SICUREZZA SUL
LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS!
NEWSLETTER N. 219
DEL 20/07/15
NEWSLETTER PER LA TUTELA DELLA SALUTE
E DELLA
SICUREZZA DEI LAVORATORI
INDICE
“HASTA LUEGO,
CARINO”: SOSTIENI IL CORTOMETRAGGIO SULLE MORTI SUL LAVORO
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1
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ATTUAZIONE
LEGISLATIVA DEL JOB ACT: COMMENTO AL DECRETO SULLE TUTELE CRESCENTI
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3
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SULLA VALUTAZIONE
DEI RISCHI E SULLA REDAZIONE DEL RELATIVO DOCUMENTO DI VALUTAZIONE NEL CASO
DI COSTITUZIONE DI UNA NUOVA IMPRESA
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7
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LE NORME COMUNITARIE
E LA PREVENZIONE INCENDI
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9
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LO STRESS E
L’IMPORTANZA DEL LAVORO: MOBBING, BOSSING E STRAINING
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12
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RISCHIO VIBRAZIONI:
VALUTAZIONE DEL RISCHIO E PREVENZIONE
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15
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“HASTA LUEGO,
CARINO”: SOSTIENI IL CORTOMETRAGGIO SULLE MORTI SUL LAVORO
E’
partita la campagna di “crowdfounding” per il cortometraggio “Hasta Luego,
Carino”.
A
seguire la descrizione del progetto come riportato al link:
dal
quale si può anche partecipare alla campagna di finanziamento “crowdfounding”
per la realizzazione del progetto.
DESCRIZIONE
DEL PROGETTO
“Hasta
Luego, Carino” è un cortometraggio che racconta dell’ultimo inconsapevole
saluto tra una madre e un figlio, e affronta collateralmente il tema della
scarsa sicurezza sul lavoro che troppo spesso affligge il settore
dell’edilizia.
La
prima versione della sceneggiatura è nata nel 2009, ma il progetto, al tempo
ambientato in Italia, non è mai partito a causa della mancanza di fondi.
La
sceneggiatura è stata poi riscritta negli anni successivi ed ambientata in
Spagna; dove, nell’agosto del 2014, arriva un piccolo ma importante
finanziamento dall’ICAA (Ministero della Cultura spagnolo) che ha permesso
l’inizio della produzione.
Il
corto è in spagnolo e sarà sottotitolato in differenti lingue.
LA CAMPAGNA DI CROWDFOUNDING
Diventare
un finanziatore di “Hasta Luego, Carino” significa sostenere il cinema
indipendente e la causa per cui questo progetto si batte.
La
nostra speranza è che una semplice storia come questa possa dare molto più che
freddi e sterili statistiche sugli incidenti sul lavoro, che troppo spesso non
arrivano alle persone.
CHI
SIAMO
Antonello
Novellino è produttore e regista di film e cortometraggi indipendenti, si
occupa anche di regia e montaggio video per trasmissioni televisive
internazionali e di spot e video istituzionali (tra Spagna, Italia, Messico e
Stati Uniti). E’ uscito in Spagna il suo primo lungometraggio da regista “Blue
Lips”, che ha avuto numerosi riconoscimenti. I suoi lavori come produttore e
regista hanno ricevuto all’incirca trecento tra premi e riconoscimenti, alcuni
ricevuti da celebrità come Francis Ford Coppola, Rutger Hauer, Asia Argento,
Enrico Lo Verso, Alejandro Jodorowsky.
Paky
Perna dirige e collabora alla realizzazione di cortometraggi, videoclip e
filmati redazionali. I suoi corti sono stati proiettati in più di 100 festival
tra Italia e altri Paesi e hanno vinto numerosi premi. Nel 2011 è tra i
finalisti del Premio Solinas Experimenta con il lungometraggio “Tony Denti
Show”. Attualmente è in pre-produzione del cortometraggio “Hasta luego,
Carino”, finanziato dal Ministero della Cultura spagnolo.
Nacho
Aldeguer è un attore madrileno conosciuto per i suoi ruoli in “Cuéntame”,
“Isabel” e “La Pecera
de Eva”. Ha lavorato nel cinema con artisti del calibro di Adrien Brody,
Penélope Cruz, Cecilia Roth e Verónica Echegui e a teatro è stato diretto da
John Strasberg e José Pou.
Zampanò
Producciones è una casa di produzione cinematografica. Un gruppo di
professionisti che iniziarono a collaborare nel 2001 e continuano a lavorare
con la stessa passione per raccontare storie. Giovanni Maccelli e Carlota Coronado
coordinano i progetti di questa produzione italo-spagnola che si stabilizza a
Madrid nel 2007. Nell’attualità Zampanò è un referente nel mondo del
cortometraggio con centinaia di premi vinti in festival internazionali, tra cui
il Goya per “Juan y la nube”.
CHE
NE FAREMO DEI SOLDI
Il
budget totale previsto per il progetto è di circa 19.000 €, parte del quale è
stato finanziato dall’ICAA; ora abbiamo bisogno di un ulteriore supporto per la
fase di post-produzione: il nostro obiettivo è raggiungere la quota di 3.000 €
attraverso la piattaforma Verkami.
I
soldi serviranno a coprire le spese di post-produzione video e audio:
montaggio, color correction, mixaggio ecc.
La
cifra totale richiesta è di 3.000 €, che verrà divisa a metà tra audio e video.
ALTRI
OBIETTIVI SE SUPEREREMO LA
SOMMA RICHIESTA
Nella
migliore delle ipotesi, se supereremo la cifra richiesta in questa campagna,
impegneremo la cifra rimanente donandola in beneficenza ad associazioni e
campagne a sostegno del tema delle morti bianche.
CALENDARIO
Luglio
2015: lancio del crowdfunding.
Agosto
2015: Consegna copia all’ICAA.
Settembre
2015: Creazione dei DVDs.
Ottobre
novembre 2015: invio delle ricompense.
2016:
Presentazione ufficiale del corto a Madrid.
Pagina
Facebook
Zampano
Producciones
ATTUAZIONE
LEGISLATIVA DEL JOB ACT: COMMENTO AL DECRETO SULLE TUTELE CRESCENTI
PREMESSA
Quanto
riportato a seguire non è di immediata attinenza alle tematiche della
protezione della salute e della sicurezza abitualmente trattate nelle mie
Newsletters.
Ho
deciso di pubblicarlo lo stesso, perché dà un dettagliato e argomentato commento
al Decreto attuativo dei cosiddetti “contratti a tutele crescenti”, uno dei
Decreti che il Governo ha disposto a seguito della Legge n.183 del 10/12/14 (il
cosiddetto “Jobs Act”).
Tale
Decreto, che di fatto semplifica le procedure di licenziamento, permetterà una
maggiore ricattabilità delle aziende nei confronti dei lavoratori e la
conseguenza rinuncia a battaglie per i propri diritti in ambito del lavoro, tra
cui quelle per la tutela della salute e della sicurezza.
Anche
se non direttamente come altri (ad esempio quello sul “demansionamento”) anche
questo Decreto, aumentando drasticamente la precarietà e la ricattabilità dei
lavoratori, sarà un’arma potentissima in mano ai padroni per la riduzione dei
diritti dei lavoratori, anche relativamente a salute e sicurezza sul lavoro.
