Riporto a seguire un articolo da me
scritto per la rivista on line “Giornale Comunista - La Città Futura” (http://www.lacittafutura.it) che lo ha recentemente pubblicato in due parti il 16
e 23 ottobre 2015.
L’articolo analizza i dati reali delle
morti sul lavoro e individua quali sono le cause e le responsabilità economiche
e politiche di questa continua strage.
L’articolo vuole essere uno spunto di
dibattito e soprattutto di ricerca di soluzioni concrete per la difesa della
salute e della sicurezza, ma anche della dignità, dei lavoratori.
Marco Spezia
* * * * *
MORTI SUL LAVORO: GLI EROI SENZA VOLTO
I DATI REALI E LA MENZOGNA DELLO STATO
In Italia ogni anno avvengono più di un
milione di infortuni sul lavoro, 1.200 di questo sono infortuni mortali. Ciò
significa, contando tutti i giorni dell’anno, che in Italia ogni giorno muoiono
3 lavoratori per infortunio (fonte Osservatorio Indipendente di Bologna morti
sul lavoro http://cadutisullavoro.blogspot.it).
A tale cifra occorre aggiungere le
malattie professionali, cioè le patologie contratte sui luoghi di lavoro a
causa di agenti nocivi: ogni anno in Italia vengono denunciate circa 5.000
malattie professionali, centinaia di queste sono mortali.
Occorre aggiungere che i dati sopra
riportati sono desunti da un’associazione di volontariato (l’Osservatorio Indipendente
di Bologna morti sul lavoro di Carlo Soricelli) e sono dati reali in quanto
raccolti da una fitta rete di collaboratori che ogni giorno analizzano gli
articoli sui giornali e sui blog, le notizie alla radio e alla televisione.
I dati ufficiali, quelli dell’INAIL (662
morti sul lavoro nel 2014) sono del tutto sottostimati e volutamente
incompleti. Essi infatti sono relativi solo ai lavoratori assicurati INAIL (i
lavoratori dipendenti) e non comprendono quindi i lavoratori autonomi, i
lavoratori atipici, i lavoratori familiari, i lavoratori in nero.
I dati ufficiali inoltre parlano di lento,
ma costante calo del fenomeno infortunistico, anche mortale, mentre i dati del
citato Osservatorio parlano di lieve aumento dal 2008 a oggi, che diventa più marcato
se raffrontato al numero di lavoratori occupati, in costante calo nel corso
degli ultimi anni.
In Italia è quindi in corso una vera e
proprio guerra: i numero riportati sopra lo confermano. questa guerra conta
ogni anno migliaia di donne e uomini sacrificati in nome del lavoro e
dimenticati da tutti: eroi senza volto appunto.
Eppure di questa guerra non si parla quasi
mai. I media riportano le notizie di infortunio solo raramente, in genere in
brevi trafiletti di cronaca. I media parlano di infortuni sul lavoro o di
malattie professionali solo quando l’effetto mediatico è importante (come nel
caso della Thyssen Krupp, del crollo della palazzina di Barletta,
dell’esplosione della fabbrica di fuochi di artificio a Bari, dell’Eternit di
Casale Monferrato).
Anche in questo caso la morte sul lavoro
viene raccontata solo quando fa notizia, secondo le becere regole della
comunicazione.
Becere regole che nascondono o
minimizzano, assecondando i poteri politici, imprenditoriali e finanziari, un
fenomeno devastante, per far credere che il mondo del lavoro nel sistema
sociale italiano, sia un ambiente “sano”.
Menzogne che nascondo le pesanti e gravi
responsabilità delle istituzioni e dei gruppi di potere, assolvendoli da quella
che di fatto è il reato di omicidio volontario.
LE CAUSE E LE RESPONSABILITA’: LA
LEGISLAZIONE E LA NORMATIVA
A fronte della strage sopra indicata,
oltre allo sdegno e alla rabbia, è fondamentale ricercare le cause reali e le
responsabilità individuali e istituzionali.
