martedì 17 novembre 2015

17 novembre - SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! “LETTERE DAL FRONTE” DEL 17/11/15



INDICE

PRODUTTIVITA’: QUEI MITI DA SFATARE

Teoria & Prassi teoriaeprassi@yahoo.it
DI NUOVO IN AUMENTO GLI OMICIDI SUL LAVORO

Michele Michelino michele.mi@inwind.it
NEL 2015 RECORD DI MORTI SUL LAVORO

Franco Mugliari fmuglia@tin.it
A FIRENZE GUARINIELLO COL BINOCOLO

Clash City Workers cityworkers@gmail.com
ATAC ROMA: GLI AUTOBUS NON PASSANO...DI CHI E’ LA COLPA?

Clash City Workers cityworkers@gmail.com
AMA ROMA: CASSONETTI PIENI...DI CHI E’ LA COLPA?

Controsservatorio Valsusa info@controsservatoriovalsusa.org
UNA SENTENZA STORICA

Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario mfpr.naz@gmail.com
LA LOTTA PER LA TUTA DELLE OPERAIE DI MELFI

Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
LETTERA APERTA AL MINISTRO DELLE POLITICHE AGRICOLE MARTINA

ARTICOLO 18 DELLO STATUTO DEI LAVORATORI: IL REINTEGRO E’ COME L’UGUAGLIANZA NELLA COSTITUZIONE...

SCANDALO AMIANTO A OTTANA: IL CASO IN PARLAMENTO

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From: Lavoro & Politica lavoro&politica@partito-lavoro.it
To:
Sent: Friday, October 30, 2015 10:26 AM
Subject: PRODUTTIVITA’: QUEI MITI DA SFATARE

Pensare che i salari pagati in ciascuna azienda debbano dipendere dalla produttività dei rispettivi lavoratori, come vuole il progetto di finanziaria del Governo, non solo non corrisponde alla realtà del modo di funzionamento dei sistemi economici, ma comunque non costituirebbe un legame tra retribuzioni e “meriti” produttivi dei lavoratori.
Dopo il Jobs Act, nella legge di Stabilità il governo intende intervenire ancora sul mercato del lavoro; questa volta, contestualmente all’introduzione del salario minimo legale e sostituendosi alle parti sociali (ma trovando consenso in Confindustria), vuole modificare il modello delle relazioni industriali, spostando il baricentro della contrattazione dalla sfera nazionale a quella aziendale (dove dovrebbe svilupparsi anche il welfare integrativo privato).
Il decentramento contrattuale viene motivato sostenendo che le dinamiche salariali dovrebbero essere connesse a quelle della produttività rilevate in ciascun posto di lavoro. Tuttavia, questa proposta non è sorretta da solide argomentazioni analitiche (come invece si vorrebbe), accentuerebbe le ragioni del nostro declino economico, sarebbe socialmente e politicamente pericolosa.
Non v’è dubbio che la crescita del PIL di un paese sia legata alla dinamica della produttività, ma, si badi bene, a quella del suo complessivo sistema produttivo. La crescita della produttività è particolarmente legata al progresso tecnologico; tuttavia:
a) esso si diffonde in modo disomogeneo nei diversi settori produttivi e nelle singole aziende;
b) i suoi effetti sulla produttività non necessariamente sono rilevabili proprio là dove il progresso si genera;
c) essi comunque trascendono l’impegno dei lavoratori di una singola azienda o settore;
d) in ogni caso, anche storicamente, le dinamiche salariali dei lavoratori di diversi settori non dipendono molto dall’evoluzione delle produttività misurate in ciascuno di essi.
Ricordando che la produttività è un concetto fisico, cioè il rapporto tra la quantità prodotta e la quantità di lavoro impiegato, le tendenze storiche mostrano che in alcuni settori (specialmente in quelli industriali che maggiormente hanno incorporato il progresso tecnico) la produttività è cresciuta relativamente molto. In altri (specialmente in quelli dei servizi dove prevale l’impegno diretto delle capacità umane) è cresciuta relativamente poco.
Per produrre un chiodo oggi occorre un impiego di lavoro “infinitamente” inferiore rispetto a 2.500 anni fa, ma il tempo necessario a un docente per spiegare il teorema di Pitagora a uno studente non è cambiato molto.
Se le dinamiche salariali dei lavoratori nei due settori dipendessero dall’evoluzione relativa delle loro produttività, negli ultimi secoli i metallurgici dovrebbero aver goduto di una crescita delle retribuzioni “infinitamente” superiore a quella dei docenti. Naturalmente non è stato così. D’altra parte, il forte aumento della produttività nella produzione dei chiodi è dipeso anche dal fatto che in altre parti del sistema produttivo (e sociale) continuava a essere insegnato e applicato (anche) il teorema di Pitagora senza aumenti di produttività.
Il ruolo di settori come quelli dove si produce ricerca di base, innovazione, istruzione e formazione è fondamentale per gli incrementi di produttività dell’intero sistema, ma in essi la misurazione della produttività fisica e la sua specifica attribuzione a chi vi lavora per determinarne i salari è anche più problematica.
Dunque, la percezione e la misura degli aumenti della produttività non si rilevano necessariamente nei settori dove vengono generati. Collegare a essi le dinamiche salariali è problematico anche se la produttività è misurata in termini monetari, ad esempio, in termini di fatturato per addetto.
Infatti, così facendo, la produttività viene a dipendere anche dall’evoluzione dei prezzi relativi.
Per il solo fatto che in un settore i prezzi aumentano più che in un altro, il suo fatturato per addetto risulterà maggiormente accresciuto, indipendentemente dalle dinamiche della produttività fisica registrate in entrambi. Ma i prezzi relativi e il valore attribuito alla produzione di ciascun settore e azienda dipendono da numerosi fattori, anche indipendenti dalla produttività.
In primo luogo, i prezzi relativi sono influenzati proprio dalla distribuzione del reddito (cosicché il nesso causale tra produttività e distribuzione del reddito s’inverte) la quale, a sua volta, dipende dalla forza economica, contrattuale, e politica dei titolari di profitti, rendite e salari. Ma
questi fattori socio-politici non agiscono in modo omogeneo nei diversi settori, aziende e territori, anche in uno stesso paese.
In secondo luogo, i prezzi relativi sono influenzati anche da altre circostanze come le condizioni di mercato (più o meno concorrenziali) e anche queste possono essere diverse nei differenti settori e territori di produzione.
Dunque, pensare che i salari pagati in ciascuna azienda debbano dipendere dalla produttività dei rispettivi lavoratori, non solo non corrisponde alla realtà consolidata del modo di funzionamento dei sistemi economici, ma comunque non costituirebbe un legame tra retribuzioni e “meriti” produttivi dei lavoratori. Il valore monetario creato da un’impresa dipende molto parzialmente dalla produttività fisica dei suoi lavoratori, la quale, peraltro, più che dalla loro capacità e disponibilità al lavoro, scaturisce dall’organizzazione produttiva e dalle tecnologie fornite dall’imprenditore e, prima ancora, dalla ricettività verso il progresso tecnico del settore in cui opera l’azienda.
La proposta di legare i salari alla produttività aziendale e di privilegiare la contrattazione decentrata, oltre che carente analiticamente, presenta due gravi controindicazioni per la crescita e gli equilibri sociali, specialmente nel nostro Paese.
In primo luogo, il legame tra produttività aziendale e salari accentuerebbe la frammentazione del sistema produttivo: facendo perdere di vista che l’aumento della produttività riguarda l’intero sistema produttivo e non singole sue parti; premiando i settori dove la produttività si rivela ma non quelli dove effettivamente ha origine; comunque differenziando ciò che invece va valutato in modo integrato. La segmentazione contrattuale celerebbe ulteriormente che la competitività che il nostro sistema produttivo deve recuperare riguarda essenzialmente la sua complessiva capacità di esprimere qualità e capacità innovativa, le quali non dipendono dal costo del lavoro sostenuto in ogni singola azienda (che comunque incide relativamente poco sui prezzi), ma dal prevalere di una logica e di un progetto d’assieme, intersettoriale, di società e di lungo periodo che necessariamente deve coinvolgere le tre parti che ne hanno responsabilità: l’insieme delle imprese, i rappresentanti dei lavoratori e il Governo.
In secondo luogo, i lavoratori impiegati nei diversi settori produttivi convivono in una stessa società e hanno bisogni simili cosicché, se le dinamiche delle produttività aziendali e settoriali come emergono dalle misurazioni possibili fossero fortemente disomogenee (come è normale che accada) e se le dinamiche retributive fossero corrispondentemente diverse (come si vorrebbe che fosse), si creerebbero maggiori disparità e problemi di coesione sociale, a cominciare da conflitti e divisioni interni agli stessi lavoratori.
Alimentare queste tendenze disgreganti non gioverebbe allo sviluppo del Paese; tuttavia, per quanto miope, potrebbe essere proprio questo l’obiettivo politico non secondario associato alla proposta del decentramento contrattuale.

