lunedì 30 novembre 2015

30 novembre - Di Marco Spezia: SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! “LETTERE DAL FRONTE” DEL 30/11/15



INDICE

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ALBERTO PERINO: IL PUNTO SUL TAV TORINO-LIONE

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CONTRIBUTO ALL’OTTAVO CONGRESSO DI MEDICINA DEMOCRATICA DEL 19-21 NOVEMBRE A FIRENZE

Sinistra Lavoro info@sinistralavoro.it
NON C’E’ PIU’ L’ARTICOLO 18, MA LA RIPRESA NON SI E’ VISTA

MORTI BIANCHE, ANCORA MORTI BIANCHE: CHE COSA FARE?!
VIDEO DENUNCIA WHISLEBLOWING: LA SICUREZZA A ROMA

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Sent: Thursday, November 26, 2015 1:47 AM
Subject: ALBERTO PERINO: IL PUNTO SUL TAV TORINO-LIONE

Intervista di Olivier Turquet
21/11/15

In valle e tra coloro che hanno seguito i fatti del TAV in Val di Susa dire chi è Alberto Perino potrebbe risultare perfino ridicolo. Per tutti gli altri diciamo che Alberto è una persona che fin dall’inizio è stata punto di riferimento nelle assemblee No TAV; non un leader, ma una voce del movimento di resistenza popolare e di disobbedienza civile a un progetto dannoso e inutile.
ALBERTO, HO IL SOSPETTO CHE DA QUANDO VI HANNO LEVATO I RIFLETTORI DI DOSSO MOLTA GENTE NON SAPPIA BENE COSA STA SUCCEDENDO CON IL TAV LIONE-TORINO, IL CANTIERE E TUTTO IL RESTO. CI PUOI FARE UN QUADRO DELLA SITUAZIONE?
In realtà i riflettori li accendono solo quando ci sono gli scontri, quando ci sono i sabotaggi o vola qualche pietra in risposta ai massicci lanci di lacrimogeni da parte delle Forze del Disordine. Li accendono solo per darci addosso, per criminalizzarci.
Noi stiamo continuando quella resistenza civile nata oltre venticinque anni fa in difesa dei beni comuni che sono: le finanze dello Stato che derivano dalle tasse dei cittadini onesti, la qualità della vita, il territorio, l’acqua, l’aria, i servizi sociali, la scuola, la sanità, le pensioni; tutte cose che vengono distrutte con la costruzione delle cosiddette Grandi Opere Inutili e Imposte (GOII), che servono solo gli interessi dei soliti gruppi transnazionali che spolpano le finanze pubbliche in nome di un falso progresso.
I Governi Italiano e Francese continuano a dire che l’opera è strategica e che verrà fatta. Ma la crisi infuria e il pane manca e i fondi (al di la dei bei proclami) scarseggiano. L’Unione Europea dice che finanzierà l’opera, ma per ora finanzia solo gli studi. Sicuramente la lobby delle GOII è potente, ha soldi da spendere e risorse da mettere in campo anche a livello europeo. Per ora l’impressione che abbiamo è che lor signori cerchino di mettere dei paletti per dire che non importa quando, non importa come, ma un giorno l’opera si farà. Intanto si cerca di rastrellare tutto il denaro pubblico possibile a danno dei cittadini, continuando a far fare studi strapagati ai soliti amici. Il metodo Incalza è ben collaudato, anche se ora, mancando il regista, sembra che al Ministero abbiano qualche problema e molta paura di finire male.
Lato Francia stanno impiantando un cantiere per un tunnel geognostico di circa 10 km che dovrebbe partire dal piede della discenderia (geognostica) di Saint-Martin-La-Porte e finire al piede della discenderia (geognostica) di La Praz (entrambe queste discenderie sono già state terminate). Questo tunnel dovrebbe essere in asse e avere le stesse misure di uno dei due tunnel definitivi, in quel tratto. E’ un tunnel geognostico che dovrebbe studiare a fondo i problemi dovuti all’incontro di due sistemi geologici e delle relative faglie. La gara di appalto vinta da una cordata internazionale dei soliti noti (per l’Italia la solita CMC) prevede dieci anni di lavori per fare 10 km di galleria. Pur trattandosi di un tunnel geognostico, cioè uno studio preparatorio e quindi finanziato al 50% dall’Unione Europea, in Italia tutti i media lo spacciano e l’hanno spacciato per l’inizio dei lavori della Grande Opera. E per i proponenti, come diceva Mussolini, “indietro non si torna”.
Lato Italia, siamo impantanati nel cantiere/fortino de La Maddalena di Chiomonte dove si sta scavando il tunnel geognostico per conoscere la geologia e la morfologia dei terreni dove, secondo loro, un bel giorno dovrebbero scavare il vero tunnel di base. E’ un cantiere/fortino in cui lavorano divisi su tre turni meno di un centinaio di operai ma è sorvegliato 24 ore su 24 da alcune centinaia di carabinieri, poliziotti, finanzieri, esercito.
Il tunnel geognostico dovrebbe avere la lunghezza di circa 7,5 km e avrebbe dovuto essere portato a termine entro la fine del 2015. Al 9 novembre di quest’anno avevano scavato 3.873 metri (con una velocità di scavo degli ultimi 13 giorni di meno di 2 metri al giorno!). Pare abbiano trovato problemi geologici imprevisti (possibile revisione prezzi e notevole aumento dei costi).
Il CIPE ha deliberato il finanziamento di uno studio per spostare il cantiere per il tunnel di base dalla piana di Susa (troppo poco difendibile militarmente da quei terribili No TAV) a Chiomonte allargando il cantiere/fortino perché lì è ben difendibile militarmente (per contrappasso ci sono una montagna di problemi logistici e di operatività da affrontare, ma intanto di studia e si pagano gli amici).
COSA STA SUCCEDENDO INVECE DAL LATO DEL MOVIMENTO? COME ANDATE AVANTI?
Andiamo avanti come abbiamo sempre fatto in questi venticinque anni! Tenendo gli occhi aperti, studiando i pochi documenti disponibili, chiedendo i documenti che cercano di negarci, informando la gente, ma soprattutto facendo pressione attorno al cantiere/fortino. Tutti i giorni ci sono molte persone (soprattutto facenti parte dei Cattolici per la vita della Valle e dei Pintoni Attivi) che controllano, fotografano, indagano prendono nota di tutto quanto succede nel cantiere/fortino, la cosa due o tre volte la settimana funziona anche in notturna con un enorme nervosismo e arrabbiatura delle Forze del Disordine e dei soldatini. Non possono impedirci il passaggio (tranne in pochi casi in cui “manu militari” bloccano tutto illegalmente) perché abbiamo comprato dei terreni intorno al cantiere/fortino in oltre mille persone ed essendo proprietari abbiamo il diritto di poterci recare sui nostri terreni.
Continuiamo a tessere i contatti e le reti resistenti alle devastazioni delle GOII sia in Italia sia all’estero. Cerchiamo sempre di inventarci qualcosa di nuovo per bloccare questa devastazione. Non è facile ma ci proviamo sempre. La vita nella valle è molto vivace e quasi ogni sera da qualche parte c’è un appuntamento che riguarda i No TAV. Non ci annoiamo, ecco.
COME E’ LA SITUAZIONE DEI VARI PROCESSI CHE VI HANNO FATTO?
L’offensiva repressiva scatenata dal 2011 a opera della procura di Torino è stata particolarmente pesante e fastidiosa. Circa un migliaio di indagati per oltre un centinaio di fascicoli aperti. Anche le denunce che gli avvocati definiscono “bagatellari” vengono trattate con uno spreco di mezzi e di accanimenti fuori dal mondo. La procura di Caselli aveva costituito un pool di quattro Pubblici Ministeri specifico per tutte le questioni relative al TAV (pool oggi smantellato dal nuovo procuratore Spataro). Ma è soprattutto l’eco spropositato dei media torinesi Repubblica, La Stampa, RAI TG3 Regionale, che fanno da megafono alla Questura e alla Procura enfatizzando ogni notizia, accostando continuamente il Movimento No TAV al terrorismo e ai terroristi (nonostante la Cassazione in due distinte sentenze abbia sempre dichiarato che non c’è ombra di terrorismo nelle attività anche forti del Movimento No TAV).
Il processo farsa per i fatti del 27 giugno e del 3 luglio 2011, celebrato nell’aula bunker del carcere delle Vallette, ha comminato condanne spropositate: oltre 142 anni di carcere per 47 condannati con oltre 131.000 euro di provvisionali, di cui circa 82.000 euro ai Ministeri dell’interno, della difesa e delle finanze.
Per aver bruciato un compressore, in un’azione di sabotaggio nel cantiere, quattro ragazzi sono stati tenuti in carcere di massima sicurezza e in isolamento per oltre un anno con la pesantissima accusa di terrorismo, accusa respinta dalla Cassazione, e nello specifico assolti in Corte d’Assise ma condannati per danneggiamento e resistenza e tutt’ora agli arresti domiciliari. Nel processo in Corte d’Assise d’Appello che si sta svolgendo in questi giorni (sempre nell’aula Bunker delle Vallette) a sostenere, ancora una volta, l’accusa di terrorismo è sceso addirittura in campo il Procuratore Generale del Piemonte Marcello Maddalena.
