NEWSLETTER PER LA TUTELA DELLA SALUTE
E DELLA
SICUREZZA DEI LAVORATORI
INDICE
ERGONOMIA E RISCHIO
PSICOSOCIALE
Da
Orizzonte degli Eventi
20/06/15
Di
Franco Simonini, Gabriele Corbizzi Fattori e Vincenza Bruno
Come
in ogni disciplina scientifica anche lo studio delle regole che reggono il
mondo del lavoro contiene due anime: la classica e la sistemica.
Il
metodo d’osservazione del mondo del lavoro classico si basa su una cultura
lineare dove ogni aspetto o segmento del fenomeno osservato può essere separato
dal resto della linea e analizzato in laboratorio per ogni sua, anche
infinitesima, manifestazione. In generale l’esperienza scientifica classica ha
generato il mondo che conoscevamo fino alla fine degli anni ‘80 del secolo
scorso. In seguito il pensiero sistemico ha rivoluzionato il nostro mondo di
vita, le macchine da scrivere, i dischi di vinile, le cassette videoregistrate,
la cornetta del telefono, sono strumenti raccolti dalle botteghe di
antiquariato.
Eppure
anche di fronte all’evidente trasformazione tecnologica della nostra vita
quotidiana il mondo delle organizzazioni del lavoro persiste, in massima parte,
a mantenere le antiche strutture lineari tayloristiche, elevati livelli
gerarchici, compiti e procedure vincolate, linee produttive monotone e
ripetitive.
Tuttavia,
anche se minoritarie, esistono organizzazioni del lavoro che dovendo produrre
oggetti ad alta qualità: nuovi modelli di autoveicoli, telefoni cellulari, DVD
bluray, computer touch screen, hanno indicato al mondo dei processi produttivi
modelli organizzativi del lavoro ad alta qualità attraverso le normative
universali ISO.
In
particolare nel nostro paese molte aziende hanno dovuto “obtorto collo”
uniformarsi alle norme internazionali senza tuttavia capirne il significato
culturale innovativo e ottemperando solo agli aspetti formali senza realizzare
nessuna trasformazione sostanziale della loro vecchia organizzazione del
lavoro. Di fronte al cambiamento la paura dell’ignoto ci costringe a cercare la
massima sicurezza, rifugiandosi nella vecchia organizzazione scientifica non si
può sbagliare, se andava bene per il nonno e poi anche per il padre deve andare
bene anche per il figlio.
La
rivoluzione tecnologica porta con se un mondo di incertezza, le cose che prima potevano
essere misurate con precisione oggi divengono probabilità, è possibile
attraverso molti stratagemmi rallentarne la diffusione, ma Galileo aveva
ragione la Terra
è davvero rotonda e rimane tale anche dopo abiura.
In
Europa, tra la fine degli anni ottanta ed i primi anni novanta, diversi studi
di diverse discipline mettono in luce l’importanza di ricontestualizzare i
paradigmi scientifici su basi sistemiche: tale processo evolutivo evidenzia
l’importanza funzionale di elaborare i processi organizzativi in un’ottica
sistemica.
Il
pensiero sistemico applicato ai processi produttivi, cosciente delle difficoltà
prodotte dai cambiamenti culturali, promuove e produce un riordino delle
materie riguardanti la sicurezza e salute sul lavoro a livello comunitario. Il
recepimento delle direttive comunitarie si struttura in Italia attraverso
l’emanazione del D.Lgs.626/94 oggi D.Lgs.81/08: una legge sulla sicurezza e la
salute dei lavoratori che se applicata in tutta la sua complessità è in grado
di aiutare i datori di lavoro nelle necessarie trasformazioni culturali legate
alla qualità produttiva.
Secondo
la nuova cultura sistemica il datore di lavoro attraverso la sua “attenta”
valutazione dei rischi aziendali, oltre a conoscere approfonditamente la
propria azienda, produce e documenta un progetto di miglioramento nel tempo di
tutte quelle variabili che ne determineranno l’evoluzione.
Inoltre
dovrà costruire egli stesso le regole di comportamento e comunicazione che
permetteranno la “gestione dei rischi” mantenendoli al loro stato di minima
probabilità di produrre un danno alla salute.
La
“ratio legis” quindi non è più una serie di azioni od omissioni da imporre,
come ogni punto di una linea, (da parte del datore di lavoro), per cui il
problema è risolto una volta applicato ogni elemento della “check list”, ma un
impegno, nel tempo, a costruire un sistema (un gruppo di persone) adibito a
tenere sotto controllo ogni rischio presente nel processo produttivo a partire
non da dati oggettivi, validi per tutti i differenti contesti, ma dalla
valutazione specifica del proprio processo produttivo inteso come un mondo
particolare e specifico, dinamico e in continua evoluzione, sempre diverso e
vivo, come un paesaggio e non la sua fotografia.
Questa
legge, frutto di un confronto culturale sulle basi produttive del futuro, è
stata spesso osteggiata e “banalizzata”. In particolare nel nostro paese, la
carenza culturale su questa tematica ha prodotto un esisto meramente
burocratico, facendo percepire più l’aggravio documentale che l’opportunità di
sviluppo imprenditoriale.
In
questo modo il pensiero classico come nel Medio Evo ha oscurato la possibilità
di ampliare la conoscenza dei fenomeni della crisi strutturale del vecchio modo
di produrre, costringendo molte aziende che avrebbero potuto ristrutturarsi
alla chiusura o dismissione di parti.
Tuttavia
le chiese possono fermare per un poco di tempo l’evoluzione e la diffusione
delle nuove conoscenze, ma come è vero che la terra è rotonda così le imprese
dovranno obbligatoriamente cambiare la loro cultura produttiva.
Anche
sul piano cognitivo l’ergonomia deve tenere conto della funzionalità del
sistema cerebrale per cui il designer o la progettazione degli ambienti di
lavoro devono rispondere della compatibilità con le “forme del lavoro”
(organizzazione) rispetto alla dinamica funzionale del sistema cerebrale.
Ad
esempio le immagini spiegano le azioni da compiere molto più efficacemente di
qualsiasi forma scritta, per questo motivo i cartelli che indicano i percorsi
da seguire in caso d’emergenza, per un imminente pericolo negli abitati, sono
completamente basati su semplici immagini e segni. I simboli inoltre hanno una
natura universale comprensibili al di là della propria lingua.
Molti
esempi possono dimostrare l’importanza del principio di compatibilità cognitiva
nelle organizzazioni del lavoro ed esprimere la necessità di comunicare
attraverso forme che tengano conto delle esigenze dell’intero sistema e non
solo di una sua parte.
Da
tutto ciò nasce la logica sistemica con cui devono essere affrontati i problemi
connessi ai rischi psicosociali presenti negli ambienti di lavoro già a livello
della loro progettazione.
I
nuovi luoghi di lavoro devono essere immaginati rispondenti alle necessità di
socializzazione e di comunicazione umana per cui diviene necessaria la
collaborazione tra differenti figure professionali già nella prima fase di
studio del progetto. Architetti, psicologi, sociologi, ecc. dovrebbero unire le
loro competenze attraverso una conoscenza comune data dall’ergonomia cognitiva
e delle organizzazioni.
Le
leggi Italiane ed Europee fin dall’inizio degli anni ‘90 del secolo scorso
impongono alle aziende un impegno significativo in queste direzioni. Purtroppo
in Italia, abbiamo assistito a un vuoto legislativo e regolamentare sulla
qualità di sistema capace di inibire qualsiasi vantaggio competitivo basato
sulla gestione qualitativa dei processi produttivi. Le imprese così isolate e
incapaci di reagire di fronte alle difficili prove della concorrenza globale,
dell’evoluzione tecnologica, della crisi economica e strutturale, non sono
riuscite nemmeno a ipotizzare un rinnovamento culturale delle organizzazioni
del lavoro perché eccessivamente preoccupate del mantenimento produttivo e
perciò poco inclini a pensare nuovi orizzonti di sviluppo.