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From: Teoria & Prassi teoriaeprassi@yahoo.it
To:
Sent: Monday, November 09, 2015 12:11 PM
Subject: DI NUOVO IN AUMENTO GLI OMICIDI SUL LAVORO

I morti sul lavoro sono aumentati del 15,3% nei primi otto mesi del 2015: 752, cento in più dello scorso anno.
Aumentano di molto anche le denunce di malattie professionali, dalle 38.400 patologie denunciate nel 2014 alle 39.400 del 2015 (+2,5%).
L'altro dato allarmante è la crescita dei tumori: nel 2014 ne sono stati denunciati 2.999 con un incremento del 2,7% rispetto ai 2.919 del 2013 e di ben il 24% rispetto ai 2.418 del 2010.
I lavoratori morti per malattia professionale sono stati 1.488 nel 2014.
Si tratta di dati che non fotografano il fenomeno nel suo complesso, perché più di 2 milioni di lavoratori non sono assicurati con INAIL, c'è il fenomeno della "sottodenuncia" (lavoratori indotti a non denunciare o a farlo passare come non lavorativo, su pressione di padroni senza scrupoli).
C'è poi il lavoro nero, in cui INAIL stima si verifichino circa 150.000 infortuni l'anno di bassa e media gravità.
Il mandante e l’esecutore della strage di proletari, che si verifica sui posti di lavoro e per le strade, è il sistema capitalistico, con le sue ferree leggi, prima fra tutte quella del massimo profitto ottenuto riducendo i “costi” (cioè salari e norme di sicurezza).
La precarietà introdotta dalle controriforme del mercato della forza-lavoro ha trasformato il lavoratore in merce completamente "flessibile", asservito ai bisogni del padronato, senza diritti, senza garanzie, assoggettato al ricatto quotidiano nei luoghi di lavoro.
Una condizione che, di conseguenza, non fa altro che aumentare il rischio di insicurezza, gli infortuni, soprattutto mortali, lo stress e le malattie professionali causati dall'aumento dei ritmi di lavoro.
Chi paga il prezzo più alto dell’attacco ai diritti dei lavoratori in maniera massiccia e devastante sono le lavoratrici e i lavoratori immigrati, regolari e non, ricattati dal legame lavoro/permesso di soggiorno o pagati in nero, con paghe da fame, molti ammassati e nascosti in luoghi fatiscenti e trattati peggio delle bestie.
Gli omicidi sul lavoro sono un aspetto della feroce lotta di classe che il capitale conduce ogni giorno contro i lavoratori sfruttati.
Sta alla classe operaia, a tutto il proletariato riappropriarsi della coscienza di essere la classe che deve abolire lo sfruttamento e le “morti bianche” con la lotta rivoluzionaria.
La difesa delle condizioni di salute e sicurezza dei lavoratori non scaturisce semplicemente dai progressi della scienza, dall’entrata in vigore di nuove leggi o dall’azione che possono fare gli scarsi organi di vigilanza. Dipende soprattutto dalla nostra lotta!

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From: Michele Michelino michele.mi@inwind.it
To:
Sent: Monday, November 09, 2015 2:23 PM
Subject: NEL 2015 RECORD DI MORTI SUL LAVORO

