SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS!
“LETTERE DAL FRONTE” DEL 28/09/15
Invio a seguire e/o in allegato le “Lettere
dal fronte”, cioè una raccolta di mail o messaggi in rete che, tra i tanti che
ricevo, hanno come tema comune la tutela della salute e della sicurezza dei
lavoratori e dei cittadini e la tutela del diritto e della dignità del lavoro.
Il mio vuole essere un contributo a
diffondere commenti, iniziative, appelli relativamente ai temi del diritto a un
lavoro dignitoso, sicuro e salubre.
Invito tutti i compagni e gli amici della
mia mailing list che riceveranno queste notizie a diffonderle in tutti i modi.
Marco Spezia
ingegnere e tecnico della salute e della
sicurezza sul lavoro
Medicina Democratica
Progetto “Sicurezza sul lavoro: Know Your
Rights!”
e-mail: sp-mail@libero.it
Web Medicina Democratica: http://www.medicinademocratica.org/wp/?cat=210
---------------------
INDICE
Grillo Giuseppe grillo@macchinistiuniti.it
LAVORARE MENO PER LAVORARE TUTTI
Mario Murgia info@associazioneespostiamiantovalbasento.it
LETTERA APERTA: GIUSTIZIA PER LE VITTIME E
PER GLI EX ESPOSTI
Franco Mugliari fmuglia@tin.it
COME COLTIVARE SALUTE E SICUREZZA NEL
SETTORE AGRICOLO
Posta Resistenze posta@resistenze.org
MORIRE DI LAVORO: LA CRESCITA SENZA
AUDIENCE
Posta Resistenze posta@resistenze.org
MUOS: SENTENZA ASSURDA
Posta Resistenze posta@resistenze.org
VI PRESENTIAMO “IL JOBS ACT ED I NOSTRI
STRUMENTI PER CONTRASTARLO”
Medicina Democratica segreteria@medicinademocratica.org
OTTAVO CONGRESSO NAZIONALE DI MEDICINA
DEMOCRATICA FIRENZE NOVEMBRE 2015
Clash City Workers cityworkers@gmail.com
A PROPOSITO DELLE NUOVE SCHIAVE DEL SUD
ITALIA
Clash City Workers cityworkers@gmail.com
SENZA BERE, MANGIARE E SEDERSI: COSÌ SI
LAVORA A EXPO
---------------------
From: Grillo Giuseppe grillo@macchinistiuniti.it
To:
Sent: Sunday, September 20, 2015 12:25 AM
Subject: LAVORARE MENO PER LAVORARE TUTTI
Lavorare meno per lavorare tutti: quand'è
che sarà possibile in un paese con il 40% di disoccupazione giovanile?
Se non ora, quando?
Ci guadagnerebbero tutti, aziende,
lavoratori e il sistema paese...lungimiranti cercasi.
Matteo, perché non rottami l'erronea
convinzione che lavorando di più si produce di più?
Il "tasso di Civiltà" di una
società si misura anche favorendo la riduzione dell'orario di lavoro.
Più occupati, più contributi previdenziali
obbligatori, più IRPEF e meno assegni INPS per disoccupazione, cassa
integrazione ecc.
E naturalmente una seria lotta all'elusione
e all'evasione fiscale.
Pensaci e agisci in tal senso, è un
esercizio difficile ma non impossibile.
Buona Vita
Giuseppe Grillo, un ex iscritto al PCI di
Enrico Berlinguer...da quasi 25 anni senza tessera di partito.
* * * * *
Due autorevoli contributi alla discussione.
Da: Eddyburg http://www.eddyburg.it
RICOMINCIAMO DALLA RIDUZIONE DALL’ORARIO DI
LAVORO
Le ragioni dell'urgenza di uscire dalla
“crisi della sinistra” e della necessaria centralità della questione del
lavoro. Ma è sufficiente oggi ragionare
dall'interno della logica del capitalismo e della sua concezione del lavoro?
La sinistra è in una crisi storica e,
direi, mondiale. Su questo tema è in corso sul Manifesto (che si definisce
ancora “quotidiano comunista”) un’utile ricerca, “C’è vita a sinistra?”,
avviata in luglio e che dovrebbe portarci almeno all’abbozzo di una conclusione
sulla base degli interventi pubbli-cati e in arrivo.
Sappiamo bene che da una crisi, specie se
grande e pesante, non se ne esce restando come prima e i rischi di andare al
peggio sono forti. Già con Renzi prevale la politica di destra: la pro-spettiva
è che o resiste accrescendo il suo potere personale o sarà scavalcato da
un’avanzata delle forze dichiaratamente di destra. Le crisi sono una cosa
seria.
Non si ricorda mai abbastanza che dopo la
rivoluzione russa del 1917 e le grandi lotte operaie in tutta Europa, ci fu una
risposta reazionaria con il fascismo e il nazismo che acquistarono forza con la
crisi del 1929 e maturarono le condizioni per la Seconda Guerra Mondiale.
Nel secondo dopoguerra ci fu un grande
sviluppo economico anche in Italia (il famoso miracolo italiano) accompagnato
da un’avanzata della sinistra. Ma durò poco. Già con gli anni ’80 comincia a
maturare l’attuale gravissima crisi nella quale siamo oggi: dell’economia della
politica, e, direi anche della cultura.
Per tentare una ripresa della sinistra, ci
vuole una buona analisi dell’attuale crisi; senza una seria diagnosi non si
cura una malattia. E bisogna anche chiedersi perché con la forte
disoccupazione, soprattutto giovanile, non ci siano lotte e proteste, i
sindacati sono indeboliti e anche la buona iniziativa di Landini fa fatica a
decollare. Senza contare che oggi, il ruolo ammortizzatore delle famiglie si
sta esaurendo.
L’attuale pesantissima crisi ha cause
strutturali da ricercare, come sostengono importanti econo-misti, nella
globalizzazione e nel progresso tecnico. La globalizzazione, con la rapida
crescita della comunicazione comporta l’ingresso sul mercato di industrie di
paesi a bassi salari come la Cina che con la recente svalutazione riduce i
prezzi del suo prodotto, attira gli investimenti dei paesi industrializzati. Il
progresso tecnico (e non da oggi) riduce l’importanza del lavoro vivo e produce
disoccupazione.
Due effetti assai forti che colpiscono
soprattutto il lavoro vivo e, quindi, anche la soggettività stessa dei
lavoratori, e che mettono in evidenza come il progresso tecnico che in regime
sociali-sta (o non capitalista) migliorerebbe le condizioni di tutti, in regime
capitalistico provoca disoccu-pazione, marginalizzazione e miseria da una parte
e concentrazione del potere e della ricchezza in un ristretto e potente gruppo
di capitalisti finanziari dall’altra.
Questa del progresso tecnologico nemico
strutturale del lavoro vivo è storia antica e non pos-siamo dimenticare che
l’avvio dell’industrializzazione capitalistica in Inghilterra diede vita al
movi-mento luddista che contestava l’introduzione delle macchine. Allora il
luddismo fu travolto dallo sviluppo e dalla crescita della produttività. Ma fu
battuto anche dalle lotte operaie per il migliora-mento delle condizioni di
lavoro e, soprattutto, dalle progressive riduzioni dell’orario (va ricor-data
la conquista delle dieci ore e poi delle attuali otto ore mai più ridotte da
quasi un secolo).
Oggi di fronte alla attuale gravissima
crisi e alla disoccupazione in crescita, bisogna rimettere al primo posto (ma
per alcuni è un controsenso) la riduzione dell’orario, anche se il lavoro nei
paesi che entrano oggi sul mercato globale è sottopagato, con orari
ottocenteschi e contrasta con questa rivendicazione. Si tratta ora di
rovesciare l’uso che il capitalismo fa del progresso tecnico, ma ricordare
anche che le progressive riduzioni dell’orario hanno contribuito alla crescita
dei consumi e dello stesso mercato. Oggi una riduzione dell’orario di lavoro
penso che giove-rebbe anche ai capitalisti che con la finanza si arricchiscono,
ma rischiano di affogarvi.