Eppure,
un valido aiuto, in particolare per le piccole e medie imprese italiane,
sarebbe venuto dalla necessità di ripensare l’organizzazione del lavoro
attraverso la riflessione articolata sui vari rischi nelle aziende, ma in
particolare su quelli psicosociali
La
gestione del rischio psicosociale potrebbe costituire una grande opportunità
sia per la produttività aziendale, sia per la salute e la sicurezza dei
lavoratori: purtroppo ancora oggi questi due elementi sono ancora considerati
separati (ciò é dimostrato dal fatto che non esiste un termine per descriverli
insieme), ma di fatto non lo sono.
Le
opportunità che potrebbero derivare dalla gestione di questo rischio sono
diverse: diminuzione di fenomeni quali mobbing, bournout, molestie, stress,
infortuni, miglioramento dei sistemi sociotecnici, della comunicazione
all’interno dell’azienda, maggiore trasparenza di procedure aziendali quali
l’evoluzione della carriera ecc.; miglioramento dei processi decisionali; miglioramento
delle interazioni tra le diverse parti componenti l’azienda ecc.
Purtroppo
la cultura classica (di tipo causale) impostata su modelli di ergonomia
correttiva ha condizionato e ridotto la necessaria riflessione sistemica a un
mero intervento correttivo da effettuarsi attraverso l’arcaico modello della
check-list scartando, di fatto, il principio base dell’ergonomia stessa: l’uomo
al centro del processo.
L’osservazione
corretta dei fenomeni psicosociali non può che tenere conto della logica
sistemica che vede l’uomo (sistema vivente) in relazione con i sistemi
circostanti (organizzativo, tecnologico, culturale, ecc.) che compongono
l’intero mondo (azienda) e questo in relazione con gli altri mondi, in breve:
l’uomo come sistema di sistemi.
L’ergonomia
cognitiva e delle organizzazioni ha oggi, in particolar modo, il difficile
compito di trasformare il modo di percepire il proprio e l’altrui mondo
esperienziale. E’ difficile per coloro che sono abituati a vedere l’albero con
le sue numerose sfaccettature allargare il proprio orizzonte e vedere il
sistema in cui vive e si relaziona: la foresta.
All’aumentare
della complessità della vita, negli animali, l’isolamento dal sistema ecologico
comporterebbe addirittura la fine della loro esistenza.
E’
sicuramente molto più difficile osservare un intero sistema anziché una parte
però oggi non è più possibile fare altrimenti. L’evoluzione della ricerca è
diretta verso la direzione sistemica.
Anche
nella madre di tutte le scienze: la fisica, la ricerca si sposta su valutazioni
sistemiche. La stessa legge di gravità può essere vista in modi differenziati.
Nell’esempio del professor Emilio Del Giudice se lascio cadere dalla stessa
altezza, non troppo alto, un gatto e un sasso essi toccheranno terra nello
stesso momento dimostrando appunto l’ineccepibile legge di gravità. Se
l’esperimento finisce a questo punto non ci sarebbero problemi, se però
l’osservazione continua ci accorgiamo che il sasso rimane perennemente al suo
posto, il gatto invece ha la capacità di reagire in differenti modi
imprevedibili, potrebbe miagolare perché gli è piaciuto e vorrebbe rifarlo,
oppure graffiare rabbioso il ricercatore, oppure scappare e nascondersi in
luoghi inaccessibili all’osservatore, ecc.
Questo
bellissimo esempio serve a spiegare bene la differenza tra l’osservazione
classica lineare e quella sistemica. Se osservo un mondo fatto di oggetti
inerti in grado di muoversi solo se spinti dall’applicazione di forze esterne
le cose sono relativamente semplici e prevedibili, posso trovare leggi universali
di comportamento costante.
Ma
se osservo la vita o l’infinitamente piccolo o grande le cose non dipendono
solo da forze esterne all’oggetto osservato ma anche e in massima parte da
forze interne che non sono in grado di prevedere.
Grazie
a queste novità scientifiche anche le leggi sulla sicurezza e igiene nei luoghi
di lavoro hanno trovato una loro cospicua evoluzione.
Come
nella vita, le cose cambiano e si trasformano, per cui il datore di lavoro è
tenuto a valutare nel tempo questi cambiamenti trasformando i rischi che essi
comportano in opportunità di miglioramento dell’intero sistema.
Se
questo concetto basilare dell’ergonomia cognitiva e delle organizzazioni fosse
divenuto un patrimonio culturale, anche degli “addetti ai lavori”, ci saremo
evitati di avere come linee guida, per l’intervento sui rischi psicosociali,
prodotti paradossali e ambivalenti frutto dell’assenza di una corretta
mediazione tra le due culture.
Le
culture manageriali, datoriali, sindacali, devono comprendere che le dinamiche
prescrittive di risultato sono fallimentari e ormai “obsolete” di fronte alla
complessità e alla crisi dei sistemi.
Forse
nel panorama presente conviene ricercare spazi di miglioramento continuo
dell’intero processo produttivo, facendo della valutazione delle dinamiche
psicosociali tra gli operatori (considerati come parti fondamentali dell’intero
sistema) un elemento indispensabile allo sviluppo produttivo dell’intero
processo.
LA GESTIONE DEL
FUMO DI TABACCO IN AZIENDA
Da
Portale Consulenti
19
ottobre 2015
di
Marcello Parrella
E’
stato pubblicato da INAIL il Manuale informativo per Datori di Lavoro, Medici
Competenti e Responsabili del Servizio di Prevenzione e Protezione “La gestione
del fumo di tabacco in azienda”.
Secondo
l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) “il controllo del fumo di tabacco
è il più importante intervento che un paese possa promuovere per migliorare al
tempo stesso la salute dei propri cittadini e i conti della spesa sanitaria” ed
è considerato una priorità a causa dei dati d’incidenza delle patologie
fumo-correlate.
Già
il Piano Sanitario Nazionale 2006 - 2008 aveva incluso il fumo tra i parametri
di rischio delle grandi patologie (tumori, malattie cardiovascolari, diabete e
malattie respiratorie) individuando lo sviluppo di programmi multisettoriali di
contrasto al tabagismo, in linea con le indicazioni dell’OMS e dell’Unione
Europea, che auspicavano la prevenzione del fumo tra i giovani, il sostegno
alle politiche di tutela dal fumo passivo e il supporto alla disassuefazione.
In
coerenza con il Piano Nazionale della Prevenzione 2014 - 2018, la realizzazione
di ambienti di lavoro liberi dal fumo risponde agli obiettivi di trasversalità
degli interventi tra i diversi settori, istituzioni, servizi, aree
organizzative, anche in considerazione dell’individuo e della popolazione in
rapporto al proprio ambiente, e rientra tra le azioni e strategie “evidence
based” determinando minor consumo di sigarette tra i fumatori e riducendo la
prevalenza dei fumatori e dei sintomi respiratori tra i lavoratori.
Inoltre,
anche negli ambienti di lavoro è possibile promuovere azioni di sostegno e di
monitoraggio per l’applicazione dell’articolo 51 della Legge 3/03, attraverso
una costante informazione accompagnata da interventi educativi/dissuasivi
rivolti ai fumatori.
L’INAIL,
con i propri piani di ricerca, si occupa anche di comportamenti e abitudini che
concorrono al benessere psicofisico dei lavoratori, non da ultimo il fatto che
l’adesione dei lavoratori alle iniziative aziendali sulla promozione della
salute comporta un effetto positivo anche sul rendimento lavorativo, sulla
produttività aziendale e sulla spesa sanitaria pubblica.