DI LAVORO SI CONTINUA A MORIRE: NEL 2015 RECORD DI MORTI SUL LAVORO
In Italia è quindi in corso una vera e proprio guerra di classe in cui ogni anno migliaia di donne e uomini sono sacrificati nella ricerca del massimo profitto.
Nell’Italia “democratica” nata dalla resistenza, i lavoratori continuano a morire. La modernità del capitalismo continua a uccidere i lavoratori come nell’ottocento.
Nel 2015 diminuiscono i lavoratori occupati, ma aumentano i morti sul lavoro. Nel nostro paese ogni anno avvengono più di un milione d’infortuni sul lavoro, 1.200 di questi sono mortali. Ogni giorno in Italia ufficialmente muoiono in media 3 lavoratori per infortuni sul luogo di lavoro e molti altri a causa delle malattie professionali, cifre volutamente sottostimate dal governo e dall’INAIL. Li chiamano morti “bianche”, ma sono veri e propri crimini contro l’umanità che avvengono nel più assoluto silenzio dei media salvo quando la notizia può essere spettacolarizzata.
Le varie “riforme” delle pensioni fino a quella del governo Monti (con la “riforma” Fornero), hanno innalzato fino a 70 anni l’età lavorativa, aumentando il precariato e il lavoro nero insieme al ricatto della disoccupazione.
Il peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro, oltre a una perdita di diritti e imbarbarimento della condizione lavorativa pesa molto anche per quanto riguarda la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro. Far lavorare degli esseri umani fino a 65/70 anni nei cantieri, costringendone alcuni a salire sui tetti, nelle miniere, o fonderie in età cosi avanzata, insieme a persone che entrano ed escono da un’impresa con contratti a termine ogni tre, sei o ogni 12 mesi espone questi lavoratori a notevoli rischi.
Secondo i dati riportati da tre diversi istituti nel 2015, gli infortuni e i morti sul lavoro sono cresciuti a ritmi impressionanti. Secondo l’Osservatorio Indipendente di Bologna sui Morti sul Lavoro, l’ANMIL (Associazione Nazionale Mutilati ed Invalidi sul Lavoro), e l’Osservatorio Vega Engineering di Mestre sono un vero record. Secondo l’Osservatorio Indipendente di Bologna sui Morti sul Lavoro fondato da Carlo Soricelli metalmeccanico in pensione, “I morti per infortuni sui luoghi di lavoro non sono mai stati così tanti da quando nel gennaio 2008 è stato aperto l’osservatorio”.
Dal 1° gennaio al 20 ottobre 2015 sono morti sui luoghi di lavoro 564 lavoratori, e con le morti sulle strade e in itinere si superano le 1.180 morti.
Questa cifra in realtà è sottostimata perché nelle statistiche delle morti sul lavoro lo Stato e l’INAIL non tengono conto di molti lavoratori che muoiono sulle strade e in itinere. Inoltre da questi conteggi sono escluse anche diverse categorie come per esempio le Partite IVA individuali, Vigili del Fuoco, lavoratori in nero, pensionati in agricoltura e tanti altri.
Nelle statistiche dell'Osservatorio Indipendente di Bologna si afferma che: “Il 30,7% dei morti sui luoghi di lavoro ha un'età superiore a 60 anni. Il 32,5% è in agricoltura, di questi 116 sono stati schiacciati dal trattore, oltre il 20% sul totale di tutte le morti per infortuni. In sostanza un morto su 5 di tutte le morti sui luoghi di lavoro sono state provocate dal trattore (è così tutti gli anni). L’edilizia 22,5%. Oltre il 50% di tutte le morti per infortuni sono in queste due categorie. Gli stranieri sono stati il 10,3% sul totale. I romeni sono come tutti gli anni la comunità con più vittime”.
Davanti a questo bollettino di guerra il governo non va oltre le frasi di circostanza e lacrime di coccodrillo ogni volta che succedono stragi di operai, (come alla ThyssenKrupp) tacendo sulle decine di morti silenziose che avvengono ogni giorno, non intervenendo in modo efficace a tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, ma solo a difesa del profitto.
Dai dati ufficiali risulta che nel 2014, i circa 350 ispettori dell’INAIL hanno controllato 23.260 aziende e l’87,5% è risultato irregolare. Di questi sono stati regolarizzati 59.463 lavoratori (meno del 15% rispetto al 2013), di cui 51.731 irregolari e 7.732 in nero.
Da sempre la borghesia, le classi imprenditoriali e i gruppi politici a essi collegati, hanno cercato di diminuire le tutele legislative per i lavoratori.
In particolare negli ultimi anni con l’inizio della crisi attraverso il Testo Unico del 2008, il governo Berlusconi, quello di Letta e oggi il governo Renzi sono intervenuti con Decreti peggiorativi, modificandone in parte i contenuti e diminuendo in tal modo le tutele per i lavoratori.
Nonostante il peggioramento Il Testo Unico prevede norme di carattere penale e obblighi per il “datore di lavoro” il cui mancato adempimento comporta un reato penale perseguibile.
Nonostante questo, anche se esistono leggi a tutela della sicurezza e della salute, la strage di lavoratori continua. Nel sistema democratico borghese, sotto la dittatura del capitale, la lotta del movimento operaio può riuscire a imporre anche leggi a tutela degli sfruttati, ma non dobbiamo mai dimenticare che il governo è un “comitato d’affari” della grande finanza e delle multinazionali capitaliste-imperialiste, che tutela la proprietà privata e il profitto e volutamente non fa niente per fare applicare le leggi sulla sicurezza se non è costretto dalla mobilitazione dei lavoratori.

Michele Michelino
Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio

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From: Franco Mugliari fmuglia@tin.it
To:
Sent: Monday, November 09, 2015 4:11 PM
Subject: A FIRENZE GUARINIELLO COL BINOCOLO

Guariniello, evidentemente preoccupato di doversi confrontare con Muglia La Furia, a Firenze ha tirato buca limitandosi a mandare un video di circa 60 minuti. Insomma “Guariniello in FAD”.
Per i non addetti ai lavori FAD sta a significare “Formazione A Distanza”; da qui formazione col “binocolo”.
Ovviamente non è stato possibile alcun confronto diretto con Muglia La Furia che peraltro, come avevo spiegato nel post “A Firenze a Firenze”, non ci sarebbe stato comunque visto che:
-         non era in programma;
-         Guariniello tiene la sua relazione e poi in genere dopo aver risposto ad alcune domande del pubblico o del moderatore, se la fila.
Insomma era stato Muglia La Furia che, tirandosela un po’ e millantando credito a piene mani, aveva lasciato intendere che il confronto sarebbe stato diretto. Vorrei ringraziare comunque i miei supporter e i followers per il sostegno manifestato.
Tornando al video del nostro Procuratore, registrato il giorno prima del convegno fiorentino, nulla di nuovo.
Un intervento interamente dedicato alla 231 e alla responsabilità amministrativa. Insomma le solite cose per chi ha avuto occasione di sentirlo negli ultimi due anni.
Il pubblico l’ha presa bene anche se la Laura, temendo il peggio, durante la pausa caffè ha tentato di darsela a gambe ma, con tacco 16 e scarpa leopardata, difficile andare lontano.
Un particolare del video di Guariniello ha destato particolare interesse: l’unghia del pollice della mano sinistra del procuratore era completamente “nera”.
Tre le ipotesi.
1)    La moglie del procuratore approfittando del fatto che non andasse a Firenze gli ha chiesto di piantare un chiodo per poter appendere un quadro alla parete. Cosa che lui ha fatto senza valutare i rischi e senza un’adeguata formazione.
2)    La vendetta di un tifoso della Juventus per aver fatto fuori la sua squadra del cuore, a seguito dell’inchiesta sulla pipì dei calciatori bianconeri.
3)    Il martelletto del giudice a processo stanco di ascoltare la requisitoria contro un imputato accusato di spacciare per “carne salada” della "bresaola valtellinese".
In ogni caso a movimentare il pomeriggio ci hanno pensato i "magnifici 4" della tavola rotonda che hanno avviato una discussione sul tema della formazione alla sicurezza sul lavoro e, più in particolare, sul processo educativo (Muglia La Furia), sulla valutazione della sua efficacia (Francesco), sulla formazione vista nella logica della 231 (Claudio) e sugli strumenti innovativi a disposizione della formazione (Daniele).
Finalmente dopo tanti contatti solo via internet, Facebook, mail ecc., ci siamo potuti incontrare dal vivo, o meglio, da “vivi”.
Oggetto di critica anche la recente risposta all’interpello sull’aggiornamento dei docenti-formatori alla sicurezza sul lavoro per i quali sono previste ogni 3 anni, “alternativamente” 24 ore di docenza e 24 ore di partecipazione a seminari, convegni ecc. Secondo il Ministero “alternativamente = in alternativa”, quindi per aggiornarsi il docente formatore potrebbe limitarsi a fare 24 ore di docenza ogni 3 anni. Sarebbe come se un RSPP per aggiornarsi potesse limitarsi a fare un paio di DVR o partecipare ad una riunione periodica; un coordinatore fare un PSC o 24 ore di presenza in cantiere. Vedremo se ci saranno ulteriori chiarimenti.
Forse vi sarete accorti anche voi che quando si parla di “231”,  la categoria delle toghe è sempre ben rappresentata sia tra i relatori che tra il pubblico. E’ stato così anche a Firenze e mi limito a riportare un passaggio dell’intervento di uno degli avvocati presenti che ha sostenuto come “La giurisprudenza della Cassazione stia disegnando in maniera puntuale i compiti del coordinatore della sicurezza”.
Alla buon’ora, potrebbe pensare qualcuno, visto che la direttiva cantieri è stata emanata nel 1992 e recepita in Italia nel 1996 con il Decreto Legislativo 494. Io invece mi domando ma che strano Paese è quello in cui per vedere pienamente disegnato il ruolo, eminentemente di carattere tecnico-organizzativo del Coordinatore, si debbano attendere le Sentenze della Corte di Cassazione e non, più semplicemente, applicare quanto scritto nella legge. Forse che la legge sia stata scritta male? Modificata in peggio nel corso degli anni? Rimodificata dal D.Lgs.81/08? Modificata a seguito delle condanne della Corte di Giustizia europea? Ricorretta dal decreto del “fare”?  E ri-ricorretta da un decreto attuativo del Jobs Act?
Per quanto alle slide del mio intervento vi anticipo che le metterò a disposizione sul blog dopo il 10 dicembre, data in cui interverrò, sempre a Firenze, ad un “barcampsafety” che, detto tra noi, non ho capito bene cosa sia, ma dove dovrò intervenire insieme ad un gruppo di grandi esperti e ancor più grandi amici (Atti, Catanoso, Fantini, Vicenzi, Valentini, Cuccuini, Palmisano, Zini, Verdesca, ecc.) molti dei quali reduci di quello che fu il “Circolo di Sarnes”.
Poi le renderò disponibili grazie ai tipi di “iCLhub”, nel cui catalogo già oggi trovate alcuni miei materiali scaricabili gratuitamente (anche in power point):
Una però ve la voglio mostrare in anteprima. E' quella che ho usato a Firenze venerdì scorso per salutare i partecipanti. Per noi che da sempre sosteniamo molto modestamente che la "formazione è come l'omeopatia e male non fa" e, visto che eravamo nella patria di "messer Renzi"  che in TV definì "inutili" i corsi di primo soccorso, mi pareva giusto sottolineare che proprio grazie alla formazione impartita al collega-soccorritore, "la formazione può salvare la vita".
No, il 10 dicembre Guariniello, non ci sarà. Ha già avvisato che sarà a sciare approfittando del ponte di S. Ambrogio.

