lunedì 23 novembre 2015

21 novembre - 19/21 novembre Congresso di Medicina democratica: un contributo

di Michele Michelino


OTTAVO CONGRESSO DI MEDICINA DEMOCRATICA 19-21 NOVEMBRE – FIRENZE

Sfruttamento, “monetizzazione della salute” e delega
Le lotte per migliorare le condizioni di vita e gli ambienti di lavoro degli operai e dei lavoratori, contro la nocività, per il miglioramento degli ambienti di lavoro insalubri, contro la riduzione dei salari sono un patrimonio della lotta più generale della classe operaia. Da sempre gli operai, insieme con la lotta sindacale, hanno lottato anche per cambiare leggi ingiuste che legittimano il sistema sociale fondato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Le lotte per la salute cominciano con l’avvento del capitalismo e i lavoratori hanno imparato a loro spese che i morti sul lavoro non sono mai una fatalità, ma il costo pagato dagli operai alla realizzazione del profitto.
I morti sul lavoro sono parte della brutalità e della violenza del sistema capitalista.


Protetti da leggi che tutelano la proprietà privata dei mezzi di produzione, lo sfruttamento e il profitto, i capitalisti anche nel ventunesimo secolo continuano a godere dell’ impunità e della licenza di uccidere. La maggior parte degli infortuni sul lavoro, i morti sul lavoro e di lavoro causati dalle sostanze cancerogene impiegate nei processi di produzione dai padroni sono spesso imputati alla disattenzione degli operai. La realtà è che datori di lavoro senza scrupoli, pur di risparmiare pochi centesimi, non esitano a far lavorare operai e lavoratori senza fornire adeguati dispositivi individuali e collettivi di protezione e molti infortuni gravi o mortali non dipendono dal “destino crudele” ma dalle sete di guadagno. Noi operai nel sistema capitalista non siamo altro che forza-lavoro: carne da macello. Tuttavia non possiamo rassegnarci di essere delle semplici merci in balia del padrone di turno, Non possiamo accettare che sia il mercato a decidere quando e come dobbiamo lavorare costringendoci a salari da fame, alla disoccupazione o a pensioni miserabili dopo una vita di lavoro in cui abbiamo arricchito dei parassiti. La morte di tanti nostri compagni di lavoro “colpevoli” solo di aver usato sostanze cancerogene nei luoghi di produzione senza essere a conoscenza dei rischi e dei pericoli che correvano ci ha portato alla consapevolezza e alla voglia di giustizia. Noi continuiamo a lottare contro tutte le morti “innaturali”, anche se siamo coscienti che, solo abolendo lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, la classe operaia può liberarsi completamente dallo sfruttamento.
Lotte operaie e organizzazione capitalistica del lavoro

In Italia gli anni che vanno dal 1965 al 1970 hanno visto il movimento operaio protagonista di dure lotte che hanno messo in discussione – tra le altre cose - anche gli ambienti di lavoro insalubri e ponevano con forza la necessità e l'urgenza di sottrarre il lavoratore al lento massacro cui era sottoposto. In quegli anni scioperi, fermate improvvise e spontanee di operai e di gruppi di lavoratori costretti a lavorare in ambienti angusti e nocivi, nelle fonderie, nelle forge e in ambienti a caldo, nelle miniere, nei cantieri e nelle campagne, soprattutto nei mesi estivi quando la temperatura sul posto di lavoro diventa intollerabile, erano la prima forma di difesa e di ribellione. Nelle piattaforme - insieme al salario - si rivendicavano obiettivi che riguardavano l’organizzazione e l’ambiente di lavoro. Gli obiettivi delle lotte non sempre erano raggiunti. La conclusione della lotta evidenziava lo scollamento che si manifestava tra quello che gli operai rivendicavano e i risultati raggiunti dai “loro” rappresentanti sindacali che, pur di non ostacolare la produzione, si accontentavano di “difendere” i lavoratori monetizzando la salute. La crescente combattività operaia è stata spesso smorzata dal sindacato nel tentativo di controllare la lotta, non dimentichiamo che la linea ufficiale delle organizzazioni sindacali per anni è stata quella della monetizzazione della salute. Il sindacato e i partiti politici che lo controllavano, sotto la pressione e le lotte spontanee contro la nocività dei lavoratori, sono quindi stati costretti a interessarsi della salute assumendosene la “delega”, anche se nessuno l’aveva loro concessa, nel tentativo di togliere il protagonismo ai lavoratori. Nello scontro col padronato i lavoratori sono stati costretti a sperimentare nuove forme di lotta e una propria, autonoma e indipendente capacità critica della complessiva organizzazione capitalistica del lavoro. Per il padrone e gli istituti da lui chiamati a controllare la salubrità degli ambienti di lavoro la concentrazione di polvere di sostanze cancerogene, gas e fumi, il calore, la rumorosità, la luminosità, i ritmi e la fatica del lavoro, la situazione è sempre normale o “sotto la soglia”; per i lavoratori la situazione invece è molto diversa e sentono, che questi istituti apparentemente neutri ma pagati del padrone, li imbrogliavano e continuano a imbrogliarli.