Marco
Spezia
Da
Studio Cataldi
COMMENTO
AL DECRETO LEGISLATIVO N. 23 DEL 04 MARZO 2015 SULLE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI
CONTRATTO DI LAVORO A TEMPO INDETERMINATO A TUTELE CRESCENTI, IN ATTUAZIONE
DELLA LEGGE N. 183 DEL 10 DICEMBRE 2014
Il
Decreto si prefigge di applicare la sola tutela obbligatoria per i
licenziamenti motivati da problemi economici e da alcuni disciplinari.
Queste
disposizioni si applicano ai lavoratori assunti dal 7 marzo 2015 con contratto
a tempo indeterminato, esclusi i dirigenti, e ai privati che dal 7 marzo hanno
convertito il contratto da tempo determinato a tempo indeterminato nonché ai
lavoratori a tempo indeterminato assunti prima del 7 marzo che lavorano in
un’azienda che ha assunto dopo il 7 marzo altro personale fino a raggiungere
almeno i 16 dipendenti: ciò vuol dire che per i lavoratori a tempo determinato
continuano ad applicarsi la
Legge n.78/ del 16 maggio 2014 e precedenti.
La
tutela al lavoratore si attua attraverso due forme: tutela reale e tutela
obbligatoria.
Secondo
la tutela reale il Giudice ordina la reintegrazione del lavoratore nel posto di
lavoro, pertanto il datore deve invitare il lavoratore a riprendere servizio
entro 30 giorni. Il lavoratore deve riprendere servizio oppure può chiedere,
entro i 30 giorni dall’invito a riprendere servizio oppure entro 30 giorni
dalla comunicazione del deposito della sentenza o dell’ordinanza, in sostituzione
della reintegra, un’indennità (cosiddetta sostitutiva) pari a 15 mensilità
commisurate alla retribuzione utilizzata per calcolare il Trattamento di Fine
Rapporto (TFR), cioè paga base, indennità integrativa speciale e retribuzione
individuale di anzianità, indennità notturna, straordinario non occasionale
(costante), indennità varie fisse incluse le festive.
Il
lavoratore ha il diritto di far accantonare il 13,5% dell’indennità sostitutiva
percepita per il suo futuro TFR. Su questa indennità si pagano le tasse cioè
ogni onere fiscale ma non previdenziale.
Insieme
alla reintegra, il Giudice condanna il datore al risarcimento del danno che in
questo caso, “ad litteram leges”, è “in re ipsa”. Il calcolo del danno viene
sempre commisurato alla retribuzione utilizzata per calcolare il TFR, ma si
deve moltiplicare per il periodo di licenziamento cioè per i mesi intercorsi
tra la data di licenziamento e la data di riassunzione ovvero fino alla data di
rinuncia della reintegrazione (la giurisprudenza è “favor prestatoris”, fissa il
“dies ad quem” alla data di rinuncia e non alla data di invito a riprendere il
servizio).
Dall’
indennità risarcitoria va detratto l’eventuale reddito percepito dal lavoratore
durante il licenziamento ma non devono essere detratte le contribuzioni previdenziali
(non si accantona il TFR né si pagano le tasse) perché tutti gli oneri fiscali,
assistenziali e previdenziali devono essere pagati a parte direttamente dal
datore. Nel caso in cui il periodo di licenziamento sia inferiore a 5
mensilità, deve comunque essere liquidato un danno non inferiore a 5 mensilità.
Può
accadere che a seguito di sentenza di reintegra, il lavoratore offra
inutilmente la propria prestazione lavorativa.
In
questo caso il datore dovrà sempre versare le retribuzioni mensili (globale di
fatto) come se il lavoratore fosse stato reintegrato. Il vantaggio datoriale di
una simile decisione (opinabile) sta nel diritto di ottenere la ripetizione di
tutte le retribuzioni versate al lavoratore nel periodo “medio tempore” tra la
pubblicazione della sentenza di reintegra, ovvero dalla scadenza del termine di
invito, all’eventuale sentenza di accoglimento in appello (ovviamente insieme
alle indennità).
Diversamente,
cioè se il lavoratore fosse stato reintegrato, in caso di soccombenza in appello
avrebbe comunque ritenuto le retribuzioni successive alla sentenza di reintegra
per aver maturato i diritti quesiti, stante l’impegno lavorativo profuso (in
termini di consumazione delle energie psico-fisiche) e il datore vittorioso in
appello avrebbe solo potuto ottenere le indennità versate a titolo di
risarcimento (tra le molte vedi Sentenza di Cassazione Civile n.12124 del
01/06/15).
Non
solo. E’ anche accaduto che a seguito di vittoria in appello, il datore abbia
richiesto e ottenuto dall’Ente previdenziale tutti i versamenti corrisposti a
seguito di indennizzo e retribuzione “medio tempore” così da impedire che il
lavoratore fosse posto in quiescenza. Di conseguenza sono risultate inutili le
cause promosse da questi lavoratori contro l’INPS onde ottenere la pensione.
La
tutela obbligatoria è globale percepita. Secondo recentissima giurisprudenza,
nella retribuzione globale sono incluse le indennità del salario accessorio e
non solo la paga base e l’indennità integrativa speciale (ex contingenza).
Il
Decreto definisce e regola alcune forme di licenziamento creando non poca
confusione sulla tutela apprestata.
Licenziamento
discriminatorio: è discriminatorio, ai sensi dell’articolo 15 dello Statuto dei
Lavoratori, subordinare l’occupazione di un lavoratore alla condizione che
aderisca o non aderisca a una associazione sindacale ovvero cessi di farne
parte, assegnare qualifiche o mansioni inferiori rispetto ai colleghi di pari
grado e così anche farne oggetto di trasferimenti, provvedimenti disciplinari o
recargli comunque pregiudizio a causa della sua affiliazione o attività
sindacale o associativa ovvero della sua partecipazione ad uno sciopero.
Parimenti la discriminazione può riguardare ideologie politiche e religiose
ovvero appartenenze razziali, etniche di lingua o di sesso.
La
tutela apprestata è quella reale.
Licenziamento
nullo: il licenziamento nullo ha effetto “ex tunc” cioè come se non si fosse
mai verificato quindi si applica la tutela reale.
Licenziamento
intimato in forma orale: questa forma di licenziamento è inefficace per cui si
applica la tutela reale.
Licenziamento
per giustificato motivo soggettivo: il motivo soggettivo attiene essenzialmente
alle condizioni o alla condotta del lavoratore. In questo caso il Giudice
accerta la giustificazione del motivo addotto dal datore a sostegno del
licenziamento.
Nel
caso in cui vi sia il difetto del motivo cioè che non risulti vero che il
lavoratore è divenuto inabile al lavoro perché affetto da disabilità fisica o
psichica ovvero in conseguenza di infortunio o malattia o da cause imputabili
al datore per violazione delle norme igieniche e di sicurezza (accertate con
specifica sentenza), escludendo la possibilità del “repechage”, il Giudice applica
la tutela reale.
