sulle 280 centrali a carbone attive in Europa: l’impatto
ambientale, sanitario, le emissioni, il convogliamento dei governi, le
situazione delle rinnovabili e dei conflitti.
La trovate al link:
Tra gli altri sono stati mappati i
conflitti di Vado Ligure e di Spezia, che trovate ai link:
Una sintesi della ricerca è reperibile al
link:
Siete invitati a estendere l’invito a chi
eventualmente interessato e a divulgare quanto più possibile.
La locandina dell’evento è scaricabile al
link:
Il programma in veste grafica è invece
scaricabile al link:
Cordiali saluti.
Daniela Patrucco
Portavoce Comitato SpeziaViaDalCarbone
Vice Presidente di Retenergie
cellulare 348 44 01 645
mail: info@speziapolis.org
Twitter: @SpeziaPolis
Skype: d.patrucco
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From: Assemblea 29 Giugno assemblea29giugno@gmail.com
To:
Sent: Sunday, September 13, 2015 9:30 AM
Subject: IL 17 SETTEMBRE A MONTECITORIO: NO
ALLA PRESCRIZIONE PER VIAREGGIO!
PER IL 17 SETTEMBRE A MONTECITORIO
SOLIDARIETA’ E PARTECIPAZIONE
NO ALLA PRESCRIZIONE PER VIAREGGIO!
E disumano che questo Stato non voglia la
verità; è inaccettabile che siano prescritti reati del processo per il disastro
ferroviario del 29 giugno 2009, trasformatosi in una strage con 32 vittime e feriti
gravissimi. Ma dove la devono cercare la giustizia e la verità, i familiari
delle vittime, se non in un processo?
Sotto accusa per la strage finiscono 9
società e 33 persone, tra cui i manager del gruppo FS e i dirigenti e
dipendenti di tre aziende: la proprietaria del carro, Gatx Rail Austria e
Germania; l’officina tedesca Jungenthal che lo revisionò; e la Cima riparazioni
che lo montò.
Alcuni reati come violazione delle norme
per la sicurezza sul lavoro non sono entrati neppure nel processo poiché prescritti
prima di cominciare.
Altri come l’incendio colposo e lesioni
colpose sono a rischio.
Come si può pensare che il 29 giugno non
sia successo nulla, di cosa sono morti 32 innocenti?
Per questo l’Associazione dei familiari “Il
mondo che vorrei” e Assemblea 29 giugno (nata in seguito alla strage) hanno
deciso di essere giovedì 17 settembre di fronte a Montecitorio per una protesta
forte e chiara (da Viareggio partirà almeno un pullman), per dire che non si
può scherzare, che non si può giocare, su questa immane tragedia.
I familiari, per tre anni, hanno chiesto un
incontro al precedente capo dello Stato, Napolitano, che si è sempre rifiutato;
hanno nuovamente chiesto un incontro al nuovo capo dello Stato, Mattarella, che
ha risposto di non poterli incontrare perché c’è un processo in corso. Lo
stesso Mattarella, che in questi mesi ha incontrato più volte il cavalier
Moretti, principale imputato nel processo, si rifiuta di guardare negli occhi i
familiari delle 32 Vittime.
Coerenti, Napolitano e Mattarella, con il
fatto che lo Stato non si è costituito parte civile nel processo, che i governi
Berlusconi e Letta hanno rinnovato la nomina a Moretti di Amministratore
Delegato delle Ferrovie e che il governo Renzi lo ha addirittura promosso
Amministratore Delegato in Finmeccanica con una retribuzione milionaria (si
parla di euro, naturalmente).
E per questo che il 17 andremo noi al
Quirinale per (tentare di) essere ricevuti da Mattarella.
La strage ferroviaria, ovviamente, riguarda
la mancanza di sicurezza o, meglio, una politica di abbandono sulla sicurezza.
Il cavalier Moretti ha sempre dichiarato che non vi è un problema sicurezza e
che “Viareggio” è stato uno “spiacevolissimo episodio”. Non ha avuto neppure il
coraggio di definirlo incidente.