La riduzione del tempo impegnato nel lavoro
dipendente accrescerebbe il cosiddetto “tempo libero”, che oltre a migliorare
le condizioni di vita darebbe spazio a nuovi consumi, a nuove spese diventando
così anche un fattore di crescita del mercato e della società. Anche i
capitalisti dovrebbero aver capito che se il popolo sta meglio i loro affari
miglioreranno. Ma i capitalisti temono da sempre che la crescita della libertà
del mondo del lavoro riduca, quasi automatica-mente il proprio potere politico
ed economico.
Ma vogliamo aspettare che siano i
capitalisti a proporre la riduzione dell’orario di lavoro?
Oggi, anche perché la disoccupazione cresce
e nel mondo del lavoro cresce non solo la domanda di salario, ma anche quella
di libertà e di cultura, la riduzione dell’orario di lavoro, e la gestione del
“tempo libero”, questo immenso spazio da conquistare e organizzare, dovrebbe
diventare l’obiettivo storico della classe operaia, dei suoi sindacati e delle
forze che dicono di volerla rappresentare.
Valentino Parlato
21 Agosto 2015
Da: L'Huffington Post http://www.huffingtonpost.it
LAVORARE SEI ORE AL GIORNO CI HA RESO MENO
STRESSATI E PIÙ EFFICIENTI
L'ESPERIMENTO IN UNA PICCOLA CASA DI CURA
SVEDESE
Una piccola casa di riposo sembrerebbe il
luogo meno adatto per un esperimento sulla riduzione dell'orario di lavoro.
Eppure proprio al centro Svartedalens di Gothenburg, in Svezia, infermieri e
personale hanno provato a lavorare solo sei ore al giorno, traendone grandi
benefici e migliorando la qualità delle loro prestazioni. Il loro tentativo è
stato raccontato anche dal Guardian, al quale un'assistente ha riferito:
"Quando lavoravo otto ore al giorno mi sentivo esausta, non vedevo l'ora
di tornare a casa e buttarmi sul divano. Ma ora no. Sono molto più sveglia: ho
tantissima energia da spendere nel mio lavoro, ma anche per la mia famiglia".
La "rivoluzione" avvenuta
all'interno della casa di riposo nasce dalla decisione da parte
dell'amministrazione della città di portare avanti un esperimento per ridurre
la giornata lavorativa di molti impiegati in settori pubblici. L'obiettivo, che
era quello di migliorare il rapporto lavoro-vita privata e di rendere i
lavoratori più produttivi, sembra essere stato pienamente raggiunto. "Dal
1990 abbiamo iniziato ad avere molti pazienti e meno personale. Non ce la
facevamo più” - spiega al Guardian l'infermiera Ann Charlotte Dahlbom Larsson –
“Tra il nostro staff hanno iniziato a diffondersi malattie e depressione a
causa dell'esaurimento che vivevamo. La mancanza di equilibrio tra lavoro e
vita non fa bene a nessuno".
Avere a che fare con gli anziani richiede
pazienza e attenzioni costanti: in sei ore si può assicurare loro un elevato
standard di prestazioni. Andare oltre i propri limiti fisici e mentali può,
invece, rappresentare un pericolo: mostrare loro segnali di stress potrebbe
annoiarli o innervosirli. "Non puoi rischiare che si stressino a causa
tua, anche se è stata una brutta giornata", ha aggiunto la Dahlbom
Larsson. In questo senso, la riduzione da otto a sei ore della giornata
lavorativa è stata un passo in avanti.
Ma quanto costa questa trasformazione? La
casa di cura ha dovuto assumente 14 membri extra per garantire al proprio staff
un orario ridotto. Non tutti i luoghi di lavoro riescono a permettersi un
simile rovescio della medaglia finanziario: nonostante ciò, altri, nella
cittadina svedese, si sono cimentati nell'impresa, come l'ospedale della
Sahlgrenska University. Ma c'è anche chi ha precorso i tempi: nei centri Toyota
di Gothenburg, gli impiegati sono passati alle sei ore da 13 anni e non sono
mai tornati indietro. All'epoca, furono i continui errori dello staff e lo
stress generale a convincere ad intraprendere questo cambiamento. Oggi un turno
di lavoratori inizia a lavorare alle 6 del mattino, il secondo a mezzogiorno. I
profitti sarebbero aumentati del 25%.
"I miei amici sono invidiosi" -
ha raccontato al Guardian Martin Geborg, meccanico di 27 anni, al lavoro con la
Toyota da otto - "E’ bellissimo finire di lavorare alle 12. Prima che
avessi una famiglia potevo andare in spiaggia dopo il lavoro. Ora passo il
pomeriggio con i miei bambini".
La speranza di chi ha portato avanti e di
chi ha sperimentato questi progressi è che anche altre aziende e uffici possano
ispirarsi al loro esempio. E possano provare a cambiare il lavoro e, con esso,
anche la vita di centinaia di persone.
Ilaria Betti,
18 settembre 2015
---------------------
From: Mario Murgia info@associazioneespostiamiantovalbasento.it
To:
Sent: Tuesday, September 22, 2015 12:20 PM
Subject: LETTERA APERTA: GIUSTIZIA PER LE
VITTIME E PER GLI EX ESPOSTI
Alla cortese attenzione:
Segretariato Generale Presidenza della
Repubblica: Luigi Delli Paoli
Consiglio Superiore della Magistratura:
Michele Vietti
Vice Ministro dell’Interno: Filippo Bubbico
Sottosegretario al Ministero della
Giustizia: Cosimo Maria Ferri
Sottosegretaria al Ministero del Lavoro:
Teresa Bellanova
Sottosegretario al Ministero della Salute:
Vito De Filippo
Direzione Generale INAIL e Direzione
Centrale Prestazioni: Giuseppe Lucibello
INAIL Settore Ricerca - Dipartimento di
Medicina del Lavoro: Alessandro Marinaccio
Direzione Generale INPS: Massimo Cioffi
Ministero della salute Direzione generale
della prevenzione sanitaria: Mariano Alessi
Regione Basilicata: Marcello Pittella
Assessore Sanità Regione Basilicata: Flavia
Franconi
Assessore all’Ambiente e al Territorio
Regione: Basilicata Berlinguer
Prefettura di Potenza: Antonio D’acunto
Prefettura di Matera: Antonella Bellomo
Procura della Repubblica di Matera:
Celestina Gravina
Presidente Consiglio regionale di
Basilicata: Piero La corazza
OGGETTO: PUBBLICAZIONE ATTI DEL CONVEGNO
“PATOLOGIE ASBESTO CORRELATE, PREVENZIONE E RICERCA - GIUSTIZIA PER LE VITTIME
E PER GLI EX ESPOSTI”
L’Associazione Italiana Esposti Amianto
(AIEA) Val Basento, con il supporto di AIEA nazionale e Medicina Democratica,
sta inoltrando a tutte le Istituzioni sanitarie e giuridiche interessate alle
tematiche concernenti l’amianto il fascicolo “Patologie Asbesto correlate,
prevenzione e ricerca: giustizia per le vittime e per gli ex esposti”
(Bollettino n. 35-40 dell’AIEA, quale supplemento al n. 216-218 della rivista
“Medicina Democratica”).
Il fascicolo raccoglie tutti gli interventi
dei relatori che hanno dato lustro al convegno tenutosi a Matera il 17 e 18
ottobre 2014 alla presenza di centinaia di cittadini per iniziativa dell’AIEA
Val Basento ed è diviso in due parti: la prima riguarda il problema sanitario
(prevenzione, clinica, ricerca); la seconda quello giuridico (interventi
diversi ispirati dalla giurisprudenza).
Il contenuto di questa pubblicazione,
sottoposto a una valutazione critica, vuole offrire un contributo al dibattito
su diversi problemi, alcuni dei quali non ancora risolti, come, ad esempio:
-
la
sorveglianza sanitaria degli ex esposti all’amianto e l’eventuale possibilità
di diagnosi precoce delle malattie asbesto correlate;
-
le
contraddizioni emergenti dalle norme e dalla giurisprudenza sui benefici
previdenziali, non ultimo la sentenza Eternit della Cassazione, del 19/11/14,
che ha posto con forza il problema della prescrizione delle responsabilità
penali per reati ambientali;
-
la
non prescrizione del diritto alla rendita a superstiti.