Franco Mugliari alias Muglia La Furia

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From: Clash City Workers cityworkers@gmail.com
To:
Sent: Tuesday, November 10, 2015 3:07 PM
Subject: ATAC ROMA: GLI AUTOBUS NON PASSANO...DI CHI E’ LA COLPA?

Il servizio dei trasporti di Roma è soggetto a un continuo peggioramento a causa dell'inadempimento della manutenzione ordinaria, del mancato rinnovamento della rete di trasporto basato per lo più sul trasporto su gomma, nonché di una crisi aziendale allargata anche dai ritardi nei pagamenti da Comune e Regione che sono i principali finanziatori di ATAC (70%, mentre solo il 20% è frutto dalla vendita dei titoli di viaggio).
Come avvenuto in casi analoghi, anche qui la colpa viene scaricata sui lavoratori che in questi mesi sono diventati vittime di vere e proprie aggressioni da parte degli utenti. Ma vediamo in sintesi quali sono le condizioni di un servizio fondamentale come quello dei trasporti, per cui viene tanto propagandata come soluzione la sua privatizzazione.
Intanto la privatizzazione in ATAC già esiste: l'azienda pubblica è affiancata dalla Roma TPL per un totale del 20% delle linee, quelle periferiche e notturne. Gli effetti? Trattamenti salariali diversi nell'ambito della stessa azienda, turni anche di 11-12 ore, ammontare dei salari inferiore anche del 30% rispetto a quello dei dipendenti diretti di ATAC. Non ultima la riduzione delle linee.
Si stima un sotto organico di circa 1.000 unità, infatti l'ordinario svolgimento del servizio è garantito per oltre il 20% dal sistematico ricorso agli straordinari; molti dei dipendenti dell'azienda hanno accumulato più di 30 giorni di ferie, mentre per permettere qualche giorno di ferie, ogni anno vengono assunti lavoratori con contatti a tempo determinato di 45 giorni (prorogabili per altri 45) che nei pochi mesi in cui lavorano sono costretti ad imparare 40 tratte diverse.
Mentre i premi di produzione dei dirigenti ATAC ammontano ad oltre i 200.000,00 euro annui, i dipendenti saranno costretti ad aumentare la produttività per mantenere gli stessi stipendi con un contratto fermo dal 2006. Per giustificare queste decisioni unilaterali ne sono state dette di tutte: a parità di stipendio gli autisti romani guiderebbero solo 736 ore annue, mentre a Milano se ne fanno 1.200. La richiesta di un aumento di ore settimanali da 37 a 39, ci rivela con un semplice calcolo che in questi rimproveri c'è qualcosa che non quadra (37 x 50 = 1.850).
Questo è solo uno degli elementi utili a riconoscere quanto sia falsa e ingiusta la propaganda denigratoria dell'Azienda e del Comune contro i suoi dipendenti.
Un servizio come il trasporto pubblico necessita di maggiori assunzioni, di più manutenzione e di maggiori investimenti mentre i fondi per decenni sono stati redistribuiti trasversalmente tra partiti politici complici della malagestione, come con le assunzioni di amministrativi dello scandalo Parentopoli ai tempi di Alemanno, con il servizio deviato dei biglietti clonati stimati per un valore di oltre 70 milioni di euro, con l'acquisizione di una nuova inutile sede del valore di più di 100 milioni.
Per saperne di più leggi la nostra ultima inchiesta “ATAC: oltre le menzogne” al link:

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From: Clash City Workers cityworkers@gmail.com
To:
Sent: Tuesday, November 10, 2015 3:07 PM
Subject: AMA ROMA: CASSONETTI PIENI...DI CHI E’ LA COLPA?