Il
manuale, realizzato dal Dipartimento di Medicina, Epidemiologia, Igiene del
Lavoro ed Ambientale, nell’ambito della Linea di ricerca “Studio dei
comportamenti a rischio dei lavoratori (tabagismo, scorretta alimentazione e
scarsa attività fisica) e promozione di stili di vita salutari come contributo
al miglioramento del benessere personale e sul lavoro”, accorpa le informazioni
e le varie problematiche legate al fumo di tabacco nei luoghi di lavoro in modo
che le figure interessate al benessere psicofisico dei lavoratori possano
trovare un ausilio per l’informazione nei luoghi di lavoro, per contribuire al
miglioramento della salubrità degli ambienti di lavoro, per favorire l’adozione
di comportamenti non dannosi per i non fumatori, per promuovere la disassuefazione
dal tabagismo, per diminuire i costi aziendali per l’assenteismo da patologie
fumo-correlate, per ridurre gli infortuni e gli incidenti dovuti al fumare e
gli eventuali costi per il risarcimento dei danni.
Il
Manuale informativo per Datori di Lavoro, Medici Competenti e Responsabili del
Servizio di Prevenzione e Protezione “La gestione del fumo di tabacco in
azienda”, INAIL 2015 è scaricabile all’indirizzo:
ISPETTORATO
NAZIONALE DEL LAVORO: CHIARIMENTI DEL MINISTERO E DELLE POLITICHE SOCIALI
Da
Portale Consulenti
23
ottobre 2015
di
Antonello Ruggiero
Si
riporta a seguire una Nota di chiarimenti del Ministero del Lavoro e delle
Politiche Sociali in merito all’effettiva entrata in funzione dell’Ispettorato
Nazionale del Lavoro, introdotto dal D.Lgs.149/15.
Da
tale Nota emerge che a oggi non sussiste l’operatività in giudizio
dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro e che quindi quanto emanato da tale
Ispettorato non ha alcun valore probante nei processi in corso relativi a
questioni di Diritto del lavoro.
*
* * * *
Ministero
del Lavoro e delle Politiche Sociali
Direzione
generale per l'Attività Ispettiva Divisione II
Attività
di interpello
Supporto
tecnico-giuridico
Alle
Direzioni Interregionali del Lavoro
Alle
Direzioni Territoriali del Lavoro
e,
per conoscenza, all’Avvocatura Generale dello Stato
OGGETTO:
ARTICOLO 9 DEL D.LGS. 149/15, CHIARIMENTI
Come
è noto, il Decreto Legislativo n. 149 del 14/09/15, pubblicato in Gazzetta
Ufficiale il 23/09/15, che ha istituito l’Ispettorato nazionale del lavoro, è
entrato in vigore il giorno successivo alla pubblicazione.
Nonostante
ciò, nel corpo del Decreto in più occasioni si ribadisce che l'efficacia delle
disposizioni in esso contenute è rinviata alla piena operatività del nuovo
assetto istituzionale successivo all'adozione dei Decreti attuativi che
definiscono funzioni e attribuzioni a oggi esercitate dal Ministero del Lavoro
e delle Politiche Sociali per il tramite delle proprie articolazioni territoriali.
Ne
consegue che l'articolo 9 del D.lgs.149/15, che regola la rappresentanza in
giudizio dell'Ispettorato non può allo stato attuale dispiegare alcun effetto,
riferendosi a un soggetto che ancora non opera effettivamente.
Eventuali
contenziosi, infatti, non potranno che essere instaurati nei confronti delle
articolazioni territoriali del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali
che hanno adottato gli atti impugnati e che continueranno ad operare sino alla
loro soppressione decorrente dalla data indicata nei menzionati Decreti
attuativi.
Nelle
more della piena operatività dell'Ispettorato, quindi, l'attività del
contenzioso resta regolata dal combinato disposto dell'articolo 6 del Decreto
Legislativo n.150 del 2011 e dell'articolo 22 della Legge 689/81 che limita la
competenza delle Strutture ministeriali alla rappresentanza nel primo grado di
giudizio.
La
difesa nei gradi di giudizio successivi continuerà, pertanto, a essere curata
esclusivamente dall'Avvocatura dello Stato, anche, evidentemente, in relazione
alla promozione dell'impugnativa avverso le sentenze di soccombenza di primo
grado rese nei confronti del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
Il
Direttore Generale
dottor
Danilo Papa
CASSAZIONE: VA
RISARCITO IL DIPENDENTE CHE LAVORA NEI GIORNI FESTIVI E SENZA RIPOSO
COMPENSATIVO
Da
Studio Cataldi
26/10/15
di
Lucia Izzo
Il
riposo non fruito dopo sei giorni di lavoro rappresenta un danno da usura
psico-fisica per il lavoratore del Comune.
Il
dipendente del Comune che lavora nei giorni festivi, senza godere dei riposi
compensativi, deve essere remunerato con una maggiorazione del 20% sul lavoro
domenicale svolto e per i giorni di riposo compensativo non fruiti.
La
mancata fruizione del riposo dopo sei giorni di lavoro rappresenta danno da
usura psico-fisica, distinto dall’ulteriore ed eventuale danno alla salute o
danno biologico che si concretizza, invece, in un’infermità del lavoratore
determinata dall’attività “usurante” svolta in conseguenza del lavoro continuo
a cui non seguono riposi settimanali.
Lo
precisa la Corte
di Cassazione, Sezione Lavoro, con la sentenza n. 21225/2015 (vedi link a
seguire) originata dal ricorso di un Comune avverso il provvedimento emesso
dalla Corte d’Appello di Napoli che condannava l’Ente a pagare in favore di un
suo dipendente una somma per aver costui svolto attività di custodia nelle
domeniche e nei giorni festivi, senza godere dei riposi compensativi.
Per
i giudici di Piazza Cavour le doglianze del Comune sono, tuttavia, infondate a
fronte di una corretta applicazione della Corte territoriale dei principi in
materia.
Ai
sensi dell’articolo 17 del D.P.R.268/87, al lavoratore spetta la maggiorazione
del 20% per il lavoro svolto di domenica, nonché la retribuzione per i giorni
di riposo compensativi non fruiti.
La
norma svolge una funzione retributiva-corrispettiva e non anche risarcitoria,
ma comunque al lavoratore spetta il risarcimento del danno da usura
psico-fisica per il mancato godimento dei riposi compensativi, liquidati ai
sensi dell’articolo 1226 del Codice Civile.
Per
gli Ermellini “una cosa è la definitiva perdita del riposo, agli effetti sia
dell’obbligazione retributiva che del risarcimento del danno per lesione di un
diritto della persona, altra il semplice ritardo della pausa di riposo”.
In
questa seconda ipotesi, poiché la legge (salvo deroghe) impone la concessione
di un giorno di riposo dopo sei di lavoro, il compenso avrà natura retributiva
ai sensi dell’articolo 2126, comma due del Codice Civile, fatto salvo il
risarcimento del danno subito per effetto del comportamento del datore di
lavoro stante un pregiudizio del diritto alla salute o di altro diritto avente
natura personale.
A
sua volta, è da tenersi distinto il danno da usura psico-fisica, dal danno alla
salute o biologico, poiché, in questo secondo caso, concretizzandosi in una
infermità del lavoratore, non può desumersi presuntivamente, ma va dimostrato
sia nella sua esistenza sia nel suo nesso eziologico.