Invece, proprio sulla sicurezza, accadono
incidenti gravi e gravissimi:
-
20
luglio, una porta di salita del treno regionale Firenze-Arezzo si è staccata ed
è volata via;
-
4
agosto, a La Spezia, durante le manovre di un convoglio merci, Antonio Brino,
28 anni, dipendente della società SerFer, è rimasto schiacciato tra il
convoglio e respingenti del binario (dal 2006, sui binari delle ferrovie hanno
perso la vita 56 lavoratori: una statistica drammatica ed impressionante!);
-
25
agosto, a Napoli, un treno di pendolari e viaggiatori va in fiamme;
-
29
agosto, l’ultimo vagone di un treno con 150 passeggeri svia dai binari alla
stazione di Piombino Marittima (LI).
Solo per citare gli ultimi fatti di cui
siamo a conoscenza.
Giovedì 17 settembre a Roma per dire NO
alla prescrizione del reato di “incendio colposo” e di lesioni gravi e
gravissime al processo per la strage ferroviaria del 29 giugno 2009 (processo
iniziato il 13 novembre 2013). Da Viareggio partirà un pullman (è in
preparazione un secondo pullman) per far sentire una voce forte e chiara di
protesta.
La partenza è alle ore 04:30 dal piazzale
della PAM di Viareggio, il rientro intorno alle ore 20.00.
L’appuntamento a Montecitorio è intorno
alle ore 09:30.
Chi è interessato e disponibile a
partecipare si metta in contatto via mail all’indirizzo assemblea29giugno@gmail.com oppure
telefonicamente con il numero 333 62 95 227.
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From: Medicina Democratica segreteria@medicinademocratica.org
To:
Sent: Sunday, September 13, 2015 5:01 PM
Subject: MEDICINA DEMOCRATICA: CONGRESSO
NAZIONALE FIRENZE 19-21 NOVEMBRE 2015
MEDICINA DEMOCRATICA - CONGRESSO NAZIONALE
FIRENZE 19-21 NOVEMBRE 2015
PRE-CONGRESSI DI MEDICINA DEMOCRATICA
APERTI ALLE ASSOCIAZIONI DEI TERRITORI
Dal 19 al 21 novembre si terrà a Firenze il
Congresso Nazionale triennale di Medicina Democratica movimento di lotta per la
salute.
Medicina Democratica, ha tenuto il suo
Congresso di fondazione a Bologna il 15–16 maggio 1976, ed è attiva da quasi 40
anni sui temi della difesa della salute negli ambienti di lavoro e di vita con
iniziative di documentazione e di lotta per la prevenzione primaria attraverso
la eliminazione dei fattori di rischio riconosciuti, nonché con l’attività
giudiziaria per ottenere la condanna di coloro che hanno lucrato sulla salute
dei lavoratori e dei cittadini, esponendoli per ragioni di profitto a fattori
di nocività già da tempo noti nel mondo della ricerca epidemiologica e
scientifica, e il risarcimento dei danni ai singoli danneggiati e alle comunità
(si rimanda alla pagina Internet ufficiale www.medicinademocratica.org e
delle sezioni territoriali per ulteriori approfondimenti).
Il tema del Congresso sarà: “Rischio
statistico e rischio zero” per sottolineare le due prospettive, quelle della
ricerca (scienza, accademia) e quella delle popolazioni (cittadini, lavoratori,
malati) che dalla sua nascita Medicina Democratica ha inteso unificare riunendo
intorno allo stesso progetto di rinnovamento della scienza e della ricerca, per
la promozione della salute dell’uomo e dell’ambiente, lavoratori e scienziati,
medici, operatori sanitari, ricercatori e cittadini.
Essendo la non-delega e la partecipazione
il principio ispiratore di Medicina Democratica, discuteremo anche nell’ambito
del Congresso modi e strumenti per realizzare una ricerca epidemiologica
partecipata, una ricerca non sulla popolazione “oggetto di studio e di manipolazione”
ma “con la popolazione soggetto di ricerca e di iniziativa per la prevenzione”.