Secondo il sindaco e i giornali romani la colpa è degli operatori AMA che sarebbero troppo assenteisti e sfaticati, un'accusa che da 30 anni Governi e televisioni lanciano ai lavoratori pubblici per giustificare le privatizzazioni.
In realtà un lavoratore AMA carica ogni giorno più rifiuti di quanto dovrebbe, nei camioncini arriva oltre le sponde, contravvenendo al regolamento. E allora perché i rifiuti restano per strada?
Perché gli impianti pubblici e privati dove vengono smaltiti i rifiuti di Roma non bastano dopo la chiusura della discarica di Malagrotta, e spesso i camion restano in fila fuori perché non possono scaricare.
Il problema non è che Malagrotta è stata chiusa dopo 30 anni, ma che è stata tenuta aperta tutto questo tempo: inquinando definitivamente la zona e tutta la città, arricchendo a dismisura il suo proprietario Cerroni, ora agli arresti domiciliari assieme ai politici che lo hanno favorito.
Tutti parlano di puntare sulla differenziata, e la raccolta porta a porta è partita in tante zone della città. Ma nessuna nuova assunzione è stata fatta per un lavoro che necessità di più braccia umane, per ogni tipo di rifiuto da raccogliere. I lavoratori per il porta a porta sono stati spostati dalle zone dove non c'era, diminuendo ulteriormente le braccia al lavoro e quindi i rifiuti raccolti in quelle zone.
Chi presenta la privatizzazione come la soluzione del problema dei rifiuti fa finta di non sapere che tanti problemi della gestione dei rifiuti derivano proprio dalla relazione, criminale o meno, tra l'amministrazione e le ditte private che hanno preso in appalto il servizio: sia Cerroni sia le cooperative che raccoglievano la differenziata da uffici, ristoranti e altri privati, tra le quali la 29 giugno di Buzzi!
Proprio come per l'ATAC un migliore servizio necessiterebbe di più assunzioni per svolgere un lavoro, quello della differenziata, che necessita di più braccia, più manutenzione dei camion e camioncini, che spesso non viene potuta fare per mancanza di pezzi di ricambio, e impianti di trattamento della differenziata che siano fatti nell'interesse collettivo e non in quello dell'arricchimento dei privati.
E i soldi? I soldi li dovrebbero intanto pagare tutti i Ministeri, Enti pubblici e amministrativi, grosse committenze private, che hanno accumulato centinaia di migliaia di euro di debiti con l'AMA per mancato pagamento del servizio reso (e che ora si lamentano degli sprechi!). Si dovrebbero togliere dalle buste paga dei dirigenti che arrivano a 100.000 euro l'anno. Le dovrebbero versare le casse dello Stato che negli ultimi decenni non ha fatto che tagliare soldi alla spesa locale, per diminuire le tasse ai ricchi, fare opere inutili per arricchire i privati come la TAV, regalare soldi alle imprese come il miliardo di euro che questo anno verrà dato in premio a chi assume con il nuovo contratto precario a tempo indeterminato di Renzi.
Per approfondire leggi l'inchiesta del Coordinamento Operaio “AMA: i rifiuti del(la) capitale” al link:

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From: Controsservatorio Valsusa info@controsservatoriovalsusa.org
To:
Sent: Tuesday, November 10, 2015 11:23 PM
Subject: UNA SENTENZA STORICA

Domenica 8 novembre 2015, al termine di una sessione di quattro giorni aperta al pubblico, il Tribunale Permanente dei Popoli (TTP) ha pronunciato una Sentenza storica di condanna del metodo seguito per la definizione del TAV in Val Susa e dell'intero sistema che presiede, in Italia e in Europa, alle grandi opere.
La Sentenza si può leggere all’indirizzo:
Con esplicito riferimento ai principi richiamati dalla Convenzione di Aarhus la Sentenza afferma che i casi esposti nella sessione del TPP (Val di Susa, Notre Dame des Landes, Rosia Montana, Paesi Baschi di Francia e di Spagna, Stoccarda, Venezia, Firenze, Basilicata e regioni d’Italia interessate ai progetti di trivellazione, Messina e Niscemi, e tutti gli altri progetti presi in considerazione) "documentano un modello generalizzato di non conformità operativa a questi principi, da parte di un gran numero di governi e di enti pubblici oltre che dei committenti esecutori di grandi opere".
La Sentenza, accogliendo totalmente l'impianto accusatorio, afferma in maniera esplicita che in Val Susa sono stati violati i diritti fondamentali dei cittadini all’informazione e alla partecipazione, sono state disattese numerose convenzioni internazionali, c’è stata un’impropria criminalizzazione del movimento di opposizione e una inammissibile militarizzazione del territorio.
Il Tribunale ha riconosciuto la responsabilità al riguardo, oltre che dei promotori e delle imprese coinvolte, dei Governi italiani degli ultimi due decenni e delle articolazioni dell’Unione europea che ne hanno accolto acriticamente le indicazioni senza effettuare i controlli e gli accertamenti richiesti dal movimento di opposizione.
Il Tribunale ha quindi concluso con specifiche raccomandazioni chiedendo, tra l’altro, ai governi italiano e francese di aprire "consultazioni serie delle popolazioni interessate, e in particolare degli abitanti della Val di Susa, per garantire loro la possibilità di esprimersi sulla pertinenza e la opportunità del progetto e far valere i loro diritti alla salute, all’ambiente e alla protezione dei loro contesti di vita" estendendo l’esame a tutte le soluzioni praticabili  "senza scartare l’opzione zero" e "sospendendo, in attesa dei risultati di questa consultazione popolare, seria e completa, la realizzazione dell’opera".
Il Tribunale chiede altresì di "sospendere la occupazione militare della zona".
Nella Sentenza letta da Philippe Texier (Magistrato onorario della Corte suprema di Cassazione francese) non manca un riferimento al fatto che "Nella loro visita alla zona, i membri di una delegazione del TPP sono stati trattati come potenziali delinquenti".
La Valsusa ha accolto con entusiasmo una Sentenza che riconosce pienamente le sue ragioni. La lotta del movimento No TAV per la difesa del territorio, della salute e della democrazia non finisce certo oggi, ma il punto fermo segnato dalla Sentenza non potrà essere ignorato.
Valorizzare il significato di un pronunciamento del Tribunale Permanente dei Popoli che non guarda soltanto alla Valsusa è un impegno per tutti coloro che hanno a cuore la difesa del proprio territorio e i diritti di intere comunità.
Sul sito del Controsservatorio Valsusa sono disponibili le registrazioni audio/video della giornata conclusiva con la lettura della Sentenza, delle raccomandazioni finali e i messaggi di due membri della giuria che hanno portato in Val di Susa l'eco delle lotte per i diritti in Cile e in Colombia.
Nei prossimi giorni saranno disponibili tutte le testimonianze ascoltate.