Esclusi
questi particolari istituti, il Decreto ha introdotto il cosiddetto
“licenziamento illegittimo efficace” per cui il Giudice, accertato che non
esistono i motivi che giustificano il licenziamento, dichiara comunque estinto
il rapporto di lavoro (conferma il licenziamento “ex tunc” cioè dalla data di
intimazione datoriale del licenziamento) e condanna il datore al pagamento di
un’indennità (cosiddetta “buonuscita”) pari a due mensilità, commisurate alla
retribuzione utilizzata per calcolare il TFR, per ogni anno di servizio in un
range che va da 4 a
24 mensilità (quindi nel caso in cui il lavoratore abbia un’anzianità di
servizio di un anno, percepirà comunque 4 mensilità, se invece ha un’anzianità
di oltre 12 anni, percepirà sempre 24 mensilità).
Licenziamento
per giustificato motivo oggettivo: si applica l’istituto della buonuscita, ma
nel caso in cui si verta in ambito disciplinare e si dimostri in giudizio che
il fatto causativo (materiale) addebitato al lavoratore non è vero cioè è
insussistente, fatto salvo l’accertamento della violazione del principio di
proporzionalità tra infrazione e licenziamento, il Giudice dovrà applicare la
tutela reale, ma l’indennità risarcitoria è fissata nel massimo a 12 mensilità.
Licenziamento
per giusta causa: si applica l’istituto della buonuscita ma nel caso in cui si
verta in ambito disciplinare soprattutto per violazione del “minimum” etico e
anche delle norme in bianco e si dimostri in giudizio che il fatto causativo
(materiale) addebitato al lavoratore non è vero cioè è insussistente, fatto
salvo l’accertamento della violazione del principio di proporzionalità tra
infrazione e licenziamento, il Giudice dovrà applicare la tutela reale, ma
l’indennità risarcitoria è fissata nel massimo a 12 mensilità. Nei
licenziamenti per giustificato motivo e giusta causa, quando si applica questo
Decreto, non può trovare accoglimento la Legge n.604 del 15 luglio 66 “Norme sui
licenziamenti individuali” ed in particolare l’articolo 7.
Licenziamento
senza motivo: l’articolo 2, comma 2 della Legge n.604 del 15 luglio 66
stabilisce che il licenziamento è nullo se il datore di lavoro non comunica al
lavoratore i motivi sottesi il provvedimento di recesso. Ebbene il Decreto che
si commenta, annulla questa fondamentale tutela e consente al licenziamento
illegittimo di divenire efficace permettendo al Giudice di dichiarare comunque
estinto il rapporto di lavoro “ex tunc” cioè dalla data di comunicazione del
licenziamento al lavoratore, condannando il datore a pagare un’indennità
commisurata a una mensilità per ogni anno di servizio con un minimo di 2 e un
massimo di 12.
Ma
il Decreto non è così perentorio: se il lavoratore nel ricorso di opposizione
al licenziamento si ricorda di eccepire l’insussistenza dei presupposti
dimostrando che il licenziamento è stato attuato per motivi discriminatori,
oppure è nullo per violazione della legge che stabilisce la nullità per
determinati motivi (ad esempio per gravidanza), allora potrà attuare la tutela
reale; differentemente potrà avvantaggiarsi della tutela obbligatoria se
dimostra che il licenziamento è stato posto in violazione delle norme che
regolano il giustificato motivo e la giusta causa. In questo caso potrà solo
sperare nel raddoppio dell’indennità.
Licenziamento
in violazione delle garanzie previste dal codice disciplinare dello Statuto dei
lavoratori, cioè se il datore di lavoro non comunica al lavoratore i motivi
sottesi il provvedimento di recesso. Ebbene il Decreto che si commenta, annulla
questa fondamentale tutela e consente al licenziamento illegittimo di divenire
efficace permettendo al Giudice di dichiarare comunque estinto il rapporto di
lavoro “ex tunc” cioè dalla data di comunicazione del licenziamento al lavoratore,
condannando il datore a pagare un’indennità commisurata a una mensilità per
ogni anno di servizio con un minimo di 2 e un massimo di 12. Anche in questo
caso è onere del lavoratore dimostrare l’insussistenza dei presupposti o la
violazione del giustificato motivo o della giusta causa.
E’
previsto anche che il datore di lavoro revochi il licenziamento entro 15 giorni
dalla comunicazione del lavoratore di impugnare il licenziamento. I motivi per
cui un datore revochi il licenziamento intimato rimangono un mistero. Quello
che maggiormente salta agli occhi è la possibilità che il lavoratore abbia
minacciato un’azione antimobbing o antidemansionante o, addirittura, una
denuncia penale grave (sfruttamento de lavoro minorile, estorsione ai danni dei
lavoratori, molestie sessuali, ecc.) e il datore proponga la pace al lavoratore
appena intimidito con il licenziamento (come per dire: qui comando io, ritira
tutto o ti mando sicuramente in mezzo alla strada). Un altro strumento
risolutivo è l’offerta conciliativa.
Pur
di evitare il processo, entro 60 giorni dall’intimazione di licenziamento, il
datore può offrire al lavoratore una proposta transattiva in denaro (la norma
non lo dice, ma si presume che la proposta scaturisca dall’impugnazione
stragiudiziale notificata nei termini dal lavoratore visto che normalmente
l’acquiescenza non stimola alcuna attività conciliativa).
Il
lavoratore che voglia esaminare l’offerta dovrà farlo esclusivamente presso le
sedi della Direzione Provinciale del Lavoro, dinanzi il Giudice del lavoro (già
il Codice di Procedura Civile prevede che si possa raggiungere la conciliazione
in ogni fase del processo, ma prima della fase decisionale). L’offerta non è
lasciata alla libera determinazione delle parti, ma anche in questo caso il
Decreto fissa un range (che si presume minimo per evitare un indebito
sfruttamento delle condizioni economiche del lavoratore), che va da una
mensilità per ogni anno di servizio a un massimo di 18 mensilità, liquidabile
con assegno circolare non tassato. Ovviamente l’offerta può anche essere
maggiorata secondo gli interessi del datore e la forza persuasiva del lavoratore.
L’accettazione dell’assegno costituisce acquiescenza con estinzione di ogni
pretesa correlata al licenziamento ma non di altre eventuali pendenze
costituitesi da altri diritti.
In
questa sede possono essere risolte con lo stesso sistema queste ulteriori
pretese ma l’importo liquidato sarà soggetto a tassazione ordinaria.
Entro
65 giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro, il datore dovrà
obbligatoriamente comunicare al Direzione Territoriale del Lavoro l’esito della
conciliazione (se vi è stata proposta) al fine di consentire un monitoraggio
sulle succitate disposizioni.
Il
rito processuale è ordinario nel senso che non si applica la procedura Fornero
(articolo 1, commi 48 e 68 della Legge n.92 del 28/06/12), ma quella prevista
dall’articolo 18 della Legge n. 300 del 20 maggio 1970 (Statuto del
Lavoratori). Il Decreto che si commenta consente al datore di lavoro di
sbarazzarsi dei lavoratori fastidiosi cioè di quelli che, magari, lamentano
condizioni migliori di lavoro oppure il rispetto della legalità o delle proprie
mansioni. In definitiva chiunque non sia gradito all’azienda e viene visto come
un ostacolo alla produzione ed allo sfruttamento, viene gettato per la strada
sostenendo una piccola somma. Particolare attenzione va posta alla carenza di
motivi sottesi il licenziamento (articolo 2, comma 2 della Legge n.604 del 15
luglio 66) perché in base alla formulazione di legge l’ “onus probandi” ricade
sul datore di lavoro che se non riuscirà a dimostrare di aver comunicato nei termini
i motivi, si vedrà annullato il licenziamento.