Medicina preventiva, rapporto medico-lavoratore
Le visite periodiche, da parte dei medici di fabbrica si svolgevano in questo modo: «Si va all'infermeria, si viene pesati, viene fatto firmare un documento senza che nessuno spieghi cosa vi sia scritto. Il medico interroga il lavoratore sulle malattie subite nel recente passato, ausculta i polmoni, prova la pressione del sangue: la durata media della visita non supera i 6-7 minuti. Molte volte non c’è neppure fatta togliere la giacca». Il lavoratore si reca alla visita per pura formalità e ieri come oggi: non conoscerà l'esito reale della visita, sa che quella “visita” non c'entra nulla con la tutela della sua salute, essa fa parte di un rapporto privato tra il medico e la Direzione volto ad accertare unicamente l'efficienza produttiva del lavoratore. Col medico di fabbrica (oggi medico competente) ci si confida il meno possibile per il timore di essere dichiarati inidonei al proprio attuale lavoro e di essere spostati in un altro reparto, subendo una decurtazione di salario.
Nel frequente caso di disturbi e malattie ci si rivolge al proprio medico curante, ma questi, per la cultura professionale che gli è stata generalmente impartita all'università, non conosce minimamente le condizioni di lavoro cui è sottoposto il suo paziente e quindi, non essendo in grado di stabilire un rapporto tra disturbi denunciati e ambiente di lavoro, non ha, in linea di principio, la possibilità di formulare una diagnosi corretta. Il medico si trova di fronte a malattie di cui non è in grado di controllare le cause e quindi la sua sfera d’intervento è limitata ad alleviare il dolore del paziente con dei farmaci. Questo vale per il passato, quando pensiamo all’Italia delle grandi fabbriche diffuse su tutto il territorio, con le centinaia di migliaia di operai che ci lavoravano, ma purtroppo anche per il presente. E' quindi necessario istituire un’efficiente medicina preventiva che, ricercando scientificamente il rapporto di causalità tra malattie tipiche della società industriale moderna (disturbi cardiaci, reumatismi, bronchiti, tumori, ecc.) e ambientale, intervenga sull'ambiente di lavoro e nella società per rimuovere le vere cause delle malattie.
Controversie legali e prestazione sanitaria, registro esposti amianto
Gli ex lavoratori esposti all’amianto costretti a lavorare in fabbriche e reparti lager, come altri lavoratori e cittadini sottoposti alle fibre killer, hanno un’attesa di vita minore di circa 10 anni rispetto al resto della popolazione. Per questo, dopo dure lotte dei lavoratori, fu approvata nel 1992 la legge 257 che metteva al bando l’amianto, stabiliva la sorveglianza sanitaria e risarciva i lavoratori concedendo loro alcune agevolazioni in materia pensionistica poiché morivano prima.
La legge fu approvata grazie alla mobilitazione dei lavoratori che manifestarono giorni e notti davanti al Parlamento che doveva approvare la legge. Allora i finanziamenti previsti dalla legge non riguardavano tutti i lavoratori esposti all’amianto, ma solo i lavoratori addetti alle miniere e fabbriche di cui si prevedeva la chiusura (circa 4.500 unità) e la legge era intesa come un ammortizzatore sociale. Anche il registro dei lavoratori esposti o ex esposti amianto era limitato. Esso riguardava solo i lavoratori residenti nei territori, comuni e città, dove avevano sede le fabbriche, ma ignorava completamente i luoghi dove, invece, i lavoratori di queste aziende vivevano. Ad esempio, la maggioranza dei lavoratori delle grandi fabbriche di Sesto San Giovanni,
Ansaldo, Breda, Falck, Marelli, Pirelli, non abitava a Sesto San Giovanni ma in città e paesi delle provincie di Bergamo, Brescia, Milano, Varese, Piacenza, Pavia, oppure nei comuni limitrofi come Cinisello Balsamo, Cologno Monzese, Bresso, Segrate, Monza.