Le morti sul lavoro non sono dovute a
carenze legislative e normative.
L’Italia è sempre stata all’avanguardia
nella legislazione per la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.
Già negli anni ’50 vennero emanati
numerosi Decreti per la salvaguardia dei lavoratori sia nelle lavorazioni
industriali, sia nei cantieri. Queste leggi indicavano importanti misure di
tutela sia della sicurezza che della igiene dei lavoratori. Esse erano talmente
complete e innovative che sono sopravvissute fino ai nostri giorni, rimanendo
in vigore sino al 2008 e venendo inglobate poi nella normativa successiva.
A partire dagli anni ’90 poi, queste
normative sono state integrate e adeguate ai progressi tecnologici e
scientifici, a seguito dei numerosi recepimenti delle Direttive Europee per la
tutela della salute e della sicurezza sul lavoro.
Infine nel 2008 tutto il corpo legislativo
in materia di tutela di salute e sicurezza è stato incorporato e armonizzato
nel Decreto Legislativo n.81 (il cosiddetto “Testo Unico” sulla sicurezza), un
testo complesso (più di 300 articoli e 52 allegati) che costituisce una base
fondamentale e tecnicamente adeguata.
Oltre alle fonti legislative inoltre da
anni l’Italia è all’avanguardia nel settore della ricerca tecnica per la
riduzione degli infortuni e delle tecnopatie, prima con l’ENPI (Ente Nazionale
Prevenzione Infortuni), poi con l’ISPESL (Istituto Superiore per la Prevenzione
E la Sicurezza e sul Lavoro), ora con l’INAIL (Istituto Nazionale per
l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro), affiancati dai Dipartimenti
dedicate della Aziende Sanitarie Locali.
Nella letteratura scientifica e nella
normativa tecnica italiana sono disponibili tutti gli strumenti tecnici e
scientifici per ridurre, affiancati alla legislazione di merito, a livelli
trascurabili il fenomeno infortunistico e patologico legato alle attività
lavorative.
Va osservato che da sempre le classi
imprenditoriali e i gruppi politici ad essi collegati, hanno cercato di
diminuire le tutele legislative per i lavoratori.
Solo per il Testo Unico del 2008, il
governo Berlusconi, il governo Letta e oggi il governo Renzi sono intervenuti
con decreti peggiorativi, modificandone in parte i contenuti e diminuendo in
tal modo le tutele per i lavoratori.
Ma in ogni caso il Testo Unico, assieme
alle fonti del diritto (Codice Civile, Codice Penale e Costituzione)
costituiscono una importantissima garanzia per la tutela della salute e della
sicurezza dei lavoratori.
Occorre osservare che Il Testo Unico è una
norma di carattere penale, nel senso che il mancato adempimento agli obblighi
che esso impone costituisce, nel caso venga accertato dagli organi di vigilanza
(che vedremo dopo quali sono), comporta un reato penale.
Eppure, nonostante tutto questo, i numeri
parlano chiaro: la guerra continua, la strage non si arresta.
Qual è dunque il motivo, se le leggi e le
norme ci sono, perché si continui a morire e ad ammalarsi sul lavoro?
La risposta è semplice ed è la stessa che
si ripete ogni qual volta si cerchi di proteggere gli sfruttati: la legge c’è
ed è buona, ma volutamente non si applica e volutamente non si fa niente per
farla applicare.
Le responsabilità in tal senso sono chiare
e i motivi sono evidenti.
LE CAUSE E LE RESPONSABILITA’: LA LOGICA
DEL PROFITTO
La prima e principale causa dello
stillicidio di morti sul lavoro e di malattie professionali, da cui discendono
poi tutte le altre come logica conseguenza, è la concezione capitalista del
lavoro che mette in primo piano la logica del profitto, al di là ogni altra considerazione
etica o morale.
Il fatto è che creare le condizioni perché
il lavoro sia sicuro e salubre ha un costo, per giunta un costo non produttivo,
perché non è finalizzato alla crescita dei ricavi.
