Si accendono gli interruttori a TenarisBayCity Texas, progetto nato nel
2013, con una capacità produttiva di 600.000 tonnellate di tubi senza saldatura
con 600 operai (vedi articolo allegato), mentre si spegne inesorabilmente la
centralità dello stabilimento di Tenaris Dalmine, che produce lo stesso
prodotto. I Rocca, padroni della multinazionale leader nella produzione di tubi
e infrastrutture legate al petrolio e non solo, si preparano ad uscire ancora
più forte dalla “crisi” e ritagliarsi fette di mercato nella competizione
globale capitalistica, utilizzando strumentalmente la variazione del prezzo del
petrolio (vedi articolo allegato), per produrre dove maggiore è la possibilità di
valorizzare il loro capitale e continuare a fare profitti sfruttando gli operai
in ogni nazione.
Alla Dalmine negli ultimi 6 anni sono circa 1000 i posti di lavoro tagliati
nella fabbrica, grazie agli accordi filopadronali di fiom-fim-uilm del 2009 e
del 2015, senza conteggiare quelli persi dall'inizio della privatizzazione al
gruppo Rocca-Techint. Questi agenti del padrone tra gli operai hanno il
coraggio di dire che sono preoccupati per il contesto internazionale e che non
c'è modo di contrastare la caduta del prezzo del petrolio, le stesse
argomentazioni del padrone...(vedi articolo allegato)
Entro gennaio altri 250 posti di lavoro in meno mascherati con la mobilità
volontaria, mentre per i lavoratori che restano in fabbrica è partito da
settembre il contratto di solidarietà con riduzione di salario ed è in aumento
la percentuale di contratti senza diritti con la conversione di una quota degli
apprendisti con il contratto a tutele crescenti del jobsact, oltre al grave
decadimento delle condizioni di sicurezza con l'aumento di situazioni a rischio
e infortuni, complice anche “l'inedita strategia” di cui si vanta l'azienda
dove “la manutenzione straordinaria di quest'anno è stata calibrata in base ai
volumi per non gravare sui costi” dato che “è possibile sfruttare più a lungo i
pezzi che hanno una vita superiore all'anno”; una situazione che ci ricorda da
vicino la situazione che ha prodotto la strage premeditata dei padroni alla
Tyssen Krupp di Torino.
Scelto il Texas per il
nuovo impianto Usa di Tenaris
“La tecnologia sta portando ad una rivoluzione nell’esplorazione e
produzione di petrolio e gas ed ha risvegliato l’industria petrolifera non solo
del Texas, ma anche degli Stati Uniti e del mondo”.
Lo scorso giugno, spiega Paolo Rocca, Presidente e CEO di Tenaris, “abbiamo
annunciato che avremmo costruito un impianto ex-novo negli Stati Uniti e il 15
febbraio abbiamo annunciato dove costruiremo il primo impianto per tubi senza
saldatura degli Stati Uniti: a Bay City, Matagorda County, Texas”.
Con un investimento stimato pari a 1 miliardo e 500 milioni di dollari,
prosegue Germán Curá, Presidente di Tenaris in Nord America, “il nuovo
stabilimento avrà una capacità produttiva di 600.000 tonnellate di tubi senza
saldatura di alta qualità e darà lavoro ad oltre 600 persone. L’area offre una
combinazione di geografia favorevole, logistica operativa e disponibilità di
manodopera qualificata, oltre alla vicinanza a Houston, la capitale mondiale
dell’energia e headquarters di Tenaris in Nord America”.
La posizione strategica che avrà TenarisBayCity in prossimità di riserve
shale non convenzionali e l’esplorazione nelle regioni del Texas e Louisiana,
prosegue Curá, “migliorerà la nostra abilità di fornire rapidamente prodotti di
alta qualità ai nostri clienti. Infatti in Usa abbiamo già 11 impianti di
produzione con oltre 4.000 dipendenti”.
Il nuovo stabilimento, aggiunge, “complementerà la nostra rete di
produzione globale integrata e lavorerà con i nostri impianti esistenti in Nord
America per rafforzare ulteriormente la produzione domestica”.
La notizia, conclude il manager, “è stata data a Bay City alla presenza del
Governatore del Texas, Rick Perry, ed altre autorità locali che hanno ricordato
come investimenti di queste dimensioni da parte di grandi società come la
nostra testimonino con forza quanto sia favorevole il clima economico in
Texas”.
Per l’investimento Tenaris riceverà 6 milioni di dollari dal TEP-Texas
Enterprise Fund, supporto per il quale Germán Curá ha ringraziato, ed ha
concluso “con questo investimento rafforzeremo la nostra produzione locale e la
capacità nel servizio per soddisfare la crescente domanda dell’industria
energetica. L’impegno della società per l’ambiente e la sicurezza sono priorità
inderogabili tanto che si sta progettando lo stabilimento secondo i più rigidi
standard e con la più sofisticata tecnologia di controllo che ridurrà le
emissioni perfino oltre i limiti richiesti dalla legge statale e federale”.