E’ poi sintomatica dell’utilizzo dei tribunali per piegare il Movimento No TAV, la denuncia e la condanna di primo grado, in sede civile, comminata al sottoscritto, al sindaco e al vicesindaco del comune di San Didero per un’azione di disobbedienza civile per bloccare un inutile sondaggio all’autoporto di Susa. Oltre 400 persone ferme su una strada dichiararono di non essere disposti a spostarsi per permettere il sondaggio. Denunciarono noi tre e nonostante altre 40 persone si auto denunciassero durante il processo e i loro legali fossero ammessi al dibattimento solo noi tre fummo condannati a risarcire la società Lyon Turin Ferroviaire di oltre 220.000 euro. Stendendo la mano e chiedendo aiuto a tutti i No TAV del mondo in soli 20 giorni abbiamo raccolto oltre 300.000 euro e così abbiamo potuto versare quanto impostoci dal tribunale. Ora attendiamo il secondo grado di giudizio.
Personalmente ho perso il numero dei processi che ho in corso e anche delle condanne già ricevute. Ma se pensavano di indebolire il Movimento No TAV con le denunce e le condanne i fatti dimostrano che non hanno raggiunto l’obiettivo che si erano prefissati. Ci hanno dato fastidio, questo si, anche perché subire perquisizioni domiciliari, affrontare processi idioti ecc. è fastidioso, fa perdere tempo e impegna in modo molto serio il fantastico gruppo di avvocati che in modo assolutamente gratuito ci difende con una professionalità ineguagliabile.
LA RECENTE SENTENZA DEL TRIBUNALE DEI POPOLI COME LA COMMENTI? E POTRA’ SERVIRE A VOI E AD ALTRI CASI ANALOGHI DI MASTODONTICHE OPERE?
Il ricorso al Tribunale Permanente dei Popoli (TPP) è stata una delle innumerevoli iniziative intraprese dal Movimento No TAV attraverso il Controsservatorio Valsusa (vedi al link http://controsservatoriovalsusa.org) e dopo quasi due anni di lavori è culminato con la Sessione conclusiva del TPP dedicata a Diritti fondamentali, partecipazione delle comunità locali e grandi opere a Torino e Almese dal 5 all’8 Novembre 2015. E’ stato un momento veramente esaltante. Erano 25 anni che aspettavamo qualcuno che ci rendesse almeno una giustizia morale in merito alla nostra lotta. Sentire le testimonianze nostre e delle altre realtà che in Europa si battono per la difesa delle comunità locali contro le GOII, sentire la passione, lo slancio, il disinteresse personale e l’interesse civile di intere popolazioni è stato gratificante e per chi volesse sono disponibili tutte le registrazioni audio/video (63 video) al link:
Il livore e le falsità con cui l’ex Procuratore Generale di Torino, Giancarlo Caselli, ha commentato la sentenza sulla Repubblica e il silenzio imposto a tutti i media relativamente a questo grande avvenimento sono la dimostrazione più evidente che abbiamo colpito duro il sistema del malaffare collegato alle GOII ovunque vengano imposte.
Parole come queste contenute nella sentenza del TPP non possono essere ignorate:
“Le persone che si mobilitano contro il TAV, come contro l’aeroporto di Notre Dame des Landes o in altri progetti, devono essere considerate come sentinelle che lanciano l’allarme al constatare violazioni di diritto che possono avere un grave impatto sociale e ambientale e che, con modalità legali, cercano di allertare le autorità in vista della cessazione di atti contrari agli interessi di tutta la società”.
INCROCIANDO LE DITA SEMBREREBBE CHE LA DISOBBEDIENZA CIVILE PAGHI, E CHE PAGHI LA NONVIOLENZA, AL DI LA’ DI TUTTE LE DIFFAMAZIONI E LE PROVOCAZIONI. TU COME LA VEDI?
La lotta del Movimento No TAV è innanzitutto una lotta popolare di resistenza a un progetto inutile e dannoso. Non è una lotta ideologica bensì una lotta popolare a uno stupro concreto della nostra terra e a uno sperpero folle delle risorse a danno di altri investimenti piccoli e più utili (messa in sicurezza delle scuole, degli ospedali, del territorio) evitando il taglio a servizi essenziali quali sanità, scuola, ricerca, pensioni.
Come metodologia abbiamo sempre cercato di fare azioni che potessero coinvolgere tutti e che fossero alla portata di tutti. Mettendoci sempre in gioco in prima persona e mettendoci le nostre facce e i nostri corpi.
Purtroppo, come dicevo prima, se fai il bravo, se ti comporti educatamente, se documenti tecnicamente le tue ragioni, se dimostri l’inconsistenza o la malafede o le bugie della controparte in modo civile e pacato scrivendo libri (ne abbiamo pubblicati oltre 130), articoli, convegni ecc. nessuno ti fila e in questa società dell’immagine non esisti.
Se le Forze del Disordine ti massacrano di botte, ti gasano con i gas vietati in guerra, ti arrestano e allora, così come succede in tutte le parti del mondo, qualcuno si china raccoglie un sasso e lo lancia contro chi ti massacra, allora i media si ricordano di te e ti sbattono (come un mostro) in prima pagina.
Se poi lanci un fuoco d’artificio o un petardo ecco che hai attentato alla vita dei poveri poliziotti con “artifizi micidiali” o “bombe carta”.
Turi Vaccaro pacifista, nonviolento, resistente No TAV, No Dal Molin, No MUOS ha fatto azioni spettacolari assolutamente pacifiche e nonviolente sabotando le installazioni militari e i cantieri. E’ mai “passato” sui media nazionali? No, silenzio tombale.
Abbiamo ricordato a tutti e a volto scoperto che il sabotaggio è un metodo di lotta nonviolento (purché rispetti tutti gli esseri viventi). L’abbiamo praticato e continueremo a farlo. Perché dobbiamo fermare questa devastazione, questo spreco.
Poco più di un mese fa un gruppo di Pintoni Attivi over 60 ha deciso di giocare un tiro mancino alle Forze del Disordine nel cantiere/fortino de La Maddalena a Chiomonte.
Dopo aver fatto un veloce corso di “travisamento” tenuto dai ragazzini, in modo furtivo, tutti vestiti di nero come veri Black Block a notte fonda sono arrivati senza farsi scoprire alle reti del fortino in Clarea. Lì si sono messi a fare baccano, a lanciare dei petardi e dei fumogeni colorati. Digos, Carabinieri Cacciatori di Sardegna, Poliziotti sono usciti in forze per “arrestare” gli antagonisti i quali non hanno risposto alle domande, non hanno fornito i documenti richiesti ma soprattutto non hanno sollevato il travestimento. Con un po’ di violenza gli sbirri hanno scoperto il volto dei vari Black Block e sono rimasti molto interdetti di fronte a quei capelli bianchi e a quelle signore che per camminare dovevano appoggiarsi a un bastone o a una stampella.
Con un sussulto di arroganza hanno ordinato agli uomini di sdraiarsi per terra e quando uno di questi ha iniziato a ronfare, perché si era addormentato, si sono anche spaventati.
L’obiettivo dell’azione era farsi arrestare e portare in Questura per vedere cosa avrebbero scritto i giornali. Dopo due ore di frenetiche telefonate, visto che la Digos non prendeva decisioni i Black Block hanno detto “Signori adesso è tardi noi ce ne andiamo a casa”. Dopo una serie di inutili ordini di fermarsi vedendo che i nostri se ne erano davvero andati piantando gli sbirri in asso anche loro sono rientrati sconsolati nel fortino.
Nessuna velina è uscita dalla Questura quella notte. Non una riga per questa beffa. Silenzio assoluto.
Noi continuiamo la nostra lotta e la nostra resistenza con il nostro passo, cercando di mantenere sempre la calma e la lucidità nell’azione.
TU SEI UNO CHE HA LOTTATO DA SEMPRE CONTRO LA VIOLENZA, L’AUTORITARISMO, IL MILITARISMO: COME VEDI IL FUTURO DI QUESTE LOTTE?
Quando ero giovane e ho iniziato a leggere Don Milani sono stato colpito dal suo motto “I care” cioè “Mi interessa”. Se la gente, le popolazioni spengono il televisore, accendono il cervello, scendono in strada e cominciano a dire guardandosi intorno “I care”: mi interessa quello che succede, mi interessa capire cosa succede, mi interessa sapere perché succede, mi interessa valutare se è nel mio interesse e nell’interesse di tutti o solo di pochi, allora il futuro di queste lotte e di tutte le lotte sarà roseo.