Il Controsservatorio Valsusa

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From: Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario mfpr.naz@gmail.com
To:
Sent: Tuesday, November 10, 2015 17:33 PM
Subject: LA LOTTA PER LA TUTA DELLE OPERAIE DI MELFI

INTERVISTA ALL'OPERAIA DELLA FCA-SATA DI MELFI: PINA IMBRENDA, PROMOTRICE DELLA CAMPAGNA CONTRO LE TUTE BIANCHE
QUAL'E’ LA SITUAZIONE ALLA SATA?
Alla SATA, passate le pause, è passato di tutto. Ma occorreva ripartire, cominciare a far vedere che c'eravamo, dare fiducia.
Noi pensavamo, a differenza della segreteria FIOM [Pina con altri operai SATA, tra cui due dei tre ex licenziati, è parte della sinistra FIOM “Il sindacato è un'altra cosa”,  NDR] che era necessario prima fare gli scioperi esterni per farci nuovamente riconoscere dalle operaie e operai, che esistevamo. Poi abbiamo fatto anche gli scioperi interni che sono riusciti.
Ad agosto abbiamo fatto lo sciopero in verniciatura per le condizioni insopportabili di caldo (in verniciatura i condizionatori ci sono, ma non mettono l'acqua refrigerante). Mentre in lastratura abbiamo fatto l' “uscita di sicurezza” perchè all'interno vi erano 40° ed era pericoloso per la salute lavorare; questo ci ha permesso anche di superare l'ostacolo della FIOM che non voleva che noi dichiarassimo sciopero.
Sia in Verniciatura che in Lastratura abbiamo ottenuto per il periodo estivo di emergenza un aumento delle pause.
Questo ha dimostrato che se ti dai da fare, acquisti fiducia.
RACCONTAMI COME E’ ANDATA SULLA QUESTIONE TUTE
La questione della macchiatura della tuta è cominciata a diventare un problema di tante operaie e quasi quotidiano. Fino ad allora, anche se c'era non se ne parlava. In Basilicata le donne hanno ancora riserva a parlare su certi temi. Per questo all'inizio anche io non ero convinta. Poi vi è stato un episodio in particolare che ha fatto superare i dubbi. Vi erano le operaie che per non uscire con la tuta macchiata rimanevano chiuse nei bagni, poi dovevano chiamare il capo per avere un'altra tuta, questi lo diceva a un altro, che quando veniva con la tuta cominciava a dire in presenza di tutti: per chi è...? Quindi, tutti sapevano...
COME E’ LA REAZIONE DEGLI OPERAI A QUESTA INIZIATIVA?
L'iniziativa che stiamo facendo ha cambiato l'atteggiamento verso le operaie anche degli operai. Prima quando si parlava dei problemi delle donne vi era un atteggiamento di sottovalutazione, di vederli, anche da parte dei delegati, come problemi secondari, al massimo da essere inseriti in un punto delle richieste all'azienda, ora invece è diverso. E' stata la mobilitazione diretta delle operaie a far cambiare le cose.
Abbiamo scelto di affrontare la questione della tuta anche per incastrare la FIAT su una cosa su cui non può dire niente.
COME STA ANDANDO LA CAMPAGNA?
Abbiamo cominciato in due a raccogliere le firme sulla tuta. Ma via via vedevamo che tutte le operaie firmavano. Venivano loro a chiederci di firmare. Noi, perchè fosse una cosa seria anche per le operaie, abbiamo voluto che mettessero a fianco della firma il numero del tesserino identificativo. E l'hanno messo senza difficoltà.
Dopo abbiamo consegnato le firme alla FIAT, che finora non ha risposto.
Le abbiamo consegnate anche alla FIOM Basilicata, proprio il giorno in cui è venuto Landini. Ma anche qui silenzio.
Solo dietro richiesta nostra il segretario della CGIL ci ha dato una mano a far pubblicare un articolo sul “Il Quotidiano della Basilicata”. Il giorno dopo abbiamo saputo che l'azienda ci voleva dare le culotte...
Dopo questo primo articolo ho provato direttamente a insistere verso la stampa nazionale. Repubblica ha risposto.
Abbiamo cominciato la raccolta firme anche alla FIAT di Termoli, Pratola Serra, Sevel.
AVETE RICEVUTO APPOGGIO A LIVELLO NAZIONALE?
Ho ricevuto telefonate da tutt'Italia, meno in un primo tempo che dalla FIOM. La consigliera delle pari opportunità della Basilicata e quella del Governo hanno fatto loro la nostra istanza; la consigliera del Governo ha fatto un documento, che è stato trasmesso e letto a RAI Radio1, e ha fatto una lettera/appello alla direzione FIAT, perchè accolga le nostre istanze.
Solo dopo la FIOM è intervenuta, ponendo alla FIAT l'alternativa: o cambio della tuta o non assegnarcela, ma questo darebbe all'azienda una via d'uscita.
Ora la FIOM cerca di appropriarsi della nostra iniziativa, ma per affossarla.
Negli altri stabilimenti sta facendo la raccolta di firme senza che le operaie mettano il numero identificativo.
La FIOM non ha delegate donne, l'unica sono io, che sono in contrasto con la FIOM, infatti la FIOM sta cercando di mandare avanti un'altra operaia iscritta FIOM con l'intento di sostituirmi.
A livello parlamentare, devo dire che Barozzino (l'altro operaio delegato FIOM licenziato e ora parlamentare di SEL) ha fatto un'interrogazione parlamentare, ha parlato di tutto e la tuta è stata semplicemente uno dei tanti punti. Tutti possono parlare delle tute, ma non queste persone, che quando noi abbiamo lottato sulle pause non ci hanno dato copertura politica. Ora che stiamo facendo l'iniziativa sulla tuta, guarda caso, parlano delle pause, dei carichi di lavoro, ma solo per mettere in ombra la nostra iniziativa.
Hanno avuto un atteggiamento migliore alcune senatrici del PD e del M5S.
QUAL'E’ IL VALORE DI QUESTA BATTAGLIA?
Questa iniziativa sulla tuta ha permesso di riparlare delle donne alla SATA, ha riaperto la questione.
Le operaie l'hanno vista come una questione di dignità.

Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario
MFPR Nazionale

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From: Carlo Soricelli carlo.soricelli@gmail.com
To:
Sent: Thursday, November 12, 2015 9:12 AM
Subject: LETTERA APERTA AL MINISTRO DELLE POLITICHE AGRICOLE MARTINA