A tutt’oggi i pochi studi epidemiologici fatti, come lo studio Sentieri, sono falsati perché non tengono conto di dove era situata la fabbrica in cui lavoravano, ma solo del territorio dove abitavano. L’INAIL e l’INPS (gli enti preposti istituzionalmente a certificare l’esposizione ed erogare la pensione corrispondente) con cavilli burocratici di ogni genere continuano a non applicare la legge, negando in molti casi la certificazione che permetterebbe ai malati professionali e ai lavoratori ex esposti all’amianto indennizzi e rendite o di andare prima in pensione, nonostante la loro esposizione sia certificata dai documenti del datore di lavoro e dall’ASL.
L’INAIL in molti casi si comporta peggio di un’assicurazione privata. Per far valere i loro diritti, i lavoratori e i cittadini sono così costretti a lottare e sostenere lunghe e costose cause in tribunale – con i loro scarsi mezzi - contro l’atteggiamento dell‘INAIL lesivo della dignità, della salute, e dei diritti dei lavoratori. Invece di indennizzare gli infortunati e le malattie professionali aumentando le rendite, l’INAIL risparmia i soldi (dei lavoratori) sulla loro pelle, usandoli per scopi non certo nobili come la speculazione finanziaria, nel più totale e complice silenzio di partiti e sindacati e istituzioni. Questo ente ha accumulato un “tesoretto” di 30 miliardi di euro, e invece di usarli per le vittime, per i lavoratori infortunati e malati aumentando le quote previste per risarcire gli infortuni e le malattie professionali, li usa per altri scopi. L’INAIL è anche un ente in palese conflitto d’interessi, essendo quello che deve riconoscere l’esposizione all’amianto e le malattie professionali ma anche quello che deve indennizzarle. Per far riconoscere i diritti delle vittime e stanchi delle lungaggini burocratiche, il nostro Comitato e altre associazioni più volte hanno portato la loro rabbia e la loro protesta direttamente dentro e fuori dei palazzi del “potere”. I lavoratori e le lavoratrici, insieme con i famigliari delle vittime, “armati” di fischietti, coperchi di pentole, campanacci e sirene hanno “esposto” con forza le loro ragioni, perché il tempo non gioca a favore dei malati, e delle vittime e questi enti lo sanno molto bene. Le proteste e le lotte sono servite per fare riaprire trattative interrotte con l’INAIL e anche far sentire e vedere ai giudici nei Tribunali la voglia di giustizia delle vittime. L’esperienza – nostra e d’innumerevoli altri comitati e associazioni di vittime presenti su tutto il territorio nazionale - ha dimostrato che la partecipazione alle lotte dei diretti interessati in prima persona senza delegare è l’aspetto vincente e che LA LOTTA PAGA!
Di lavoro si continua a morire: prevenzione primaria e sanzioni.
Nell’Italia “democratica” nata dalla resistenza, i lavoratori continuano a morire. La modernità del capitalismo continua a uccidere i lavoratori come nell’ottocento. Nel 2015 diminuiscono i lavoratori occupati ma aumentano i morti sul lavoro. Nel nostro paese ogni anno avvengono più di un milione d’infortuni sul lavoro, 1.200 di questi sono mortali. Ogni giorno in Italia ufficialmente muoiono in media 3 lavoratori per infortuni sul luogo di lavoro e molti altri a causa delle malattie professionali, cifre volutamente sottostimate dal governo e dall’INAIL. Omicidi “bianchi”, veri e propri crimini contro l’umanità che avvengono nel più assoluto silenzio dei media salvo quando la notizia può essere spettacolarizzata. La morte sul lavoro è raccontata solo quando fa notizia.
Dal 1° gennaio al 20 ottobre 2015 sono morti sui luoghi di lavoro 564 lavoratori, e con le morti sulle strade e in itinere si superano le 1180 morti.. Inoltre da questi conteggi sono escluse anche diverse categorie come per esempio le Partite Iva Individuali, Vigili del Fuoco, lavoratori in nero, pensionati in agricoltura e tanti altri che non rientrano tra i morti per infortuni conteggiati dall’INAIL. Davanti a questo bollettino di guerra il governo non va oltre le frasi di circostanza e lacrime di coccodrillo ogni volta che succedono stragi di operai, (come alla TyssenKrupp) tacendo sulle decine di morti silenziose per malattie professionali che avvengono ogni giorno, non intervenendo a tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, ma solo a difesa del profitto.