L’obiettivo principale del convegno è stato
quello di dare un valido supporto alle proposte che l’associazione AIEA VBA ha
inoltrato:
-
Atto
di Indirizzo Ministeriale per il sito industriale di Pisticci Scalo (MT);
-
Disegno
di Legge 1645, depositato al Senato il 22/10/14, concernente le misure sostanziali,
processuali e previdenziali a tutela delle vittime dell’amianto e a favore di centinaia
di vedove della Val Basento escluse da ogni forma di riconoscimento
previdenziale e di malattia professionale del proprio congiunto;
-
Esposto/denuncia
presentato alla Procura della Repubblica di Matera il 15/04/13 relativo alle
decine di morti che solo nell’ultimo decennio si sono verificate tra i
dipendenti dello stabilimento ANIC/EniChem SpA.
Si coglie l’occasione per ringraziare
ufficialmente tutti i relatori e i partecipanti, che hanno contribuito alla
realizzazione del Convegno rendendolo di grande interesse dal punto di vista
giuridico e da quello sanitario.
Il convegno, la diffusione del fascicolo e
l’impegno continuo di AIEA Val Basento con il supporto di AIEA Nazionale e di
Medicina Democratica vuole essere stimolo per le Istituzioni Territoriali
affinché la loro solidarietà espressa in più occasioni, si trasformi in atti
legislativi concreti e fruibili da tutti i lavoratori ex esposti senza
discriminazione alcuna e dalle moltissime vedove di altrettante vittime causate
dall’amianto e dalle altre sostanze cancerogene.
L’AIEA Val Basento auspica che la Procura
della Repubblica di Matera disponga uno studio epidemiologico di settore per
far emergere le reali conseguenze derivanti dall’utilizzo di sostanze
cancerogene come l’amianto nei siti industriali della Val Basento.
Si porgono cordiali saluti.
Mario Murgia
Matera, 17 settembre 2015
---------------------
From: Franco Mugliari fmuglia@tin.it
To:
Sent: Tuesday, September 22, 2015 4:22 PM
Subject:
COME COLTIVARE SALUTE E SICUREZZA NEL SETTORE AGRICOLO
E’ un paradosso affermare che è
l’agricoltura il settore in cui l’unica cosa che non si coltiva è proprio la
“cultura della sicurezza” sul lavoro?
Niente affatto.
Mentre l'Osservatorio indipendente sugli
infortuni sul lavoro di Bologna di Carlo Soricelli denuncia che siamo arrivati
all'incredibile numero di 102 morti schiacciati dal trattore dall'inizio
dell'anno, e ancora non si è spenta l’eco dei 3 raccoglitori morti per un colpo
di calore qualche settimana fa, Ambiente-Lavoro di Bologna (14-16 ottobre) si prepara ad ospitare il 16° Salone della
Salute e Sicurezza nei luoghi di lavoro, con l'organizzazione (tra gli
innumerevoli altri) di un convegno di
studio e approfondimento dal titolo “La sicurezza in agricoltura”.
In continuo aumento sono anche le malattie
professionali e ci si domanda cosa si aspetta per vietare l'uso del glisofato,
diserbante impiegato dagli agricoltori, dopo che la IARC (Agenzia
internazionale per la ricerca sul cancro) lo ha indicato come “probabile
cancerogeno.
Quindi da discutere ce n’è.
Visto che l’agricoltura è uno dei settori
lavorativi a maggior rischio per i lavoratori a causa di numerosi fattori
(macchine agricole, ambiente di lavoro, utilizzo di sostanze chimiche, presenza
di animali e stagionalità della manodopera), proprio per migliorare la tutela
della salute e sicurezza dei lavoratori del comparto agricolo è stato
recentemente approvato, dal Coordinamento Tecnico delle Regioni e Province Autonome,
il nuovo Piano nazionale di prevenzione in agricoltura che si sofferma in
particolare sulle problematiche delle piccole aziende del comparto agricolo e
sull’importanza della formazione di tutti gli operatori.
Ma la notizia di oggi è un’altra.
Nello scenario terrificante che ho appena
presentato, ecco che sta per essere emanato un “ulteriore Decreto” per
semplificare la "vita" agli agricoltori (o facilitarne morte e malattia?) rispetto
agli adempimenti relativi a salute e sicurezza.
Il decreto in questione, una volta
approvato, andrà ad abrogare il Decreto
Interministeriale del 27 marzo 2013 contenente “Semplificazioni in materia di
informazione, formazione e sorveglianza sanitaria dei lavoratori stagionali del
settore agricolo”.
Ma, mentre il decreto del 2013 è stato emanato in attuazione del comma
13 dell’articolo 3 del Testo Unico D.Lgs. 81/08, il nuovo Decreto andrà a
regolamentare anche il comma 13-ter dell’articolo 3 del medesimo Testo Unico.
La differenza?
Mentre nella vecchia formulazione era
indicato che “Il Decreto trova
applicazione limitatamente alle imprese che impiegano lavoratori stagionali
ciascuno dei quali non superi le cinquanta giornate lavorative e per un numero
complessivo di lavoratori compatibile con gli ordinamenti colturali aziendali”,
il nuovo potrà trovare “applicazione nelle imprese agricole, con particolare
riferimento a lavoratori a tempo determinato e stagionali”.
Scompare quindi il limite delle 50
giornate/anno, quindi il nuovo Decreto troverà applicazione in tutte le imprese
agricole e per tutti i lavoratori stagionali anche per quelli che operano per
mesi in agricoltura.
Nei contenuti, il nuovo Decreto ricalca
quello attualmente in vigore (peraltro applicabile, come dettto, solo nei
limiti dei 50 giorni annui), ma con l'ulteriore semplificazione dettata per la
redazione del documento di valutazione dei rischi.
Per il documento di valutazione di rischi
viene infatti proposto in allegato al Decreto, un modello “a crocette” o poco
di più, con il risultato di rendere del tutto o quasi inefficace la valutazione
dei rischi.
Per la formazione e l’informazione poi, la
semplice consegna di “appositi documenti” (cioè sostanzialmente di un libretto)
“certificati dalle ASL o dagli organismi paritetici”, costituisce adempimento
degli obblighi di cui agli articoli 36 e 37 del testo Unico.
Per amor di verità tocca precisare che tale
formazione è limitata alle lavorazioni generiche e che non richiedono specifici
requisiti professionali. Ma il “colpo di calore” per un raccoglitore di pomodori
come verrà considerato? E la caduta da una scala a pioli utilizzata per la
raccolta delle mele? Ovviamente chi guida il trattore, stagionale o no, dovrà
essere in possesso di un’abilitazione specifica.
Per i lavoratori provenienti da altri Paesi
il libretto dovrà essere redatto in una lingua comprensibile.
Quando prevista, la visita medica potrà
essere effettuata presso il medico competente o presso il Dipartimento
Prevenzione delle ASL. Avrà validità biennale e consentirà al lavoratore idoneo
di prestare la propria attività anche presso altre imprese agricole, per
lavorazioni che presentino i medesimi rischi, senza la necessità di ulteriori
accertamenti medici. Enti bilaterali e
organismi paritetici potranno stipulare convenzioni con i medici competenti.
Ah, dimenticavo: il medico del lavoro non è
tenuto ad effettuare la visita degli ambienti di lavoro. Vorrete mica che si
sporchi le scarpe, vero?
Infine l’articolo 5 del nuovo Decreto
prevede la costituzione di una “Commissione per la valutazione degli strumenti
di supporto” (documento di valutazione del rischi a crocette e libretti) e per
il monitoraggio sull’applicazione del Decreto stesso.
Ne sentivamo la mancanza.
Franco Mugliai
Muglia La Furia
22 Settembre 2015
---------------------
From: Posta Resistenze posta@resistenze.org
To:
Sent: Thursday, September 24, 2015 3:38 AM
Subject: MORIRE DI LAVORO: LA CRESCITA SENZA AUDIENCE
La crisi è finita. Dicono. E snocciolano
dati da zerovirgolaqualcosa che segnalerebbero un rilancio italiano, con
annessa spiegazione più che ovvia: "Le riforme iniziano a dare i loro
frutti, Jobs Act in testa". Così dicono.