Egregio Ministro Martina
anche ieri sono morti 3 agricoltori schiacciati dal trattore, due schiacciati dal mezzo e uno dal rimorchio.
Con questo volevo solo dirle che polemizzare attraverso le pagine del Manifesto, con me, un volontario che dal 1° gennaio 2008  monitora, senza percepire neppure un euro, e lavorando diverse ore al giorno  le morti sul lavoro è assurdo.
Ho cominciato a farlo dopo la tragedia della Thyssen-Krupp di Torino, 7 lavoratori morti pochi settimane prima.
Ancora più assurdo scrivere "certe polemiche di qualcuno".
Da anni tempesto di mail chi ci governa, scrivendo che i morti sul lavoro stanno aumentando e non calando, che sono molti di più di quelli che denuncia l'INAIL che monitora solo i propri assicurati.
Per anni sono stato ignorato, ma ormai tutti gli italiani sanno che quello che scrivo è vero: che l'INAIL monitora solo i propri assicurati. I morti sui luoghi di lavoro (escluso l'itinere) sono oggi (12 novembre) dall'inizio dell'anno 615, erano secondo i nostri dati 573 nello stesso giorno del 2008, il 6,6% in più. Lo stesso giorno del 2014 sono stati il 6,9% in più. A questi poi occorre aggiungerne almeno altrettanti che muoiono sulle strade e in itinere.
Il 33% di tutti i morti sul lavoro sono nel comparto agricolo. La politica, il Governo, stampa e televisioni sono state tempestate dall'Osservatorio che dirigo di mail. A Lei chiedevo di fare qualcosa per le centinaia di agricoltori che ogni anno muoiono schiacciati dal trattore.
Il 28 febbraio del 2014 ho mandato una mail a Lei, a Renzi e Poletti, vi chiedevo (come da diversi anni a chi vi ha preceduto) di  fare almeno una campagna informativa sulla pericolosità del mezzo, perché dai dati raccolti nel corso degli anni sapevo che entro pochi giorni sarebbe ricominciata la strage. Niente neppure un twitter da parte Sua, di Renzi e Poletti.
Chiedevo (come tutti gli anni) che venissero messi a disposizione dei fondi per mettere in sicurezza i vecchi trattori. Nel 2014 ne sono morti così atrocemente 152 (un morto sui luoghi di lavoro su 5 è causato dal trattore). Quest'anno ne sono morti già 127 e 91 nel periodo d'apertura dell'EXPO.
Poi, come scrive Lei sul Manifesto, l'INAIL ha messo recentemente a disposizione dei fondi, e io credo che anche la campagna portata avanti dall'Osservatorio nel corso di tutti questi anni sia stata determinante.
Ma i cittadini non contano niente e il merito deve sempre andare a chi è in alto. Tutti gli italiani sanno ormai che il trattore è un mezzo che uccide facilmente e per tante ragioni che non sto a elencare.
E Lei che cosa fa invece di ringraziare un cittadino che con lavoro volontario dimostra coscienza civile? Polemizza con lui. Cerchi invece d’impegnare le sue energie al massimo per ridurre il numero di queste tragedie che è veramente spaventoso.
Poi cercate di capire come mai in questi anni sono passati con la complicità dei media messaggi su "favolosi" cali delle morti, E, in base a questi presunti cali, leggi che hanno ridotto la sicurezza sul lavoro, mentre invece i morti, se si prendono in esame tutti i morti per infortuni non sono mai calati.
Poi sarebbe anche opportuno rivedere la Legge Fornero, visto che c’è stato un forte incremento delle morti sui luoghi di lavoro tra gli ultra sessantenni, costretti a svolgere lavori pericolosi con riflessi poco pronti e acciacchi di varia natura. Tra l’altro con pericolo per sé e per gli altri.
Aspettando una sua risposta che non sia polemica mi metto a sua disposizione. 
Cordiali saluti.
Carlo Soricelli
Curatore dell'osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro

* * * * *


SICUREZZA IN AGRICOLTURA, LA REPLICA DEL MINISTRO MARTINA
Da Il Manifesto
05/11/15
Cara Direttrice,
ritengo opportuno rispondere alla lettera di Carlo Soricelli pubblicata martedì scorso sul Suo giornale, intitolata “L’Expo e il trattore”.
Al di là dei toni, stupisce infatti che il nostro impegno per garantire condizioni sicure di lavoro, portato avanti in questi mesi di governo, sia stato ignorato proprio da chi si occupa in prima persona di queste tematiche. Eppure prevenzione e sicurezza sono al centro della nostra azione politica.
Con la Legge di stabilità, infatti, abbiamo realizzato una misura strutturale insieme a INAIL. Con 45 milioni di euro nel 2016 e 35 milioni di euro per ogni anno a partire dal 2017 incentiviamo il rinnovo delle macchine agricole, puntando su tecnologie innovative, sicure e sostenibili, con l’obiettivo di favorire il miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Con l’istituzione di un fondo specifico, presso l’INAIL, verranno finanziati gli investimenti per l’acquisto o il noleggio con patto di acquisto di macchine o trattori agricoli e forestali.
Sempre per sostenere l’ammodernamento della meccanizzazione nelle aree rurali, attraverso i Programmi di sviluppo rurale regionali, saranno messi a disposizione, fino al 2020, più di un miliardo di euro da investire in sistemi innovativi per le imprese, con un contributo che va da un minimo del 40% a un massimo del 50%. Interventi non banali con cui vogliamo alzare gli standard di sicurezza. Anche sul fronte prevenzione, questione cruciale, abbiamo messo in campo azioni mirate. La revisione periodica, ad esempio, per cui abbiamo firmato con il Ministero delle infrastrutture un Decreto che colma finalmente una lacuna dell’ordinamento legislativo in materia. Non capisco poi il tentativo di confondere la questione sicurezza con Expo, che è stata un’esperienza irripetibile per il settore e tutto il Paese, con ricadute positive sia in termini di immagine che economiche, che raccoglieremo anche nel medio e lungo periodo. Così come è stata una piattaforma di confronto globale sui principali temi dell’agroalimentare, compreso appunto il problema sicurezza a cui abbiamo dedicato numerosi approfondimenti.
Questi incontri sono la base per aprire un’ulteriore e più ampia discussione su queste tematiche e mettere in atto un deciso cambiamento che faccia della cultura della sicurezza lo scopo primario di una società più moderna e civile. Per arrivare a tutto ciò serve l’impegno di tutti e non certo polemiche di qualcuno.
Cordialmente
Maurizio Martina
Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali

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From: Grillo Giuseppe grillo@macchinistiuniti.it
To:
Sent: Sunday, November 15, 2015 11:04 PM
Subject: ARTICOLO 18 DELLO STATUTO DEI LAVORATORI: IL REINTEGRO E’ COME L’UGUAGLIANZA NELLA COSTITUZIONE...