Corretta
la determinazione della Corte d’Appello e da condividere l’affermazione secondo
cui il riposo dopo sei giorni di lavoro consecutivo costituisce un diritto
irrinunciabile del dipendente, garantito dal’articolo 36 della Costituzione e
dall’articolo 2109 del Codice Civile.
Inoltre,
“corrisponde a una nozione di comune esperienza che l’attività lavorativa, come
qualsiasi impegno delle energie psicofisiche, se protratta senza interruzioni,
risulta via via più onerosa con il trascorrere delle giornate e il riposo che
sopraggiunge dopo un arco di tempo più ampio rispetto alla normale cadenza
settimanale non può, di per sé, compensare tale crescente disagio”.
Il
ricorso è rigettato e il Comune ricorrente è condannato al pagamento delle
spese del giudizio.
La Sentenza della Corte di
Cassazione, Sezione Lavoro n.21225/2015 è scaricabile all’indirizzo:
L’ESPOSIZIONE AD
AGENTI CHIMICI E BIOLOGICI NELLE IMPRESE DI PULIZIA
Da:
PuntoSicuro
27
ottobre 2015
Due
documenti dell’ASL Milano si soffermano sulla sicurezza del personale delle
imprese di pulizie. Focus sui rischi chimici e biologici: criteri di
valutazione dei rischi, effetti delle sostanze e dei materiali contaminati e
misure di prevenzione.
Se
nelle imprese di pulizie i rischi principali per gli operatori sono correlati
alle cadute, ad esempio dalle scale, agli scivolamenti e agli urti, non bisogna
mai sottovalutare anche i rischi derivanti dal contatto con sostanze chimiche e
con materiali biologici contaminati.
Proprio
per far luce su questi rischi, torniamo a sfogliare un opuscolo informativo per
lavoratori “Il settore delle pulizie” e un quaderno tecnico per datori di
lavoro “La sicurezza nelle imprese di pulizia”, prodotti dal Servizio
Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro dell’ Azienda Sanitaria Locale
di Milano per la prevenzione di infortuni e malattie professionali.
Riguardo
ai rischi chimici, poiché nel settore sono utilizzati molti prodotti chimici
per la pulizia e la disinfezione ambientale, il criterio di valutazione di
questo tipo di rischio è collegato ai seguenti fattori che dovranno essere
considerati dal datore di lavoro:
-
tipo
di pulizia/sanificazione da effettuare;
-
caratteristiche
dei prodotti in uso;
-
quantità
utilizzate e modalità del loro impiego;
-
presenza/efficienza
di ricambi d’aria;
-
attuazione
di procedure di lavoro in sicurezza;
-
utilizzo
di adeguati Dispositivi di Protezione Individuali (DPI).
E
dunque l’esposizione al rischio è correlata alla qualità dei prodotti
utilizzati, alla frequenza e alla modalità con cui vengono impiegati (quantità
eccessiva, miscelazione incongrua) nonché dalla presenza di adeguati ricambi
d’aria nel luogo di lavoro. L’applicazione di misure protettive condiziona la
dose di esposizione e quindi l’effetto sulla salute del lavoratore.
Ed
è importante considerare e valutare la presenza di un’adeguata aerazione nei
luoghi di lavoro: negli ambienti in cui non sia presente aerazione naturale
(aperture finestre) o forzata (impianto di ventilazione fermo) aumenta
considerevolmente il rischio di esposizione alle sostanze chimiche.
Durante
le pulizie può essere sollevata polvere che si disperde nell’aria, talvolta in
concentrazioni significative. Le proprietà tossicologiche della polvere sono
influenzate dai componenti biologicamente o chimicamente attivi che la polvere
può contenere. Ognuno dei componenti chimici o biologici della polvere può
rappresentare un diverso rischio per la salute, entrando in contatto con il
corpo umano attraverso il contatto cutaneo e/o l’inalazione respiratoria.
Dopo
aver riportato alcune possibili patologie diffuse tra gli operatori, ad esempio
malattie della pelle e malattie respiratorie, il documento si sofferma sui
rischi connessi all’utilizzo di specifiche sostanze chimiche e prodotti
(disincrostanti, formaldeide, additivi, ammoniaca, ecc.).
Ad
esempio il documento ricorda che i disincrostanti sono prodotti acidi molto
forti (muriatico, fosforico, solforico e formico), quindi molto pericolosi, da
usare con molta attenzione e solo se assolutamente necessario in quanto hanno
azione corrosiva per occhi e pelle. Alcuni sono facilmente infiammabili.
Tra
le sostanze nocive e tossiche troviamo l’ipoclorito di sodio, i tensioattivi, i
fosfati, l’ammoniaca, il toluolo, lo xilolo, il benzolo, ecc. Inoltre tra i
prodotti igienizzanti può essere ancora presente formaldeide come impurezza o
come sottoprodotto di altri detergenti. La formaldeide è un gas di odore fortemente
irritante (presenta una soglia olfattiva molto bassa, pari a 0,13 ppm). Può
essere assorbita per via respiratoria e in minima quantità anche per via
cutanea ed è in grado di determinare irritazioni a carico delle mucose,
dermatiti da contatto (irritative e allergiche) e asma bronchiale. La
formaldeide inoltre possiede potere mutageno e cancerogeno (“sufficiente
evidenza” di cancerogenicità per l’animale e “limitata” per l’uomo).
Ricordiamo
poi che l’ammoniaca è presente in quasi tutti i prodotti detergenti in
concentrazioni variabili dal 5 al 30%: respirarne i vapori provoca arrossamento
e tumefazione delle mucose. A concentrazioni più elevate si possono avere
spasmi della glottide, edema polmonare fino alla morte per asfissia. Può
provocare ustioni.
E
un problema significativo è quello legato alla miscela di prodotti non
compatibili: la più segnalata è quella tra ipoclorito di sodio e acidi (ad
esempio acido fosforico per pulire il WC o acido cloridrico per decalcificare)
con rilascio di cloro. La miscela di ipoclorito di sodio con ammoniaca provoca
rilascio di cloramine, fortemente irritanti per le vie aeree.
Il
quaderno tecnico riporta poi una tabella con gli effetti sulla salute delle
diverse sostanze, un elenco dei simboli che si possono trovare sulle etichette
dei prodotti (anche con riferimento al Regolamento CLP) e una sottolineatura
dell’importanza delle Schede di Sicurezza (SdS).
Veniamo
brevemente ad alcuni possibili interventi migliorativi, ricordando che le
misure di protezione collettiva sono prioritarie rispetto alle misure di
protezione individuale.
Misure
di protezione collettiva possono essere:
-
sostituzione
delle sostanze tossico/nocive con prodotti meno irritanti;
-
cura
ed attenzione nel mantenere l’etichetta sull’apposito contenitore e a seguire
le istruzioni d’uso;
-
divieto
di eseguire travasi di prodotti chimici in contenitori adibiti ad altri usi;
-
interventi
sull’organizzazione del lavoro soprattutto mirati a ridurre i tempi di
esposizione;
-
limitazione
del numero dei lavoratori esposti;
-
informazione,
formazione e addestramento adeguati per ciascun lavoratore sull’utilizzo delle
sostanze chimiche.
Misure
di protezione individuale possono essere:
-
occhiali
per la proiezione delle mucose oculari da schizzi di sostanze irritanti o
corrosive durante le operazioni di travaso e miscelazione;
-
guanti
fino all’avambraccio per l’utilizzo di prodotti indicati come pericolosi;
-
guanti
normali quando vengono utilizzati prodotti che non hanno simboli di pericolo;
-
stivali
o scarpe chiuse e con suola antiscivolo per il lavaggio dei pavimenti;
-
mascherine
con filtri per l’utilizzo di prodotti riportanti la dicitura “tossico per
inalazione”;
-
qualsiasi
altro DPI necessario all’espletamento del servizio richiesto.