Un grazie particolare a Enzo Gargano del Centro Sereno Regis per l’efficienza e la velocità.
Olivier Turquet si occupa di scrivere per raccontare la realtà da circa 40 anni. Ha collaborato con testate cartacee, radiofoniche ed elettroniche tra cui ama ricordare Frigidaire, Radio Montebeni, L’Umanista, Contrasti, PeaceLink, Barricate, Oask!, Radio Blue, Azione Nonviolenta, Mamma!. Ha fondato l’agenzia stampa elettronica umanista Buone Nuove e il giornale di quartiere Le Bagnese Times. E’ stato addetto stampa di svariate manifestazioni come: l’Internazionale Umanista, Firenze Gioca, la Marcia Mondiale per la Pace e la Nonviolenza. Attualmente coordina la redazione italiana di Pressenza.
Ha pubblicato Interviste per cambiare il mondo: 
Raccoglie ciò che scrive su: 

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Subject: CONTRIBUTO ALL’OTTAVO CONGRESSO DI MEDICINA DEMOCRATICA DEL 19-21 NOVEMBRE A FIRENZE

di Michele Michelino
15/11/15
Di seguito il contributo del Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio all’ottavo Congresso di Medicina Democratica.

SFRUTTAMENTO, “MONETIZZAZIONE DELLA SALUTE” E DELEGA
Le lotte per migliorare le condizioni di vita e gli ambienti di lavoro degli operai e dei lavoratori, contro la nocività, per il miglioramento degli ambienti di lavoro insalubri, contro la riduzione dei salari sono un patrimonio della lotta più generale della classe operaia.
Da sempre gli operai, insieme con la lotta sindacale, hanno lottato anche per cambiare leggi ingiuste che legittimano il sistema sociale fondato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Le lotte per la salute cominciano con l’avvento del capitalismo e i lavoratori hanno imparato a loro spese che i morti sul lavoro non sono mai una fatalità, ma il costo pagato dagli operai alla realizzazione del profitto.
I morti sul lavoro sono parte della brutalità e della violenza del sistema capitalista.
Protetti da leggi che tutelano la proprietà privata dei mezzi di produzione, lo sfruttamento e il profitto, i capitalisti anche nel ventunesimo secolo continuano a godere dell’impunità e della licenza di uccidere.
La maggior parte degli infortuni sul lavoro, i morti sul lavoro e di lavoro causati dalle sostanze cancerogene impiegate nei processi di produzione dai padroni sono spesso imputati alla disattenzione degli operai. La realtà è che datori di lavoro senza scrupoli, pur di risparmiare pochi centesimi, non esitano a far lavorare operai e lavoratori senza fornire adeguati dispositivi individuali e collettivi di protezione e molti infortuni gravi o mortali non dipendono dal “destino crudele” ma dalle sete di guadagno.
Noi operai nel sistema capitalista non siamo altro che forza-lavoro: carne da macello. Tuttavia non possiamo rassegnarci di essere delle semplici merci in balia del padrone di turno, Non possiamo accettare che sia il mercato a decidere quando e come dobbiamo lavorare costringendoci a salari da fame, alla disoccupazione o a pensioni miserabili dopo una vita di lavoro in cui abbiamo arricchito dei parassiti.
La morte di tanti nostri compagni di lavoro “colpevoli” solo di aver usato sostanze cancerogene nei luoghi di produzione senza essere a conoscenza dei rischi e dei pericoli che correvano ci ha portato alla consapevolezza e alla voglia di giustizia.
Noi continuiamo a lottare contro tutte le morti “innaturali”, anche se siamo coscienti che, solo abolendo lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, la classe operaia può liberarsi completamente dallo sfruttamento.
LOTTE OPERAIE E ORGANIZZAZIONE CAPITALISTICA DEL LAVORO
In Italia gli anni che vanno dal 1965 al 1970 hanno visto il movimento operaio protagonista di dure lotte che hanno messo in discussione, tra le altre cose, anche gli ambienti di lavoro insalubri e ponevano con forza la necessità e l’urgenza di sottrarre il lavoratore al lento massacro cui era sottoposto. In quegli anni scioperi, fermate improvvise e spontanee di operai e di gruppi di lavoratori costretti a lavorare in ambienti angusti e nocivi, nelle fonderie, nelle forge e in ambienti a caldo, nelle miniere, nei cantieri e nelle campagne, soprattutto nei mesi estivi quando la temperatura sul posto di lavoro diventava intollerabile, erano la prima forma di difesa e di ribellione. Nelle piattaforme, insieme al salario, si rivendicavano obiettivi che riguardavano l’organizzazione e l’ambiente di lavoro.
Gli obiettivi delle lotte non sempre erano raggiunti. La conclusione della lotta evidenziava lo scollamento che si manifestava tra quello che gli operai rivendicavano e i risultati raggiunti dai “loro” rappresentanti sindacali che, pur di non ostacolare la produzione, si accontentavano di “difendere” i lavoratori monetizzando la salute.
La crescente combattività operaia è stata spesso smorzata dal sindacato nel tentativo di controllare la lotta. Non dimentichiamo che la linea ufficiale delle organizzazioni sindacali per anni è stata quella della monetizzazione della salute.
Il sindacato e i partiti politici che lo controllavano, sotto la pressione e le lotte spontanee contro la nocività dei lavoratori, sono quindi stati costretti a interessarsi della salute assumendosene la “delega”, anche se nessuno l’aveva loro concessa, nel tentativo di togliere il protagonismo ai lavoratori.
Nello scontro col padronato i lavoratori sono stati costretti a sperimentare nuove forme di lotta e una propria, autonoma e indipendente capacità critica della complessiva organizzazione capitalistica del lavoro.
Per il padrone e gli istituti da lui chiamati a controllare la salubrità degli ambienti di lavoro la concentrazione di polvere di sostanze cancerogene, gas e fumi, il calore, la rumorosità, la luminosità, i ritmi e la fatica del lavoro, la situazione è sempre normale o “sotto la soglia”; per i lavoratori la situazione invece è molto diversa e sentono, che questi istituti apparentemente neutri ma pagati del padrone, li imbrogliavano e continuano a imbrogliarli.
MEDICINA PREVENTIVA, RAPPORTO MEDICO-LAVORATORE
Le visite periodiche, da parte dei medici di fabbrica si svolgevano in questo modo: “Si va all’infermeria, si viene pesati, viene fatto firmare un documento senza che nessuno spieghi cosa vi sia scritto. Il medico interroga il lavoratore sulle malattie subite nel recente passato, ausculta i polmoni, prova la pressione del sangue: la durata media della visita non supera i 6-7 minuti. Molte volte non c’è neppure fatta togliere la giacca”.