Tutte le misure di prevenzione e
protezione indicate come obbligatorie dalla legislazione vigente comportano per
il datore di lavoro (cioè il padrone) un costo.
Facciamo solo qualche esempio:
-
la formazione dei lavoratori ha un costo,
in quanto comporta il pagamento di un onorario o dello stipendio di chi eroga
il corso e comporta (visto che la formazione deve, per legge, essere svolta in
orario di lavoro) un mancato utilizzo della mano d’opera in attività
produttive;
-
la sorveglianza sanitaria ha un costo
analogo: quello del medico competente, degli specialisti, delle strutture che
eseguono visite mediche e accertamenti sanitari e di nuovo il mancato utilizzo
del lavoratore in attività produttive;
-
rendere sicuri le attrezzature e i luoghi
di lavoro, cioè realizzarli, comprarli o metterli a norma comporta il costo
delle aziende che eseguono i lavori di messa a norma;
-
le macchine sicure hanno minore
produttività, perché comportano fermi di produzione se la macchina non è in
condizioni di sicurezza e la minore produttività è un costo indiretto;
-
mantenere le macchine e i luoghi di lavoro
sicuri e salubri, mediante manutenzioni programmate, pulizia, igienizzazione
comporta il pagamento delle ditte di manutenzione o di pulizia industriale;
-
i dispositivi di protezione collettiva
(ponteggi, coibentazioni, insonorizzazioni, ecc.) e quelli individuali (caschi,
cinture di sicurezza, scarpe antinfortunistiche, ecc.) hanno un costo che non
si traduce in maggiore produttività;
-
procedure di lavoro sicure (ad esempio il
lavoro in coppia, le pause nelle attività più faticose, le fermate delle linee
di produzione per eseguire manutenzioni in sicurezza) hanno un costo.
Tutti questi maggiori costi come già detto
non comportano una maggiore produttività e quindi non comportano un maggiore
profitto, inteso come differenza tra ricavato della vendita e costo di
produzione.
Per dirla in altre parole, quello della
sicurezza è un plusvalore che l’imprenditore non ha nessuna intenzione di
accollarsi, se non vi viene costretto.
Per
dirla con Karl Marx “Al padrone non interessa nulla della vita e della
salute dell’operaio, se non ci sono le leggi che glielo impongono”.
Ma come vedremo dopo questa imposizione,
nonostante che le leggi ci siano, di fatto non sussiste, oppure sussiste in
maniera percentualmente irrilevante.
In conclusione, mancando la coercizione a
“fare sicurezza”, i padroni non la fanno, riducendo il costo del lavoro e
aumentando il loro profitto, unica leva dell’economia capitalista.
LE CAUSE E LE RESPONSABILITA’: LA
STRUTTURA PRODUTTIVA
Quanto detto sopra vale a livello
generale, per qualunque tipologia e dimensione di azienda.
La struttura produttiva dell’economia
italiana amplifica però il fenomeno, portandolo alle estreme conseguenze.
Infatti storicamente la struttura
produttiva italiana è sempre stata caratterizzata da una notevole
parcellizzazione delle realtà aziendali con la maggior parte del tessuto
lavorativo costituito da piccole aziende o da lavoratori autonomi.
Ultimamente poi la tendenza delle grandi
aziende è quella di esternalizzare tutte quelle attività che non costituiscono
“core business” e che (in ottica di flessibilità) conviene (anche
economicamente) affidare in appalto.
Ormai gli appalti sono caratterizzati da
una catena di subappalti, per cui poi alla fine chi esegue effettivamente il
lavoro sono piccole aziende con un imprenditore e pochi lavoratori o lavoratori
“autonomi”.
Questa parcellizzazione del lavoro rende
ancora meno conveniente al piccolo imprenditore o al lavoratore autonomo
rispettare gli obblighi sanciti dalla normativa vigente.