Ci
soffermiamo brevemente anche sui rischi biologici del personale addetto alle
pulizie.
Il
personale può essere esposto a differenti tipi di agenti biologici come
microrganismi, batteri, virus e muffe e ai loro prodotti, come secrezioni
fungine ed endotossine batteriche presenti in particolare nella polvere e nelle
dispersioni di aerosol durante le fasi di pulizia, o nella manutenzione
dell’aspirapolvere.
Le
modalità di esposizione agli agenti biologici sono inalazione, assorbimento
cutaneo, contatto accidentale. L’esposizione a muffe o a spore si verifica
soprattutto durante le operazioni di svuotamento dell’aspirapolvere e pulizia
dei filtri, e può essere causa di manifestazioni allergiche e patologie
irritative a naso, occhi, gola.
Inoltre
l’esposizione a virus (epatite A) e batteri (Escherichia coli) può avvenire per
trasmissione orofecale portandosi alla bocca le mani sporche o i guanti da
lavoro contaminati. Uno studio di Kroger (1993) evidenzia un’alta prevalenza di
“epatite A” negli addetti alle pulizie all’interno di ospedali e in una scuola
dell’infanzia. Uno studio su un focolaio gastroenterico in una casa di cura ha
mostrato un incremento del rischio di infezioni da Norovirus nel personale che
esegue le pulizie simile a quello dei lavoratori che offrono assistenza
sanitaria con un elevato contatto con i residenti.
Il
quaderno tecnico si sofferma in particolare anche sulle possibilità di
infezioni da Salmonella, Campylobacter, legionellosi, ecc., senza dimenticare
che il contatto accidentale con materiale biologico contaminato può anche
avvenire attraverso ferite cutanee, punture da ago, contatto diretto con le
mucose e può causare infezioni importanti.
L’adozione
di comportamenti e dispositivi utili a evitare l’esposizione a materiale
biologico rappresenta la strategia più efficace per prevenire la trasmissione
del virus dell’epatite B (HBV), del virus dell’epatite C (HCV) e del virus
dell’immunodeficienza umana acquisita (HIV) che, anche se poco probabile va
comunque presa in considerazione per la sua gravità.
Veniamo
in conclusione alle misure generali di sicurezza:
-
vaccinazione
nei casi previsti;
-
utilizzo
di DPI adeguati;
-
al
bisogno dotazione dei lavoratori di apposite ‘pinze’ per la presa di materiale
tagliente e pericoloso qualora fosse depositato fuori dagli appositi contenitori;
-
istruzioni
operative per lavorare in sicurezza;
-
informazione,
formazione dei lavoratori in merito al rischio specifico.
Il
documento della ASL Milano “La sicurezza nelle imprese di pulizia” è
scaricabile all’indirizzo:
Il
documento della ASL Milano “Il settore delle pulizie” è scaricabile
all’indirizzo:
I RISCHI DEGLI
AMBIENTI LAVORATIVI: MICROCLIMA, ILLUMINAZIONE, STRUTTURA E IGIENE
Da:
PuntoSicuro
28
ottobre 2015
Un
documento sulla prevenzione dei rischi nelle aziende metalmeccaniche riporta
indicazioni sui rischi correlati ai luoghi di lavoro.
Focus
su microclima, aerazione sfavorevole, illuminazione inadeguata, carenze nella
struttura e nell’igiene dei locali.
Quando
si parla dei rischi lavorativi, specialmente se con riferimento ai comparti
industriali, generalmente si fa riferimento principalmente ai rischi correlati
all’uso delle macchine, alle cadute, ai rischi chimici e cancerogeni, alla
movimentazione e ai movimenti ripetitivi.
Più
raramente vengono invece presi in considerazione i rischi correlati al luogo di
lavoro, i rischi correlati agli ambiente in cui si svolge l’attività lavorativa
e in cui i lavoratori autorizzati ad accedervi possono recarsi o sostare anche
in momenti di pausa, riposo o sospensione del lavoro.
Per
parlare dei rischi correlati ai luoghi di lavoro, con particolare riferimento
alle aziende del comparto metalmeccanico, è stato redatto il documento “Labor
Tutor: un percorso formativo sulla prevenzione dei fattori di rischio tipici
del settore metalmeccanico”, opuscolo realizzato dall’INAIL in collaborazione
con ENFEA (Ente Nazionale per la Formazione
E l’Ambiente).
Il
documento indica che i rischi connessi ai luoghi di lavoro sono dati dalla
struttura dei locali e degli impianti accessori, dalla tipologia d’uso degli
stessi, dalla disposizione e dall’organizzazione dei flussi delle persone, dei
veicoli e dei materiali.
Diamo
uno sguardo ad alcuni fattori di rischio correlati agli ambienti lavorativi:
Se
il microclima di un ambiente e il benessere termico dipendono da una serie di
fattori (temperatura, umidità relativa, velocità dell’aria) bisogna anche
considerare il tipo di vestiario indossato dal lavoratore (classificato in base
alla resistenza termica che oppone alla dispersione del calore), e l’attività svolta
dallo stesso (calcolata in base al dispendio energetico).
La
scelta degli indumenti indossati (tuta da lavoro, divisa, e/o DPI) deve essere
fatta in relazione all’attività da svolgere; ciò è determinante per raggiungere
le condizioni di benessere termico.
Tra
le cause più frequenti di condizioni microclimatiche inadeguate, possiamo
annoverare lo scarso isolamento termico dei locali, che può provocare
temperature inadeguate nella stagione invernale ed estiva, e rapporti aeranti
insufficienti; in quest’ultimo caso, se si sceglie di risolvere il problema con
l’utilizzo di impianti di aerazione forzata, una cattiva progettazione e realizzazione
dell’impianto può non garantire i ricambi d’aria necessari e può provocare
sbalzi di temperatura eccessivi all’interno di uno stesso ambiente, nonché
fastidiose correnti d’aria.
Per
quanto riguarda l’illuminazione inadeguata, il documento sottolinea che tutti i
luoghi di lavoro devono essere adeguatamente illuminati. Se la scelta del tipo
di illuminazione è errata o le fonti sono collocate in posizioni non idonee, si
ottiene un’eccessiva o scarsa visibilità dell’ambiente di lavoro, che comporta
una diminuzione della capacità visiva, favorendo l’insorgenza di affaticamento
visivo, assunzione di posture scorrette e soprattutto un aumento della
possibilità di compiere errori.
Quest’ultima
condizione, oltre a pregiudicare la qualità del lavoro eseguito, accresce
l’eventualità che si verifichino eventi traumatici infortunistici (ad esempio
scivolamenti, inciampi, urti, ecc.).
Tale
problema può assumere aspetti rilevanti nelle aree magazzino, che in genere
contengono in ampi spazi numerose scaffalature, sviluppate in altezza. Questi
luoghi, se non sufficientemente illuminati, possono dare origine a fenomeni di
ombreggiamento, rendendo difficoltosa la viabilità e la circolazione di mezzi e
pedoni.
Inoltre
una scarsa illuminazione dei reparti di produzione diminuisce la capacità
visiva dell’operatore che utilizza macchine utensili e attrezzature, aumentando
il rischio di infortunio.
Senza
dimenticare che un’errata scelta della collocazione delle fonti di
illuminazione può anche dare origine a fenomeni di abbagliamento e riflesso con
conseguente difficoltà visiva che, se protratta nel tempo, può dare effetti
negativi (affaticamento, irritazione oculare, cefalee, ecc.) oltre a creare
difficoltà nello svolgimento del lavoro.