Tutele crescenti o soldi pubblici per licenziare i Lavoratori "just in time"?
Dubbi o certezze? Ai posteri...
Dall'intervista sotto riportata: ...omissis...
E lei?
“Non ci credevo. Se sei precario, te lo puoi aspettare. Se sai di essere a tempo indeterminato, no. E invece ho scoperto così che ero precario lo stesso. Da un momento all’altro a casa, l’ho trovato ingiusto, una mancanza di rispetto dal punto di vista umano. E ho ripensato all’articolo 18...”.
Cioè?
“Aveva ragione chi lo difendeva. Qui è finito tutto, la riforma è una falsa promessa di miglioramento”.
A  futura memoria...
Giuseppe Grillo
Da La Repubblica
PRIMO ASSUNTO COL JOBS ACT E LICENZIATO: "ALTRO CHE TUTELE CRESCENTI"
"Ero felicissimo, poi il fulmine a ciel sereno: c'è un calo di lavoro, non possiamo più tenerti e tutto finisce"
di Matteo Pucciarelli
14 novembre 2015
"Preferivo finire sul giornale per una storia migliore eh", scherza Mario, operaio trentunenne, due figli di 12 e 3 anni.
E’ il primo licenziato con il contratto a tempo indeterminato versione "Jobs Act": questa la denuncia dal sindacalista della CISL Massimo Albanesi raccolta dal Messaggero Veneto.
Dopo soli otto mesi dalla firma della lettera di assunzione. Per paura di ritorsioni ("non è che poi non mi assume più nessuno?") aveva preferito non esporsi. Ma alla fine questo lavoratore della Pigna Envelopes (quella dei block notes) di Tolmezzo, in provincia di Udine, decide di raccontarsi, "dopotutto di cosa dovrei vergognarmi?".
Partiamo dall'inizio: quando e come viene assunto?
"Allora, io facevo il camionista e stavo molto tempo all'estero. Vedevo poco la mia famiglia. Dopo quattro anni di questa vita, decido di provare ad avvicinarmi a casa".
E com'è entrato in contatto con l'azienda?
"Sapevo che cercavano operai e io avevo già fatto esperienza anni fa in una cartiera. Presentai domanda nell'estate del 2014. A inizio 2015 mi chiamano per dirmi che ci siamo. Ma poi rimandano di qualche settimana, perché aspettavano il varo della nuova riforma del lavoro. Così il 16 marzo ho firmato il contratto".
Era felice?
"Di più, felicissimo. Fabbrica a 200 metri da casa, ci andavo a piedi. Due mesi di prova e poi l'indeterminato. Lo stipendio, facendo anche i turni di notte e con gli assegni familiari, era di 1.400 euro".
Ma non sapeva che il contratto a tutele crescenti prevede la possibilità di un più facile licenziamento?
"No, l'azienda ci aveva sempre detto di stare tranquilli, e che per tre anni stavamo sicuri. Poi non sono un tipo politicizzato, mai fatto uno sciopero in vita mia, non sono di sinistra. Vedevo Renzi in tv, parlavano tutti di ‘tutele crescenti’... Ecco sulla mie pelle ho visto che quella dizione è una barzelletta".
Come le hanno detto che restava a casa?
“Mercoledì, erano le 17,30. Stavo facendo il turno pomeridiano, dalle 14 alle 22. Mi hanno chiamato i superiori per dirmi che c’è un calo di lavoro, non potevano più tenermi, quindi da venerdì il contratto era risolto”.
E lei?
“Non ci credevo. Se sei precario, te lo puoi aspettare. Se sai di essere a tempo indeterminato, no. E invece ho scoperto così che ero precario lo stesso. Da un momento all’altro a casa, l’ho trovato ingiusto, una mancanza di rispetto dal punto di vista umano. E ho ripensato all’articolo 18...”.
Cioè?
“Aveva ragione chi lo difendeva. Qui è finito tutto, la riforma è una falsa promessa di miglioramento”.
Non aveva avuto neanche delle avvisaglie che qualcosa non stesse andando bene?
“Sapevamo che c’erano difficoltà, sì, ci eravamo consumati le ferie apposta. Ma da qui a vederti lasciato così...”.
Non è che per caso l’hanno licenziata per altre ragioni legate al suo operato?
“No, oggi hanno fatto lo stesso con altri due tempi indeterminati a tutele crescenti, forse non è finita qui”.
Senta, quando è tornato a casa con la lettera di licenziamento cosa le ha detto la sua compagna?
“E’ rimasta senza parole anche lei. Un fulmine a ciel sereno. Se ti parlano di ‘tutele crescenti’ e firmi un indeterminato, vivi con una certa tranquillità. Ti fidi no? Invece scopri che era tutto frutto della tua immaginazione, o della propaganda”.
E adesso?
“Avrò la disoccupazione per qualche mese e intanto cerco un nuovo impiego; ma se lo avessi saputo prima che andava a finire così non avrei mai lasciato il lavoro di camionista. Mi ero anche fatto licenziare dal vecchio datore di lavoro, così risultando disoccupato l’azienda ha potuto usufruire degli sgravi fiscali assumendomi...”.

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To:
Sent: Monday, November 16, 2015 9:32 AM
Subject: SCANDALO AMIANTO A OTTANA: IL CASO IN PARLAMENTO

Da La Nuova Sardegna
SCANDALO AMIANTO A OTTANA, IL CASO IN PARLAMENTO
INTERROGAZIONE AL GOVERNO SULLE MORTI PER PATOLOGIE ASBESTO CORRELATE NELLA FABBRICA EX ANIC-ENICHEM
Il deputato Michele Piras interroga il governo sulle morti per patologie asbesto correlate nella fabbrica ex Anic-Enichem
14 novembre 2015
Approda in parlamento il caso delle morti per gravi patologie legate all’esposizione all’amianto nello stabilimento chimico Anic-Enichem negli anni ‘90. Il deputato di SEL Michele Piras ha presentato un’interrogazione ai ministri della Sanità, del Lavoro e dell’Ambiente e annuncia una proposta di legge per far sì che anche la fabbrica di Ottana venga inserita nell’elenco nazionale dei siti industriali in cui lavoratori erano esposti all’amianto.
“La possente contaminazione da amianto del sito industriale ex Enichem di Ottana, le numerose vittime della micidiale fibra che si registrano fra i lavoratori, la mancata iscrizione del sito nel registro nazionale, rappresentano un doppio scandalo italiano”, denuncia Piras.
Un caso clamoroso “sia per la negazione ai lavoratori della Sardegna centrale dei benefici previsti dalla legge per le vittime da patologie asbesto correlate, sia perché stavolta si tratta di una azienda di Stato, che per lunghi anni ha operato sul territorio, lasciando le macerie della disoccupazione, dell'inquinamento, delle malattie, senza alcun risarcimento tangibile di carattere sociale ed ambientale. Persino le bonifiche fin qui operate appaiono incomplete e operate in una condizione di totale assenza di sicurezza”.
L’interrogazione di Piras avviene all’indomani della denuncia, da parte dell’AIEA (Associazione Italiana Esposti Amianto) e di Medicina Democratica, avvenuta nei giorni scorsi a Ottana contestualmente a un esposto alla magistratura in cui viene sollecitato l’avvio di un’indagine sulla lunga serie di decine di morti e di numerosi ex lavoratori gravemente ammalati o, comunque, a rischio di diventarlo a causa della prolungata esposizione alla sostanza killer.
“La recente denuncia pubblica delle associazioni dei familiari delle vittime dell'amianto è un durissimo atto d'accusa nei confronti dello Stato e della rappresentanza politica, troppo spesso inerte e passiva rispetto alla sofferenza di centinaia di persone” – scrive il deputato di Sel – “Con la presente interpellanza urgente, alla quale seguirà una mozione alla Camera dei deputati e una proposta di legge per l'inserimento di Ottana nell'elenco dei siti nazionali contaminati dall'amianto, chiedo al governo che si faccia carico di questa situazione incresciosa e che vi ponga immediato rimedio”.
Piras vuole inoltre conoscere l’attuale situazione all’interno del sito industriale e chiede al governo di “predisporre ulteriori ed urgenti interventi di bonifica”, visto che “secondo numerose testimonianze sono presenti sostanze inquinanti frutto di stoccaggio abusivo”.

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