Invece,
il Decreto, inverte tale onere pretendendo la prova diabolica da parte de
lavoratore. Prova diabolica perché il lavoratore non ha gli strumenti e i mezzi
necessari per dimostrare l’ “intentio” datoriale. Non può accedere alla
documentazione, alle prove epistolari, ai testi (perché intimiditi dallo stesso
Decreto visto che potrebbero a loro volta essere licenziati “ad nutum”) e,
quindi, tranne in casi rarissimi, dovuti perlopiù ad errori di sottovalutazione
o distrazione datoriale, al lavoratore non resterà che prendersi la somma
decisa dal Giudice e vivere, nel migliore delle ipotesi, con il sussidio
statale.
E’
la mercificazione del diritto; si da un valore monetario all’ingiustizia. Ogni
condotta ritorsiva e vendicativa ha un prezzo e basta pagarlo per fare quello
che si vuole. Certamente i contenziosi si ridurranno non perché nelle aziende
si affermerà la legalità davanti agli interessi lucrativi, ma perché i
lavoratori intimiditi preferiranno subire ogni angheria piuttosto che perdere
il posto di lavoro soprattutto in questa epoca di crisi. La perdita della fonte
di reddito, i problemi familiari che ne deriveranno e, soprattutto, la
sofferenza fisica ed emotiva che dovranno sopportare i lavoratori così
“ingiustamente” licenziati per aver chiesto legalità (licenziamento ritorsivo
non provato), creerà una nuova classe sociale costituita da cittadini animati
dal senso di giustizia che hanno perso l’ultima speranza.
Tale
situazione è foriera di seri sconvolgimenti sociali (suicidi e virulente azioni
di protesta) soprattutto perché il Decreto ha creato due tipi di lavoratori:
quelli fuori Decreto che ancora continuano a godere delle tutele piene e quelli
nel Decreto che, in definitiva, sono lasciati al libero consumo degli
imprenditori.
Stiamo
assistendo impassibili alla distruzione del diritto e del senso di giustizia
dove il denaro è l’unica cosa che conta e dà valore alla vita.
Avvocato
Mauro Di Fresco
Ufficio
Legale Associazione Avvocatura di Diritto Infermieristico
SULLA VALUTAZIONE
DEI RISCHI E SULLA REDAZIONE DEL RELATIVO DOCUMENTO DI VALUTAZIONE NEL CASO DI
COSTITUZIONE DI UNA NUOVA IMPRESA
Da:
PuntoSicuro
7
luglio 2015
Di
Gerardo Porreca
QUESITO
Nel
caso di costituzione di una nuova impresa, secondo l’articolo 28 comma 3-bis
del D.Lgs.81/08, il datore di lavoro dopo avere effettuata la valutazione dei
rischi deve dare immediata evidenza, attraverso idonea documentazione,
dell'adempimento degli obblighi di cui al comma 2, lettere b), c), d), e) e f),
e di cui al comma 3 dello stesso articolo.
Riportando
queste lettere i contenuti del Documento di Valutazione dei Rischi (DVR), tale
richiesta non è in contraddizione con la facoltà concessa al datore di lavoro
allo stesso comma 3-bis di elaborare il DVR entro 90 giorni dalla data di
inizio dell’attività?
RISPOSTA
Il
quesito fa riferimento alle disposizioni contenute nel comma 3-bis del
D.Lgs.81/08 riguardanti l’obbligo di valutazione dei rischi e di redazione del
DVR per le imprese di nuova costituzione e più in particolare alle modifiche
che sono state apportate allo stesso comma 3-bis dalla Legge 161/14, la
cosiddetta Legge Europea 2013-bis, contenente “Disposizioni per l'adempimento
degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea”,
modifiche che hanno sollevato nel lettore le perplessità espresse nel quesito
formulato.
Si
precisa, in premessa, che la modifica del comma 3-bis dell’articolo 28 del
D.Lgs.81/08 sopra indicata è stata introdotta al fine di soddisfare una
richiesta pervenuta all’Italia dalla Commissione Europea con riferimento alla
procedura di infrazione n.2010/4227 per avere la stessa violato la Direttiva Quadro
europea 89/391/CEE sulla sicurezza sul lavoro.
La Commissione
Europea
aveva giustificata la richiesta di rivedere il comma 3-bis dell’articolo 28
fatta al legislatore italiano affermando testualmente che “non si può negare
che l'esonero dall'obbligo di redigere un documento di valutazione dei rischi
durante le prime settimane può indurre certi datori di lavoro a omettere di
effettuare una valutazione dei rischi o ad effettuarla meno accuratamente di
quanto avrebbero fatto se avessero dovuto redigere un documento cartaceo
contenente i risultati della valutazione”.
Il
comma 3-bis dell’articolo 28 del D.Lgs.81/08, così come modificato dalla Legge
Europea 2013 bis, ora così recita:
“In
caso di costituzione di nuova impresa, il datore di lavoro è tenuto ad
effettuare immediatamente la valutazione dei rischi elaborando il relativo
documento entro novanta giorni dalla data di inizio della propria attività.
Anche in caso di costituzione di nuova impresa, il datore di lavoro deve
comunque dare immediata evidenza, attraverso idonea documentazione, dell'adempimento
degli obblighi di cui al comma 2, lettere b), c), d), e) e f), e al comma 3, e
immediata comunicazione al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. A
tale documentazione accede, su richiesta, il rappresentante dei lavoratori per
la sicurezza”.
In
tale comma sono stati messi in evidenza i due periodi aggiunti dalla legge
Europea. Da una prima lettura del comma sembra infatti che la modifica
vanifichi la facoltà da parte del datore di lavoro, nel caso della costituzione
di una nuova impresa, di elaborare il DVR entro 90 giorni dall’inizio
dell’attività, essendo lo stesso comunque tenuto a documentare
nell’immediatezza l'adempimento degli obblighi di cui alle lettere b), c), d),
e) e f) del comma 2 dello stesso articolo 28, ma le cose non stanno così.
Gli
obblighi previsti dalle lettere b), c), d), e) e f) del comma 2 dell’art. 28,
citati nei periodi aggiunti del comma 3-bis, sono:
b)
l'indicazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate e dei
dispositivi di protezione individuali adottati, a seguito della valutazione di
cui all'articolo 17, comma 1, lettera a);
c)
il programma delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel
tempo dei livelli di sicurezza;
d)
l'individuazione delle procedure per l'attuazione delle misure da realizzare,
nonché dei ruoli dell'organizzazione aziendale che vi debbono provvedere, a cui
devono essere assegnati unicamente soggetti in possesso di adeguate competenze
e poteri;
e)
l'indicazione del nominativo del responsabile del servizio di prevenzione e
protezione, del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza o di quello
territoriale e del medico competente che ha partecipato alla valutazione del
rischio;
f)
l'individuazione delle mansioni che eventualmente espongono i lavoratori a
rischi specifici che richiedono una riconosciuta capacità professionale,
specifica esperienza, adeguata formazione e addestramento.