Il Congresso si articolerà anche in lavori
di gruppo che dovranno portare alla definizione del programma di lavoro da
sviluppare nel triennio 2016–2018. A questi lavori, che guarderanno con
particolare attenzione alla difesa del sistema sanitario nazionale pubblico,
universalistico, equo e solidale, finanziato dalla fiscalità progressiva,
auspichiamo vogliano partecipare tutte le associazioni che, interessate a promuovere
la salute, si contrappongono al pensiero unico dominante iper-liberista
sostenendo la scelta di civiltà che pone alla base della convivenza non il
mercato ma i principi e le norme costituzionali che identificano nel lavoro e
nella salute gli obiettivi da promuovere e realizzare attraverso la
partecipazione e con appropriate e trasparenti iniziative di un governo
democratico.
Stiamo attualmente vivendo un momento
alquanto difficile in cui il diritto alla salute, in ogni sua forma, è
direttamente attaccato e compromesso. La risposta del movimento, pur non
mancando, è però frazionata e dispersa.
Il Congresso di Medicina Democratica vuole
essere un momento collettivo utile di riflessione, di definizione dei problemi
sul tappeto e, soprattutto, di proposta di relazione permanente fra movimenti e
associazioni.
Sono nate alcune “Reti” in proposito.
Queste, collegate fra loro, potrebbero essere la modalità più adeguata per
rispondere a tale esigenza.
PRE-CONGRESSO PER LE ASSOCIAZIONI CHE FANNO
RIFERIMENTO GEOGRAFICAMENTE AL NORD ITALIA.
Per i movimenti, le Associazioni, gli
interessati vi proponiamo un incontro (geograficamente per il Nord Italia) per
il 19 settembre 2015, alle ore 10, presso la Sala Sindacale delle Ferrovie
dello Stato alla Stazione Centrale di Milano, binario 21, scala e, quarto
piano.
Per coloro che entreranno dall’esterno dei
binari (senza biglietto) sarà sufficiente dichiarare che si partecipa alla
riunione presso la Sala Sindacale.
Gli argomenti individuati, da discutere
anche con i rappresentanti delle Associazioni che vorranno partecipare, sono
quelli dell’Ambiente (inquinamento, alimentazione, agricoltura), Lavoro (le
diverse forme di nocività e le lotte per la promozione della salute), Sistema
Sanitario (difesa dei diritti con particolare attenzione alla salute della
donna, sostenibilità e lotte contro i tentativi di privatizzazione),
Emarginazione.
La proposta di Medicina Democratica ai
Gruppi alle Associazioni o ai Movimenti che vorranno partecipare e contribuire
è quella di mettere a disposizione una specifica competenza di conoscenza, di
lotta e di presenza storica sui temi critici della partecipazione e della
prevenzione, impegnandosi a potenziare:
-
come
strumento di dibattito, divulgazione, proposta e organizzazione la Rivista anche
in sinergia ove e come possibile con “Epidemiologia & Prevenzione”;
-
come
presenza nel movimento di lotta il numero e le attività delle sezioni
territoriali, da meglio coordinare in modo permanente pur nella varietà dei
temi e dei modi organizzativi (Sportelli Salute e disagio lavorativo, Supporto
all’azione legale locale, Iniziative giudiziarie o legislative a livello
nazionale);
-
l’attività
di formazione e sensibilizzazione sul territorio attraverso Corsi organizzati
in tema di nocività del lavoro, identificazione e documentazione dei fattori di
rischio sul territorio anche con la promozione di circa epidemiologica di base
e la promozione di iniziative locali di lotta o di contrasto su specifici temi;
-
l’iniziativa
di coordinamento nel sociale attraverso la costituzione di reti di relazioni
stabili con Associazioni, Gruppi e Movimenti presenti sul territorio e attivi
in ambito socio-sanitario e politico;
-
l’iniziativa
di promozione di convegni su emarginazione, salute della donna, difesa dei
diritti, difesa dei beni comuni, per il lancio di iniziative anche legislative
per contrastare fonti di inquinamento fisico, chimico ma anche culturale
(pensiero unico);
-
l’istituzione
di un Comitato Scientifico permanente di Consulenti/Garanti a cui chiedere un
impegno non continuativo di partecipazione, ma contributi mirati ad iniziative
di ampia risonanza nazionale e internazionale.
ALTRI INCONTRI SARANNO CALENDARIZZATI PER
IL CENTRO E PER IL SUD ITALIA.
Vi saremmo grati se ci fate conoscere il
vostro pensiero e la eventuale vostra partecipazione all’ indirizzo mail: segreteria@medicinademocratica.org
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