Petrolio: il crollo dei prezzi era
prevedibile, come un futuro rialzo. Ecco perché.
Al di là delle decisioni che l'Opec ha
preso negli ultimi mesi e che prenderà nel prossimo futuro, analisi economiche
di lungo periodo dimostrano la ciclicità dei prezzi del petrolio e la presenza
di indicatori di lungo periodo che ne consentirebbero di prevedere l'andamento
dei prezzi.
Le evoluzioni
del prezzo del petrolio saranno nel 2015, in larga parte imprevedibili e, in
ogni caso, soggette a variazioni discontinue, tuttavia, per raccapezzarsi in quello che è stato di
certo uno dei fenomeni economici maggiormente eclatanti del 2014, appare
opportuno considerare un’opinione particolarmente consapevole
in materia: quella di Jim O’Neill, già capo economista di Goldman Sachs che scrisse la sua tesi di dottorato sull’andamento
dei prezzi del petrolio e che è intervenuto in proposito la scorsa settimana su
Project Syndacate. Nei suoi precedenti studi O’Neill aveva analizzato l’andamento dei prezzi del petrolio, rilevando un
andamento ciclico dove a picchi di prezzo (come si sono
verificati nel 1979) sono seguite fase ventennali di caduta dei prezzi e, poi,
ancora, fasi di nuova ripresa (nel 2008 il prezzo del greggio si aggirava
intorno ai 100 dollari al barile), di nuovo interrotte da eventi quali la crisi
economica (quella iniziata nel 2009 negli USA).
Impegnato
nella ricerca di un modello per la previsione del prezzo del petrolio, Jim
O’Neill si chiese se poteva esistere un «prezzo di
equilibrio del petrolio»
e si accorse che un eventuale modello che prevedesse l’andamento del greggio
era fortemente influenzato dal prezzo marginale di produzione del petrolio che
è una variabile molto instabile. Nel corso delle sue ricerche O’Neill si rese
conto che il fattore più indicativo su cui concentrarsi non era tanto il prezzo
spot del Brent, ovvero il prezzo del petrolio oggi ma il prezzo dei contratti petroliferi quinquennali a
termine, ovvero la cifra che sarebbe stata pagata tra 5 anni per la consegna
garantita del greggio. Stando a quest’ultimo indicatore il
crollo del prezzo del petrolio che si è concretizzato nei mesi scorsi sarebbe
il frutto di una flessione di cui le prime avvisaglie potevano già essere
rintracciate nel 2011, quando tutti gridavano alla ripresa del greggio dopo le
fasi più acute della crisi finanziaria statunitense. Anche se il prezzo spot
del petrolio continuò per alcuni mesi a crescere, nel 2014 nei primi mesi del
2014 il prezzo di un barile di greggio era di nuovo sceso a 80 dollari al
barile per poi crollare quota 60 a fine anno. Anche se la determinazione del
prezzo del petrolio deve tener conto di altri fondamentali elementi come le
decisioni dell’OPEC e l’incidenza del gas di scisto nella
ridefinizione degli equilibri energetici mondiali, secondo O’Neill,
considerando il prezzo dei contratti petroliferi quinquennali a termine, che è
senz’altro un indicatore di lungo periodo, il rialzo dei prezzi del petrolio è
sulla linea dell’orizzonte. Ciò significa che nel
2015 i prezzi, molto probabilmente continueranno a diminuire sul breve periodo
ma alla fine dell’anno, saranno, molto probabilmente più alti che all’inizio. Ciò non si evince solo dall’analisi del prezzo spot (attualmente
intorno ai 48 dollari) e dei prezzi dei contratti petroliferi quinquennali a
termine (circa 80 dollari) ma anche da altri indicatori. In base a due rapporti
circolati nei mesi scorsi negli USA, si apprende, infatti, che anche qualora il
prezzo del petrolio scendesse fino a 40 dollari al barile, solo l’1,6% della
produzione mondiale subirebbe perdite negative, mentre già l’attuale prezzo del petrolio statunitense sta
rendendo l’estrazione di shale oil poco competitiva (a causa degli elevati costi delle trivellazioni) e ha
già messo a segno la prima vittima: la società texana Wbh che si occupava di
estrarre gas di scisto e che è fallita nei giorni scorsi. Mentre il numero
delle trivelle per lo shale oil potrebbe sensibilmente diminuire nel 2015, sul fronte del petrolio potrebbe configurarsi un nuovo
accumulo a fini speculativi,
simile a quello già verificatosi nel 2009 quando le maggiori società
petrolifere americane e internazionali ricorsero anche allo stockaggio in mare,
con apposite petroliere, per mettere in atto la vendita immediata a prezzi
scontati.
Anche se questa
eventualità è più remota rispetto
al 2009 e le possibilità di speculazione sarebbero comunque minori, uno
stockaggio a fini speculativi sarebbe un altro mezzo di prim’ordine per far
risalire il prezzo del petrolio. Anche per questo secondo Jim O’Neill il rialzo
dei prezzi del petrolio avverrà di certo, anche se in tempi dilatati e lenti.
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