Dicono meno di altri numeri.
Del numero di disoccupati che rimane
sostanzialmente invariato (più di tre milioni); del sesto posto tra i 28 paesi
dell'UE per tasso di disoccupazione (12%, peggio, o "meglio", di noi
solo Grecia, Spagna, Cipro, Croazia e Portogallo); del fatto che l'aumento
dell'occupazione sia tutto degli ultracinquantenni "grazie" a un'età
pensionistica tra le più alte del mondo (mentre un giovane su due continua a
essere senza lavoro).
Non dicono, poi, quasi nulla di quel che
c'è tra le pieghe di questa "ripresa". Di come si lavora nell'era del
dopo articolo 18, della precarietà fatta legge, del "lavoro
qualsiasi" accettato purché ci sia, dei voucher che dilagano in ogni
settore, del ciclo continuo dai ritmi massacranti di certe
fabbriche-miracolose, del neo-schiavismo in agricoltura.
Di come si lavora e si vive, dicono poco.
Pochissimo (quasi niente) di come si muore. Se non per qualche riga in cronaca
nera con seguito di parole rituali.
Nell'ultima estate (dalla Puglia al Veneto)
abbiamo saputo delle morti nei campi gestiti dai caporali; negli ultimi giorni
(da Priolo a Torino) abbiamo letto di delitti atroci, in raffinerie o in
fabbriche metalmeccaniche: morti soffocati o schiacciati.
Anche per questo, volendo, ci sono numeri e
statistiche. Nei primi sette mesi del 2015, in Italia, 643 persone sono morte
sul lavoro, per incidenti o per fatica, per incuria delle norme o perché non
c'era tempo per rispettarle. Magari per sfruttamento.
Il numero degli "incidenti" è
cresciuto moltissimo negli ultimi mesi e queste morti hanno anche una loro
geografia, molto legata alla realtà industriale del paese: il primato è della
Lombardia (70 morti), seguita dalla Toscana (46) e dal Veneto (42), mentre per
quanto concerne il rischio di mortalità rispetto alla popolazione lavorativa,
il record è del Nordest con un indice di 32,7 contro una media nazionale di
21,1.
Anche questi dati sono il frutto delle
riforme? C'è una relazione tra le cifre esaltate e quelle nascoste? Giudicate
voi, il guaio dei numeri è che si lasciano interpretare a piacere. Ma anche
confrontare: nel primo semestre 2015 gli occupati sono cresciuti dello 0,7%
rispetto allo stesso periodo del 2014; contemporaneamente i morti sul lavoro
sono aumentati del 9,5%. Altri numeri. Altra crescita.
Gabriele Polo
FIOM CGIL
15/09/15
---------------------
From: Posta Resistenze posta@resistenze.org
To:
Sent: Thursday, September 24, 2015 3:38 AM
Subject: MUOS: SENTENZA ASSURDA
"La sentenza del Consiglio di
Giustizia Amministrativa (CGA) sul MUOS di Niscemi può essere definita come
un'ulteriore picconata ai più sacrosanti principi costituzionali e un
gravissimo attacco al diritto alla salute di migliaia e migliaia di
siciliani".
Sono indignati gli attivisti No MUOS dopo
che il CGA ha annullato la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale, il
quale lo scorso 13 febbraio aveva giudicato illegittime le autorizzazioni
rilasciate dalla Regione siciliana in merito all'installazione del MUOS di
Niscemi.
Va ricordato che la struttura è stata
costruita dagli Stati Uniti (63 milioni di dollari la spesa sostenuta finora)
per completare la quarta stazione di terra che dovrebbe essere preposta,
attraverso un sistema satellitare, alle comunicazioni delle forze militari
nella trasmissione e nell'acquisizione dei dati emessi dai droni addetti alla
sicurezza. Le altre stazioni, dotate di tre parabole del diametro superiore a
18 metri, sono ubicate in Virginia, alle Hawaii e in Australia.
A Niscemi, dal 1991, sono operative 41
antenne della Marina militare americana per le comunicazioni navali. Il
problema, secondo gli oppositori che si sono avvalsi di esperti molto
autorevoli, è che le tre parabole, una volta entrate in funzione, saranno in
grado di emettere delle onde elettromagnetiche talmente potenti che potrebbero
causare malformazioni infantili e malattie come tumori, leucemie e altro in
quasi tutto il territorio siciliano.
Il timore dei No MUOS è che adesso, anche
se i cantieri dovessero restare sotto sequestro per ordine della Procura della
Repubblica di Caltagirone (che ha ravvisato nella costruzione dell'opera dei
reati urbanistico-ambientali), un verdetto del genere potrebbe condizionare il
futuro iter giudiziario.
Il giornalista e scrittore Antonio Mazzeo,
uno degli attivisti più impegnati contro l'impianto di Niscemi, è indignato:
"Più che di contraddizioni della sentenza, parlerei di mistificazioni e di
falsità, con un epilogo (quello di affidare l'ennesima verifica sulle emissioni
del MUOS a un comitato di cinque valutatori, tre ministri del Governo Renzi e
due esperti nominati dal Consiglio Nazionale delle Ricerche e dal Consiglio
Universitario Nazionale) che conferma la totale subalternità dei giudici
all'esecutivo. Si fa tabula rasa di decine di studi scientifici indipendenti e
di due perizie tecniche ordinate dal TAR di Palermo, che hanno evidenziato le gravissime
criticità del progetto e i pericoli per la salute, per l'ambiente e per il
traffico aereo. È stata provata processualmente e in sede scientifica la
pericolosità delle emissioni del MUOS e delle 46 antenne, senza che mai alcuna
istituzione si sia preoccupata di informare la gente".
Per capire quanto sia delicata la vicenda
MUOS, basta leggere ciò che scrive lo scorso 7 luglio Emanuela Fontana de Il
Giornale: "Nei giorni scorsi il Consolato americano a Napoli aveva fatto
sapere che, in caso di un ennesimo no al MUOS da parte dei giudici italiani, la
vicenda sarà gestita dagli Stati Uniti con minore pazienza". Infatti,
prosegue il quotidiano della famiglia Berlusconi, "nell'eventualità in cui
il CGA dovesse confermare i rilievi del TAR, per il Governo Renzi si aprirebbe
una strada irta di difficoltà".
I No MUOS contestano la sentenza anche su
un piano costituzionale: "Certamente, con l'istituzione delle basi NATO si
è in presenza di gravi violazioni degli articoli 11, 80 e 87 della
Costituzione. I giudici del CGA arrivano a mettere in dubbio le stesse funzioni
del MUOS per la conduzione delle guerre moderne con droni e sistemi di guerra
di distruzione di massa, giungendo a ignorare che il sistema satellitare non è
un programma discusso e finanziato all'interno dell'Alleanza Atlantica, ma
bensì di proprietà e uso esclusivo delle forze armate degli Stati Uniti
d'America. Per non dimenticare come sia stato svilito il cosiddetto principio
di precauzione, uno dei capisaldi del Diritto internazionale a difesa della
salute umana e dell'ambiente, arrivando perfino a capovolgere l'onere della
prova dell'eventuale pericolosità dell'impianto".
Inoltre, secondo Mazzeo "Per i giudici
dovevano essere gli amministratori locali e gli attivisti del No MUOS a provare
la pericolosità delle onde elettromagnetiche emesse dalle antenne e non le
aziende produttrici, la Marina militare Usa o le autorità governative italiane.
Quella del CGA è indubbiamente una sentenza gravissima, regressiva da ogni
punto di vista sul piano giuridico e politico".