Si
possono poi avere carenze nella struttura e nell’igiene dei locali. In tal caso
fattori legati alla struttura dei locali, alla tipologia d’uso degli stessi,
alla disposizione dei flussi delle persone, dei veicoli, dei materiali, possono
essere causa di infortuni quali: cadute dalle scale, inciampo, investimento,
ecc.
In
tutte le aree di lavoro, ma in particolar modo nelle zone dove si hanno
maggiori flussi di persone e di mezzi (come ad esempio nei magazzini, nelle
aree di ricevimento e spedizione delle merci), l’organizzazione delle vie di
transito di mezzi di trasporto dei materiali (automezzi, muletti, transpallets,
ecc.) e della circolazione dei pedoni, se non progettata e realizzata in modo
funzionale, può provocare investimenti di persone, urti, schiacciamenti,
ribaltamenti dei mezzi ecc.
Anche
la pavimentazione è importante: la presenza di buche, sporgenze e ostacoli non
rimovibili è causa di sbandamento e rovesciamento dei mezzi di trasporto, ma
anche di scivolamenti, inciampo e cadute dei pedoni. Non bisogna poi
dimenticare che il sottodimensionamento di vie di fuga e uscite di emergenza,
la presenza di ostacoli che impediscono un transito agevole, o ancora,
materiali che ingombrano il passaggio, sono tutte situazioni che non
consentono, in caso di pericolo grave ed immediato, il rapido raggiungimento
del luogo sicuro.
Inoltre
i locali di lavoro e gli impianti devono essere mantenuti in buono stato e
regolarmente puliti. E in tutti i casi, occorre prestare attenzione alle
possibili infiltrazioni di umidità, con conseguente formazione di muffe, che
concorrono a creare un ambiente insalubre per chi vi lavora. Il documento si
sofferma poi sulle condizione di igiene e ricorda anche le indicazioni normative
relative all’eventuale uso di locali seminterrati o interrati.
Veniamo
a qualche indicazione per la prevenzione.
Riguardo
al microclima si indica che:
-
partendo
dal presupposto di una corretta progettazione dei locali, nel rispetto dei
parametri previsti dalla normativa vigente, è di fondamentale importanza la
verifica e la manutenzione periodica degli impianti stessi, che deve avvenire
in modo programmato;
-
la
scelta della postazione di lavoro dell’operatore deve essere effettuata tenendo
presente la posizione delle fonti di calore (macchine, vetrate, ecc.);
-
se,
per ragioni legate al ciclo lavorativo e al tipo di lavoro da effettuare, non é
possibile, adottando le migliori tecnologie, ottenere ideali condizioni di
temperatura, umidità relativa e velocità dell’aria, è necessario prevedere
periodi di acclimatazione, pause e periodi di riposo; in questi casi, è inoltre
necessario indossare abiti protettivi atti a sopperire alle condizioni
microclimatiche sfavorevoli.
Il
documento segnala, ad esempio, che se il ciclo lavorativo prevede un passaggio
continuo di un lavoratore da un ambiente interno a uno esterno, questo
lavoratore nella stagione invernale sarà continuamente sottoposto a sbalzi
termici. In questi casi, è buona norma organizzare il lavoro in modo da ridurre
al minimo il transito tra un ambiente caldo e uno freddo, e dotare i lavoratori
di abbigliamento che ripari dal freddo.
Riguardo
all’illuminazione si indica che l’illuminazione dei posti di lavoro deve
consentire una buona visione, in modo da poter svolgere correttamente il lavoro
in tutte le ore del giorno e in tutte le stagioni.
La
realizzazione di un impianto di illuminazione in un locale industriale deve
essere effettuata valutando il tipo di struttura in cui l’impianto si inserisce
e il tipo di attività che vi si svolge, quindi la disposizione delle postazioni
di lavoro, dei flussi delle persone e gli spostamenti dei materiali che possono
far mutare gli spazi di manovra e di transito, ovvero l’area da illuminare.
Inoltre
posto che nei locali industriali l’attività lavorativa è svolta utilizzando
macchine utensili, è opportuno che vengano installati impianti di qualità
elevata, in grado di assicurare condizioni lavorative ottimali, unitamente a un
elevato grado di sicurezza per il personale. In ogni caso, l’illuminazione
generale dei locali industriali va molto spesso coordinata e integrata con
un’illuminazione localizzata. Fondamentale, come per ogni impianto, è la
manutenzione, che per edifici di vaste dimensioni, se avviene in modo
programmato e periodico, garantisce notevoli vantaggi economici.
Veniamo
infine alle misure di prevenzione nella struttura e nell’igiene dei locali:
-
corretta
collocazione e organizzazione delle vie di circolazione di mezzi e pedoni in
prossimità di zone pericolose;
-
segnalazione
ed eventuale segregazione delle zone pericolose (buche e/o sporgenze, ostacoli
non rimovibili, porte, portoni, ecc.): tutte le zone pericolose, se non possono
essere rimosse, devono essere adeguatamente segnalate ed evidenziate; è bene
ricordare che il formarsi di una buca o un gradino, non deve essere risolto
apponendo un cartello di pericolo, ma programmando in modo funzionale e in
linea con le esigenze aziendali, il suo ripristino in tempi ragionevoli, anche
in relazione al grado di rischio;
-
verifica
periodica di buona efficienza di tutte le strutture: pavimenti, passaggi, vie
di transito, scale, vie e uscite di emergenza: è fondamentale effettuare
periodicamente la verifica di buona efficienza di tutte le strutture dei locali
di lavoro (porte, portoni, finestre, pavimenti, passaggi, porte di emergenza,
soppalchi, ecc.), ed eseguirne regolarmente la manutenzione, che garantisce la
funzionalità; a questo proposito, azioni di sensibilizzazione sotto forma di
informazione e formazione del personale che utilizza detti locali, permettono
di focalizzare meglio, e senz’altro in tempi brevi, gli eventuali problemi che
si vengono via via a creare;
-
manutenzione,
pulizia, e verifiche di efficienza di spogliatoi, gabinetti, docce e lavabi,
locali di riposo: la manutenzione, la pulizia e la verifica di buona efficienza
delle strutture devono essere effettuate, per garantire le condizioni di igiene
dei servizi;
-
aerazione
di locali sotterranei o semisotterranei, qualora utilizzati.
Il
documento INAIL “Labor Tutor - Un percorso formativo sulla prevenzione dei
fattori di rischio tipici del settore metalmeccanico”, realizzato in
collaborazione con Enfea, edizione 2011 è scaricabile all’indirizzo:
IL DECRETO
LEGISLATIVO 151 DEL 2015 E L’ABROGAZIONE DEL REGISTRO INFORTUNI
Da:
PuntoSicuro
03
novembre 2015
di
Tiziano Menduto
Con
l’entrata in vigore del D.Lgs.151/15 si avrà l’abolizione dell’obbligo di
tenuta del Registro Infortuni a decorrere dal 23 dicembre 2015.
Le
modifiche del D.Lgs.81/08, il Sistema Informativo Nazionale per la Prevenzione nei luoghi
di lavoro (SINP) mancante e la nuova denuncia alla Commissione europea.
Alcune
delle novità contenute in uno dei Decreti correlati all’attuazione delle
deleghe del “Jobs Act” (Legge 10 dicembre 2014, n. 183) riguarda il Registro
Infortuni, un documento riepilogativo finalizzato a fornire dati sull’andamento
del fenomeno infortunistico all’interno delle imprese.
Un
Registro che, riprendendo le parole di una vecchia circolare del Ministero del
Lavoro, ha lo scopo di “fornire ai dirigenti e ai preposti delle aziende le
indicazioni necessarie alla prevenzione degli infortuni”. E, soprattutto, di
dare agli organi di vigilanza in materia di salute e sicurezza “uno strumento
di controllo, per valutare la frequenza, la gravità e le cause degli infortuni
nell’azienda e di guida per indirizzare l’attività di vigilanza”.