Mentre infatti le grandi aziende hanno
strutture finanziarie e di personale tali da poter ammortizzare in maniera più
semplice i costi per la sicurezza, per le piccole imprese (strette tra l’altro
da contratti capestro imposte dai committenti) rispettare o non rispettare la
normativa può fare la differenza tra sopravvivere o fallire.
Inoltre le piccole aziende, proprio perché
numericamente elevatissime e disperse sul territorio, sono molto più difficili
da controllare da parte degli organismi pubblici preposti al controllo
dell’applicazione della normativa.
E’ facile in questi casi che le aziende
risultino del tutto inadeguate a rispettare la normativa e quindi di fatto del
tutto fuori legge, inadempienti alle norme di diritto del lavoro in generale e
sulla sicurezza in particolare.
Queste piccole aziende, sempre per motivi
prettamente economici, ricorrono poi spesso al lavoro nero e si appoggiano ai
caporali per trovare mano d’opera a basso prezzo e ricattabile.
Le grandi aziende poi sono quasi sempre
pesantemente sindacalizzate e, quando il sindacato ha cuore la salute e la
sicurezza dei lavoratori (il che purtroppo spesso non avviene), sa creare una
massa critica di lavoratori organizzati disposti a battersi per difendere i
propri diritti.
Nelle piccole aziende e tra i lavoratori
autonomi il sindacato non esiste e i lavoratori sono lasciati da soli,
sottoposti, loro malgrado, alla legge del più forte.
Inoltre, l’evoluzione del diritto del
lavoro che ha sostanzialmente ufficializzato il caporalato tramite la creazione
del lavoro somministrato (quello interinale), ha creato un esercito di
lavoratori che vengono venduti da un’azienda all’altra, senza possibilità di
svolgere un’accurata formazione, spesso senza avere diritto alla sorveglianza
sanitaria per i tempi brevi passati all’interno di un’azienda, senza poter
acquisire quel minimo di esperienza e di sensibilità ai rischi che
contraddistinguono invece i lavoratori dipendenti.
Infine sia i dipendenti di piccole
aziende, sia i lavoratori autonomi, sia i lavoratori somministrati sono più
suscettibili dei dipendenti di aziende più grandi e strutturate al ricatto tra
lavoro e sicurezza di cui parleremo a seguire.
LE CAUSE E LE RESPONSABILITA’: IL RICATTO
LAVORO O SICUREZZA
Mai come in questi ultimi anni, di fronte
a una crisi profonda del settore produttivo, dei servizi e del lavoro in
generale, si è assistito in maniera così imponente al ricatto fatto dagli
imprenditori tra lavoro e sicurezza.
Il bieco ricatto dei datori di lavoro è
ormai diventato uno slogan: “se vuoi lavorare, queste sono le condizioni; se
questo lavoro non ti va bene perché è pericoloso o insalubre, vattene pure a
cercarne un altro”.
A questa logica rispondono tutte le
aziende senza distinzioni, dalla più grandi (basti pensare alla Thyssen-Krupp o
alla ILVA di Taranto per fare due esempi di rilevanza mediatica) alle più
piccole.
Ovviamente però i lavoratori maggiormente
a rischio (per i motivi che vedevamo prima) sono i lavoratori precari a vario
livello (gli assunti a tempo determinato, i somministrati, i dipendenti di
piccole aziende, i lavoratori autonomi).
LE CAUSE E LE RESPONSABILITA’: LA
CANCELLAZIONE DEL DIRITTO DEL LAVORO
Nelle dinamiche lavorative fin qui
descritte, ha svolto e svolge un azione fondamentale e distruttiva, l’attacco
incessante degli ultimi decenni, da parte dell’imprenditoria e dei vari
schieramenti politici che ne seguono le direttive, al diritto del lavoro.
Buona parte dei diritti (lo Statuto del
Lavoratori) e delle forme di lotta che i lavoratori avevano per farli valere
stanno venendo annullate da atti legislativi ispirati agli interesse dei
settori produttivi, economici e finanziari che dettano le regole.