Infatti, continua Mazzeo, "Il CGA, con
affermazioni inaccettabili e fondate sul nulla, si spinge a dichiarare
illegittimi gli atti di annullamento delle autorizzazioni regionali (marzo
2013), malgrado siano state più volte accertate le gravi carenze istruttorie da
parte di numerosi soggetti. Accertamenti fatti, non solo durante il lungo
procedimento davanti al TAR di Palermo, ma dalla stessa Procura della
Repubblica di Caltagirone, che per due volte ha ordinato il sequestro dei
cantieri MUOS per manifesta violazione delle normative urbanistiche e
ambientali. Il CGA non fa alcun accenno al luogo in cui il MUOS è stato
realizzato, la riserva naturale Sughereta, area protetta dalle normative
europee, nazionali e regionali, e allo straordinario patrimonio naturale. Non
fa un accenno neanche ai rilievi delle emissioni esistenti nell'area, ben al di
sopra dei parametri di legge, e ciò senza che sia ancora entrato in funzione il
MUOS, come provato dalla stessa ARPA Sicilia, dagli studi indipendenti del
Politecnico di Torino e dall'equipe scientifica che ha collaborato con i No
MUOS, costituita dai maggiori esperti in campo mondiale sui pericoli
dell'elettromagnetismo".
Da un punto di vista giuridico la
situazione del MUOS, sempre secondo Mazzeo è tale che "La sentenza del CGA
non ha effetti perlomeno diretti sul Decreto di sequestro dei cantieri emesso
dai Giudici di Caltagirone, atto su cui presto dovrà esprimersi nel merito il
Tribunale della Libertà di Catania. Si tratta di organi giudiziari, sulla
carta, autonomi e indipendenti dal potere politico. Ciò ci consente di sperare
che ci siano ancora margini di manovra in campo tecnico-giuridico per bloccare
il programma di morte. Voglio ricordare però che i No MUOS non hanno mai hanno
privilegiato la battaglia in sede giudiziaria, coscienti che la questione è di
valenza politica. Solo la mobilitazione dal basso e le azioni dirette possono
contribuire a imporre un cambio di direzione nelle gravi scelte in ambito
militare dei diversi governi succedutisi alla guida del paese".
Infine secondo Mazzeo "La sentenza del
CGA impone al Movimento No MUOS un'ampia riflessione su quanto accaduto in
tutti questi anni e sulla ferma volontà del Governo di andare avanti nel
progetto, in violazione del dettato costituzionale, delle leggi e della volontà
popolare. Mi auguro un rapido rilancio della mobilitazione a tutti i livelli,
locali e nazionale, perché il MUOS di Niscemi, i droni di Sigonella e
l'asfissiante processo di militarizzazione che investe la Sicilia e le isole
minori non sono questioni di interesse meramente locale o regionale. Ovviamente
nessuno può farsi da parte, e proprio ora non ci possono essere più alibi. In
gioco non è solo il futuro dei siciliani, ma le stesse possibilità di
sopravvivenza dell'intera umanità".
4 settembre 2015
Luciano Mirone
L'informazione
---------------------
From: Posta Resistenze posta@resistenze.org
To:
Sent: Thursday, September 24, 2015 3:38 AM
Subject: VI PRESENTIAMO “IL JOBS ACT ED I
NOSTRI STRUMENTI PER CONTRASTARLO”
Il Fronte Unitario dei Lavoratori (http://www.ful-lav.it, info@ful-lav.it) ha realizzato il Manuale “Il
Jobs Act ed i nostri strumenti per contrastarlo”, di cui riportiamo
integralmente l’introduzione.
Il D.Lgs n.23 del 2015 (più comunemente ma
impropriamente denominato “Jobs Act”) è l'ultimo, in ordine di tempo, di una
serie di atti di un processo di destrutturazione del diritto, e non solo del
mercato del lavoro, che in Italia si è snodato attraverso varie tappe e che,
probabilmente, non si è ancora concluso.
Il fine ultimo è la cancellazione totale
del cosiddetto diritto del lavoro inteso come insieme di tutele e garanzie
poste a favore del contraente più debole nel rapporto di lavoro. Ciò è reso
possibile operando una finzione, tutta ideologica, di parità delle parti del
rapporto sul piano contrattuale.
Se le origini ideologiche del fenomeno
sopra descritto risalgono agli anni '70 con la scuola di Chicago, che tanti
danni ha provocato nelle economie dell' America latina, le cui prassi (poste in
essere spesso da governi golpisti ed antipopolari supportati dagli USA) traevano,
a loro volta, origine, dalle teorie di Friedman e di Phelps.
A tali teorie si ispirarono le ricette di
Reagan negli Stati Uniti e della Thatcher in Gran Bretagna.
In realtà, la destrutturazione delle
garanzie sociali in questione non è un effetto di un'ideologia malsana del
capitalismo, di un capitalismo "brutto e cattivo" che ha vinto su un
capitalismo "accettabile" che permetteva il coinvolgimento delle
masse popolari e delle loro istanze di equità sociale nei progetti e nelle
finalità produttive.
Gli statuti di libertà del lavoratore
furono effetto delle lotte popolari proprio degli anni settanta e furono
emanati dalla borghesia capitalista per por fine e anestetizzare un potenziale
sviluppo politico più o meno rivoluzionario che potesse escluderla in tutto o
in parte dalla gestione del potere. Anche in tale caso il fenomeno giuridico
non perde infatti la sua caratteristica di strumento (questa volta frenante,
non oppressivo) della classe dominante per mantenere il monopolio sul potere e
conservare quei rapporti di produzione che garantivano comunque l'anarchia
produttiva a scopo di profitto.
Quanto è successo in seguito altro non è
che l'effetto di lotta di classe dei monopoli borghesi, i quali, ottenuto il
disarmo ideologico e pratico delle lotte dei lavoratori, hanno pian piano
riconquistato il potere di far venir meno senza danni gli statuti di libertà
che un tempo erano stati costretti a concedere e che comunque contenevano pur
sempre un contenuto dannoso per i propri profitti. Ciò si è reso possibile
grazie alla realizzazione e sviluppo di quelle cinque caratteristiche che Lenin
individuò come elementi distintivi dell'imperialismo, inteso come fase suprema
del capitalismo: la concentrazione della produzione e del capitale, la fusione
del capitale bancario e del capitale industriale e la conseguente formazione di
un'oligarchia finanziaria. la liberalizzazione dell'esportazione di capitale,
la ripartizione del mondo fra i gruppi monopolistici internazionali, la
ripartizione dell'intera superficie terrestre fra grandi potenze imperialiste.
Il motore ideologico proposto si identifica
in quella finzione di libertà globale che fu propalata ai popoli ad alle
fiaccate masse lavoratrici del mondo capitalista soprattutto dopo il crollo
dell'Unione Sovietica: quella liberalizzazione della circolazione di merci,
capitali e persone che permetteva e tutelava il realizzarsi delle posizioni di
potere dei monopoli finanziari, così divenuti poteri globali. Crollato il
contraltare dell'Unione Sovietica, fu facile impadronirsi dell'egemonia
culturale sui lavoratori e sulle masse contrabbandando come espansione della
posizione di libertà personale e crescita del benessere individuale quegli
artifizi che si sono oggi svelati come solide catene.
Non è, qui, il caso di approfondire
l'argomento che, peraltro, meriterebbe una vasta e approfondita trattazione per
comprendere a fondo i fenomeni attuali. Né possiamo approfondire i riflessi di
tale processo evolutivo del capitalismo e le loro conseguenze nel processo
evolutivo del Continente europeo attraverso le fasi che si sono susseguite con
i vari trattati che hanno portato le prime Comunità europee a divenire CEE e
poi CE fino all'attuale costituzione dell'Unione Europea così come configurata
dal Trattato di Lisbona del 2007 entrato in vigore nel 2009, provvedendo a
renderle emanazione e incarnazione, insieme al braccio militare della NATO, del
dominio dei monopoli finanziari e industriali internazionali.
Per capire quale siano le conseguenze di
tale fase di sviluppo del capitalismo e del ruolo della Unione Europea e della
NATO nell'imposizione dei diktat delle multinazionali è sufficiente, oggi,
guardare alla Grecia e alle condizioni imposte a questo Paese per distruggerne,
oltre all'economia, anche la dignità di Stato sovrano nonché il sistema
democratico, incompatibili con la fase capitalistica che esternano il fenomeno
del mercato sovrano, ma in realtà anche dei monopoli che detengono la sovranità
sul mercato.