Il lavoratore si reca alla visita per pura formalità e ieri come oggi: non conoscerà l’esito reale della visita, sa che quella “visita” non c’entra nulla con la tutela della sua salute, essa fa parte di un rapporto privato tra il medico e la Direzione volto ad accertare unicamente l’efficienza produttiva del lavoratore. Col medico di fabbrica (oggi medico competente) ci si confida il meno possibile per il timore di essere dichiarati inidonei al proprio attuale lavoro e di essere spostati in un altro reparto, subendo una decurtazione di salario.
Nel frequente caso di disturbi e malattie ci si rivolge al proprio medico curante, ma questi, per la cultura professionale che gli è stata generalmente impartita all’università, non conosce minimamente le condizioni di lavoro cui è sottoposto il suo paziente e quindi, non essendo in grado di stabilire un rapporto tra disturbi denunciati e ambiente di lavoro, non ha, in linea di principio, la possibilità di formulare una diagnosi corretta.
Il medico si trova di fronte a malattie di cui non è in grado di controllare le cause e quindi la sua sfera d’intervento e quindi si limita a prescrivere ad alleviare il dolore del paziente con dei farmaci.
Questo vale per il passato, quando pensiamo all’Italia delle grandi fabbriche diffuse su tutto il territorio, con le centinaia di migliaia di operai che ci lavoravano, ma purtroppo anche per il presente.
E’ quindi necessario istituire un’efficiente medicina preventiva che, ricercando scientificamente il rapporto di causalità tra malattie tipiche della società industriale moderna (disturbi cardiaci, reumatismi, bronchiti, tumori, ecc.) e ambientale, intervenga sull’ambiente di lavoro e nella società per rimuovere le vere cause delle malattie.
CONTROVERSIE LEGALI E PRESTAZIONE SANITARIA, REGISTRO ESPOSTI AMIANTO
Gli ex lavoratori esposti all’amianto costretti a lavorare in fabbriche e reparti lager, come altri lavoratori e cittadini sottoposti alle fibre killer, hanno un’attesa di vita minore di circa 10 anni rispetto al resto della popolazione.
Per questo, dopo dure lotte dei lavoratori, fu approvata nel 1992 la Legge 257 che metteva al bando l’amianto, stabiliva la sorveglianza sanitaria e risarciva i lavoratori concedendo loro alcune agevolazioni in materia pensionistica poiché morivano prima.
La legge fu approvata grazie alla mobilitazione dei lavoratori che manifestarono giorni e notti davanti al Parlamento che doveva approvare la legge. Allora i finanziamenti previsti dalla legge non riguardavano tutti i lavoratori esposti all’amianto, ma solo i lavoratori addetti alle miniere e fabbriche di cui si prevedeva la chiusura (circa 4.500 unità) e la legge era intesa come un ammortizzatore sociale.
Anche il registro dei lavoratori esposti o ex esposti amianto era limitato. Esso riguardava solo i lavoratori residenti nei territori, comuni e città, dove avevano sede le fabbriche, ma ignorava completamente i luoghi dove, invece, i lavoratori di queste aziende vivevano.
Ad esempio, la maggioranza dei lavoratori delle grandi fabbriche di Sesto San Giovanni, Ansaldo, Breda, Falck, Marelli, Pirelli, non abitava a Sesto San Giovanni ma in città e paesi delle provincie di Bergamo, Brescia, Milano, Varese, Piacenza, Pavia, oppure nei comuni limitrofi come Cinisello Balsamo, Cologno Monzese, Bresso, Segrate, Monza.
A tutt’oggi i pochi studi epidemiologici fatti, come lo studio “Sentieri”, sono falsati perché non tengono conto di dove era situata la fabbrica in cui lavoravano, ma solo del territorio dove abitavano.
L’INAIL e l’INPS (gli enti preposti istituzionalmente a certificare l’esposizione ed erogare la pensione corrispondente) con cavilli burocratici di ogni genere continuano a non applicare la legge, negando in molti casi la certificazione che permetterebbe ai malati professionali e ai lavoratori ex esposti all’amianto indennizzi e rendite o di andare prima in pensione, nonostante la loro esposizione sia certificata dai documenti del datore di lavoro e dall’ASL.
L’INAIL in molti casi si comporta peggio di un’assicurazione privata. Per far valere i loro diritti, i lavoratori e i cittadini sono così costretti a lottare e sostenere lunghe e costose cause in tribunale (con i loro scarsi mezzi) contro l’atteggiamento dell’INAIL, lesivo della dignità, della salute, e dei diritti dei lavoratori.
Invece di indennizzare gli infortunati e le malattie professionali aumentando le rendite, l’INAIL risparmia i soldi (dei lavoratori) sulla loro pelle, usandoli per scopi non certo nobili come la speculazione finanziaria, nel più totale e complice silenzio di partiti e sindacati e istituzioni.
Questo ente [INAIL] ha accumulato un “tesoretto” di 30 miliardi di euro, e invece di usarli per le vittime, per i lavoratori infortunati e malati, aumentando le quote previste per risarcire gli infortuni e le malattie professionali, li usa per altri scopi.
L’INAIL è anche un ente in palese conflitto d’interessi, essendo quello che deve riconoscere l’esposizione all’amianto e le malattie professionali, ma anche quello che deve indennizzarle.
Per far riconoscere i diritti delle vittime e stanchi delle lungaggini burocratiche, il nostro Comitato e altre Associazioni più volte hanno portato la loro rabbia e la loro protesta direttamente dentro e fuori dei palazzi del “potere”. I lavoratori e le lavoratrici, insieme con i famigliari delle vittime, “armati” di fischietti, coperchi di pentole, campanacci e sirene hanno “esposto” con forza le loro ragioni, perché il tempo non gioca a favore dei malati, e delle vittime e questi enti lo sanno molto bene.
Le proteste e le lotte sono servite per fare riaprire trattative interrotte con l’INAIL e anche far sentire e vedere ai giudici nei Tribunali la voglia di giustizia delle vittime.
L’esperienza (nostra e d’innumerevoli altri comitati e associazioni di vittime presenti su tutto il territorio nazionale) ha dimostrato che la partecipazione alle lotte dei diretti interessati in prima persona senza delegare è l’aspetto vincente e che la lotta paga!
DI LAVORO SI CONTINUA A MORIRE: PREVENZIONE PRIMARIA E SANZIONI
Nell’Italia “democratica” nata dalla Resistenza, i lavoratori continuano a morire. La modernità del capitalismo continua a uccidere i lavoratori come nell’ottocento. Nel 2015 diminuiscono i lavoratori occupati, ma aumentano i morti sul lavoro. Nel nostro paese ogni anno avvengono più di un milione d’infortuni sul lavoro, 1.200 di questi sono mortali. Ogni giorno in Italia ufficialmente muoiono in media 3 lavoratori per infortuni sul luogo di lavoro e molti altri a causa delle malattie professionali, cifre volutamente sottostimate dal governo e dall’INAIL.
Omicidi “bianchi”, veri e propri crimini contro l’umanità che avvengono nel più assoluto silenzio dei “media” salvo quando la notizia può essere spettacolarizzata. La morte sul lavoro è raccontata solo quando fa notizia.