Rimanendo nell’ambito della legislazione
relativa alla salute e sicurezza sul lavoro, come sopra accennato, da quando è
stato licenziato, il Testo Unico ha subito continue modifiche, in senso sempre
di minore tutela per i lavoratori e a solo vantaggio delle aziende.
Con il paravento delle semplificazioni
sono state cancellate precise disposizioni organizzative nate con lo scopo di
difendere i lavoratori, sono stati ridotte le categorie di lavoratori tutelati
dal Testo Unico, sono state ridotte le sanzioni in caso di inadempienza, unico
vero deterrente per gli imprenditori inadempienti.
Con ultimo Jobs Act, oltre a ridurre in
generale tutti i diritti (costituzionali) dei lavoratori, si è messo mano
ancora al Testo Unico, limitando ulteriormente le garanzie.
LE CAUSE E LE RESPONSABILITA’: LA MANCANZA
DI CONTROLLI
A seguito di quanto sopra esposto e
ritornando alla frase citata di Karl Marx è evidente che l’unico modo per
garantire la vita e la salute dei lavoratori è il controllo dell’adempimento
della normativa vigente e l’applicazioni di sanzioni penali di natura monetaria
o detentiva agli inadempienti.
Secondo il Testo Unico il compito di
vigilare sull’effettivo adempimento da parte delle aziende degli obblighi
imposti dal Testo Unico stesso e nel contempo il compito di comminare le
sanzioni penali previste in caso di inadempienza spetta alle Aziende Sanitarie
Locali e, solo per quanto riguarda la sicurezza antincendio, al Corpo dei
Vigili del Fuoco.
Queste strutture, i cui ispettori sono
Ufficiali di Polizia Giudiziaria, con tutti i poteri che le fonti del diritto
danno loro, sono però in numero irrilevante rispetto alle dimensioni del
territorio e al numero di aziende da controllare, anche in funzione
dell’assetto produttivo italiano di cui si scriveva prima.
Secondo dati forniti dalle ASL stesse,
mediamente i loro ispettori sono in grado di controllare, nell’ambito di
attività routinarie e programmate (quindi al di là di infortuni gravi), non più
del 5% delle aziende del territorio di competenza. In altri termini una azienda
ha la probabilità di essere sottoposta a controllo di routine da parte delle
ASL una volta ogni 20 anni.
E’ evidente, nell’ambito della logica del
profitto che governa tutto il fenomeno, che i datori di lavoro hanno maggiore
interesse a non applicare la normativa, conseguendo quindi una riduzione di
costi e un aumento di ricavo, sapendo che così facendo la probabilità di subire
un accertamento da parte dell’organo di vigilanza è molto basso e che, in ogni
caso in caso di accertamento, l’inadempienza provocherebbe il pagamento di una
sanzione amministrativa ben inferiore al risparmio ottenuto in anni di attività
fuori legge.
Ultimamente poi, nell’ambito delle misure
contro il diritto del lavoro varate dal governo Renzi nell’ambito del Jobs Act,
è stato introdotto anche l’accorpamento delle Direzioni Territoriali del Lavoro
(che anche se non controllano direttamente gli aspetti legati alla salute e
alla sicurezza sul lavoro, controllano gli altri aspetti del diritto del
lavoro, spesso legati direttamente ai primi) e nel prossimo futuro delle
Aziende Sanitarie Locali preposte al controllo dell’adempimento del Testo
Unico.
Dietro quello che potrebbe essere una
razionalizzazione del settore ispettivo e una uniformazione dei criteri dei
controlli (oggi spesso diversi da regione a regione) si nasconde in realtà la
volontà di tenere sotto controllo le attività ispettive, facendo dipendere la
futura agenzia ispettiva nazionale direttamente dal governo, con una continua e
negativa ingerenza sulle attività che invece gli ispettori dovrebbero compiere
in piena libertà senza alcuna influenza di tipo politico.