Può essere utile anche una lettura
dell'articolo di Prabhat Patnaik "false idee sul neoliberismo"
reperibile sul sito di Resistenze.org all’indirizzo:
L'Italia non ha mai rifiutato né tale
ideologia né tale influenza di potere e ben presto tutti i governi succedutisi
nel Paese dagli anni '90, compresi quelli di centrosinistra, così come le
supreme magistrature di volta in volta chiamate ad occuparsene, hanno
ratificato e introdotto nell'ordinamento nazionale, attraverso una discutibile
interpretazione dell'articolo 11 della Costituzione, tutte le imposizioni
europee seppure in contrasto con i principi stessi della Carta Costituzionale.
Si è così disgregato il sistema
previdenziale pubblico, il sistema sanitario su base universalistica, i servizi
pubblici anche quelli essenziali sono stati privatizzati,si è introdotta la
modifica all'articolo 81 della Costituzione (equilibrio di bilancio) che rende
inesigibili i principi fondamentali della Carta e altri potrebbero essere gli
esempi come la modifica dell'articolo 36 sull'orario di lavoro con le direttive
93/104/CE, 2000/34/CE e 2003/88/CE.
Negli anni '90 in Italia due fenomeni
incidono sulla svolta imperialista del sistema e del diritto del lavoro: la
definitiva autodisgregazione del PCI come partito di riferimento ideologico e
di equilibrio delle politiche economiche e sociali, all'indomani della
dissoluzione dell'Unione Sovietica, nonché la definitiva trasformazione del
sindacato da propulsore di lotte e conquiste anche sul piano giuridico nella
posizione dei lavoratori nel rapporto di produzione, a sindacato di
concertazione. Infatti nel 1993 il PCI accettò il concetto di "moderazione
salariale" (la quale, da misura provvisoria per il contrasto del forte
tasso inflattivo, divenne poi parametro contrattuale tuttora operante), nonché
la disciplina dello sciopero nei servizi pubblici e di pubblico interesse,
abbandonando persino la fase di rappresentanza succeduta a quella di sindacato
di lotta.
Aveva inizio, così, un processo di
arretramento lento ma inesorabile della classe operaia, che è arrivato alla
situazione di cui oggi stiamo trattando.
Il primo atto di questo percorso a ritroso
verso la deregolamentazione del "mercato del lavoro" (il sintagma
meriterebbe un approfondimento per comprendere il mutamento operato non solo
sul piano sintattico, ma su quello più pregnante dell'ideologia mercantile) è
il cosiddetto "Pacchetto Treu" cioè la Legge 196/97, che introduce
anche in Italia il lavoro interinale; si riporta così in auge la prassi del
caporalato, già vietata dalla legge, e quindi più elegantemente denominata
"intermediazione del rapporto di lavoro". E' l'inizio della
precarizzazione e l'inizio della fine del concetto di "lavoro a tempo indeterminato".
Dal 2001, con il secondo governo
Berlusconi, si tenta l'attacco al "cuore" della Legge 300/70, più
comunemente conosciuta come "Statuto dei lavoratori", con la proposta
di modifica dell'articolo 18 sulla tutela contro i licenziamenti illegittimi.
Molti di noi ricorderanno ancora con una
qualche emozione il 23 marzo del 2002 quando la CGIL, unico argine alla deriva
che sarebbe poi continuata fino ad oggi, portò a Roma più di due milioni di
lavoratori bloccando il progetto berlusconiano (ma solo temporaneamente, come
ben sappiamo).
La non adesione di CISL e UIL alla protesta
non fu atto di dissenso tattico ma, come si vide in seguito, strategico,
giacché successivamente le due organizzazioni si prestarono alla firma del
"patto per l'Italia", che fallì miseramente proprio per la forza
espressa dalla CGIL.
In seguito le cose andarono in altra
direzione e la CGIL si allineò, preda della "sindrome
dell'isolamento", iniziando un percorso di riavvicinamento alle altre
organizzazioni sindacali verso la china che la porterà, a oggi, alla sua
ennesima trasformazione in sindacato di mediazione delle ragioni dell'impresa.
Ma questo sarebbe altro capitolo da approfondire.
Nel 2003, dopo l'assassinio di Marco Biagi,
Ministro del lavoro Maroni, venne varata la Legge 30/03 che poi divenne il
D.Lgs. 276/03 con modifiche marginali e mantenendo l'impianto strutturale della
precedente Legge 30/03. A questa pesante ipoteca sul lavoro giovanile e delle
nuove assunzioni non vi fu alcuna opposizione reale e concreta da parte
sindacale e anzi si introdusse nella contrattazione nazionale la
percentualizzazione della precarietà nelle varie categorie imprenditoriali.
La crisi del 2008 (le cui origini e
sviluppi non saranno oggetto in questa introduzione di quell'approfondita analisi
che meriterebbe) ha avuto anche in Italia forti ripercussioni aggravate anche
da una politica di rigore monetario imposta dall'Europa, che esercitava così il
suo ruolo proprio di centrale politica dei monopoli finanziari. La crisi ha
avuto gravi e profonde ripercussioni in tutti i settori dell'intervento
pubblico, politico ed economico che hanno ridotto ancor più, ove ve ne fosse
necessità, i margini di un lavoro concepito come strumento di emancipazione,
socialmente utile e secondo parametri di dignità e giusta retribuzione, così
come previsto dalla Carta Costituzionale.
La contrattazione nazionale è stata sempre
più ridotta a strumento secondario rispetto a quella aziendale e, solo in pochi
casi, territoriale, frammentando ulteriormente il fronte dei lavoratori già
ampiamente indebolito dall'alto tasso di disoccupazione e di precarietà,
divenendo, quest'ultima, forma comune del rapporto di lavoro.
Rimanevano ancora due ostacoli per il
capitale nello Statuto dei Lavoratori: l'articolo 13 (che aveva sostituito
l'articolo 2103 del Codice Civile), il quale faceva espresso divieto di
demansionamento da parte del datore di lavoro, divieto tassativo quand'anche vi
fosse assenso del lavoratore, e l'articolo 18 che prevedeva la tutela reale
contro i licenziamenti illegittimi.
Nel primo caso, causa e pretesto la crisi,
si introduce negli accordi sindacali la possibilità di demansionamento a
salvaguardia del posto di lavoro. Fino a ora la deroga avveniva solo per
accordo, ma nei Decreti attuativi della Legge Delega 183/14 è prevista la
disciplina di tale istituto in deroga all'articolo 13 dello Statuto.
Per quanto riguarda, invece, l'articolo 18
esso è stato profondamente modificato e ampiamente derogato dall'articolo 8
della Legge 148/11 di conversione del D.L. 138/11 nell'ultima fase del Governo
Berlusconi, Ministro del Lavoro Sacconi.
Il compimento dello svuotamento di
efficacia reale dell'articolo 18 avviene ad opera della Legge 92/12 denominata
"Legge Fornero".
Queste, dunque, le tappe essenziali che
hanno portato al D.Lgs. 23/15.
Naturalmente, per dovere di brevità per
un'introduzione, non si sono affrontati qui tutti gli aspetti giuridici
dell'involuzione normativa, né quelli fondanti dell'involuzione sia ideologica,
sia politica che sindacale. Né si è approfondito il ruolo delle istituzioni
europee nei profondi mutamenti dello stato sociale, economico e politico del
nostro paese.
Ci ripromettiamo di lavorare a questi
aspetti, con un più largo spettro di collaborazioni, nei prossimi mesi,
approfondendo l'analisi del quadro normativo anche alla luce dei decreti
attuativi.