Dal 1° gennaio al 20 ottobre 2015 sono morti sui luoghi di lavoro 564 lavoratori, e con le morti sulle strade e in itinere si superano le 1.180 morti. Inoltre da questi conteggi sono escluse anche diverse categorie come per esempio Partite IVA Individuali, Vigili del Fuoco, lavoratori in nero, pensionati in agricoltura e tanti altri che non rientrano tra i morti per infortuni conteggiati dall’INAIL.
Davanti a questo bollettino di guerra il governo non va oltre le frasi di circostanza e lacrime di coccodrillo ogni volta che succedono stragi di operai, (come alla Tyssen-Krupp) tacendo sulle decine di morti silenziose per malattie professionali che avvengono ogni giorno, non intervenendo a tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, ma solo a difesa del profitto.
Nel 2014, inoltre, i circa 350 ispettori dell’INAIL hanno controllato 23.260 aziende e l’87,5% è risultato irregolare. Sono stati regolarizzati 59.463 lavoratori (meno del 15% rispetto al 2013), di cui 51.731 irregolari e 7.732 in nero. Anche se esistono leggi a tutela della sicurezza e della salute, la strage di lavoratori continua.
Una società che ha il suo fondamento nella Costituzione Repubblicana, Costituzione che nell’articolo 32 recita “La Repubblica Italiana tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e della collettività”, arrivando a dichiarare che la stessa iniziativa privata (pur essendo libera) “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana” (articolo della Costituzione) richiederebbe norme e leggi adeguate e una medicina veramente al servizio degli esseri umani per prevenire questi “disastri”, cosa che non avviene.
Ormai il mondo scientifico è in grandissima maggioranza ben cosciente che non esistono soglie di sicurezza o di tolleranza alle sostanze cancerogene.
Sebbene sia necessario, non basta predisporre dispositivi di protezione individuali o collettivi per la riduzione del rischio, ma bisogna adoperarsi affinché il pericolo sia ridotto a zero.
Le lotte del movimento operaio, dei lavoratori e dei cittadini organizzati in Comitati e Associazioni, hanno contribuito a rompere il muro di omertà e complicità con i responsabili di questi assassinii, facendo pressione sulle istituzioni, “costringendole” in alcuni casi a perseguire i responsabili. In questi anni abbiamo visto una giustizia che, spesso, difendeva solo una parte dei cittadini: quella degli industriali.
Di solito, vediamo governi e istituzioni (di qualsiasi colore politico) che, mentre proclamano di essere al di sopra delle parti, riconoscono come legittimo il profitto e legalizzano lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, dimostrando di essere in realtà dei “comitati d’affari”, arrivando nella migliore delle ipotesi a punire con una semplice ammenda gli omicidi e i morti sul lavoro e di lavoro.
Nel nostro paese i diritti sanciti nella Costituzione sono tuttora subordinati ai poteri forti e sono applicati solo se compatibili con essi.
Non si può subordinare la salute e la vita umana alla logica del profitto, ai costi economici aziendali o ai bilanci dello Stato. Una società che mercifica tutto, e che trasforma in profitto la malattia, la vita e la morte, senza rispetto per la vita umana, è una società barbara, in cui gli operai e i lavoratori continueranno a morire sul lavoro e di lavoro e le sostanze cancerogene presenti in fabbrica e sul territorio, se non si eliminano, continueranno ad uccidere gli esseri umani e la natura.
Libertà, legalità, giustizia per tutti” rimangono parole astratte, principi vuoti di significato se le classi sottomesse non hanno i mezzi economici e politici per farli rispettare.
Anche se le leggi e la Costituzione Repubblicana affermano che l’operaio e il padrone sono uguali e hanno gli stessi diritti, la condizione di completa subordinazione economica fa si che la “libertà” e la “uguaglianza” dei cittadini sia solo formale.
SORVEGLIANZA SANITARIA E TUTELA DELLA SALUTE
La lotta per pretendere e imporre condizioni di sicurezza nei luoghi di lavoro e nella società riguarda tutti.
Lottare per ambienti salubri e un mondo pulito significa lottare contro chi, pur di fare soldi sulla pelle dei lavoratori e cittadini, condanna a morte migliaia di esseri umani, anteponendo i suoi interessi privati a quelli collettivi della società come succede in ogni regione del nostro paese, dal Nord al Sud. In una società civile la salute viene prima di tutto.
La sorveglianza sanitaria prevista dalla Legge 257/92 per i lavoratori esposti o ex esposti amianto in molte regioni italiane non è ancora applicata. In Lombardia abbiamo dovuto lottare per anni contro la Regione Lombardia e l’ASL per far valere questo diritto previsto dalla legge. Dopo anni di lotte, manifestazioni davanti alle sedi ASL e alla Regione, chiedendo l’applicazione della Legge, siamo riusciti a farla applicare. E’ stata un’importante vittoria, perché insieme con quella dei lavoratori abbiamo ottenuto la sorveglianza sanitaria anche per i familiari degli esposti all’amianto.
Grazie alle lotte dei lavoratori, dei comitati e delle associazioni, la Regione Lombardia già nel 2007 aveva previsto la sorveglianza sanitaria anche per il coniuge o la compagna/o della persona esposta.
“Prevenzione” è sempre stata la parola d’ordine del nostro Comitato e (insieme alla prevenzione primaria che riguarda le bonifiche dell’amianto e delle sostanze cancerogene e nocive in tutto il territorio nazionale, e non solo) ci siamo posti anche l’obiettivo della sorveglianza sanitaria per i familiari degli esposti all’amianto. Noi abbiamo voluto partire dalle mogli, quelle più a contatto con l’amianto portato in casa dai mariti, estendendo anche a loro i controlli sanitari ed è motivo di orgoglio per tutti noi aver raggiunto anche questo risultato.
E’ cominciata così la sorveglianza sanitaria anche per le donne che non hanno mai indossato una tuta blu, ma hanno lavato per anni quelle dei mariti.
NASCITA DEL COMITATO PER LA DIFESA DELLA SALUTE NEI LUOGHI DI LAVORO E NEL TERRITORIO
In questi anni migliaia di lavoratori italiani, i loro familiari e intere famiglie sono state sterminate dal pericoloso e silenzioso killer (amianto) e da molti altri cancerogeni.
La giustizia per i proletari non arriva quasi mai. In molti casi le cause si trascinano per anni, e per i processi penali questo significa prescrizione e quindi impunità per i datori di lavoro e i dirigenti responsabili della morte di centinaia di lavoratori, a parte pochi episodi in cui sono stati riconosciuti colpevoli.
L’unico diritto riconosciuto è quello di fare profitti, a questo sono subordinati tutti gli altri “diritti umani”. Le leggi, le norme, una giustizia che protegge in ogni modo i padroni, un intero sistema economico, politico e sociale fa sì che la salute e la vita umana, davanti ai profitti, passino in secondo piano.
