Nardò, la moglie del sudanese
morto nei campi sotto l'afa: "Mohamed viveva da schiavo"
Il 47enne è morto per un colpo di calore mentre
raccoglieva pomodori in un'azienda agricola tra Nardò e Avetrana e tre persone
(i titolari della ditta e un caporale) sono indagate per omicidio colposo
di CHIARA
SPAGNOLO
27 luglio
2015
"Li
fanno vivere peggio delle bestie. Mio marito dormiva su un materasso poggiato
su un balcone, in mezzo alla sporcizia: se l'avessi saputo, non l'avrei mai
lasciato venire qui". Marian ha quarant'anni, una figlia di tre e uno di
16. Da lunedì non ha più un marito: Mohamed, sudanese 47enne, è morto per un colpo di
calore mentre
raccoglieva pomodori in un'azienda agricola tra Nardò e Avetrana e tre persone
(i titolari della ditta e un caporale) sono indagate per omicidio colposo.
Marian è arrivata in Puglia, con quel che resta della sua famiglia al seguito,
per riprendersi la salma del compagno che aveva scelto per la vita e riportarla
in Africa. Fra le incombenze che ha dovuto affrontare, la testimonianza davanti
ai carabinieri e il passaggio nel ghetto della ex falegnameria per recuperare
gli effetti personali di Mohamed.
Che effetto
le ha fatto?
"Quando
sono entrata mi è venuto un brivido, neanche gli animali vengono trattati così.
In questa casa che non si può chiamare casa non c'è posto per l'umanità. Gli
amici mi hanno fatto vedere dove dormiva Mohamed e mi hanno fatto prendere i
suoi oggetti: i vestiti, le chiavi di casa, poche cose che si portava dietro
quando partiva per lavoro ".
Lui si
spostava in diverse regioni per lavorare?
"Aveva
già fatto la raccolta dei pomodori a Crotone, l'anno scorso, ma anche in
provincia di Siracusa, e quest'anno aveva partecipato alla raccolta delle
patate in Sicilia".
Com'era
arrivato qui?
"I
lavoratori sono organizzati a gruppi in base alle etnie, si conoscono, sono
parenti non di sangue ma di tribù, e quando uno ha bisogno di lavorare sa chi
chiamare. Dopo le patate, il gruppo è venuto a Nardò".
Pensava di
tornare a casa a settembre?
"Così
era previsto. Lui era un ottimo padre, prima che un buon marito, affettuoso con
i suoi figli e con me, mi difendeva in qualunque situazione e si prestava a
fare qualunque lavoro per mantenerci. Viviamo con molte difficoltà, mio figlio
maggiore ha dovuto lasciare la scuola perché non riuscivamo a mantenerlo, ma
ancora è troppo piccolo per lavorare e mio marito pensava a tutto".
Da quanto
tempo viveva in Italia, com'era arrivato?
"Su un
barcone, come tutti. Dal Sudan si era spostato in Libia per lavorare e da lì
nel 2006 era partito per l'Italia sperando di fare una vita migliore. Aveva
ottenuto lo status di rifugiato politico. Ci siamo conosciuti sei anni fa e poi
sposati, era un uomo religioso e preciso, non fumava, non beveva, non mancava
mai a una preghiera".
Al telefono
le aveva raccontato come si era sistemato?
"No,
non sapevo che stesse in quel posto, senza luce né acqua, anche se altre volte,
quando è tornato dalla raccolta in Sicilia o in Calabria, mi ha raccontato di
posti come questo, in cui dormivano a terra e facevano i bisogni sotto gli
alberi. Io non ci sono mai andata, le donne non vanno in quei posti".
Vi siete sentiti la mattina del giorno in cui è morto.
Vi siete sentiti la mattina del giorno in cui è morto.
"Era
contento, stava bene, faceva caldo ma non mi ha detto che stava male. Lui non
aveva mai problemi, era forte, non era malato, io non so cosa sia successo
".
Lei ha
deciso di riportare il corpo di Mohamed in Sudan.
"Quello
è il suo posto, vicino alla sua famiglia: siamo molto religiosi, è lì che deve
stare. Ma io non ho i soldi per farlo, siamo gente povera, si stanno occupando
di tutto Comune e Regione".
E dopo cosa
farete?
"Non ne
ho idea, non abbiamo nulla e non abbiamo parenti in Italia. Senza Mohamed non
so che ne sarà di noi".
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