LE CAUSE E LE RESPONSABILITA’: LE COMPLICITA’
GIUDIZIARIE
Come detto precedentemente le sanzioni a
carico degli imprenditori inadempienti agli obblighi del Testo Unico sono di
entità irrisoria, facendo venire meno ogni reale deterrenza all’apparato
sanzionatorio.
Va osservato però che, nel caso che tali
inadempienze si risolvano in un infortunio o una malattia professionale, a
carico del datore di lavoro inadempiente vengono formulate le accuse, a seconda
dei casi, di lesioni colpose o di omicidio colposo, come previsto dal Codice
Penale, il quale Codice prevede come aggravante il mancato rispetto della
normativa di salute e sicurezza sul lavoro, con pene non più solo
amministrative, ma anche detentive.
Ma anche in questo caso l’effetto
deterrente viene spesso e volentieri a mancare a causa delle lungaggini dei
processi che comportano in molti casi la prescrizione dei reati o di condanne a
pene detentive irrisorie (sospese per effetto condizionale) o addirittura a
semplici sanzioni amministrative.
In parole povere chi uccide o ferisce un
lavoratore a causa della sua condotta criminale in galera non ci va mai.
In questo ambito sembrava aver avuto un
effetto rivoluzionario la condanna in primo grado dei responsabili della
Thyssen Krupp per la morte dei sette operai nell’incendio del 6 dicembre 2007
non per il semplice omicidio colposo, ma per il reato ben più grave di omicidio
volontario, con la conseguenza dell’aggravio della pena, dell’annullamento
della possibilità della prescrizione e della sospensione condizionale della
pena.
Tale sentenza, oltre a costituire un caso
isolato, è stata prontamente annullata nel suo significato, dalla Corte di
Appello (con il successivo avvallo della Corte di Cassazione) che ha
derubricato l’omicidio da volontario a colposo.
LA SOSPENSIONE DEL DIRITTO ALLA SALUTE E
ALLA SICUREZZA: CHE FARE?
A fronte della esposizione finora svolta
la conclusione è ovvia: relativamente alla salute e alla sicurezza dei
lavoratori è stato di fatto sospeso il diritto di tutela dei lavoratori sancito
dalla Costituzione e dai Codici.
Questo sospensione di diritto alla salute
e alla vita si sta via via inasprendo, anche a causa della mancanza di una
opposizione di classe numericamente significativa.
Le azioni di lotta contro la guerra dei
morti sul lavoro ci sono, ma sono condotte da pochi (sindacati di base,
associazioni, singoli lavoratori, professionisti), spesso scoordinati tra di
loro e spesso senza l’appoggio delle vittime della guerra stessa: i lavoratori
che subiscono il ricatto tra salute e sicurezza e lavoro.
In quest’ambito, oltre a continuare senza
tregua la lotta da parte dei pochi che già oggi la portano avanti, è
indispensabile creare di nuovo consapevolezza (che non può che essere di
classe) tra i lavoratori, perché è vero che questi sono ricattati, ma se
reagiranno al ricatto in pochi e senza coordinamento non potranno che perdere,
mentre se lo faranno in tanti, se lo faranno tutti, il ricatto si ritorcerà
contro imprenditori e datori di lavoro.
Per questo occorre diffondere e spiegare
il più possibile quelli che sono i diritti sanciti dalla legislazione vigente e
come fare per pretendere che i padroni li applichino, tramite manifestazioni e
scioperi, ma anche tramite la denuncia agli organismi di vigilanza (ASL) e alla
Procura della Repubblica.
Soltanto se i lavoratori sapranno quali
sono i loro diritti per tutelare salute e sicurezza e si compatteranno con
l’obiettivo di pretendere che tali diritti vengano garantiti, si potrà sperare
in una inversione di tendenza nella strage quotidiana degli “eroi senza volto”.
Marco
Spezia
ingegnere
e tecnico della salute e della sicurezza sul lavoro
Progetto
Sicurezza sul lavoro: Know Your Rights!
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