Prima
di affrontare le novità del D.Lgs.151/15, ricordiamo che il D.Lgs.81/08, in
relazione alla documentazione tecnico amministrativa e statistiche degli
infortuni e delle malattie professionali, aveva già previsto nel 2008 una sua
abrogazione.
Infatti
l’articolo 53, comma 5 prevedeva che:
“Fino
ai sei mesi successivi all’adozione del Decreto interministeriale di cui
all’articolo 8 comma 4, del presente Decreto restano in vigore le disposizioni
relative al Registro Infortuni ed ai registri degli esposti ad agenti
cancerogeni e biologici”.
L’abrogazione
sarebbe avvenuta a seguito dell’istituzione del SINP, il Sistema Informativo
Nazionale per la
Prevenzione di infortuni e malattie professionali (istituito
appunto dall’articolo 8 del Testo Unico), un importante strumento nato per
fornire dati utili per orientare, programmare, pianificare e valutare
l’efficacia della attività di prevenzione degli infortuni e delle malattie
professionali di tutti i soggetti coinvolti nella tutela della salute dei
lavoratori.
Uno
strumento che, purtroppo, rappresenta a oggi una delle principali carenze della
nostra normativa: il decreto interministeriale, dal 2008, non è mai stato
emanato.
E
l’interpello n.9/14, aveva chiarito che in attesa dell’emanazione del nuovo
Decreto interministeriale (articolo 8, comma 4 del D.Lgs.81/08) istitutivo del
SINP (che disciplinando le modalità di comunicazione degli infortuni avrebbe
fatto venir meno le disposizioni relative al Registro Infortuni e le relative
disposizioni sanzionatorie), le aziende che ricadevano nella sfera di applicazione
del Registro erano soggette alla tenuta del Registro Infortuni. E questo mentre
molte Regioni in questi anni, ad esempio la Regione Lombardia
e la Regione Veneto,
avevano soppresso l’obbligo di vidimazione del Registro Infortuni.
In
questa situazione, complicata dall’impaludamento e dai ritardi del decreto di
istituzione del SINP, interviene ora il Decreto Legislativo 14 settembre 2015,
n.151 “Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e
degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in
materia di rapporto di lavoro e pari opportunità, in attuazione della Legge 10
dicembre 2014, n.183”.
Vediamo
innanzitutto quanto indicato dal nuovo D.Lgs.151/15 agli articoli 20 e 21.
L’articolo
20, comma 1, lettera h) prevede che:
“Al
decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, sono apportate le seguenti
modificazioni:
[...]
all’articolo
53, comma 6, le parole al Registro Infortuni ed sono soppresse;
[...]”
L’articolo
21, comma 4 prevede poi che:
“A
decorrere dal novantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del
presente decreto, e’ abolito l’obbligo di tenuta del Registro Infortuni”.
Dunque
con il D.Lgs.151/15 si prevede la soppressione del riferimento al Registro
Infortuni nell’articolo 53 del D.Lgs.81/08 e (in coordinamento con quanto
previsto all’articolo 21, comma 4) l’abolizione dell’obbligo di tenuta del
Registro Infortuni a decorrere dal novantesimo giorno successivo all’entrata in
vigore del D.Lgs.151/15, entrato in vigore il 24 settembre 2015. Dunque
l’abolizione sarà effettiva dal 23 dicembre 2015.
Riportiamo
per chiarezza l’articolo 53, comma 6 del D.Lgs.81/08, come corretto dal
D.Lgs.151/15:
“Fino
ai sei mesi successivi all’adozione del decreto interministeriale di cui
all’articolo 8 comma 4, del presente decreto restano in vigore le disposizioni
relative ai registri degli esposti ad agenti cancerogeni e biologici”.
Rimane
da chiedersi ora se l’aver anticipato l’abrogazione del Registro prima del
Decreto interministeriale ex articolo 8, comma 4 del D.Lgs.81/08 e
dell’operatività del SINP, non possa essere un elemento in grado di diminuire,
anche solo temporaneamente, le strategie di prevenzione e di vigilanza in
materia di salute e sicurezza.
Chi
è sicuramente di questo avviso è Il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza toscano Marco
Bazzoni che in questi anni ha presentato una serie di denunce alla Commissione
Europea per supposte (in molti casi riconosciute) violazioni delle Direttive
europee e che ha recentemente ricevuto anche una menzione speciale del Premio
giornalistico Pietro Di Donato per la sicurezza sul lavoro.
Marco
Bazzoni ha recentemente presentato una nuova denuncia (già protocollata dalla
Commissione con numero CHAP(2015)02849) che riguarda anche il Registro
Infortuni.
Non
possiamo che concludere il nostro articolo sulle novità del Registro Infortuni
con alcune sue risposte alle nostre domande.
COSA
RIGUARDA LA NUOVA
DENUNCIA IN MATERIA DI SICUREZZA E SALUTE SUL LAVORO?
La
denuncia riguarda il non corretto recepimento della Direttiva Quadro 89/391/CEE
da parte del D.Lgs.151/15. In particolare, verte sulla abolizione della tenuta
del Registro Infortuni e sul fatto di permettere al datore di lavoro di
occuparsi direttamente di primo soccorso, antincendio e evacuazione. La
denuncia si sofferma anche sul lavoro accessorio e quello volontario.
QUALI
POTREBBERO ESSERE I TEMPI DI QUESTA DENUNCIA CHE E’ STATA GIA’ RICEVUTA E
PROTOCOLLATA?
I
tempi sono abbastanza lunghi, in genere la Commissione Europea
ha 12 mesi per prendere una decisione (ma 12 mesi sono il minimo). In genere
per arrivare ad aprire una procedura d’infrazione passano anche 24 mesi.
IN
DIVERSI CASI L’UNIONE EUROPEA E LO STESSO LEGISLATORE NAZIONALE HANNO
DIMOSTRATO CHE ALCUNE DELLE CONTESTAZIONI PASSATE ERANO FONDATE...
Si,
la Commissione
Europea mi ha dato ragione due volte e il Governo Italiano si
è adeguato due volte con la
Legge Europea 2013 bis e la Legge Europea 2014.
Ad
esempio l’Italia si è dovuta adeguare, a quanto richiesto dalla Commissione,
relativamente alla proroga dei termini prescritti per la redazione di un
Documento di Valutazione dei Rischi per una nuova impresa o per le modifiche
sostanziali apportate allo stesso documento da un’impresa esistente.
E,
con la Legge Europea
n.115 del 29 luglio 2015,
in relazione ai limiti del campo di applicazione della
Direttiva 92/57/CEE per i cantieri temporanei o mobili.
Ma
non dimentichiamo che anche sull’autocertificazione del DVR per le imprese fino
a 10 dipendenti c’è stato un adeguamento, ma senza legge: dopo la procedura
d’infrazione, le autorità hanno smesso di prorogarla e la procedura è stata
chiusa.
Il
Decreto Legislativo 14 settembre 2015, n.151 “Disposizioni di razionalizzazione
e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e
imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari
opportunità, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183” è scaricabile
all’indirizzo:
La Legge 10 dicembre 2014,
n.183 “Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei
servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino
della disciplina dei rapporti di lavoro e dell’attività ispettiva e di tutela e
conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro” è scaricabile
all’indirizzo:
RISCHIO AMIANTO: LE
QUESTIONI APERTE
Da:
PuntoSicuro
03
novembre 2015
Il
rischio da malattie asbesto correlate è ancora alto in tutta Italia, nonostante
ciò il quadro delle conoscenze mediche e delle tutele legali è ancora incerto.