Nel 2014, inoltre, i circa 350 ispettori dell’Inail hanno controllato 23.260 aziende e l’87,5% è risultato irregolare. Sono stati regolarizzati 59.463 lavoratori (meno del 15% rispetto al 2013), di cui 51.731 irregolari e 7.732 in nero. Anche se esistono leggi a tutela della sicurezza e della salute, la strage di lavoratori continua. Una società che ha il suo fondamento nella Costituzione Repubblicana, Costituzione che nell’art. 32 recita “La Repubblica Italiana tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e della collettività”, arrivando a dichiarare che la stessa iniziativa privata - pur essendo libera - “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana” (art. 41 II comma cost.) richiederebbe norme e leggi adeguate. Una medicina veramente al servizio degli esseri umani per prevenire questi “disastri”, cosa che non avviene. Ormai il mondo scientifico è in grandissima maggioranza ben cosciente che non esistono soglie di sicurezza o di tolleranza alle sostanze cancerogene. Sebbene sia necessario, non basta predisporre dispositivi di protezione individuali o collettivi per la riduzione del rischio, ma bisogna adoperarsi affinché il pericolo sia ridotto a zero.
Le lotte del movimento operaio, dei lavoratori e dei cittadini organizzati in Comitati e Associazioni, hanno contribuito a rompere il muro di omertà e complicità con i responsabili di questi assassinii, facendo pressione sulle istituzioni, “costringendole” in alcuni casi a perseguire i responsabili. In questi anni abbiamo visto una giustizia che, spesso, difendeva solo una parte dei cittadini: quella degli industriali. Di solito, vediamo governi e istituzioni (di qualsiasi colore politico) che - mentre proclamano di essere al di sopra delle parti - riconoscono come legittimo il profitto e legalizzano lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, dimostrando di essere in realtà dei “comitati d’affari”, arrivando nella migliore delle ipotesi a punire con una semplice ammenda gli omicidi e i morti sul lavoro e di lavoro. Nel nostro paese i diritti sanciti nella Costituzione sono tuttora subordinati ai poteri forti e sono applicati solo se compatibili con essi. Non si può subordinare la salute e la vita umana alla logica del profitto, ai costi economici aziendali o ai bilanci dello stato. Una società che mercifica tutto, e che trasforma in profitto la malattia, la vita e la morte, senza rispetto per la vita umana, è una società barbara, in cui gli operai e i lavoratori continueranno a morire sul lavoro e di lavoro e le sostanze cancerogene presenti in fabbrica e sul territorio, se non si eliminano, continueranno ad uccidere gli esseri umani e la natura. “Libertà, legalità, giustizia per tutti” rimangono parole astratte, principi vuoti di significato se le classi sottomesse non hanno i mezzi economici e politici per farli rispettare. Anche se le leggi e la Costituzione Repubblicana affermano che l’operaio e il padrone sono uguali e hanno gli stessi diritti, la condizione di completa subordinazione economica fa si che la “libertà” e l’”uguaglianza” dei cittadini sia solo formale.