Da anni combattiamo il killer che per noi si chiama amianto. Ma in altri luoghi si chiama PVC, si chiama diossina, si chiama disastro ferroviario (strage di Viareggio) e ha tanti altri nomi ancora, Terre dei Fuochi in Campania, TAV in Val di Susa, ecc.
Tuttavia, anche se le situazioni sono diverse, la causa principale è una sola: il sistema capitalista dove la logica del profitto prevale su tutto.
Il diritto alla salute è disatteso e va peggiorando sempre di più, sia nei luoghi di lavoro che in generale nella società perché, con la scusa della crisi, i primi tagli che vengono fatti sono quelli legati alla sicurezza sui luoghi di lavoro e del territorio. Lo stesso avviene a livello sociale: stanno privatizzando tutto, in primo luogo la sanità.
I padroni e i manager delle fabbriche di morte sapevano di mandare a morte i lavoratori, ma il problema della competitività aziendale, il problema della logica del profitto, veniva prima della pelle dei lavoratori. Quando noi lavoratori abbiamo scoperto che di questo erano complici tutti, perché c’era un sistema sociale, economico, politico, giuridico, che legittimava lo sfruttamento degli esseri umani e metteva in conto che noi dovevamo morire per ingrassare i padroni, ecco che, allora, la paura è diventata prima rabbia e poi coscienza e organizzazione.
Quando si scopre che tutti sapevano e non hanno fatto niente per impedire queste morti annunciate, allora chiunque capisce che se sono tutti d’accordo è perché tutti hanno i loro vantaggi dallo sfruttamento dei lavoratori ed è a questo sistema che bisogna opporsi.
La nostra lotta ci ha fatto comprendere che non esistono istituzioni neutrali. Ha dimostrato a molti lavoratori che la frase, scritta nelle aule dei tribunali italiani “la legge è uguale per tutti” non corrisponde a verità. In questa società chi non ha soldi difficilmente può far valere le sue ragioni.
La lotta per ottenere giustizia contro lo Stato Italiano e l’INAIL, che hanno permesso che migliaia di operai subissero gravi malattie a causa del lavoro, tutelando in nome del profitto la produzione di morte, è stata oggetto anche di una causa presentata alla Corte dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo dalle associazioni (fra cui la nostra) che da anni si battono per la difesa della salute e della vita umana, per ottenere giustizia per tutte le vittime dell’amianto per tutelare la salute quale fondamentale diritto dell’individuo, per il diritto alla vita, perché crediamo che ogni persona abbia diritto a un’equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole.
Cause lunghissime di anni, che spesso terminano per la sopraggiunta morte dei lavoratori già minati nel fisico. Processi penali che durano decenni e che, anche in casi di condanna dei padroni e dirigenti per omicidio colposo, con la prescrizione concedono l’impunità ai responsabili della morte di centinaia di migliaia di lavoratori.
La nostra esperienza ci ha però insegnato che non basta avere ragione. Bisogna avere la forza e i numeri per farla valere.
DELEGA E AUTO-ORGANIZZAZIONE
In questi anni abbiamo assistito impotenti alla morte di tanti compagni, versato lacrime sulle loro tombe senza poter far nulla per aiutarli, se non stargli vicino fino alla fine con la nostra presenza, ma questo ha aumentato la nostra rabbia, e la voglia di giustizia. Siamo cresciuti nella lotta.
La nostra lotta per la giustizia sociale si è scontrata sempre con tutte le istituzioni e questo ha fatto comprendere a molti che il problema non era dovuto solo all’amianto, ma che questo era il problema di una società che trasforma la salute e la vita umana in una fonte di profitto, che privatizza tutto compreso la salute. Una privatizzazione della sanità dove solo chi ha i soldi può permettersi cure adeguate.
Anche con il sindacato (CGIL, CISL, UIL) siamo entrati in conflitto.
Eravamo iscritti in maggioranza alla FIOM e quando abbiamo scoperto che c’erano questi rapporti dei Servizi di Medicina Ambientale e del Lavoro e che FIOM, FIM, UILM e la stessa Federazione dei Lavoratori Metalmeccanici ne erano da tempo a conoscenza e che lo sapevano tutti meno gli operai, siamo entrati in contrasto anche con il sindacato e molti di noi sono stati espulsi, ma ci siamo auto-organizzati e siamo andati avanti.
PER IL CAPITALISTA IL PROFITTO VIENE PRIMA DI TUTTO
Per questo sistema sociale è normale che gli operai muoiano in nome del profitto, l’unico problema è che il numero dei morti ogni anno sia contenuto.
Negli ultimi anni Confindustria, INAIL, governi, i Capi dello Stato hanno gridano vittoria perché gli infortuni sono scesi sotto il milione e i morti sul lavoro sono passati da 1.200 a poco meno di 1.000, dimenticando spesso di dire che nel frattempo oltre 3 milioni di persone sono stati espulsi dai posti di lavoro, licenziati o cassintegrati.
Per i padroni e le istituzioni che i morti sul lavoro stiano sotto quota mille è un limite accettabile, è tollerabile.
Per noi non è tollerabile neanche un morto sul lavoro, perché lo consideriamo un crimine contro l’umanità, per questo chiediamo che sui morti sul lavoro e sui morti di lavoro o da lavoro, venga abolita la prescrizione.
Anche nei rari casi di condanna, non si è mai visto un padrone andare in galera in Italia, al limite lo mettono agli arresti domiciliari, nelle loro ville che sono grandi come una cittadina, per cui pensate un po’ che fatica che fanno a scontare la pena. Nei processi penali, i padroni cercano quasi sempre di comprarsi l’impunità risarcendo le vittime.
Pur comprendendo che i famigliari delle parti offese possano accettare un risarcimento economico per il danno subito, noi consideriamo molto grave che le istituzioni (INAIL, ASL, Regione, Sindacati) accettino transazioni economiche mercanteggiando sulle malattie e sulla vita umana come si fosse al mercato delle vacche. I cavilli legali e le trattative private fra istituzioni e padroni responsabili degli assassini di lavoratori servono solo ad avvicinare la prescrizione garantendo l’impunità ai colpevoli.
Per noi la salute e la vita umana non sono in vendita e non hanno prezzo.
Gli assassini devono subire condanne e sanzioni esemplari che servano da monito a chi non rispetta le norme di sicurezza, perché sulla salute e la vita non si tratta.
Noi siamo da sempre contro la monetizzazione della salute e della nocività. Per noi la salute non si paga, ma si tutela e la nocività e le sostanze cancerogene si eliminano dalle fabbriche, dai luoghi di lavoro e dalla società.
Noi non vogliamo solo giustizia per i lavoratori e i cittadini morti e malati, ma vogliamo una società civile, dove la salute e la vita umana e l’ambiente siano salvaguardati mettendoli prima del profitto.