Si
fa osservare in merito che nella modifica apportata al comma 3-bis
dell’articolo 28 non è stata comunque indicata la lettera a) secondo la quale
al termine della valutazione dei rischi è necessario elaborare una relazione
sulla valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori
durante la loro attività lavorativa, relazione nella quale devono essere
specificati i criteri adottati per la valutazione stessa per cui, a parere
dello scrivente, la modifica apportata potrebbe essere interpretata nel senso
che i datori di lavoro che istituiscono nuove imprese, fermo restando la facoltà
agli stessi assegnata di provvedere alla materiale elaborazione del DVR entro i
90 giorni dall’inizio dell’attività, sono comunque tenuti, dopo aver fatto la
valutazione, ad attestare nell’immediatezza l’adempimento degli obblighi
contenuti nelle lettere dalla b) alla f) con una idonea e appropriata
documentazione che successivamente potranno inserire nel DVR, documentazione
che sono tenuti ad esibire all’organo di vigilanza nel caso di una visita
ispettiva effettuata in questa fase dell’attività dell’azienda.
LE NORME
COMUNITARIE E LA
PREVENZIONE INCENDI
Da:
PuntoSicuro
10
luglio 2015
Un
documento si sofferma sul sistema giuridico comunitario con particolare
riferimento alle Direttive europee con ricaduta sulla prevenzione incendi. Le
norme armonizzate, la
Direttiva sui prodotti da costruzione e la sicurezza in caso
di incendio.
Abbiamo
in passato parlato della Direttiva 2012/18/UE del 4 luglio 2012, scaricabile
all’indirizzo:
la
cosiddetta Direttiva Seveso III, relativa al controllo del pericolo di
incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose. Direttiva che
dal 1 giugno 2015 ha
sostituito la
Direttiva Seveso II e di cui è in corso di approvazione da
parte del Governo italiano il Decreto Legislativo di recepimento.
Inoltre
da diversi mesi PuntoSicuro informa sul percorso del futuro “Testo Unico sulla
Prevenzione Incendi” che ha lo scopo di semplificare e razionalizzare il corpo
normativo vigente relativo alla prevenzione degli incendi attraverso
l’introduzione di un unico testo organico e sistematico di disposizioni di
prevenzione incendi. Percorso che ha previsto l’invio, dello schema di Decreto
Ministeriale recante “Approvazione di norme tecniche di prevenzione incendi, ai
sensi dell’articolo 15 del Decreto Legislativo n. 139 del 8 marzo 2006” alla Commissione
Europea che ha emesso un “parere circostanziato” in attesa di
chiarimenti/integrazioni.
E’
insomma evidente quanto la nostra normativa nazionale, in materia di sicurezza
e di prevenzione incendi, sia ormai legata alla normativa europea che spesso
diventa la cornice entro la quale legiferare.
Proprio
in virtù di questo legame ci soffermiamo oggi brevemente sul documento
“Direttive comunitarie con ricaduta sulla prevenzione incendi”, a cura di Marco
Carcassi, pubblicato sul sito dell’Università di Pisa e correlato al corso
“Scienza e tecnica della prevenzione incendi” del Dipartimento di Ingegneria
Civile e Industriale dell’Università pisana.
Il
documento si sofferma innanzitutto sulle differenze fra norme legali (ad
esempio leggi, ordinanze o altri strumenti obbligatori) e standards (documenti
tecnici elaborati da un organismo specializzato).
Gli
standards in linea di principio non sono obbligatori, ma può essere fatto
riferimento in un regolamento o considerati accettabili in pratiche legali
(tribunali).
Nel
documento vengono presentati vari standards in campo internazionale (ad esempio
ISO/IEC, CEN/CENELEC, ...).
Dopo
aver presentato il sistema giuridico italiano, con riferimento anche ai Codici
Civile e Penale e alla Costituzione, il documento si sofferma sulle norme
armonizzate e sulla sistema giuridico comunitario.
Riguardo
alla norma armonizzata, si indica che i requisiti essenziali (RE), contenuti
nelle Direttive, pur avendo carattere di obbligatorietà per il Produttore, non
contengono alcuna indicazione per quanto concerne le specifiche tecniche dei
prodotti; a tale riguardo, la
Direttiva 88/295/CE all’articolo 7 rimanda a tre tipi di
documenti:
-
documento
di armonizzazione o norma armonizzata (HD);
-
norma
europea (EN);
-
pre-norma
europea (ENV).
E
la definizione di norma armonizzata è espressa nella motivazione della
Direttiva, dove si dice che al fine di dimostrare la conformità ai requisiti
essenziali e di garantirne il controllo è opportuno disporre di norme
armonizzate a livello europeo, le quali devono mantenere il loro statuto di
testi non obbligatori.
Inoltre
il Comitato Europeo di Normalizzazione (CEN) e il Comitato Europeo di
Normalizzazione Elettrotecnica (CENELEC) sono riconosciuti quali organismi
competenti ad adottare le norme armonizzate e una norma armonizzata è una
specifica tecnica (Norma europea o Documento di armonizzazione) adottata, su
mandato della Commissione, dall’uno o l’altro o da entrambi gli organismi di
normalizzazione.
In
poche parole le norme armonizzate
-
hanno
carattere volontario;
-
sono
adottate dai Comitati Europei di normazione;
-
sono
pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee;
-
la
loro osservanza conferisce la “presunzione di conformità” agli ER;
-
sono
basate su norme internazionali (ISO o IEC) e riguardano aspetti generali;
-
implicano
la partecipazione alla loro elaborazione di tutte le parti interessate
(produttori, utilizzatori, enti notificati, autorità governative, etc.);
-
presuppongono
l’esistenza di un mandato al CEN o al CENELEC da parte della Commissione;
-
vengono
pubblicate come Norme Nazionali, senza alcuna modifica, dagli Enti di
Normazione nazionali.
Veniamo
al sistema giuridico comunitario, costituito da:
-
Regolamento:
legge a carattere obbligatorio applicabile senza una legge di recepimento;
-
Direttiva:
legge a carattere obbligatorio nei risultati, che lascia a ciascun Stato la
scelta delle forme e dei mezzi per la sua attuazione;
-
Decisione:
documento che riveste carattere obbligatorio solo per quello che concerne, ma
che non necessita di una legislazione di recepimento;
-
Risoluzione:
documento che serve a stabilire un programma e un orientamento per il futuro;
-
Raccomandazione:
strumento usato per chiedere agli stati membri di adottare determinati
provvedimenti.
Dopo
un excursus della storia e normativa europea dal Trattato di Roma (1985) in
poi, il documento ricorda che la
Direttiva 85/374/CE introduce i concetti di:
-
responsabilità
per i danni causati a prescindere dalla intenzionalità;
-
sicurezza
del prodotto legata alla sua messa in servizio e all’uso al quale può essere
ragionevolmente destinato.
E
si segnala che le Direttive Prodotto emesse dalla Comunità sono diverse e
interessano una vasta gamma di articoli: dalle macchine ai giocattoli, dagli
apparecchi per la telecomunicazione agli apparecchi medicali. Ognuna di questa
fa riferimento a una o più modalità di certificazione CE. In ogni caso
all’acquirente devono essere fornite: marcatura CE; dichiarazione di conformità;
manuale d’uso e manutenzione.