Il manuale completo “Il Jobs Act ed i
nostri strumenti per contrastarlo” in formato pdf è scaricabile all’indirizzo:
---------------------
From: Medicina Democratica segreteria@medicinademocratica.org
To:
Sent: Thursday, September 24, 2015 9:46 PM
Subject: OTTAVO CONGRESSO NAZIONALE DI
MEDICINA DEMOCRATICA FIRENZE NOVEMBRE 2015
OTTAVO CONGRESSO DI MEDICINA DEMOCRATICA
19-21 NOVEMBRE 2015
Organizzato con il Dipartimento di
Statistica dell’Università di Firenze
Firenze 19 - 21 novembre 2015
Sala Convegni Villa Ruspoli
piazza Indipendenza, 9 Firenze
GIOVEDI’ 19 NOVEMBRE
PARTECIPAZIONE PREVENZIONE SALUTE
Fattori di rischio per la salute dei
lavoratori e dei cittadini: dalla ricerca, alla comunicazione,
all’eliminazione: rischio statistico e rischio zero
Apertura delle registrazioni ore 10
SESSIONE MATTINA
Coordinano Piergiorgio Duca e Gino
Carpentiero
RELAZIONI
Epidemiologia, informazione e salute della
popolazione: Annibale Buggeri
La transizione epidemiologica del XX
secolo, dalla genetica all’epigenetica:Ernesto Bugio
SESSIONE POMERIGGIO
Coordinano Piergiorgio Duca e Gino
Carpentiero
RELAZIONI
Sistema Sanitario, sostenibilità e salute:
Gavino Maciocco
Movimenti e lotte per la difesa del Sistema
Sanitario e la promozione della salute: Paola Sabatini e Giuseppe Lippi
Valutazione di Impatto Sanitario e
partecipazione: Giancarlo Sturloni (Borsa di Studio Michelangiolo Bolognini)
Assicurazioni rischio medico e iniquità:
Marco Marchi
A SEGUIRE TAVOLA ROTONDA
Il Progetto Casa Gabriella: Coordinano Beppe
Banchi, Laura Valsecchi
EVENTO PUBBLICO (ORE 21)
Proiezione dei film “I VAIONT” di Maura
Crudeli e dibattito pubblico con: Luigi Mara, Alessandro Santoro, Mariella Cao,
Mirco Maiorino, Daniela Rombi, Maria Luisa Clementi, Fulvio Aurora
VENERDI’ 20 NOVEMBRE
SESSIONE MATTINA
CONTRIBUTI SEZIONI TERRITORIALI DI MEDICINA
DEMOCRATICA
Coordinano Marco Caldiroli e Maurizio
Marchi
Sezioni territoriali di Medicina
Democratica: Toscana (Firenze, Livorno, Viareggio); Lombardia (Milano, Brescia,
Castellanza); Piemonte (Alessandria, Torino); Liguria (Savona, Genova, La
Spezia); Emilia Romagna (Bologna, Ferrara, Reggio Emilia); Veneto (Vicenza,
Padova, Venezia), Abruzzo (Vasto), Campania (Napoli), Basilicata (Matera),
Puglia (Brindisi)
SESSIONI MATTINA E POMERIGGIO
CONTRIBUTI DI ASSOCIAZIONI, COMITATI,
GRUPPI
Coordinano Marco Caldiroli, Maurizio Marchi
e Gino Carpentiero
SESSIONE POMERIGGIO
GRUPPI DI LAVORO
Partecipazione, Prevenzione e Salute: i
diritti sotto attacco e la loro difesa
Agricoltura, alimentazione, salute,
sovranità alimentare e multinazionali
Ambiente, inquinamento urbano e salute: il
ruolo della partecipazione nella ricerca per l’identificazione e nella lotta
per la rimozione dei fattori di rischio
Donna, salute e lavoro: doppio lavoro,
assenza di lavoro, negazione di servizi e diritti
Lavoro, nocività e prevenzione: mobbing,
tumori, infortuni, strategie di lotta e iniziative di legge e giudiziarie
La Salute mentale e la chiusura degli OPG:
interventi e proposte
EVENTO PUBBLICO (ORE 20:30)
Tavola Rotonda: Rischi per la salute
nell’alimentazione e Rischio zero: ne discutono Patrizia Gentilini, Vittorio
Agnoletto, Alberto Bencistà, Antonio Lupo e Gianluigi Salvador Coordinano
Gianluca Garetti e Katia Lumachi
SABATO 21 NOVEMBRE 9-12
SESSIONE MATTINA
RELAZIONE CONCLUSIVA
Il contributo dell’Università e delle
Istituzioni in termini di ricerca, formazione, comunicazione e consulenza
SESSIONE POMERIGGIO
ASSEMBLEA GENERALE DI MEDICINA DEMOCRATICA
Consuntivo del triennio: Piergiorgio Duca
Rinnovo del direttivo e della presidenza
Bozza di programma per il prossimo triennio
Gli argomenti individuati, da discutere
anche con i rappresentanti delle Associazioni che vorranno partecipare, sono
quelli dell’Ambiente (Inquinamento, Alimentazione, Agricoltura) Lavoro (le diverse
forme di nocività e le lotte per la promozione della salute), Sistema Sanitario
(difesa dei diritti con particolare attenzione alla salute della donna,
sostenibilità e lotte contro i tentativi di privatizzazione), Emarginazione,
Salute Mentale.
La proposta di Medicina Democratica ai
gruppi alle Associazioni o ai Movimenti che vorranno partecipare e contribuire
è quella di mettere a disposizione una specifica competenza di conoscenza, di
lotta e di presenza storica sui temi critici della partecipazione e della
prevenzione, impegnandosi a potenziare:
-
come
strumento di dibattito, divulgazione, proposta e organizzazione la Rivista
anche in sinergia ove e come possibile con “Epidemiologia & Prevenzione”;
-
come
presenza nel movimento di lotta il numero e le attività delle sezioni
territoriali, da meglio coordinare in modo permanente pur nella varietà dei
temi e dei modi organizzativi (Sportelli Salute e disagio lavorativo, Supporto
all’azione legale locale, Iniziative giudiziarie o legislative a livello nazionale);
-
l’attività
di formazione e sensibilizzazione sul territorio attraverso Corsi organizzati
in tema di nocività del lavoro, identificazione e documentazione dei fattori di
rischio sul territorio anche con la promozione di circa epidemiologica di base
e la promozione di iniziative locali di lotta o di contrasto su specifici temi;
-
l’iniziativa
di coordinamento nel sociale attraverso la costituzione di reti di relazioni
stabili con associazioni, gruppi e movimenti presenti sul territorio e attivi
in ambito socio-sanitario e politico;
-
l’iniziativa
di promozione di convegni su emarginazione, salute della donna, difesa dei
diritti, difesa dei beni comuni, per il lancio di iniziative anche legislative
per contrastare fonti di inquinamento fisico, chimico ma anche culturale
(pensiero unico);
-
l’istituzione
di un Comitato Scientifico permanente di Consulenti/Garanti a cui chiedere un
impegno non continuativo di partecipazione ma contributi mirati ad iniziative
di ampia risonanza nazionale e internazionale.
---------------------
From: Clash City Workers cityworkers@gmail.com
To:
Sent: Sunday, September 27, 2015 5:39 PM
Subject: A PROPOSITO DELLE NUOVE SCHIAVE
DEL SUD ITALIA
Leggete l’inchiesta di Repubblica riportata
a seguire.
Non scopre nulla di nuovo, e però segnala,
a proposito dei casi degli ultimi giorni, molte cose interessanti. Innanzitutto
che nei campi lavorano molti italiani, anzi italiane, meridionali. Come in
altri settori del lavoro, le donne vengono identificate come soggetti più
passivi, perché più prese in reti familiari, più terrorizzabili...
Ma non solo: che le donne vengono scelte in
molti casi perché gli immigrati si ribellavano, chiedevano migliori condizioni
di lavoro, e facevano rimettere soldi ai padroni. Cosa che ci dimostra come gli
immigrati non siano soggetto debole e da tutelare, ma compagni di lotta che
spesso stanno anche più avanti di noi.
Certo, non stiamo qui a stupirci o
inorridirci perché lo sfruttamento più spietato e odioso ha preso a selezionare
altri tipi di vittime. Perché ora sono italiane, donne italiane a finire nel
tritacarne, e non solo immigrate e immigrati. Questa differenza non ha alcun
senso per noi che rifiutiamo in blocco ogni forma di sfruttamento di qualsiasi
uomo e donna su qualsiasi uomo e donna.
E tuttavia tutto questo di senso sembra
averne molto per chi su queste differenze continua a fare soldi, tanti soldi. I
padroni dei campi, come altri datori di lavoro in altri settori, ricorrono
spesso a queste strategie: ci dividono in base a demarcatori sociali, se così
possiamo chiamarli, usano le nostre differenze di sesso, età, provenienza e
religione a loro vantaggio, selezionando le categorie di volta in volta più
vulnerabili, che determinate circostanze storiche hanno reso tali, per metterci
gli uni contro gli altri e avere una manodopera sempre più docile, flessibile,
ricattabile e fare soldi...