Michele Michelino
Presidente del Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio

Nota
Alcuni spunti del presente scritto sono inseriti nel libro “Operai, carne da macello” di Michelino e Trollio e nel libro “1970 - 1983 la lotta di classe nelle grandi fabbriche di Sesto San Giovanni” di Michele Michelino, che sono reperibili gratuitamente in internet.

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From: Sinistra Lavoro info@sinistralavoro.it
To:
Sent: Thursday, November 26, 2015 10:22 AM
Subject: NON C’E’ PIU’ L’ARTICOLO 18, MA LA RIPRESA NON SI E’ VISTA

“L’articolo 18 è la zavorra che impedisce alle aziende italiane di crescere, creare sviluppo e occupazione e conquistare nuovi mercati”. Questa cantilena, declinata in varie tonalità, l’abbiamo sentita intonare da politici, esponenti delle associazioni imprenditoriali, editorialisti “salottieri”, imprenditori ed economisti da talk show.
Sentendo quelle frasi, l’ascoltatore-lettore immaginava migliaia di imprenditori nelle loro piccole aziende di 15 dipendenti, passeggiare nervosamente, fumare decine di sigarette e maledire i politici che li tenevano incatenati non abrogando l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Un’abolizione che avrebbe permesso alle imprese italiane di assumere nuovi lavoratori, crescere, sconfiggere il nanismo delle aziende e partire alla conquista del mondo.
Da diversi mesi l’articolo 18 non esiste più per i neoassunti. Ci sono invece i generosi incentivi (elargiti senza alcun vincolo) che permettono alle aziende di risparmiare sulle assunzioni, guadagnandoci nel caso decidessero di licenziare il neoassunto alla fine dei tre anni. E c’è anche un inizio di ripresa economica a riaccendere la speranza. Ci sarebbero, insomma, le condizioni per un sostanzioso aumento delle assunzioni. Invece, di nuovi posti di lavoro se ne registrano pochini.
Perché quindi non assistiamo a un boom di assunzioni?
La risposta è semplice: l’articolo 18 non era il problema delle imprese. Per comprenderlo, sarebbe bastato parlare con gli imprenditori; quelli che tutte le mattine vanno nelle loro aziende o sono in giro per il mondo a “vendere” i loro prodotti; gente che solo con tanta buona volontà e sacrificio trova il tempo per parlare, collegandosi telefonicamente chissà da quale parte del mondo, con i giornalisti e scoprire che dell’articolo 18, a loro, non importava niente e che i loro problemi erano (sono) altri.
Problemi sicuramente di scarso appeal mediatico, difficili da trasformare in slogan, inadatti a creare un capro espiatorio da dare in pasto all’opinione pubblica.
L’insegnamento che dovremmo trarre dal flop dell’abolizione dell’articolo18 è che non esistono riforme miracolose, da propagandare sui media, che possano far ripartire il Paese. Forse un ritorno alla “politica del cacciavite” gioverebbe di più alle imprese. Servirebbe soprattutto dare alle imprese un quadro certo nel quale muoversi, senza cambiare le regole a ogni cambio di governo.
Le opinioni che esprimo qui sono il frutto di conversazioni sui problemi dell’impresa, realizzate tra dal 2008 al 2014, con circa 400 imprenditori di tutte le regioni d’Italia e operanti in diversi settori, trasmesse da Radio Radicale.
Anche le associazioni imprenditoriali dovrebbero smettere di accusare sempre gli altri e fare un po’ di autocritica.
Potrebbero iniziare a chiedersi perché pur operando tutte con le stesse regole, talvolta lavorando anche nello stesso settore e a pochi chilometri di distanza tra loro, esistono realtà imprenditoriali floride e altre invece che sono in crisi.
Forse nelle risposte che riusciranno a darsi ci potrebbe essere la via della ripartenza.

Stefano Imbruglia
Il Manifesto
25/11/15

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From: Cobas Pisa confcobaspisa@alice.it
To:
Sent: Friday, November 27, 2015 7:35 AM
Subject: MORTI BIANCHE, ANCORA MORTI BIANCHE: CHE COSA FARE?!

IN TOSCANA AUMENTANO LE MORTI E GLI INFORTUNI SUL LAVORO
Ancora morte per i lavoratori e ancora un cavatore deceduto a Carrara. Il suo Nome, Nicola Mazzucchelli, sarà presto dimenticato come le decine di lavoratori che negli ultimi anni hanno perso la vita per mancanza di sicurezza
In toscana le cosiddette morti bianche nel 2014 sono state 28 ma dal 1 gennaio ad oggi sono gia 66, il che vuol dire che in quest’ultimo anno, non ancora concluso, gli infortuni mortali sono più che raddoppiati.
La prevenzione, il rispetto delle regole dove sono finite?!
E’ il nuovo modello Toscano che si va affermando costruito sui tagli alla sanità, sulla assenza di sicurezza nei cantieri, sugli appalti al ribasso (o economicamente vantaggiosi, comunque con paghe ridotte all’osso e ritmi insostenibili).
Il dato è molto preoccupante, con questi numeri che rappresentano una vera e propria emergenza sociale, il Governo parla di rilancio della economia per un misero aumento del PIL, ma la realtà è ben altra con stipendi che aumentano mai, soprattutto quelli più bassi, aumento delle ore di lavoro e subappalti senza controllo, lavoratori mascherati da autonomi costretti ad accettare ogni commessa, anche la più pericolosa.
Dov’è la prevenzione?!
Dov’è il rispetto delle regole?!
Dov’è il rispetto della legge?!
E il Testo Unico 81/08 sulla prevenzione e riduzione dei rischi sul posto di lavoro verrà ulteriormente indebolito con la prossima Legge di stabilità
I controlli vengono fatti dagli organi competenti?!
I controllo sono molto carenti e a campione, sporadici con la depenalizzazione di gran parte dei reati, quindi i titolari di azienda possono abbassare la soglia della sicurezza.
Noi Cobas esprimiamo solidarietà alla famiglia Mazzucchelli (è bene ricordarsi i nomi dei morti sul lavoro e non farli cadere nel dimenticatoio), ma vogliamo lanciare un messaggio agli organi ispettivi, ai comuni, alla Regione, di dare un segnale forte perché la Toscana, dati alla mano, è a rischio e a rischio sono la salute e la sicurezza di quanti vi lavorano.