Ricordiamo
inoltre, come segnalato in relazione alle risposte europee al Codice
Prevenzione incendi, che la
Direttiva 98/34/CE definisce nell’Unione Europea una
procedura che impone agli Stati membri l’obbligo di notificare alla Commissione
tutti i progetti di regolamentazioni tecniche riguardanti prodotti e servizi
della società dell’informazione, prima che siano adottati nella legislazione
nazionale.
Torniamo
al documento e parliamo della Direttiva 89/106/CE sui prodotti da costruzione
(recepita in Italia con Decreto del Presidente della Repubblica 246/93).
Questi
i requisiti essenziali della Direttiva:
-
resistenza
meccanica e stabilità;
-
sicurezza
in caso di incendio;
-
igiene,
salute e ambiente;
-
sicurezza
nell’impiego;
-
protezione
contro il rumore;
-
risparmio
energetico e ritenzione di calore.
E
riguardo in particolare alla sicurezza in caso di incendio si indica che
l’opera deve essere concepita e costruita in modo che, in caso di incendio:
-
la
capacità portante delle strutture sia garantita per un determinato periodo di
tempo;
-
la
produzione e la propagazione di fiamme e di fumi sia limitata nel tempo;
-
la
propagazione dell’incendio alle costruzioni vicine sia limitata;
-
gli
occupanti possano abbandonare la costruzione o essere messi in salvo;
-
la
sicurezza delle squadre di soccorso sia presa in considerazione.
Il
documento presenta una panoramica delle Direttive e dei Regolamenti che
interessano il settore della sicurezza con ricadute indirette anche sulla
prevenzione incendi, come sotto specificato.
La
sicurezza nei luoghi con pericolo di esplosione è attualmente regolamentata da
due Direttive europee comunemente denominate “Direttive ATEX”. La Direttiva 94/9/CE
contiene disposizioni in materia di apparecchi e sistemi di protezione
destinati ad essere utilizzati in atmosfera potenzialmente esplosiva. La Direttiva 99/92/CE è
relativa alle prescrizioni minime per il miglioramento della tutela della
sicurezza e della salute dei lavoratori che possono essere esposti al rischio
di atmosfere esplosive.
Il
Regolamento CE 1907/2006 (REACH) ha come obiettivo la registrazione, la
valutazione, l’autorizzazione e la restrizione degli agenti chimici pericolosi.
Il
Regolamento CE 1272/2008 (CLP) ha come finalità la protezione dell’ambiente e
della salute umana, la libera circolazione di sostanze e miscele e il
recepimento del Globally Harmonised System of Classification and Labelling of
Chemicals (GHS) ed è applicabile a tutte le sostanze e miscele immesse sul
mercato nella CE e/o soggette ad obbligo di registrazione o notifica secondo
Direttiva REACH.
E
infine l’autore si sofferma anche sulle Direttive Seveso, relative ai pericoli
di incidenti rilevanti, di cui il documento presenta brevemente la storia e
l’evoluzione, dalla Direttiva Seveso I (Direttiva 82/501/CE), alla Direttiva
Seveso II (Direttiva 96/82/CE), alla modifica della Seveso II (Direttiva
2003/105/CE) e alla recente Direttiva Seveso III (Direttiva 2012/18/UE).
Il
documento “Direttive comunitarie con ricaduta sulla prevenzione incendi”, a
cura di Marco Carcassi, del Dipartimento di Ingegneria Civile e Industriale
dell’Università di Pisa è scaricabile all’indirizzo:
http://www.puntosicuro.info/documenti/documenti/150517_prevenzione_incendi_direttive_comunitarie.pdf
LO STRESS E
L’IMPORTANZA DEL LAVORO: MOBBING, BOSSING E STRAINING
Da:
PuntoSicuro
10
luglio 2015
Tiziano
Menduto
Un
intervento si sofferma sullo stress e in particolare sul mobbing sottolineando
l’importanza del lavoro e le frustrazioni e la sofferenza che può causare.
Mobbing orizzontale e verticale, bossing, straining e sindrome di adattamento.
Non
sempre è facile comprendere l’importanza che il lavoro può assumere per una
persona. Per molte persone il lavoro è il più significativo ambito di
realizzazione e spesso il tipo di lavoro svolto incide moltissimo nel definire
chi siamo, e quindi risulta strettamente connesso ai nostri sentimenti e senso
di identità che assumiamo anche verso gli altri.
E
ricordando che le persone spesso investono la maggior parte delle proprie
energie e risorse personali proprio sul lavoro si può sottolineare quanto
segnalato dalla Cassazione: “il lavoro non è solo un mezzo di guadagno, ma
costituisce un mezzo prevalentemente di estrinsecazione della personalità di
ciascun cittadino” (Sentenza Cassazione n. 8835 del 13 agosto 1991).
Partendo
da questi dati è inevitabile che l’attività lavorativa mobiliti nel soggetto
molte reazioni emotive e che condizioni negative lavorative, eccessivamente
stressanti o avversative, suscitano frustrazione, delusione e sofferenza.
A
fare queste affermazioni e a ricordarci l’importanza del lavoro per ciascuno di
noi, è un intervento al Convegno “La prevenzione dei rischi da stress
lavoro-correlato. Profili normativi e metodiche di valutazione” (8 novembre
2013, Università degli studi di Urbino).
Segnaliamo
che gli atti del Convegno sono stati pubblicati, a cura di Luciano Angelini tra
i “Working Papers” di Olympus con il titolo “La prevenzione dei rischi da
stress lavoro-correlato. Profili normativi e metodiche di valutazione”.
In
“Stress e mobbing: aspetti teorici e metodologici sulla valutazione”
(intervento a cura di Monia Vagni) si sottolinea dunque che il lavoro forse è
il più significativo ambito di realizzazione personale e relazionale. Ed è
palese quanta affettività esso mobiliti e, in negativo, quali e quante
frustrazioni e sofferenze possa causare. Proprio a queste ultime si riferisce
il termine mobbing, dal verbo inglese to mob, che significa attaccare,
assalire.
Il
fenomeno del mobbing può essere definito come l’attuazione, all’interno di un
ambiente lavorativo, di condotte intese a emarginare, discriminare, screditare
e perseguitare un dipendente. E alcuni autori (Fornari) definiscono il mobbing
come l’aggressione sistematica e continuativa che viene attuata contro un
lavoratore con diverse modalità e gradualità e con chiari intenti
discriminatori dal datore di lavoro o da un suo preposto o da un superiore
gerarchico oppure dai suoi colleghi. L’attività discriminatoria del mobbing è
infatti protesa a emarginare e/o estromettere il lavoratore dal proprio
ambiente di lavoro, allo scopo di arrecargli un danno psicofisico, morale ed
economico.
E
quando il mobber è l’azienda stessa, con una strategia persecutoria che assume
i contorni di una vera e propria strategia aziendale di riduzione,
ringiovanimento o razionalizzazione del personale, oppure di semplice
eliminazione di una persona indesiderata, siamo di fronte a quello che viene
chiamato “bossing”: una vera e propria politica di mobbing, compiuta dai quadri
o dai dirigenti dell’azienda con lo scopo preciso di indurre il dipendente
divenuto “scomodo” alle dimissioni, al riparo da qualsiasi problema di tipo
sindacale.