Per
parlare di questo argomento, l’Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi sul
Lavoro (ANMIL) ha tenuto il 14 ottobre il convegno “Rischio amianto: il quadro
informativo aggiornato e gli strumenti pratici per la migliore assistenza e
tutela", con l’obiettivo di fornire ai professionisti della sicurezza,
agli avvocati, agli addetti ad attività che comportino l’utilizzo di amianto,
alle persone disabili e già esposte a tale materiale un quadro aggiornato di
informazioni medico statistiche sul tema, oltre che un excursus aggiornatissimo
sulla casistica giurisprudenziale, nazionale e internazionale, in tema di
risarcimento dei danni da amianto.
Il
seminario ha inoltre fornito alle persone esposte, ovvero ai loro familiari,
tutte le informazioni necessarie per poter accedere ai migliori servizi di
tutela e assistenza.
Pubblichiamo
l’intervento di Paolo Varesi, membro della Commissione Consultiva permanente
per la salute e la sicurezza sul lavoro.
STATO
DELL'ARTE E PROSPETTIVE IN MATERIA DI CONTRASTO ALLE PATOLOGIE ASBESTO
CORRELATE
L’Italia
è stata tra i primi Paesi che hanno vietato l’impiego del minerale fibroso
amianto con la messa al bando delle attività a esso correlate, operata
attraverso la Legge
257 del 27 marzo 1992 “Norme relative alla cessazione dell’impiego
dell’amianto” (propriamente vietandone l’estrazione, l’importazione,
l’esportazione, la produzione industriale e la commercializzazione, mentre
consentito è, per forza di cose l’utilizzo, considerati i necessari interventi
di manutenzione e bonifica).
Tuttavia
il nostro Paese è stato uno dei maggiori produttori e utilizzatori di amianto
fino alla fine degli anni ‘80.
Dal
dopoguerra al bando del 1992 sono state prodotte 3.748.550 tonnellate di
amianto grezzo.
Le
importazioni italiane di amianto grezzo sono state pure molto consistenti mantenendosi
superiori alle 50.000 tonnellate anno fino al 1991. Complessivamente l’Italia
dal dopoguerra al 1992 ha
importato 1.900.885 tonnellate di amianto. Per il costo contenuto e l’ampia
disponibilità, l’utilizzo dell’amianto è avvenuto in numerosissime applicazioni
industriali sfruttando le proprietà di resistenza al fuoco, di isolamento e
insonorizzazione.
Fra
gli agenti cancerogeni, l’amianto si caratterizza per una serie di fattori di
particolare pericolosità, legati alle quantità del materiale usato, in una
gamma assai ampia di attività industriali, al numero di lavoratori esposti,
alle ricadute in termini di matrici ambientali contaminate, con conseguenze di
rischi per la salute non solo negli ambienti di lavoro.
La
sorveglianza e la protezione dall’esposizione ad agenti cancerogeni è un tema
di grande rilevanza, e ancora di grande attualità, per la salute e la sicurezza
nei luoghi di lavoro.
La
sorveglianza epidemiologica dei casi di mesotelioma è affidata dal Decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri n.308/02 al Registro Nazionale dei
Mesoteliomi (ReNaM) istituito presso l’INAIL, Settore Ricerca Dipartimento
Medicina del Lavoro, che si struttura come un network ad articolazione
regionale.
Presso
ogni Regione è stato istituito un Centro Operativo Regionale (COR) con compiti
di identificazione di tutti i casi di mesotelioma incidenti nel proprio
territorio e di analisi della storia professionale, residenziale e ambientale
dei soggetti ammalati. I COR sono oggi istituiti in tutte le Regioni e Province
Autonome del Paese ad eccezione del Molise e della Provincia Autonoma di
Bolzano.
Ogni
anno viene pubblicato un Rapporto, (siamo in attesa della V Edizione) che
riferisce dei casi di mesotelioma rilevati dalla rete dei COR del ReNaM con una
diagnosi a partire dall'anno 1993.
Il
IV Rapporto ha evidenziato informazioni relative a 15.845 casi di mesotelioma
maligno (MM) registrati in ragione di un sistema di ricerca attiva e di analisi
individuale delle storie professionali, residenziali e familiari dei soggetti
ammalati.
La
malattia insorge a carico della pleura nel 93% dei casi; sono presenti 1.017
casi peritoneali (6,4%), 41 e 51 casi rispettivamente a carico del pericardio e
della tunica vaginale del testicolo.
L’età
media alla diagnosi è di 69,2 anni senza differenze apprezzabili per genere
(70,1 anni nelle donne e 68,8 negli uomini).
Fino
a 45 anni la malattia è rarissima (solo il 2,3% del totale dei casi registrati)
e la percentuale di casi con una età alla diagnosi inferiore a 55 anni è pari
al 9,4% del totale. Il 71,6 % dei 15.845
casi archiviati è di genere maschile.
Le
modalità di esposizione sono state approfondite per 12.065 casi (76,1%).
Nell’insieme dei casi con esposizione definita (12.065 soggetti ammalati), il
69,3% presenta un’esposizione professionale ad amianto (certa, probabile,
possibile), il 4,4% familiare, il 4,3% ambientale, l’1,6% per un’attività
extralavorativa di svago o hobby. Per il 20,5% dei casi l’esposizione è
improbabile o ignota.
La
percentuale di casi di mesotelioma, quindi, per i quali l’analisi anamnestica
ha rilevato un’esposizione ad amianto lavorativa, ambientale, familiare, o a
causa di hobby è, sull’intero set di dati, pari al 79,6%.
La
latenza è stata misurata per i 8.157 casi per i quali è disponibile l’anno di
inizio esposizione come differenza fra questa data e l’anno di incidenza. La
mediana della latenza è di 46 anni.
Considerando
l’intera finestra temporale di osservazione (1993-2008) e i soli soggetti
colpiti dalla malattia per motivo professionale, si conferma l’estrema ampiezza
dei settori di attività economica coinvolti e il peso non esclusivo
dell’esposizione in settori per i quali è più diffusa la consapevolezza e la
sensibilità dell’opinione pubblica come la cantieristica navale e l’industria
del cemento amianto. I dati del Registro mostrano come l’esposizione in questi
due settori di attività economica riguarda meno del 10% dei casi diagnosticati
nel quadriennio 2005-2008.
L’amianto
è stato bandito in Italia da oltre venti anni e sono disponibili oggi
informazioni solidissime in ordine alla epidemiologia, alla eziologia e alla
patogenesi delle malattie amianto correlate.
Tuttavia
rimangono aperte una serie di questioni rilevanti e tra queste:
-
l'identificazione
parziale dei soggetti che sono stati esposti (per motivi di vita o di lavoro)
ad amianto prima del bando;
-
la
disomogeneità fra le diverse aree del Paese dei protocolli di sorveglianza
sanitaria disponibili per i soggetti esposti;
-
l'insussistenza
delle prospettive di cura e di reale allungamento della prospettiva e della
qualità di vita per i soggetti ammalati di mesotelioma;
-
il
consolidamento e la completa copertura territoriale del Registro Nazionale dei
Mesoteliomi, che è internazionalmente riconosciuta come una delle più
significative esperienze di ricerca e di sorveglianza epidemiologica delle
malattie professionali;
-
la
rapida attuazione ed estensione delle attività di rilevazione a tutti i tumori
di sospetta origine professionale, in applicazione al D.Lgs.81/08;
-
la
completa approvazione e finanziamento del Piano Nazionale Amianto e del
programma di censimento, bonifica e smaltimento dei materiali contaminati;
-
l’incremento
del finanziamento del Fondo per le vittime dell'amianto.
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