Se oggi molte nostre mamme, sorelle e
figlie italiane sono le nuove schiave dei campi evidentemente le loro
condizioni sono precipitate a tal punto da renderle estremamente docili e
mansuete. Donne doppiamente schiacciate, da una parte da reti familiari, che la
crisi ha iniziato a sfilacciare ma che si basano ancora prevalentemente sul
loro lavoro di cura non pagato e dall'altra dal carico di un lavoro disumano a
cui sono costrette a ricorrere proprio per compensare questo sistema di welfare
nostrano in frantumi, tanto che è sufficiente la minaccia “domani resti a casa”
per renderle ancor più controllabili.
Le circostanze possono cambiare
repentinamente, possiamo trovarci da un giorno all'altro a negoziare condizioni
di vita assurde che pensavamo lontane anni luce, che credevamo potessero
appartenere a “qualcun altro” ma non a noi. Evidentemente “qualcun altro” e noi
siamo più vicini di quanto pensiamo.
Allora forse quando sentiamo storie atroci
di sfruttamento sugli immigrati non possiamo più pensare che tutto questo non
ci riguardi...le loro storie sono le nostre storie. E allo stesso modo il loro
coraggio deve diventare il nostro coraggio.
Molti nostri amici immigrati hanno iniziato
a dire “basta!”, hanno iniziato a rifiutare queste condizioni di vita e di
lavoro inumane. Per questo i padroni si sono messi alla ricerca di nuovi
schiavi e schiave che possano facilmente rimpiazzare chi ha iniziato a
ribellarsi a questo stato di cose.
* * * * *
Da La Repubblica
di Raffaella Cosentino e Valeria Teodonio
25 maggio 2015
SONO ITALIANE LE NUOVE SCHIAVE DEI CAMPI
Più affidabili, ma soprattutto più
ricattabili e più facili da piegare alla volontà dei caporali: per questo chi
controlla il mercato del lavoro agricolo preferisce le connazionali. Nella sola
Puglia, secondo i dati della CGIL, circa 40.000 braccianti sono gravemente
sfruttate con paghe che non superano i 30 euro per 10 ore trascorse a
raccogliere fragole o uva. "Non vogliono più stranieri perché loro si
ribellano e noi no".
TARANTO
Alle tre di notte le donne del Brindisino e
del Tarantino sono già in strada. Indossano gli abiti da lavoro e hanno in mano
un sacchetto di plastica con un panino. Nei punti di raccolta, agli angoli
delle piazze, alle stazioni di benzina, aspettano il caporale che viene a
prenderle con l'autobus gran turismo per portarle sui campi, dove lavorano
sfruttate e ricattate, a volte anche con la richiesta di prestazioni sessuali.
Sono soprattutto italiane, più affidabili, ma soprattutto più
"mansuete" delle lavoratrici straniere, protagoniste in passato di
proteste e denunce.
Per costringere le italiane al silenzio non
servono violenze fisiche. Basta la minaccia "domani resti a casa".
"I proprietari dei pullman sono i caporali. E’ a loro che ci rivolgiamo
per trovare lavoro in campagna o nei magazzini che confezionano la
frutta", racconta Maria, nome di fantasia, che ha 24 anni e lavora sotto i
caporali da quando ne aveva 16.
Secondo le stime del sindacato FLAI CGIL,
sono 40.000 le braccianti pugliesi vittime dei caporali italiani, che in molti
casi hanno comprato licenze come agenzie di viaggio, riuscendo così ad aggirare
i controlli.
IL RECLUTAMENTO
“Nei paesi ci sono delle persone,
generalmente sono delle donne, che fanno da tramite tra chi vuole lavorare e il
caporale. Raccolgono i nominativi per lui” - racconta Antonietta di Grottaglie
- “Il caporale decide dove mandare a lavorare le braccianti e quello che deve
essere dato come salario. Cercano di non avere uomini, anche per i lavori
pesanti, perché le donne si possono assoggettare più facilmente".
Antonio, altro nome di fantasia, è ancora
più esplicito: "Non vogliono stranieri, il motivo è che loro si ribellano
e gli italiani no: ci sentiamo gli schiavi del terzo millennio, ci hanno tolto
la dignità".
LE ITALIANE SFRUTTATE PER LA FRAGOLA
D'ECCELLENZA
"La donna si presta di più a un lavoro
piegato di tante ore” - spiega un produttore agricolo che assume circa 60
operaie nelle sue serre di Scanzano Jonico - “Io ho quasi tutte italiane,
andiamo a prendere la manodopera in Puglia, perché quella locale non basta. In
tutta Scanzano esistono 600 ettari di coltivazioni di fragole. A 6 donne a
ettaro fanno 3.600 braccianti donne".
Ci sono rumeni che si propongono per la
raccolta, ma non vengono quasi mai presi in considerazione. "La fragola è
molto delicata” - dice Teresa - “facilmente si macchia e diventa invendibile,
per questo servono le donne a raccoglierla nelle serre, con la temperatura che
raggiunge i 40 gradi".
Tra Scanzano, Pisticci e Policoro si
produce la fragola Candonga, brevettata in Spagna e diventata un'eccellenza
molto apprezzata sul mercato perché è più grande e ha una lunga durata. Spesso vengono
"trattate" con ormoni come la gibberellina, come vediamo dalle
scritte sui tendoni "campo avvelenato".
CAPORALI TOUR OPERATOR
Da aprile a settembre centinaia di grossi
pullman si spostano carichi di lavoratrici tra le province di Brindisi, Taranto
e Bari per la stagione delle fragole, delle ciliegie e dell'uva da tavola.
Grottaglie, Francavilla Fontana, Villa
Castelli, Monteiasi, Carosino, sono solo alcuni dei nomi della geografia del
caporalato italiano che sfrutta le donne. Il nome del caporale è scritto in
grande, stampato sulla fiancata dei bus, insieme al numero di cellulare.
"È per questo che nessuno li ferma", dice Teresa, altro nome di
fantasia.
---------------------
From: Clash City Workers cityworkers@gmail.com
To:
Sent: Sunday, September 27, 2015 5:39 PM
Subject: SENZA BERE, MANGIARE E SEDERSI:
COSÌ SI LAVORA A EXPO
Da BgReport
01 Agosto 2015
Sembra uno scherzo. Non lo è. Carlo (il
nome è di fantasia) lavora in EXPO con il ruolo di addetto all’accoglienza. E’
il primo volto che vede il visitatore quando entra nei padiglioni nazionali
della grande esposizione universale.
Curati, di bell’aspetto e sempre
sorridenti, queste le richieste di EXPO SpA e Manpower ai propri dipendenti. Al
lavoratore viene imposto un regolamento, come ogni azienda che si rispetti.
Quello di Manpower è a dir poco restrittivo: vietato bere, mangiare, sedersi e
senza pause. Tutto per iscritto.
I sacrifici si sa vanno di pari passo con
il valore della propria prestazione, capita quindi nei normali luoghi di lavoro
che alle energie spese per un lavoro salariato corrisponda una paga adeguata.
Nulla da fare in EXPO, Carlo non mangia non beve, non si può sedere per 8 ore
di fila per 5 giorni alla settimana per una retribuzione di 797 euro lordi
equivalenti a circa 560 euro al mese.
EXPO, da alcuni decantata come la soluzione
alla fame nel mondo affama i propri lavoratori con stipendi da fame.
Con lo zampino di Manpower (agenzia
interinale) e di IVRI che di fatto
gestisce l’appalto dell’accoglienza agli stand. Sarebbe curioso sapere quanto
vale questo appalto e quanto ci guadagnano EXPO, Manpower, e IVRI. Questa cifra
non ci è dato saperla e resta nelle
oscure stanze di EXPO SpA.
Nel frattempo il Carlo di ogni stand
continuerà a sorridere ai visitatori, per 3,2 euro l’ora. In alcuni stand della
grande esposizione universale non ci si compra nemmeno una bottiglietta
d’acqua.
Nessun commento:
Posta un commento