Rimandando
a una lettura integrale degli atti relativi all’intervento di Monia Vagni,
ricordiamo che generalmente si possono individuare due forme di mobbing:
-
mobbing
verticale: dal grado gerarchico più alto a quello inferiore; oltre il 50% dei
casi di mobbing è di tipo verticale; di norma implica la prevaricazione dal più
forte al più debole; strategia aziendale pianificata per forzare un dipendente
alle dimissioni; terrorismo psicologico;
-
mobbing
orizzontale: attuato tra pari grado; riscontrabile in circa il 40% dei casi;
dinamiche intragruppo caratterizzate da rivalità.
Tuttavia
gli studi relativi allo stress lavorativo individuano anche altre forme di
disagio, che si pongono a cavallo tra le più comuni situazioni di stress
occupazionali e il mobbing, e che vengono definite “straining”.
In
particolare con il termine “straining” si intende una situazione di stress
forzato sul posto di lavoro, in cui la vittima subisce almeno un’azione, che ha
come conseguenza un effetto negativo nell’ambiente lavorativo, azione che oltre
a essere stressante, è caratterizzata anche da una durata costante. Si tratta
di una condizione di stress forzato, cioè superiore a quello connesso alla
natura del lavoro e diretto nei confronti di una vittima o di un gruppo di
vittime. Un esempio di straining è rappresentato dal demansionamento
[legittimato da uno dei Decreti attuativi del Job Acts del governo Renzi, NDR],
o da tutte quelle situazioni che implicano un forzato stato di isolamento.
Tuttavia una tale condizione lavorativa non rientra nel mobbing, poiché le azioni
ostili subite dalla vittima non sono oggettivamente sistematiche, ripetute e
frequenti.
L’intervento
cerca poi di sfatare alcune credenze o miti per meglio comprendere il fenomeno
del mobbing e le sue conseguenze psichiche:
-
i
soggetti più colpiti sono sopra ai 55 anni, ritenuti spesso meno remunerativi
per l’azienda, che quindi preme per il loro prepensionamento; sono anche quelli
più vulnerabili perché hanno affettivamente investito di più, con meno
opportunità di trovare un analogo impiego e quindi sono quelli che possono
presentare conseguenze psichiche più gravi;
-
i
quadri dirigenziali risultano più colpiti;
-
altresì
vero il mobbing si verifica nei posti di “minor prestigio”, dove prevalgono
alcuni aspetti culturali e il minor potere posseduto dai dipendenti limitano la
loro capacità di opporsi;
-
il
mobbizzato non è però sempre una personalità debole: a volte i mobbizzati sono
coloro che sono più restii a piegarsi ad alcune politiche aziendali, e per
certi aspetti risultano più combattivi o sicuri delle proprie competenze.
Riguardo
agli aspetti clinici, metodologici e diagnostici del mobbing, l’autrice segnala
che il mobbing può giungere a causare una malattia, rientrando come
fenomenologia nella psicopatologia delle cosiddette “reazioni ad eventi”.
Infatti
ogni “stressor” che perturba l’omeostasi dell’organismo richiama immediatamente
delle reazioni regolative neuropsichiche, emotive, locomotorie, ormonali e
immunologiche, e le reazioni agli “stressor” assumono una valenza di “eustress”
quando rappresentano l’aspetto positivo dello stress, intesa come attivazione
dell’organismo oppure di “distress”, al contrario, quando lo stress assume una
valenza negativa, e porta con sé a reazioni che non risultano garanti di quel
nuovo adattamento richiesto o necessario per eliminare la situazione avversiva.
L’intervento
si sofferma anche su quella che Seley (1971) definì come “Sindrome Generale di
Adattamento”: cioè la risposta che l’organismo mette in atto quando è soggetto
agli effetti prolungati di svariati tipi di “stressor”, quali stimoli fisici
(ad esempio fatica), mentali (ad esempio impegno lavorativo), sociali o
ambientali (ad esempio obblighi o richieste dell’ambiente sociale). Vengono
descritte nel dettaglio l’evoluzione della sindrome che avviene in tre fasi
(allarme, resistenza e esaurimento).
Si
ricorda poi che il mobbing, oltre ad avere una dimensione oggettiva legata
all’entità e natura dei comportamenti vessatori messi in atto dall’azienda, ha
una forte valenza soggettiva che incide in modo significativo sullo stato
psichico del soggetto stesso. Spesso il soggetto si ritrova assorbito in un
vortice psicologico caratterizzato da meccanismi di evitamento, dove si evita
di tornare al lavoro, a parlare con colleghi, ecc.; ad atteggiamenti di
costante rimuginazione, dove il ricordo di quanto accaduto, nonostante gli
sforzi evitanti, diventa intrusivo e dominante.
L’intervento
si sofferma infine sull’accertamento psicodiagnostico del mobbing, segnalando
che dal 2011 il Centro di Ricerca e Formazione in Psicologia Giuridica
dell’Università degli Studi di Urbino ha stipulato una convenzione con l’INAIL
della Regione Marche per l’accertamento psicodiagnostico dei lavoratori che
hanno denunciato una condizione di costrittività organizzativa sul lavoro.
Riportiamo
alcuni degli obiettivi della psicodiagnostica in relazione alle situazioni di
stress lavorativo e mobbing:
-
il
supportare la valutazione clinica dello psichiatra con elementi più oggettivi
possibili;
-
il
fornire un inquadramento della personalità più completo possibile;
-
l’evidenziare
il funzionamento psicologico del soggetto nelle sue principali aree, con particolare
attenzione a quella socio-affettiva e lavorativa;
-
il
delineare quei processi, funzioni e abilità che risultano solo parzialmente
indagabile attraverso il colloquio clinico;
-
il
rilevare eventuali simulazioni;
-
l’indicare
una possibile prognosi.
Il
contributo si conclude sottolineando che di certo l’accertamento
psicodiagnostico deve essere inteso come un contributo alla valutazione del
singolo caso, ma esso da solo, senza ad esempio la valutazione psichiatrica,
non può fornire un’esaustiva risposta.
Ed
infatti la complessità del fenomeno, relativo alle diverse forme di stress
connesse al mondo del lavoro, implica in modo inevitabile il doversi
confrontare con diverse professionalità e cornici scientifiche.
L’intervento
“La prevenzione dei rischi da stress lavoro-correlato. Profili normativi e
metodiche di valutazione” contenuto negli Atti del Convegno di Urbino del 8
novembre 2013, a
cura di Luciano Angelini è consultabile al link:
RISCHIO VIBRAZIONI:
VALUTAZIONE DEL RISCHIO E PREVENZIONE
Da:
PuntoSicuro
14
luglio 2015
Tiziano
Menduto
Indicazioni
sulla valutazione del rischio vibrazione con riferimento alle vibrazioni
trasmesse al corpo intero e alle vibrazioni trasmesse al sistema mano-braccio.
L’uso della Banca Dati, la misurazione strumentale e le misure di prevenzione.
Secondo
alcuni dati forniti dall’Agenzia europea per la salute la sicurezza sul lavoro
(EU-OSHA), nell’Unione Europea ben il 24% dei lavoratori è esposto a vibrazioni
meccaniche. E, se rimaniamo nei nostri confini nazionali, il 21% dei lavoratori
italiani è esposto al rischio di questo agente fisico.
