mercoledì 22 luglio 2015

22 luglio - Chieste condanne da cinque a tre anni per gli ex direttori di Michelin



Arringa finale del pubblico ministero Marcella Bosco al processo contro cinque ex direttori di stabilimento Michelin. Richieste pene tra i 5 e i 3 anni per Borella, Alberti, Toso e Berello. Proposta dallostesso pm l'assoluzione per Belleux per omicidio colposo e lesioni gravi.

ALESSANDRIA – Ha condensato, in quattro ore di arringa, due anni di dibattimento e qualche anno in più di fase pre-dibattimentale il pubblico ministero Marcella Bosco. Un processo non facile, “partito tardi”, come ha ammesso la stessa, che vede imputati cinque ex direttori di stabilimento della Michelin di Spinetta Marengo per le accuse di omicidio colposo e lesioni aggravate. Trentadue erano le parti lese, di queste molte sono cadute in prescrizione; delle otto rimaste in piedi, sei sono decedute e solo due ex lavoratori ancora in vita. I reati contestati si riferiscono alle condizioni di lavoro in stabilimento tra gli anni '80 e '90. Nel dettaglio: richiesta la pena di cinque anni di reclusione per Gian Carlo Borella limitatamente alle imputazioni relative ad decesso dei dipendenti Franco Badino, Ottavio Bocchio, Antonio Furlanetto, Ettore Olivieri, Guido Pelizzari, Carlo Ricci e per lesioni cagionate a Aldo Mozzone e Lorenzo Volpi;
per di cinque anni di reclusione per Giovanni Alberti per il decesso di Franco Badino, Ottavio Bocchio, Antonio Furlanetto, Ettore Olivieri, Guido Pelizzari e Calo Ricci e le lesione cagionate a Aldo Mozzone e Lorenzo Volpi; richiesta la pena a quattro anni di reclusione per Emilio Toso, per i decessi di Badino, Bocchio, Pelizzari e Ricci e lesioni cagionate a Mozzone e Volpi;

richiesti tre anni di reclusione Bartolomeo Berello per i decessi di Guido Pelizzari e Carlo Ricci e per lesioni nei confronti di Mozzone e Volpe. Per gli stessi imputati non è richiesto di procedere per i reati prescritti. Richiesta l'assoluzione per Belleux Jean Michel in quanto l'insorgenza delle malattie sarebbe avvenuta precedentemente al suo arrivo alla direzione. Morti o malati di carcinoma, cancro, prevalentemente alla vescica, stomaco e polmone. Esisteva una correlazione tra le sostanze utilizzate in stabilimento e l'insorgenza della malattia? Si, secondo il pubblico ministero che, nell'arringa, ha ripercorso le fasi salienti: le testimonianze dei lavoratori di alcuni reparti, le relazioni dei periti, le prescrizioni degli organismi di controllo sui luoghi di lavoro. Sono le ammine aromatiche le principali “imputate”, uscite dal processo produttivo nel 1984, anno di volta per quanto riguarda gli ambienti di lavoro. Secondo l'accusa l'azienda non ha messo in atto tutti quegli accorgimenti necessari per evitare la dispersione di polveri e vapori, come le cappe di aspirazione o le coperture lungo i nastri trasportatori. Le condizioni ambientali migliorano dopo gli anni '80, ma ancora nel 1996 un sopralluogo dello Spresal (Asl) in alcuni reparti avrebbe messo in evidenza come esistevano ancora emissioni di sostanze a rischio o come i lavoratori non fossero dotati (o non usassero) indumenti di protezione, come le mascherine. Dopo il 1984 l'ammina riconosciuta come cancerogena verrà eliminata dal processo produttivo, ma non si può escludere – questa la tesi del Pm supportata dai periti di parte – che l'interazione e i processi chimici di diverse sostanze potessero dare origine ad altre molecole “alcune delle quali conosciute, altre no”.
E sarebbe ancora la correlazione tra fattori presenti nell'ambiente di lavoro e quelli esterni, come il fumo di sigaretta, a produrre un effetto “moltiplicatore” o quanto meno “accelerante” della malattia. Sul fumo di sigaretta come causa principale di malattia ha insisstimo molto la difesa nel corso del procedimento. Non nega la pericolosità l'accusa. Ma è sull'effetto congiunto di fumo e sostanze presenti in stabilimento che Bosco insiste. Non è possibile stabilire in quale percentuale abbia influito l'uno o l'altro, nell'insorgenza della patologia, ma la loro combinazione potrebbe avere avuto effetti devastanti. E purtroppo la medicina non è in grado di dirlo con precisione. Di certo, secondo il Pm, c'è il fatto che “l'azienda poteva mettere in atto le migliorie nei processi produttivi prescritte, e non lo ha fatto in maniera risolutiva”.

21/07/2015

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