Sorveglianza sanitaria e tutela della salute
La lotta per pretendere e imporre condizioni di sicurezza nei luoghi di lavoro e nella società riguarda tutti. Lottare per ambienti salubri e un mondo pulito significa lottare contro chi - pur di fare soldi sulla pelle dei lavoratori e cittadini - condanna a morte migliaia di esseri umani, anteponendo i suoi interessi privati a quelli collettivi della società come succede in ogni regione del nostro paese, dal Nord al Sud. In una società civile la salute viene prima di tutto. La sorveglianza sanitaria prevista dalla legge 257/92 per i lavoratori esposti o ex esposti amianto in molte regioni italiane non è ancora applicata. In Lombardia abbiamo dovuto lottare per anni contro la Regione Lombardia e l’Asl per far valere questo diritto previsto dalla legge. Dopo anni di lotte, manifestazioni davanti alle sedi Asl e alla Regione, chiedendo l’applicazione della legge, siamo riusciti a farla applicare. E’ stata un'importante vittoria, perché insieme con quella dei lavoratori abbiamo ottenuto la sorveglianza sanitaria anche per i familiari degli esposti all'amianto. Grazie alle lotte dei lavoratori, dei comitati e delle associazioni, la Regione Lombardia già nel 2007 aveva previsto la sorveglianza sanitaria anche per il coniuge o la compagna/o della persona esposta. “Prevenzione” è sempre stata la parola d'ordine del nostro Comitato e - insieme alla prevenzione primaria che riguarda le bonifiche dell’amianto e delle sostanze cancerogene e nocive in tutto il territorio nazionale, e non solo - ci siamo posti anche l’obiettivo della sorveglianza sanitaria per i familiari degli esposti all’amianto. Noi abbiamo voluto partire dalle mogli, quelle più a contatto con l’amianto portato in casa dai mariti, estendendo anche a loro i controlli sanitari ed è motivo di orgoglio per tutti noi aver raggiunto anche questo risultato. E’ cominciata così la sorveglianza sanitariaanche per le donne che non hanno mai indossato una tuta blu, ma hanno lavato per anni quelle dei mariti.
Nascita del Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio
In questi anni migliaia di lavoratori italiani, i loro familiari e intere famiglie sono state sterminate dal pericoloso e silenzioso killer (amianto), e da molti altri cancerogeni.
La giustizia per i proletari non arriva quasi mai. In molti casi le cause si trascinano per anni, e per i processi penali questo significa prescrizione e quindi impunità per i datori di lavoro e i dirigenti responsabili della morte di centinaia di lavoratori, a parte pochi episodi in cui sono stati riconosciuti colpevoli. L’unico diritto riconosciuto è quello di fare profitti, a questo sono subordinati tutti gli altri “diritti umani”. Le leggi, le norme, una giustizia che protegge in ogni modo i padroni, un intero sistema economico, politico e sociale fa sì che la salute e la vita umana, davanti ai profitti, passino in secondo piano. Da anni combattiamo il killer che per noi si chiama amianto. Ma in altri luoghi si chiama PVC, si chiama diossina, si chiama disastro ferroviaviario (strage di Viareggio) e ha tanti altri nomi ancora, veleni delle Terre dei fuochi“ in Campania, TAV in Val di Susa, ecc.
Tuttavia, anche se le situazioni sono diverse, la causa principale è una sola: il sistema capitalista dove la logica del profitto prevale su tutto. Il diritto alla salute è disatteso e va peggiorando sempre di più, sia nei luoghi di lavoro che in generale nella società perché, con la scusa della crisi, i primi tagli che vengono fatti sono quelli legati alla sicurezza sui luoghi di lavoro e del territorio. Lo stesso avviene a livello sociale: stanno privatizzando tutto, in primo luogo la sanità. I padroni e i manager delle fabbriche di morte sapevano di mandare a morte i lavoratori, ma il problema della competitività aziendale, il problema della logica del profitto, veniva prima della pelle dei lavoratori. Quando noi lavoratori abbiamo scoperto che di questo erano complici tutti - perché c’era un sistema sociale, economico, politico, giuridico, che legittimava lo sfruttamento degli esseri umani e metteva in conto che noi dovevamo morire per ingrassare i padroni ecco che, allora, la paura è diventata prima rabbia e poi coscienza e organizzazione. Quando si scopre che tutti sapevano e non hanno fatto niente per impedire queste morti annunciate, allora chiunque capisce che se sono tutti d’accordo è perché tutti hanno i loro vantaggi dallo sfruttamento dei lavoratori ed è a questo sistema che bisogna opporsi. La nostra lotta ci ha fatto comprendere che non esistono istituzioni neutrali.
Ha dimostrato a molti lavoratori che la frase, scritta nelle aule dei tribunali italiani “la legge è uguale per tutti” non corrisponde a verità. In questa società chi non ha soldi difficilmente può far valere le sue ragioni. La lotta per ottenere giustizia contro lo Stato Italiano e l’INAIL, che hanno permesso che migliaia di operai subissero gravi malattie a causa del lavoro, tutelando in nome del profitto la produzione di morte, è stata oggetto anche di una causa presentata alla Corte dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo dalle associazioni (fra cui la nostra) che da anni si battono per la difesa della salute e della vita umana, per ottenere giustizia per tutte le vittime dell’amianto per tutelare la salute quale fondamentale diritto dell’individuo, per il diritto alla vita, perché crediamo che ogni persona abbia diritto a un’equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole. Cause lunghissime di anni, che spesso terminano per la sopraggiunta morte dei lavoratori già minati nel fisico. Processi penali che durano decenni e che, anche in casi di condanna dei padroni e dirigenti per omicidio colposo, con la prescrizione concedono l’impunità ai responsabili della morte di centinaia di migliaia di lavoratori. La nostra esperienza ci ha però insegnato che non basta avere ragione. Bisogna avere la forza e i numeri per farla valere.