Proprio
alla luce di questi dati e per evitare le conseguenze sulla salute dei
lavoratori dell’esposizione a vibrazioni è dunque necessario attuare nei luoghi
di lavoro un’analisi del rischio e, laddove necessario, adottare adeguate
misure di prevenzione.
Per
affrontare questi temi presentiamo un intervento a un seminario tecnico dal
titolo “Criteri e strumenti per l’individuazione e l’analisi dei rischi”,
organizzato dall’ Ordine degli Ingegneri della Provincia di Roma in
collaborazione con l’Università degli Studi Roma Tre, che si è tenuto a Roma lo
scorso 23 Maggio. Un seminario che ha presentato le tematiche legate ai criteri
e agli strumenti utili alla valutazione dei rischi per i lavoratori, con
riferimento alle problematiche dell’illuminazione, delle vibrazioni e delle
radiazioni ottiche artificiali coerenti e incoerenti.
Nell’intervento
“La valutazione del rischio Vibrazione e i suoi aspetti applicativi”, a cura
dell’ingegner Luigi Carlo Chiarenza, si ricorda innanzitutto che le vibrazioni
sono oscillazioni meccaniche di grande rapidità e piccola ampiezza, generate da
onde di pressione che si trasmettono attraverso corpi solidi e nel mondo
lavorativo le vibrazioni vengono classificate in due tipologie:
-
vibrazioni
trasmesse al corpo intero (Whole Body Vibration WBV): oscillazioni
generalizzate, a bassa (fra 0 e 2 Hz) e media frequenza (fra 2 e 20 Hz);
-
vibrazioni
trasmesse al sistema mano-braccio (Hand Arm Vibration HAV): oscillazioni localizzate,
ad alta frequenza (oltre 20-30 Hz).
E
secondo la classificazioni delle vibrazioni in base alle frequenze (secondo
Wisner), possiamo avere frequenze:
-
basse:
ad esempio su mezzi di comunicazione come automobili e navi;
-
medie:
ad esempio con macchine, impianti industriali e mezzi di trasporto;
-
alte:
ad esempio con strumenti vibranti.
L’intervento
introduce il tema della valutazione del rischio.
Per
la valutazione del rischio vibrazioni è necessario:
-
identificare
le operazioni lavorative comportanti l’esposizione a vibrazioni;
-
valutare
i tempi di esposizione effettiva a vibrazioni associati a ciascuna operazione;
-
individuare
la tipologia dei macchinari che espongono a vibrazioni (fisse o mobili);
-
identificare
le condizioni operative che possono aumentare l’esposizione a vibrazioni e/o incrementarne
i potenziali effetti dannosi quali la postura, la vetustà del macchinario, lo
stato di manutenzione della macchina, altri fattori di rischio per la colonna
vertebrale (ad esempio movimentazione manuale dei carichi), ecc.
Il
relatore ricorda poi, con riferimento al D.Lgs. 81/08 (Testo Unico sulla
sicurezza), la possibilità di “giustificazione” contenuta nel comma 3
dell’articolo 181, secondo cui “la valutazione dei rischi è riportata sul
documento di valutazione di cui all’articolo 28, essa può includere una giustificazione
del datore di lavoro secondo cui la natura e l’entità dei rischi non rendono
necessaria una valutazione dei rischi più dettagliata”.
Sempre
con riferimento al Testo Unico l’intervento indica che per la valutazione del
rischio di esposizione alle vibrazioni meccaniche il Decreto obbliga il datore
di lavoro a eseguire misurazioni strumentali in proprio soltanto nei casi in
cui non siano disponibili presso Banche Dati accreditate informazioni relative
ai livelli di vibrazione.
E
ricorda che una banca dati vibrazione è disponibile sul Portale Agenti Fisici.
In
particolare la Banca Dati
fornisce due tipologie di dati:
-
i
valori di emissione dichiarati dal produttore ai sensi della Direttiva
Macchine;
-
i
valori di vibrazione misurati in campo secondo specifici standard
internazionali di misura.
Il
relatore segnala quando non usare i dati forniti dal costruttore ai fini della
valutazione del rischio. Infatti non potranno essere utilizzati i dati forniti
dal costruttore e le metodiche semplificate di stima del rischio descritte se:
-
il
macchinario non è usato in maniera conforme a quanto indicato dal costruttore;
-
il
macchinario non è in buone condizioni di manutenzione;
-
il
macchinario è usato in condizioni operative particolari e differenti da quelle
indicate dal costruttore in sede di certificazione;
-
il
macchinario non è uguale a quello indicato in banca dati (differente marca o
modello).
Ed
è altamente sconsigliato utilizzare i dati misurati in campo riportati nella
Banca Dati qualora:
-
il
macchinario non è usato nelle condizioni operative indicate nella scheda
descrittiva delle condizioni di misura della Banca Dati;
-
il
macchinario non è in buone condizioni di manutenzione;
-
il
macchinario non è uguale a quello indicato in banca dati (differente marca o
modello);
-
nel
caso di esposizione al corpo intero: differenti caratteristiche del fondo
stradale, velocità di guida, tipologia di sedili montati possono incidere sui
livelli di esposizione prodotti da macchinari, anche se dello stesso tipo.
E,
in generale, in tutti i casi in cui è ipotizzabile che l’impiego della Banca
Dati possa portare a una sottostima del rischio, soprattutto in relazione alle
misure di tutela da mettere in atto per i lavoratori, sarà necessario ricorrere
a misurazione diretta dell’esposizione a vibrazione nelle effettive condizioni
di impiego dei macchinari.
Le
misurazioni delle vibrazioni sono generalmente effettuate per mezzo di uno
strumento chiamato accelerometro, applicato all’impugnatura o al sedile della
macchina utilizzata. Dalla lettura e dalla interpretazione della misurazione
viene ottenuta l’accelerazione equivalente, valore medio che tiene conto delle
variazioni di frequenza e di intensità delle vibrazioni durante il tempo di
misura ritenuto rappresentativo della lavorazione. Da questa si calcola quindi
il valore complessivo dell’accelerazione equivalente, relativo alle otto ore
lavorative.
Ricordiamo,
per concludere, alcune possibili misure di prevenzione del rischio vibrazioni
riportate dal relatore:
-
misura
di carattere tecnico rivolta allo strumento vibrante: progettazione (peso
maneggevolezza, frequenza e ampiezza delle vibrazioni, ecc.), manutenzione;
-
misura
di carattere organizzativo: organizzazione del lavoro, tempi di esposizione,
turni lavorativi, luoghi di lavoro, Dispositivi di Protezione Individuali
(guanti antivibranti);
-
misura
di carattere medico rivolta al lavoratore: visite di assunzione, visite
periodiche (con limitazioni e prescrizioni), indagini strumentali.
E,
ai fini preventivi, si consiglia l’astensione dal fumo di tabacco, la
limitazione del consumo di alcool, il controllo del metabolismo lipidico e
glucidico.
Il
documento “La valutazione del rischio vibrazione e i suoi aspetti applicativi”,
a cura dell’ingegner Luigi Carlo Chiarenza è scaricabile all’indirizzo:
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