Cobas Pisa
Sportello salute e sicurezza nei luoghi di lavoro

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From: Anselmo Cioffi ernesto@anselmocioffi.com
To:
Sent: Saturday, November 28, 2015 5:40 AM

Subject: VIDEO DENUNCIA WHISLEBLOWING: LA SICUREZZA A ROMA


Da Senza Barcode

http://www.senzabarcode.it

27 novembre 2015

Riceviamo tramite il nostro sistema completamente anonimo di whistleblowing (denuncia pubblica) il video denuncia di un Vigile di Roma.

Il video denuncia che abbiamo ricevuto contiene dichiarazioni scioccanti. L’insicurezza sulle nostre strade e l’ingiustizia dichiarate da un agente della Polizia Locale di Roma Capitale.
Il nostro sistema whistleblowing garantisce il totale anonimato e la possibilità di interagire con il segnalante, in questo modo chi ha inviato il video ci ha promesso di mandarci altro materiale, ma il prima video denuncia è già sufficiente per aiutare i cittadini a comprendere un punto di vista diverso, quello degli agenti che sono in strada ogni giorno.
Nella video denuncia un agente della Polizia Locale racconta inizialmente che dal primo ottobre il Comune di Roma non ha più l’appalto per la manutenzione delle strade cittadine, centrali e periferiche.
Ma quello che non sappiamo è, sempre a detta del denunciante, che è stato dato loro il compito di riempire le buche con asfalto a freddo e di presidiarle, in una occasione in particolare quando 4 pattuglie erano costrette a piantonare delle buche, al cambio turno un funzionario si sarebbe “preso la briga di andare a raccattare dei sacchetti da 25 kg di asfalto a freddo, tappare le buche e liberare queste pattuglie che stavano lì dalla mattina”.
Per quanto si possa elogiare chi ha voluto “metterci una toppa” e ridare alle pattuglie la libertà di tornare al proprio lavoro, questo mette in pericolo non solo gli agenti, ma anche gli stessi cittadini.
La Polizia Locale non si occupa di manutenzione, ovviamente: “Non è il nostro lavoro e quindi facendolo male potremmo essere denunciati in caso di eventuale incidente. Questo funzionario ci ha poi liberato, ci ha dato disposizione di allontanarci dal posto in quanto aveva eliminato lui il pericolo e lo ha fatto con tutte le pattuglie”.
L’agente continua con una dichiarazioni scioccante: “Il giorno dopo, il dirigente di questa struttura, ha dato ordine ai funzionari addetti alla Polizia Stradale (ovviamente a voce) di non fare intervenire le pattuglie sul posto nel caso di pericolo dovuto a buche o a incidenti dovuti a buche sulla strada e lo stesso dirigente ha dato ordine ai funzionari della Polizia Stradale di far si che le pattuglie, una volta accertato il pericolo, o comunque l’inconveniente, si allontanassero, se la pattuglia fosse rimasta per tutelare l’incolumità pubblica sarebbe stata richiamata ufficialmente”.
Il peso di questa video denuncia è enorme
Già è grave la situazione delle voragini sulle strade della capitale, è intollerabile il trattamento che ricevono gli agenti, spaventoso il sottorganico, se in più ci mettiamo dirigenti che richiamano le pattuglie allontanandole dal servizio di tutela al cittadino allora la riflessione va fatta in modo molto più profondo.
Da chi sono diretti questi dirigenti? Chi li ha scelti? Perché lasciare in strada gli agenti alla mercè dell’ira (spessa giustificata) dei cittadini ignari di come gli stessi siano costretti a eseguire ordini contro la loro sicurezza?
Se l’opinione pubblica tutta (non solo i lettori di Senza Barcode) fosse messa al corrente della reale situazione, con chi se la prenderebbe? I marziani sono anche questi agenti che, nonostante tutto, ogni giorno indossano una divisa e fanno il loro lavoro.
La video denuncia continua, mancanza della sicurezza per i lavoratori.
Ne abbiamo parlato tanto ma forse un video riuscirà meglio a far comprendere in che situazione sono costretti a lavorare gli agenti della Polizia Locale di Roma Capitale.
“Se venissi falciato e investito mentre sto facendo un tipo di attività come questa (vedi tappare una buca in mezzo alla carreggiata o anche fermando un venditore abusivo o un autista ubriaco) io avrei il pagamento dell’infortunio ma non dell’eventuale malattia permanente che derivasse da quel ‘infortunio”. In parole povere, se un agente viene investito mentre svolge il suo lavoro, o se viene aggredito e questo gli causa un’invalidità non si vedrà riconosciuto nulla.
Gli agenti delle Polizie Municipali e Locali, per effetto del Decreto Monti, non hanno equo indennizzo e causa di servizio.
Quando loro stessi si definiscono ”impiegati in divisa” intendono anche questo aspetto.
Non gli spetta neppure una pensione dedicata come categoria usurante, stare 8/10 ore a respirare smog per lo Stato non usura i polmoni (per le ricerche scientifiche si, ma forse non vale per i vigili urbani!), tanto che neppure gli fornisce apposite mascherine per difendersi quanto possibile.
Molti agenti decidono di acquistare con i propri risparmi anche il materiale per la tutela della propria salute, ma occorrono mascherine con appositi filtri adatti. A tal proposito va ricordato che nessuno degli oltre 24.000 dipendenti del Comune di Roma ha dei Rappresentanti per la Sicurezza.
Tronca, anche se commissario straordinario a tempo, dovrebbe quanto prima intervenire e modificare queste aberranti situazioni, anche se ci vorrebbe un contratto nazionale degli Agenti delle polizie Municipali e Locali che necessita da tempo di una riforma, l’amministrazione potrebbe provvedere nell’immediato con dotazioni per tutelare i propri dipendenti e il ripristino dei Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.
L’amministrazione precedente, guidata da Ignazio Marino, ha causato gravi peggioramenti alla categoria, partendo dall’atto unilaterale, la rotazioni ora annullate dal Tribunale, la gestione del Comando. Adesso con Francesco Paolo Tronca, commissario straordinario che ha dichiarato di “non volere che i dipendenti di Roma vadano a lavorare con un groppo allo stomaco” ci aspettiamo tutela e modifiche migliorative.
“Tutti i giorni si spostano delle pattuglie dalle periferie al centro”: il salotto di Roma viene protetto mentre in periferia non c’è quasi nessuna pattuglia disponibile; ci tiene a sottolinearlo l’agente nella video denuncia, quasi a volersi giustificare con la cittadinanza.
Il video denuncia dura circa 8 minuti e consiglio a chiunque di investire questo tempo per crearsi un quadro più approfondito, quantomeno, sulla vita degli agenti della Polizia Locale di Roma Capitale, sulla loro e nostra sicurezza, a pochi giorni dal Giubileo e in pieno allarme terrorismo in tutta Europa.
Il video denuncia è al link:
https://www.youtube.com/watch?v=rBw4lSmN2Uw

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