Delega e auto-organizzazione
In questi anni abbiamo assistito impotenti alla morte di tanti compagni, versato lacrime sulle loro tombe senza poter far nulla per aiutarli, se non stargli vicino fino alla fine con la nostra presenza, ma questo ha aumentato la nostra rabbia, e la voglia di giustizia. Siamo cresciuti nella lotta.
La nostra lotta per la giustizia sociale si è scontrata sempre con tutte le istituzioni e questo ha fatto comprendere a molti che il problema non era dovuto solo all’amianto, ma che questo era il problema di una società che trasforma la salute e la vita umana in una fonte di profitto, che privatizza tutto compreso la salute. Una privatizzazione della sanità dove solo chi ha i soldi può permettersi cure adeguate. Anche con il sindacato - CGIL-CISL-UIL - siamo entrati in conflitto.
Eravamo iscritti in maggioranza alla Federazione Impiegati Operai Metallurgici (FIOM) e quando abbiamo scoperto che c’erano questi rapporti dei Servizi di Medicina Ambientale e del Lavoro (SMAL) e che FIOM-FIM-UILM e la stessa Federazione dei Lavoratori Metalmeccanici (FLM) ne erano da tempo a conoscenza e che lo sapevano tutti meno gli operai, siamo entrati in contrasto anche con il sindacato e molti di noi sono stati espulsi, ma ci siamo auto-organizzati e siamo andati avanti.
Per il capitalista Il profitto viene prima di tutto
Per questo sistema sociale è normale che gli operai muoiano in nome del profitto, l’unico problema è che il numero dei morti ogni anno sia contenuto. Negli ultimi anni Confindustria, INAIL, governi, i Capi dello Stato hanno gridano vittoria perché gli infortuni sono scesi sotto il milione e i morti sul lavoro sono passati da 1.200 a poco meno di 1.000, dimenticando spesso di dire che nel frattempo oltre 3 milioni di persone sono stati espulsi dai posti di lavoro, licenziati o cassintegrati.
Per i padroni e le istituzioni che i morti sul lavoro stiano sotto quota mille è un limite accettabile, è tollerabile. Per noi non è tollerabile neanche un morto sul lavoro, perché lo consideriamo un crimine contro l’umanità, per questo chiediamo che sui morti sul lavoro e sui morti di lavoro o da lavoro, venga abolita la prescrizione. Anche nei rari casi di condanna, non si è mai visto un padrone andare in galera in Italia, al limite lo mettono agli arresti domiciliari, nelle loro ville che sono grandi come una cittadina, per cui pensate un po’ che fatica che fanno a scontare la pena. Nei processi penali, i padroni cercano quasi sempre di comprarsi l’impunità risarcendo le vittime.
Pur comprendendo che i famigliari delle parti offese possano accettare un risarcimento economico per il danno subito, noi consideriamo molto grave che le istituzioni (Inail, Asl, Regione, sindacati) accettino transazioni economiche mercanteggiando sulle malattie e sulla vita umana come si fosse al mercato delle vacche. I cavilli legali e le trattative private fra istituzioni e padroni responsabili degli assassini di lavoratori servono solo ad avvicinare la prescrizione garantendo l’impunità ai colpevoli. Per noi la salute e la vita umana non sono in vendita e non hanno prezzo.
Gli assassini devono subire condanne e sanzioni esemplari che servano da monito a chi non rispetta le norme di sicurezza, perché sulla salute e la vita non si tratta. Noi siamo da sempre contro la monetizzazione della salute e della nocività. Per noi la salute non si paga, ma si tutela e la nocività e le sostanze cancerogene si eliminano dalle fabbriche, dai luoghi di lavoro e dalla società.
Noi non vogliamo solo giustizia per i lavoratori e i cittadini morti e malati, ma vogliamo una società civile, dove la salute e la vita umana e l’ambiente siano salvaguardati mettendoli prima del profitto. Michele Michelino
Presidente del Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio

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